L'esercizio abusivo della professione sanitaria alla luce della riforma Lorenzin

Antonio Bana
05 Luglio 2018

La nuova disciplina introdotta dalla riforma Lorenzin ha apportato correttivi significativi alla Legge Gelli e presenta una serie di novità legislative di primaria importanza. La vita degli ordini professionali subisce una corretta modernizzazione e vengono introdotti nuovi ordini come gli osteopati e i chiropratici. Da un punto di vista dell'esercizio abusivo delle professioni, si inaspriscono le pene e viene riconosciuta una maggiore tutela ai pazienti ricoverati negli ospedali sia pubblici che privati. Il provvedimento, infatti, introduce come circostanza aggravante, nell'ambito dei reati contro la persona, il fatto che questi siano commessi in danno di una persona ricoverata.
Introduzione

La nuova disciplina introdotta dalla riforma Lorenzin ha apportato correttivi significativi alla Legge Gelli e presenta una serie di novità legislative di primaria importanza. La vita degli ordini professionali subisce una corretta modernizzazione e vengono introdotti nuovi ordini come gli osteopati e i chiropratici. Da un punto di vista dell'esercizio abusivo delle professioni, si inaspriscono le pene e viene riconosciuta una maggiore tutela ai pazienti ricoverati negli ospedali sia pubblici che privati. Il provvedimento, infatti, introduce come circostanza aggravante, nell'ambito dei reati contro la persona, il fatto che questi siano commessi in danno di una persona ricoverata. La nuova legge prevede anche l'affidamento di nuovi compiti al Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria. Nello specifico dovrà agevolare l'accesso alla copertura assicurativa da parte degli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la propria attività in regime libero-professionale. Il testo interviene in modo sensibile sia sulle sperimentazioni cliniche dei medicinali ad uso umano e sui requisiti dei centri autorizzati sia nell'ambito di un più approfondito rafforzamento a tutela dell'indipendenza delle sperimentazioni, garantendo in questo modo l'obiettivo finale di una mancanza di conflitti di interesse. Da ultimo si stabilisce anche la brevettabilità dei risultati di ricerche non-profit condotte in ambito pubblico sottolineando l'importanza della riforma dei comitati etici creando un centro di coordinamento nazionale dei comitati etici territoriali presso la l'Agenzia Italiana del Farmaco con compiti specifici.

Il delitto di abusivo esercizio di una professione ex art. 348 c.p.

Collocato nel titolo II del codice penale, dedicato ai “delitti contro la pubblica amministrazione”, e in particolare all'interno del capo relativo ai “delitti dei privati contro la pubblica amministrazione”, la fattispecie di cui all'art. 348 c.p. è tradizionalmente posta a presidio del bene giuridico del buon andamento e funzionamento della p.a., con riferimento specifico alla disciplina amministrativa delle professioni: disciplina che, nel sottoporre l'esercizio di talune professioni a particolari vincoli, mira a preservare gli interessi della collettività, assicurando che lo svolgimento di attività specialmente importanti o delicate sia riservato a soggetti dotati di determinati requisiti di qualificazione e competenza, oltre che di etica professionale.

In tale modo, sono indirettamente tutelati anche coloro che legittimamente esercitano una professione “protetta”, oltre che tutti i cittadini che possano potenzialmente avvalersi della loro opera o assistenza.

L'ambito di applicazione della norma coincide pertanto con quello dall'art. 2229 c.c., che fa riferimento alle professioni intellettuali per il cui esercizio è ex lege necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi (della cui tenuta sono responsabili le specifiche associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato). Tra di esse un ruolo di rilevanza è assunto dalle professioni sanitarie, il cui accesso ed esercizio sono regolati da un vasto complesso normativo di carattere primario e regolamentare, oltre che comunitario.

Il delitto in esame si caratterizza come reato comune ed è volto a punire chiunque eserciti abusivamente una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Ai fini della punibilità dell'agente, il radicale difetto della necessaria abilitazione è in giurisprudenza equiparato alla presenza di una causa patologica sopravvenuta che determini il venir meno dell'abilitazione, quale la sospensione o l'interdizione dell'esercizio professionale, la radiazione o cancellazione dall'albo professionale (cfr. in questo senso Cass. pen., 21 gennaio 2014, n. 18745, P.M.; Cass. pen., 13 luglio 2012, n. 36367, Romita; Cass. pen., 15 febbraio 2007, n. 20439, Pellecchia; Cass. pen., 17 ottobre 2001, n. 41142, Coppo).

