Colpa medica. I criteri per la valutazione della condotta del professionista

10 Luglio 2018

La Corte territoriale, nella sentenza di condanna, qualifica la condotta colposa dell'imputato come connotata da imprudenza escludendo che abbiano efficacia dirimente, ai fini dell'esonero di responsabilità, l'osservanza delle linee guida cui, secondo la difesa, si sarebbe attenuto il medico ...
Massima

Per stabilire se la condotta di un sanitario sia penalmente rilevante non può prescindersi dal verificare la conformità della stessa alle linee guida e alla buone pratiche dettate dalla medicina.

Il caso

La Corte di appello di Roma confermava la condanna di un medico, chirurgo addominale, per l'omicidio colposo di una paziente deceduta a seguito delle complicazioni susseguenti all'intervento chirurgico eseguito dall'imputato presso una clinica privata.

E, invero, a seguito dell'operazione la paziente veniva dimessa a domicilio e nei giorni successivi si manifestano forti dolori addominali che inducevano la stessa a rivolgersi d'urgenza ai medici.

L'imputato visitava nuovamente la paziente, senza tuttavia approfondire l'esame in ragione della presenza della medicazione e riteneva dunque che la problematica fosse collegata al normale decorso post-operatorio.

A fronte del non miglioramento della situazione, la paziente veniva ricoverata nuovamente in clinica ove le diagnosticavano un'occlusione intestinale.

L'imputato decideva quindi di accompagnare la paziente in ospedale, qua la situazione si rilevava ancora più grave, la diagnosi diventava una perforazione intestinale che conduceva la stessa a un nuovo intervento urgente cui partecipava lo stesso sanitario.

La donna decedeva qualche giorno dopo.

Il medico veniva quindi tratto a giudizio e condannato in primo e secondo grado per il delitto di omicidio colposo ex art. 589 c.p.

La Corte di appello, in uno con il giudice di primo grado, riteneva che, in occasione della prima visita successiva all'intervento, l'imputato ben avrebbe potuto rendersi conto che le complicanze e i dolori lamentati dalla donna non erano da attribuirsi al normale decorso post-operatorio bensì all'occlusione intestinale da cui era poi scaturita la perforazione letale.

La questione

La Corte territoriale, nella sentenza di condanna, qualifica la condotta colposa dell'imputato come connotata da imprudenza escludendo che abbiano efficacia dirimente, ai fini dell'esonero di responsabilità, l'osservanza delle linee guida cui, secondo la difesa, si sarebbe attenuto il medico, ritenendo altresì non applicabile al caso concreto il disposto normativo più favorevole costituito dall'art. 3 della legge Balduzzi (legge 189/2012) ovvero l'art. 590-sexies c.p. (introdotto dalla l. 24/2017 legge Gelli-Bianco).

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputato affidandolo ai seguenti motivi.

Innanzitutto il ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto di ascrivere la condotta dell'imputato nell'alveo del profilo dell'imprudenza quale categoria della colpa professionale medica omettendo altresì di attribuire rilievo al rispetto dei protocolli sanitari da parte del medico ritenendo, erroneamente a parere del ricorrente, che le buone pratiche non avessero rilevanza alcuna nel caso di specie.

Si ritiene nel gravame che la condotta dell'imputato sia stata conforme alle linee guida e, pertanto, può parlarsi al più di imperizia e non già di imprudenza. Da tale conclusione ne discenderebbe l'applicabilità dell'art. 590-sexies c.p. che esclude la punibilità in presenza di una condotta connotata da imperizia che abbia comunque rispettato le linee guida.

Indipendentemente dalla qualificazione della condotta come imprudente o imperita, nel ricorso si pone altresì l'attenzione sulla colpa grave escludendo la sua ricorrenza nel caso di specie.

Sgombrato il campo dalla nozione grave della colpa, volendo ascrivere la condotta dell'imputato alla fattispecie lieve, si ritiene quindi che possa trovare applicazione, con un criterio assorbente anche rispetto all'art. 590-sexies c.p. l'esimente di cui all'art. 3 della legge Balduzzi a tenore del quale «L'esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».

Con altro motivo di gravame si sostiene che la Corte non abbia adeguatamente motivato circa la sussistenza del nesso causale tra l'evento morte e la condotta dell'imputato ritenendo che, al momento della visita post-operatoria, non vi fossero le condizioni per prevedere l'occlusione intestinale essendo i dolori lamentati compatibili con un normale decorso post-operatorio ed essendo preclusa un'analisi più approfondita attesa la presenza delle medicazioni.

Si evidenzia altresì che, anche qualora la diagnosi fosse stata effettuata in quel momento, sarebbe comunque mancato il tempo per eseguire gli esami necessari per giungere ad una valutazione completa al fine di evitare la morte della donna.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene il ricorso fondato per le ragioni di seguito esposte.

Preliminarmente, ritiene la Cassazione che i giudici di merito abbiano dato per scontato che i sintomi evidenziati in sede di prima visita post-operatoria fossero riferibili a un'occlusione intestinale pur non essendo emersa una prova incontrovertibile in tal senso non chiarendo, il giudice di prime e di seconde cure, in base a quali elementi tali sintomi potessero essere ricondotti ad un'occlusione intestinale in corso al momento della visita.

La Corte distrettuale ha poi eluso completamente temi di fondamentale importanza per individuare la condotta colposa in ambito medico. Nello specifico i punti dolenti sono i seguenti:

  • la riconducibilità della condotta del sanitario alle buone pratiche clinico-assistenziali;
  • l'individuazione della stessa come imprudente piuttosto che negligente o imperita;
  • il grado della colpa.

