Caso Zhou: non è obbligatorio riaprire i processi civili per eseguire il giudicato della Corte EDU

09 Luglio 2018

La Corte costituzionale si è pronunciata in merito alla questione di legittimità degli artt. 394 e 395 c.p.c. nella parte in cui non prevedono la revocazione per necessità di eseguire le statuizioni vincolanti della Corte EDU, sollevata dalla Corte d'appello di Venezia.
Massima

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 394 e 395 c.p.c. nella parte in cui non prevedono la revocazione per la necessità di uniformarsi alle statuizioni vincolanti rese dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Il caso

Con la sentenza Zhou contro Italia la Corte EDU condannava l'Italia per aver violato il diritto alla vita familiare della ricorrente che aveva subito l'allontanamento della figlia minore in tenera età e l'interruzione dei rapporti con la pronuncia di adottabilità e la successiva adozione piena. La Corte accertava la violazione dell'art. 8 CEDU per non avere l'Italia predisposto una forma di adozione della minore che non comportasse l'interruzione dei rapporti con la madre, in tal modo realizzando un'ingerenza eccessiva nella sua vita familiare.

La donna si rivolge al giudice del merito per l'esecuzione della sentenza, chiedendo in via principale di interpellare i genitori adottivi per valutare la ripresa di contatti con la minore; in via subordinata, qualora il giudicato interno ostasse all'accoglimento della richiesta principale, sollevare questione di legittimità costituzionale della disciplina sulla revocazione nella parte in cui non ammette tra le ipotesi di revocazione straordinaria per fatti sopravvenuti al giudicato l'ipotesi della sentenza della Corte EDU.

Il giudice, la Corte d'Appello, sezione minorenni, di Venezia, solleva la questione alla Corte Costituzionale individuando nella norma violata l'art. 117 Cost. in riferimento al parametro interposto di cui all'art. 46, comma 1, CEDU, il quale impone agli Stati contraenti «di uniformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle vertenze in cui sono parti» (v. F. Pisano, Giudicato civile e Corte EDU ancora sul caso Zhou, in ilFamiliarista.it).

La questione

La Corte Costituzionale, con le sentenze gemelle 24 ottobre 2007 nn. 348 e 349, ha riconosciuto l'obbligo per l'ordinamento italiano di conformarsi alle norme della CEDU così come interpretate dalla Corte di Strasburgo. Nella ricostruzione del sistema operata in queste due pronunce dalla Consulta la Convenzione è considerata una fonte di rango superiore rispetto alle altre leggi ordinaria, in quanto si tratta di un insieme di norme interposte tra la Costituzione e le leggi ordinarie, in applicazione di obblighi internazionali contratti ai sensi dell'art. 117 Cost.

Le norme interne, quindi, vanno interpretate conformemente a quelle della Convenzione Europea; se ciò non risulta possibile, la norma interna deve essere sottoposta all'attenzione della Corte Costituzionale perché questa ne possa valutare l'incostituzionalità in relazione all'art. 117 Cost..

In questo quadro è stata posta la questione della mancanza, nel processo civile, di una specifica causa di revocazione per necessità di eseguire il giudicato della Corte EDU.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice a quo, nell'ordinanza di rimessione, richiama la sentenza Corte cost. n. 113/2011, che aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva l'ipotesi di revisione del giudicato penale per necessità di conformarsi a quello della Corte EDU. Il remittente sostiene che la questione posta per il processo civile sia del tutto analoga e debba essere risolta, come per il processo penale, con sentenza additiva che preveda la specifica causa di riapertura del procedimento per necessità di ottemperare al giudicato della Corte EDU.

La Consulta, invece, ha dichiarato infondata la questione ma ciò non ha costituito una sorpresa.

Va precisato, infatti, che con la sentenza Corte cost. n. 123/2017 il Giudice delle leggi si era già pronunciato sul tema, in relazione alla revocazione della sentenza amministrativa, affermando che l'art. 46 CEDU, così come interpretato dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, non prevede un generale obbligo di riapertura dei processi quale misura ripristinatoria e di esecuzione del giudicato CEDU; prevedere tale misura, quindi, attiene alla scelta del legislatore statale che, in relazione al processo civile ed amministrativo, deve bilanciare il diritto di azione di chi ha agito vittoriosamente davanti alla Corte EDU con i diritti dei terzi.