Similmente, tanto l'assenza di abilitazione, quanto la mancata iscrizione all'albo − o comunque l'assenza degli altri atti e requisiti richiesti dalla legge per esercitare la professione − sono considerati equivalenti all'interno della fattispecie incriminatrice in questione (così Cass. pen., 6 novembre 2013, n. 646, Tuccio; Cass. pen., 19 gennaio 2011, n. 27440, Sgambati). Allo stesso modo commette il reato il soggetto che, pur abilitato in altro Paese europeo, non abbia adempiuto agli obblighi di controllo e autorizzazione stabiliti dalla legge per poter esercitare l'attività in Italia (si veda Cass. pen., 12 luglio 2005, n. 33706, Domenichini; Cass. pen., 16 dicembre 1999, 715, Leonetti).

Condotta punita nel reato in ipotesi è l'esercizio della professione, ossia il compimento di atti professionali. A fronte dell'orientamento tradizionale, che reputava tali esclusivamente quegli atti che la legge espressamente riserva ai soggetti appartenenti alle professioni “protette” (c.d. atti riservati), un più recente orientamento giurisprudenziale (fatto proprio anche dalle Sezioni Unite nella sentenza del 5 dicembre 2011, n. 11545, Cani) conferisce rilevanza anche agli atti c.d. caratteristici di una determinata professione, i quali cioè siano abitualmente e generalmente compiuti nell'ambito di quella professione, oppure siano connessi in via strumentale o consequenziale ad atti riservati: in questo secondo caso, tuttavia, il reato è integrato solo qualora si accerti la commissione di una pluralità di atti di tal genere, posti in essere dall'agente con modalità tali − per continuatività, onerosità e organizzazione − da creare le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.

Nel caso di atti riservati, invece, si ritiene sufficiente la commissione da parte dell'agente di un singolo atto professionale (in questo senso cfr. Cass. pen., 26 febbraio 2015, n. 24283, Bachetti; Cass. pen., 21 ottobre 2013, n. 11493, Tosto; Cass. pen., 2 luglio 2012, n. 30068, Pinori), il quale, secondo l'orientamento tradizionale, può anche essere a titolo gratuito (così Cass. pen., 21 ottobre 2013, n. 11493, Tosto; Cass. pen., 22 agosto 2000, n. 10816, Magaddino; Cass. pen., 29 novembre 1983, n. 2286, Rosellini).

Elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere l'atto professionale senza la necessaria autorizzazione. Secondo la dottrina, l'errore sulla disciplina che individua gli atti riservati e stabilisce le condizioni di accesso all'esercizio della professione dovrebbe escludere il dolo ai sensi dell'art. 47 comma 3 c.p., caratterizzandosi quale errore sulla legge extrapenale; la giurisprudenza considera tuttavia questi casi quali ipotesi di errore sulla legge penale, eventualmente rilevanti ai sensi e nei limiti di cui all'art. 5 c.p. (così ad es. Cass. pen., 10 novembre 2009, n. 47028, Trombetta; Cass. pen., 6 dicembre 1996, n. 1632, Manzi).

Per l'orientamento interpretativo prevalente, il delitto si consuma con la commissione di un singolo atto riservato, circostanza che porta taluni a qualificarlo come reato istantaneo; di conseguenza, a una pluralità di atti professionali dovrebbe secondo questo orientamento corrispondere una pluralità di reati, pur unificati dal vincolo della continuazione (in questo senso cfr. Cass. pen., 24 marzo 2015, n. 21464, Filiddani; Cass. pen., 21 ottobre 2013, n. 11493, Tosto; Cass. pen., 20 febbraio 1974, n. 5531, Pizzolla).

Secondo altra parte della dottrina, la possibilità che il reato si perfezioni altresì mediante una pluralità di atti reiterati nel tempo dovrebbe indurre a includere la fattispecie tra i reati eventualmente abituali (così anche Cass. pen., 19 aprile 2016, n. 20099, Bordi; Cass. pen., 8 gennaio 2014, n. 15894, Erario; Cass. pen., 15 novembre 2011, n. 43328, Giorgini).

