Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale provocato da errore sanitario

Giuseppe Sileci
11 Luglio 2018

Se il paziente decede a causa di un errore professionale commesso da un medico che opera all'interno di una struttura sanitaria, entro quale termine si prescrive il diritto del congiunto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale?

Se il paziente decede a causa di un errore professionale commesso da un medico che opera all'interno di una struttura sanitaria, entro quale termine si prescrive il diritto del congiunto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale?

Il quesito richiede, innanzitutto, una breve premessa poiché la materia della responsabilità professionale del medico, infatti, è stata recentemente disciplinata dalla l. 8 marzo 2017 n. 24.

In particolare, l'art. 7, intitolato “Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria” ha stabilito che quest'ultimo, quando presta la propria opera all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata, risponde ai sensi dell'art. 2043 c.c. se non ha agito nell'adempimento di una obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente.

La medesima norma prevede invece che la struttura sanitaria, che si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., dei danni derivanti da fatti dolosi o colposi imputabili ai detti sanitari.

E la struttura risponde dell'operato dei sanitari anche quando essi esercitano in regime di libera professione sanitaria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale o attraverso la telemedicina.

Quindi, se la responsabilità della struttura sanitaria è sempre di natura contrattuale quando il danno è stato provocato dall'errore professionale commesso da un sanitario della cui opera questa si avvale, e ciò indipendentemente dal tipo di rapporto esistente tra la struttura ed il medico ed anche nella ipotesi in cui quest'ultimo sia stato scelto dal paziente, la responsabilità del professionista sarà sempre di natura extracontrattuale in assenza di obblighi direttamente assunti dal sanitario nei confronti del paziente.

Prima di queste novità legislative, la giurisprudenza era solita affermare che «in tema di responsabilità sanitaria, la responsabilità della struttura (casa di cura o ente ospedaliero) nei confronti del paziente ha natura contrattuale che può dirsi "diretta" ex art. 1218 c.c., in relazione a propri fatti d'inadempimento, ed "indiretta" ex art. 1228 c.c., perché derivante dall'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale ausiliario necessario dell'ente pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato. Di conseguenza l'accertamento dell'inadempimento imputato al sanitario non fa venir meno i presupposti di responsabilità della struttura e, nei rapporti interni, permane a carico di ciascun debitore l'onere di dimostrare il proprio esatto adempimento al fine anche del superamento della presunzione di riparto dell'obbligazione risarcitoria solidale in parti uguali» (Cass. civ., sez. III, sent., 5 maggio 2017 n. 16488); quanto alla posizione del medico, si era oramai consolidato quell'orientamento che faceva discendere la responsabilità contrattuale del professionista, anche quando questi non fosse stato scelto dal paziente, dal “mero” contato sociale (Cass. civ., sez. III, sent., 22 gennaio 1999 n. 598; Cass. civ., sez. III, sent., 30 giugno 2011 n. 14405).

Ovviamente, non era insensibile ai superiori principi la materia della prescrizione in ambito di responsabilità medica poiché la giurisprudenza riteneva applicabile il termine ordinario di dieci anni, previsto in generale per le obbligazioni derivanti da inadempimento contrattuale, anche nel caso di responsabilità da “contatto sociale” (Trib. Napoli, 2 novembre 2017 n. 10829).

Le novità legislative appena sopra richiamate, quindi, impongono innanzitutto di capire se e quali conseguenze queste avranno sui termini di prescrizione.

Dovrebbe rimanere invariato il termine (decennale) entro il quale si prescrive il diritto del paziente ad essere risarcito dalla struttura ospedaliera dei danni arrecatigli o per fatto proprio imputabile alla detta struttura ovvero per fatto degli ausiliari della cui opera essa si avvale; sarebbe invece quello più breve, stabilito dal comma 1 dell'art. 2947 c.c., il termine di prescrizione del diritto del paziente ad essere risarcito dal medico che non abbia assunto direttamente nei confronti del danneggiato l'obbligazione della prestazione sanitaria eseguita in maniera inesatta.

