È legittima la rinunzia da parte del conduttore alla ripetizione dei canoni di locazione purché non elusiva della disciplina locatizia

Nicola Frivoli
11 Luglio 2018

Il giudicante è stato chiamato ad accertare la fondatezza della domanda di rideterminazione di un canone legale relativo ad un contratto ad uso abitativo, con applicazione della disciplina dell'equo canone, nonostante vi fosse una scrittura tra le parti...
Massima

In tema di locazione, la rinunzia a qualsivoglia pretesa creditoria da parte del conduttore nei confronti del locatore, al momento della conclusione del rapporto locatizio, tramite atto transattivo, comporta come conseguenza la remissione del debito, con rinunzia del creditore al suo diritto, con susseguente estinzione dell'obbligazione e liberazione del debitore, purché non eluda la normativa locatizia.

Il caso

Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., la conduttrice conveniva in giudizio il locatore innanzi al Tribunale per sentir condannare quest'ultimo alla restituzione di un canone mensile superiore al canone legale versato (ex legge 27 luglio 1978 n.392), chiedeva, pertanto, che fosse rideterminato il canone.

Il contratto di locazione, ad uso abitativo, veniva inizialmente stipulato con natura transitoria e proseguiva, per espressa e concorde volontà delle parti, in modo ordinario durando oltre venti anni (1985)

Alla prima udienza di discussione, si costituiva il contraddittorio nei termini di legge ed il resistente-locatore adduceva, a fondamento della sua difesa, l'inammissibilità della domanda per avere la ricorrente rinunziato al diritto azionato con sottoscrizione di una scrittura privata al momento del rilascio dell'immobile locato.

Il giudicante, in virtù dell'attento esame della documentazione prodotta in atti, dall'espletata fase istruttoria (prova orale e CTU), rinviava la causa ad altra all'udienza per la decisione, con lettura del dispositivo, ex art.429 c.p.c. e nelle forme dell'art. 281 sexies c.p.c. e,dopo la discussione delle parti, decideva la causa.

Il Tribunale barese rigettava la domanda, ritenendo rilevante ai fini decisori la scrittura privata sottoscritta dalle parti al momento del rilascio dell'unità immobiliare locata, regolando le spese processuali con la compensazione.

La questione

Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i presupposti per la rideterminazione del canone legale afferente un contratto di locazione ad uso abitativo, disciplinato, al tempo, con la normativa l. n.392/1978, c.d. “equo canone”.

Tale aspetto è stato esaminato dal giudicante, il quale aveva rilevato e verificato in atti di causa la presenza di una scrittura privata, sottoscritta dalle parti al momento della riconsegna delle chiavi dell'immobile, ove la ricorrente-conduttrice aveva rinunziato a domandare la restituzione di somme pagate in più rispetto al dovuto a titolo di canone.

Il tutto ruotava attorno alla validità di tale verbale di rilascio, come ribadito, sottoscritto dalle parti, ed intervenuto a conclusione del rapporto locatizio, ove la conduttrice rinunziava alle differenze dei canoni da ricevere, nonostante quest'ultima ritenesse tale scrittura privata contra legem.

La questione comportava anche la regolazione delle spese processuali con compensazione, vista la particolarità della fattispecie posta al vaglio del giudice adito.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale pugliese, in sede monocratica, secondo cui è stata dichiarata infondata la domanda di rideterminazione del canone legale versato in un rapporto locatizio abitativo.

Infatti il giudice adito, da un attento esame della documentazione in atti (espletata anche la fase istruttoria) aveva rilevato, giustamente, la presenza di una scrittura privata, sottoscritta dalle parti, mai contestata, ove la conduttrice rinunziava a qualsivoglia pretesa nei confronti del locatore.

La scrittura privata afferiva alla riconsegna delle chiavi dell'appartamento in favore del locatore, il quale lo immetteva nel possesso dell'immobile e in tale verbale di rilascio emergeva la volontà inequivocabile delle parti.

Per un principio generale condivisibile, della disposizione contenuta dell'art.79, comma 1, l.392/1978, secondo cui «è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto…….», tale criterio però non è applicabile alla presente fattispecie.

Infatti è da considerasi assolutamente valido il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra le parti, poiché è ammissibile la rinuncia del conduttore ai propri diritti e, quindi, alla restituzione delle somme pagate in più del canone di locazione, purché le modalità anche temporali non siano tali da palesare un'elusione del divieto normativo di rinuncia ab origine (ad es. quando essa interviene subito dopo la stipula del contratto) e purché la volontà di rinunciare al rinnovo tacito sia chiara e diretta in tal senso.