L'esercizio abusivo di professioni sanitarie nella prassi giurisprudenziale

Come già osservato, acquisisce un particolare rilievo nella prassi giudiziaria la casistica relativa a episodi di esercizio abusivo di professioni sanitarie. In questo ambito, la corretta definizione della figura di reato in questione sconta non solamente la difficoltà di individuare gli atti riservati o caratteristici di una determinata professione, ma altresì quella di discernere tra atti di competenza di una specifica professione sanitaria rispetto a un'altra.

Come per molte altre professioni, manca difatti una completa elencazione dei possibili atti medico-sanitari riservati, che pertanto dovranno essere ricavati in via deduttiva dal complesso della disciplina che regola la materia sanitaria, tenendo in specifico conto l'essenziale funzione terapeutica che le attività professionali in questo campo sono chiamati a svolgere, oltre che le potenziali implicazioni delle stesse sul diritto alla salute degli individui. La professione medico-sanitaria è stata così definita come “l'attività diretta a diagnosticare le malattie, nel prescriverne la cura, nel somministrare i rimedi anche se diversi da quelli ordinariamente praticati”, sicché commette il reato di esercizio abusivo della professione medica “chiunque esprima giudizi diagnostici e consigli, ed appresti le cure al malato” (così Cass. pen., 5 dicembre 1972, n. 6005, Gambarin; cfr. anche Cass. pen., 9 febbraio 1995, n. 5838, Avanzini).

Sono state così ricondotte all'esercizio abusivo dell'attività del medico-chirurgo condotte – poste in essere in assenza della necessaria laurea e iscrizione nell'apposito albo – quali: l'effettuazione di diagnosi e prescrizione di terapie di carattere omeopatico o naturopato, (Cass. pen., 20 giugno 2007, n. 34200, Mosconi; Cass. pen., 26 gennaio 2016, n. 8885, La Tona); la sottoposizione di pazienti a pratiche di agopuntura (Cass. pen., 6 aprile 1982, n. 7176, De Carolis; Cass. pen., 27 marzo 2003, n. 22528, Carrabba) o di carattere chiropratico (Cass. pen., 10 aprile 2003, n. 30590, Bennati); lo svolgimento dell'attività di massaggiatore a scopo terapeutico, che viene distinta dalla professione sanitaria di massaggiatore, il cui fine è solamente favorire il benessere personale di soggetti integri e sani (Cass. pen., 15 marzo 2016, n. 13213, Giorgini; Cass. pen., 10 novembre 2009, n. 47028, Trombetta; Cass. pen., 24 gennaio 1970, n. 144, Brazzalotto); lo svolgimento da parte di un tecnico settore di pratiche autoptiche di competenza dell'anatomopatologo (Cass. pen., 29 marzo 2007, n. 28642, Servadei); l'esercizio dell'attività di psicoterapeuta (Cass. pen., 28 giugno 2017, n. 39339, Moccia; Cass. pen., 7 marzo 2017, n. 16566, D.F.; Cass. pen., 15 maggio 2013, 23843, Mappa; Cass. pen., 24 aprile 2008, 22268, Caleffi). L'art. 348 c.p. è stato applicato nei confronti di un farmacista che, sostituendosi a un medico di base, compilava in suo luogo le prescrizioni farmacologiche destinate ai pazienti (Cass. pen., 8 febbraio 2011, n. 13315, Fabi).

La giurisprudenza ha poi ritenuto che esercitassero abusivamente la professione di infermiere i soggetti che, in assenza di titoli abilitanti, eseguissero pratiche di stimolazione oculare mediante iniezioni sottocutanee (Cass. pen., 16 ottobre 2008, n. 41183, Borno); ovvero colui che, titolare di una casa di riposo, in assenza di titolo valido pratichi terapie e dispensi medicinali ai propri pazienti (Cass. pen., 9 aprile 2009, n. 17893, Zuccarelli). Non integra tuttavia il reato il soggetto che si sia limitato a effettuare iniezioni insuliniche e intramuscolo (attività non riservate) nella necessità di sopperire alla carenza di personale medico (Cass. pen., 2 febbraio 2010, n. 14603, Pozza).