Dunque, in tale ultima ipotesi, se il fatto costituisce reato (e cioè se ricorrono tutti gli elementi costitutivi – oggetti e soggettivi - della fattispecie penale, come recentemente ribadito dal Cass. civ. sez. III, sent., 15 maggio 2012 n. 7543) e se per questo è prevista una prescrizione più lunga, questa si applicherà anche all'azione civile; ma questo termine, se più lungo, si applicherà anche ove il responsabile (e dunque la struttura sanitaria ovvero lo stesso professionista che abbia assunto direttamente l'obbligazione verso il paziente) debba rispondere dei danni a titolo contrattuale (Cass. civ., sez. VI, ord., 14 novembre 2014 n. 24347).

Tanto premesso, e passando al quesito, il diritto dello stretto congiunto del paziente deceduto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale non dovrebbe soggiacere al termine di prescrizione ordinario, bensì a quello più breve stabilito dall'art. 2947 comma 1 c.c..

Per ciò che concerne la posizione della struttura sanitaria, la questione è stata chiarita dalla Cassazione, la quale ha affermato che «il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa, ad essere risarciti dei danni direttamente subiti a causa dell'esito infausto dell'operazione cui è stato sottoposto il danneggiato principale, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale e pertanto è soggetto alla prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2947 c.c., non potendo essi giovarsi del termine più lungo del quale gode la vittima primaria in virtù del diverso inquadramento, contrattuale, del rapporto tra la stessa ed il soggetto responsabile» (Cass. civ., sez. III, sent., 20 marzo 2015 n. 5590; Trib. Livorno 19 marzo 2018 n. 332).

Il principio dovrebbe valere anche qualora l'evento sia imputabile al medico che, operando all'interno di una struttura, abbia assunto l'obbligo di eseguire la prestazione direttamente nei confronti del paziente: pure in questo caso la fonte dell'obbligazione risarcitoria dovrebbe rinvenirsi non nella inesatta esecuzione della prestazione, e dunque nell'inadempimento contrattuale, bensì nel generale principio del neminem laedere.

A maggior ragione, ovviamente, non sarebbe possibile configurare un termine di prescrizione ordinario in assenza di vincoli di natura contrattuale tra il medico, che svolga la propria attività all'interno di una struttura sanitaria, ed il paziente: e ciò non solo perché – come detto – la causa del danno non potrebbe ascriversi ad un inadempimento contrattuale ma anche perché in tutti questi casi la responsabilità del professionista è, oramai, sempre extracontrattuale.

Se così è, il termine di prescrizione di questo diritto, però, non potrebbe essere inferiore a quello più lungo previsto per il reato, se il fatto ha tutti gli elementi della fattispecie penale.

In tal senso depone, oltre che il chiaro tenore letterale dell'art. 2947 comma 3 c.c., anche l'orientamento della Cassazione in materia di risarcimento dei danni da emotrasfusione reclamati – iure proprio – dai congiunti del contagiato (Cass. civ., Sez. Un., sent., 11 gennaio 2008 n. 581), il cui diritto si prescrive nel termine più lungo stabilito dalla legge per la prescrizione del reato di omicidio colposo, qualora questo evento sia una diretta conseguenza della emotrasfusione con sangue infetto.

E questo principio non dovrebbe soffrire eccezione neppure quando l'azione sia stata promossa nei confronti della struttura: invero, se – per un verso – questa risponde, nel caso di danni riflessi, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per altro verso, e per consolidato orientamento giurisprudenziale, il termine più lungo previsto per il reato si applica non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile diretta contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta (Cass. civ., sez. VI, sent., 14 novembre 2014 n. 24347; Cass. civ., sez. I, sent., 7 novembre 2014 n. 23872).

Ed alla luce delle novità introdotte dalla l. n. 24/2017 la struttura sanitaria oggi dovrebbe sempre rispondere indirettamente del fatto commesso dal medico della cui opera si avvale, anche qualora questo eserciti senza vincolo di subordinazione.

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