Ritiene la Suprema Corte che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare preliminarmente la conformità o meno della condotta dell'imputato alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica in base al disposto di cui all'art. 3, comma 1, legge Balduzzi benché la normativa sia subentrata in un momento successivo a quello in cui si sono verificati i fatti. Ciò, sia per verificare la rilevanza penale della condotta eventualmente colposa sia per individuare la condotta alternativa che lo stesso avrebbe dovuto porre in essere per individuare il nesso causale tra la morte della paziente e la condotta del sanitario.

Altra censura mossa alla statuizione di merito attiene alla considerazione che la condotta è stata valutata come imprudente piuttosto che negligente o imperita.

Circa la corretta individuazione delle condotte si registra un'evoluzione giurisprudenziale.

Un orientamento risalente (Cass. pen., Sez. IV, 5 novembre 1984, n. 12249) che a sua volta riprende un filone tracciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 166/1973, operava una netta distinzione nella valutazione della responsabilità professionale in ambito medico a seconda che l'operato fosse connotato da imperizia oppure da negligenza o imprudenza.

La condotta imperita era valutata alla stregua dei parametri di cui all'art. 2236 c.c. e, pertanto, rilevava soltanto il profilo della colpa grave mentre nell'ipotesi della negligenza o dell'imprudenza i criteri per accertare la colpa erano quelli propri per verificare la sussistenza di ogni altra condotta colposa.

L'orientamento che ancorava la colpa grave di cui all'art. 2236 c.c. venne abbandonato successivamente da un diverso indirizzo giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. IV, 22 febbraio 1991, n. 4028) secondo cui la colpa del sanitario, pur tenendo conto della particolare delicatezza della sua condotta, deve essere valutata alla stregua dei normali criteri dettati dall'art. 43 c.p. non potendo il grado della colpa assumere efficacia scriminante circa la sussistenza dell'elemento psicologico del reato e, di conseguenza, per la configurabilità dello stesso.

Più di recente (Cass. pen., Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 4391) si è recuperato il parametro della colpa grave per valutare l'imperizia qualora si debbano risolvere problemi di particolare complessità. Corollario di tale assunto è il riferimento ai normali criteri di cui all'art. 43 c.p. per i “casi” non complessi.

Con l'art. 3 della legge Balduzzi si è registrato un orientamento in base al quale è necessario accertare se vi sia stato un errore determinato da condotta negligente o imprudente nonostante il rispetto delle linee guida accreditate (Cass. pen., Sez. IV, 5 novembre 2013, n. 18430) si è ritenuto che il disposto di cui all'art. 3 trovasse applicazione non soltanto nell'ipotesi dell'imperizia ma anche in ipotesi di colpa differenti (Cass. pen., Sez. IV, 11 maggio 2016, n. 23283).

Con l'emanazione della Gelli-Bianco (legge 24/2017) introduttiva dell'art. 590-sexies c.p. le Sezioni unite con sentenza del 21 dicembre 2017, n. 8770 hanno attribuito rilevanza penale alle condotte connotate da negligenza, imprudenza, imperizia sia quando il caso non trova disciplina nelle linee guida e nelle pratiche cliniche, sia quando sia stata errata l'individuazione delle buone pratiche che non risultano adeguate alla specificità del caso concreto. Parimenti il sanitario risponde anche quando l'evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell'esecuzione delle linee guida adeguate tenendo conto del rischio da gestire e delle difficoltà tecniche.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto necessaria una valutazione della condotta del sanitario al fine di valutare se la stessa fosse o meno rispettosa delle linee guida e delle buone pratiche ed una più corretta ascrivibilità nell'alveo dell'imperizia, imprudenza o negligenza.

La Corte territoriale ha qualificato la condotta come imprudente laddove l'imprudenza presuppone una condotta attiva mentre l'operato del sanitario sarebbe stato invece connotato da una diagnosi che sembrerebbe ascrivibile alla negligenza ovvero alla omessa prescrizione di ulteriori accertamenti riconducibili alla imperizia.

Parimenti, alcuna indagine è stata svolta in merito al grado della colpa assumendo rilievo scriminante nell'ambito della legge Balduzzi l'ipotesi della colpa lieve essendo, tra l'altro, quest'ultima normativa l'ipotesi della legge più favorevole rispetto all'art. 590-sexies c.p.

E ancora, non vi è prova che l'esecuzione degli accertamenti omessi dal sanitario avrebbero scongiurato l'infausto evento. Sul punto la Corte ha ritenuto che il rapporto causale tra omissione ed evento deve essere verificato non già sulla base del coefficiente di probabilità statistica bensì in base ad un giudizio di elevata probabilità logica.

Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione ha annullato con rinvio alla Corte distrettuale al fine di verificare la natura della colpa, il grado della stessa la cui valutazione è stata totalmente omessa, nonché l'effetto che il comportamento alternativo avrebbe avuto al fine di evitare l'evento.

Osservazioni

Dalla pronuncia in commento possono ricavarsi le seguenti considerazioni.

Al fine di valutare la condotta del sanitario occorre preliminarmente stabilire se lo stesso si sia o meno attenuto alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle linee guida. È necessario altresì verificare a quale categoria della colpa essa sia ascrivibile nelle sue declinazioni di imprudenza, imperizia o negligenza e inoltre assume rilievo dirimente il grado della colpa.

Posto che la disciplina introdotta dalla legge Balduzzi è più favorevole rispetto alla Gelli-Bianco, nell'ipotesi della colpa lieve alcun rilievo assume la circostanza che la condotta sia imprudente, negligente o imperita essendo scriminato qualsiasi comportamento connotato da colpa lieve purché attinente alle linee guida.

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