Ancora, costituisce esercizio abusivo della professione del farmacista la condotta del privato, anche se commesso di farmacia, che venda prodotti medicinali senza l'abilitazione (Cass. pen., 28 aprile 1981, n. 5980, Mizzon; Cass. pen., 27 novembre 1981, n. 10969, Tonnesello).

È stata invece esclusa la rilevanza penale di condotte inidonee a incidere sulla salute fisica o psichica del soggetto o comunque prive di finalità specificamente terapeutica, quali la mera misurazione arteriosa (Cass. pen., 27 novembre 1968, n. 1671, Magnani), lo svolgimento di pratiche da parte del medico-guaritore i cui supposti effetti debbano avere luogo esclusivamente in ambito paranormale, condotta che integra il solo reato di truffa aggravata (Cass. pen., 19 dicembre 2005, n. 1862, Locaputo), e, ancora, l'attività del tatuatore (Cass. pen., 29 maggio 1996, n. 2076, Butera; Cass. pen., 20 maggio 1996, n. 2077, Pellerito; Cass. pen., 25 gennaio 1996, n. n. 524, Nicolino).

Nemmeno integra il reato in esame il medico chirurgo che, pur essendo privo si specializzazione in anestesia e rianimazione, effettui nel proprio laboratorio privato interventi in anestesia locale (Cass. pen., 26 febbraio 2009, n. 11004, Ligresti), né la condotta del medico che esegua interventi di mastoplastica additiva pur non avendo conseguito la specializzazione in chirurgia plastica o generale (l'iscrizione all'albo dei medici abilita infatti di per sé allo svolgimento dell'attività chirurgica, mentre il possesso del diploma di specializzazione è un requisito necessario per il solo svolgimento dell'attività chirurgica nell'ambito del servizio sanitario nazionale: così Cass. pen., 12 novembre 2015, n. 50012, Ladisi).

Si sottolinea infine come in molti casi la giurisprudenza riconosca la responsabilità a titolo di concorso nel reato di esercizio abusivo della professione in capo al professionista abilitato che consenta o agevoli lo svolgimento dell'attività professionale riservata da parte del soggetto non autorizzato (cfr. Cass. pen., 12 maggio 2015, n. 22534, Curnis; Cass. pen., 9 aprile 2009, n. 17893, Zuccarelli; Cass. pen., 16 gennaio 1973, n. 2268, Baglieri), come nel caso del direttore dello studio medico all'interno del quale presti attività professionale un soggetto non abilitato (cfr. Cass. pen., 24 aprile 2013, n. 21220, Cutroneo: nella motivazione la Suprema Corte sembra tuttavia interpretare il delitto di cui all'art. 348 c.p. come reato colposo, piuttosto che doloso).

Le novità introdotte dalla legge 11 gennaio 2018, n. 3 (c.d. legge Lorenzin)

Il 15 febbraio 2018 con l'entrata in vigore della legge 11 gennaio 2018 n. 3, riportante delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute, il Governo è stato chiamato a riordinare, tramite uno o più decreti legislativi, le professioni sanitarie. Il Legislatore nel delegare l'organo esecutivo ha tuttavia già inserito alcune modifiche immediatamente operative in tema di professioni sanitarie ed esercizio abusivo delle stesse.

I profili di rilevanza penalistica, in particolare, sono quattro e risultano accomunati da un generale inasprimento della disciplina.

Innanzitutto, l'art. 12 comma 1 della l. 3/2018 guarda all'art. 348 c.p. – norma espressamente rivolta alla punizione dell'esercizio abusivo di una professione – e ne sostituisce la formulazione innalzando la cornice edittale. Se in precedenza, infatti, la disposizione puniva con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da 103 euro a 516 euro chiunque abusivamente esercitasse una professione per la quale fosse richiesta una speciale abilitazione dello Stato, oggi alla medesima condotta consegue la pena detentiva della reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 10.000 a euro 50.000). Vengono poi aggiunte le pene accessorie della pubblicazione della sentenza di condanna, della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, per i casi in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell'applicazione dell'interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata; il secondo comma del nuovo art. 348 c.p., infine, inserisce un'ipotesi aggravata (reclusione da uno a cinque anni e multa da euro 15.000 a euro 75.000) per il professionista che determini altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero diriga l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

Il nuovo art. 348 c.p. pertanto recita: «1. Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell'applicazione dell'interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. 2. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo».