Dunque la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte ammette l'applicabilità della disciplina dell'art.79, comma 1, l.392/1978 e sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che al momento della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che al momento della cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla rinunzia da parte del conduttore (cfr. Cass.civ. sez.III, 14 gennaio 2005, n.675).

Ne consegue che la rinunzia a domandare la ripetizione del canone pagato in più è da ritenersi legittima, anche perché intervenuta a conclusione del rapporto locatizio, alla luce della presenza di una scrittura privata sottoscritta tra le parti, chiara e senza alcun dubbio in tale senso, che va considerata assolutamente legittima e non contra legem, non eludendo, in modo inequivoco,le finalità della disciplina posta dalla l.392/1978.

Osservazioni

In tema di locazione, senza ombra di dubbio, nel momento della conclusione del rapporto locatizio, la parte conduttrice può richiedere la restituzione delle somme a qualsiasi titolo, se dovute.

L'azione è proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, con rito locatizio, ex art.447 bis c.p.c., ove il ricorrente può chiedere la ripetizione dei canoni versati in eccedenza.

Chiaramente il conduttore è esposto al rischio dell'eccezione di prescrizione dei crediti, se l'azione non dovesse essere esperita nel menzionato termine di sei mesi, il che si traduce nella inopponibilità di qualsivoglia eccezione di prescrizione (Cass.civ., sez.III, 26 maggio 2004, n.10128).

In ambito processuale, l'onere della prova è posta in capo alla parte conduttrice ovvero la stessa deve provare il fatto costituito della pretesa azionata, ex art. 2697, comma 1 , c.p.c. e quindi di avere necessariamente versato una pigione oltre la misura legale del canone, supportando, in maniera inequivocabile, elementi probatori alla propria domanda (Trib.Trani 28 aprile 2008).

La consulenza tecnica d'ufficio (art. 191 e ss c.p.c.), nonostante non sia un mezzo di prova, è necessaria per il giudicante per una più puntuale determinazione delle differenze dei canoni versate dal conduttore.

Tuttavia, la parte locatrice può essere liberata dal vincolo restitutorio nel caso in cui il conduttore dichiari espressamente di voler rinunciare alla sua pretesa, estinguendo così l'obbligazione; in questo caso si configura la remissione del debito da parte del creditore (Cass.civ., sez.III, 9 giugno 2014, n. 12914).

Infatti, con la rimessione del debito (ex art.1236 c.c.) il creditore rinunzia al suo diritto, comportando l'estinzione dell'obbligazione e la susseguente liberazione del debitore.

La remissione del debito costituisce un negozio unilaterale recettizio, neutro quoad causam (con conseguente irrilevanza dell'assenza di vantaggi per il creditore) e non soggetto a particolari requisiti di forma nemmeno ad probationem, in cui effetti non possono disconosciuti dal creditore, una volta manifestato l'intento abdicativo al debitore (Cass.civ. sez.III, 11 dicembre 2013, n. 27753).

Come già ribadito, tra l'altro, nella fattispecie posta al vaglio del Tribunale barese, abbiamo la presenza di un atto transattivo ove si esprime tale rimessione in modo inequivocabile e senza alcun dubbio interpretativo, non potendola considerare in alcun modo illegittima e contra legem.

Le parti di un contratto di locazione possono definire transattivamente la lite in merito all'ammontare del canone, al momento rilascio dell'immobile, poiché la transazione così conclusa non è nulla per contrarietà al disposto dell'art. 79 l. n.392/1978, in quanto tale norma non esclude la possibilità di disporre dei diritti stessi, una volta che siano sorti (Cass. civ. sez.III, 9 giugno 2003, n.9197).

In conclusione della disamina che precede si ritiene altresì di segnalare l'opportunità di analizzare il caso de quo, con una particolare attenzione per la volontà delle parti e per gli interessi dalle stesse rappresentati, orientando l'interpretazione degli atti e dei rapporti sub iudice alla tutela ed attuazione degli interessi meritevoli di tutela quali possono essere quelli dell'autonomia negoziale delle parti purché tali intese non abbiano finalità elusive e contrarie della disciplina locatizia.

Guida all'approfondimento

Ferrari, Modifiche contrattuali sulla scadenza e sulla misura del canone di locazione:limiti e conseguenze, in Condominioelocazione.it, 08 gennaio 2018;

Cirla, Canone (aumento), in Condominioelocazione.it, 19 settembre 2017;

Farina-Ferrari-Gaudio-Redivo, Trattato pratico delle locazioni, Padova, 2006, 516-521.

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