La tutela dei terzi che hanno preso parte al procedimento interno, è centrale nella pronuncia Corte cost. n. 123/2017, che contiene un monito al legislatore di intervenire nella materia.

Anche nel caso in esame, la Consulta, osserva che la stessa Corte EDU, «interprete eminente della convenzione», ritiene che l'art. 46 CEDU non ponga un obbligo generale di riapertura dei processi civili ed amministrativi; cita in proposito le pronunce Corte EDU 5 febbraio 2015, n. 22251/08 e la più recente Corte EDU 10 luglio 2017, n. 19867/12, che ribadiscono tale interpretazione dell'art. 46 CEDU e conclude nel senso che se non vi è obbligo di riaprire i processi non vi è nemmeno violazione dell'art. 117 Cost. per la mancata previsione della riapertura.

Osservazioni

Chi voglia confrontare la sentenza Corte cost. n. 123/2017 e quella in commento, non può non osservare come la Consulta insista più nella prima che nella seconda sul tema della tensione che si crea tra obbligo di esecuzione del giudicato CEDU e tutela delle parti del procedimento che aveva portato al giudicato interno.

Questa tensione, infatti, non si presenta nella vicenda in esame, in cui il minore, unico terzo coinvolto dall'eventuale travolgimento del giudicato interno, si era costituito nel giudizio a quo, in persona del curatore speciale, aderendo alle richieste della madre.

La Corte Costituzionale non ha valorizzato la specificità della vicenda e si è limitata all'apodittica affermazione che se la Convenzione non pone un obbligo di riapertura del processo civile, non vi è nemmeno violazione dell'art. 117 Cost. per mancanza della relativa ipotesi nel diritto italiano.

Non si può fare a meno di notare, però, che entrambe le pronunce della Corte EDU citate nella sentenza, se è ben vero che affermano che l'art. 46 CEDU non impone l'obbligo di riapertura dei processi, contengono anche l'affermazione che in determinate situazioni «il riesame di un caso o la riapertura del procedimento si sono dimostrati il più efficiente se non l'unico strumento per garantire al ricorrente vittorioso un'effettiva restitutio in integrum» (Corte EDU 5 febbraio 2015, n. 22251/08; Corte EDU 10 luglio 2017 n. 19867/12).

Proprio con riferimento ai casi, per quanto rari o eccezionali, in cui la riapertura del procedimento risulti essere l'unico strumento per l'esecuzione del giudicato CEDU ed il ripristino del diritto di cui si è accertata la violazione, lo Stato che non consente questa riapertura viola la Convenzione.

La Consulta sembra non essersi voluta porre questo problema.

Se è vero, poi, che è certamente opportuno un intervento del legislatore statale sul bilanciamento degli interessi in gioco, la Consulta ben poteva vagliare l'irragionevolezza di un bilanciamento come quello attuale, che fa prevalere sempre ed in ogni caso l'esigenza della certezza del giudicato, sacrificando il diritto di chi ha agito vittoriosamente davanti alla CEDU e quindi ponendo nel nulla la tutela convenzionale.

È pur vero che per favorire questo percorso argomentativo forse si sarebbero dovuti invocare altri parametri di incostituzionalità (artt. 3 e 24 Cost.) oltre a quello dell'art. 117 Cost..

Un'ulteriore osservazione merita un passaggio della sentenza Corte cost. n. 123/2017 in cui il giudice delle leggi annota, per marcare la differenza rispetto alla pronuncia sull'art. 630 c.p.p., che «nei procedimenti civili ed amministrativi non è in gioco la libertà personale»: affermazione davvero sorprendente, se si considera che anche nei procedimenti civili ed amministrativi possono venire in gioco diritti fondamentali; e certamente ciò è sempre vero se sull'esito di questi procedimenti interviene la Corte EDU accertando che la sentenza ha violato un diritto della Convenzione!

Questo curioso passaggio non è ripreso nella sentenza in commento, forse perché nel procedimento civile volto alla dichiarazione di adottabilità viene in gioco quel diritto alla vita familiare, che sta assumendo nella cultura e nel sentimento dei giudici, anche grazie alle pronunce della CEDU, un rango non inferiore a quello alla libertà personale.

Questa pronuncia non segna, come si sperava, una nuova tappa di avanzamento nella tutela effettiva dei diritti fondamentali; ma vi è da dire che si tratta comunque di un cammino inarrestabile.

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