In secondo luogo, l'art. 12 comma 2 l. 3/2018 modifica l'art. 589 c.p. (omicidio colposo) introducendo dopo il comma 2 un'ulteriore ipotesi di aggravamento della pena per colui che commetta il fatto nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ossia: «Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni»

Parallelamente a quanto introdotto per la fattispecie di omicidio colposo appena vista, il comma 3 dell'art. 12 inserisce dopo il comma 3 della disposizione di cui all'art. 590 c.p. (lesioni colpose) lo stesso tipo di ipotesi aggravata, con ovviamente una diversa cornice edittale: «Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni».

In questi due casi appena analizzati pertanto non risulta più configurabile il concorso tra il reato ex art. 348 c.p. e i reati di omicidio o lesioni colpose, in quanto le nuove fattispecie inserite dal legislatore integrano due ipotesi di reato complesso ex art. 84 c.p.

Da ultimo, il comma 7 dell'art. 12 aggiunge alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. un nuovo art. 86-ter, concernente la destinazione dei beni immobili confiscati poiché utilizzati per la commissione del reato di esercizio abusivo della professione sanitaria. La nuova disposizione stabilisce che gli stessi siano destinati a finalità sociali e assistenziali e vengano a tal proposito trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito. Recita, infatti, il nuovo art. 86-ter: «1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice per l'esercizio abusivo di una professione sanitaria, i beni immobili confiscati sono trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per essere destinati a finalità sociali e assistenziali».

Al di fuori del campo dell'esercizio abusivo di una professione, ma pur sempre in un'ottica di inasprimento della risposta sanzionatoria in ambito sanitario, l'art. 14 l. n. 3/2018 aggiunge all'elenco delle circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61 c.p. un nuovo numero 11-sexies, che stabilisce un aggravamento di pena per chi, nei delitti non colposi, abbia commesso il fatto in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative.

Da ultimo, quanto alle disposizioni contenute in leggi speciali, l'art. 13 della legge delega prevede la modifica della l. 14 dicembre 2000, n. 376 recante «Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping» stabilendo una sanzione penale anche per il farmacista che, in assenza di prescrizione medica, dispensi farmaci o sostanze farmacologicamente o biologicamente attive per finalità diverse da quelle proprie ovvero da quelle indicate nell'autorizzazione all'immissione in commercio. In particolare, all'art. 9 della l. 14 dicembre 2000, n. 376, dopo il comma 7 è aggiunto il seguente: «7-bis. La pena di cui al comma 7 si applica al farmacista che, in assenza di prescrizione medica, dispensi i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all'articolo 2, comma 1, per finalità diverse da quelle proprie ovvero da quelle indicate nell'autorizzazione all'immissione in commercio».

Si evidenzia, tuttavia, che tale nuova fattispecie incriminatrice non è stata trasposta all'interno del nuovo art. 586-bis c.p. che a seguito del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 sostituisce il citato art. 9 l. 14 dicembre 2000, n, 376, ora abrogato. Tale scelta legislativa, ancora non vagliata dalla giurisprudenza, non potrà che costituire un'effettiva abolitio criminis della figura delittuosa in questione.

Guida all'approfondimento

G. MARCONI, Abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.), in (a cura di) M. Catenacci, Reati contro la pubblica amministrazione e l'amministrazione della giustizia, Trattato teorico pratico di diritto penale, vol. V, a cura di F.C. Palazzo − C.E. Paliero, 2015, p. 273;

M. MENEGHELLO, Esercizio abusivo della professione sanitaria, in (a cura di), A. Belvedere – S. Riondato, Trattato di biodiritto. Le responsabilità in medicina, Milano, 2011, p. 1384;

R. PASELLA, Sub art. 348 c.p., in (a cura di) G. Marinucci – E. Dolcini, Codice penale commentato, IV ed., Milano, 2015, p. 886.

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