Traffico di sostanze stupefacenti. La configurabilità del rapporto associativo tra fornitore e acquirente

17 Luglio 2018

Con la sentenza in commento la Corte di cassazione affronta l'annoso tema della configurabilità o meno del vincolo associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, in assenza di uno stabile vincolo tra fornitori della sostanza e acquirenti.
Massima

In tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della configurabilità del rapporto associativo tra fornitore e acquirente, al di là dei rapporti di cessione, è necessario che sia accertata l'esistenza di un vincolo stabile – riconducibile all'affectio societatis –, e non il mero reciproco affidamento nelle operazioni di cambio: accertamento che può dirsi avvenuto solo se il giudicante verifica, attraverso l'esame delle circostanze di fatto e, in particolare, della durata dell'accordo criminoso tra i soggetti, delle modalità di azione e collaborazione tra loro, del contenuto economico delle transazioni, della rilevanza obiettiva che il contraente riveste per il sodalizio criminale, che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale e sia stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del singolo al progetto associativo.

Il caso

Con la sentenza del 10 gennaio 2017, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha rideterminato la pena inflitta a R.Z. in anni 13 e mesi 8 di reclusione (pena base anni 19, mesi 10 e giorni 20 di reclusione per il reato associativo di cui al capo 67), aumentata di giorni 10 di reclusione per ciascuno dei 22 delitti fine contestati come sopra, ridotta per il rito) ed ha confermato la pena di 4 anni di reclusione ed euro 18.000 di multa (pena base anni 6 di reclusione ed euro 27.000 di multa ridotta per il rito) inflitta ad A.Z.

R.Z. è stato ritenuto responsabile, oltre che dei reati –fine, tutti riconducibili alla fattispecie di cui all'art 73 comma 1 d.P.R.309/1990 commessi in Verona, Ferrara, Locri, Platì e altrove dal 23 novembre 2004 a seguire, anche del reato di cui all'art. 74, commi 1, 2 e 4, d.P.R.309/1990, come specificato al capo 67), reato al quale sono limitati i motivi di ricorso.

La condanna di A.Z. è relativa al reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, come ascrittogli al capo 10), avente ad oggetto un imprecisato quantitativo di cocaina, destinata allo spaccio.

Nei motivi di ricorso, il difensore dell'imputato R.Z. denunciava la mancanza, contraddittorietà e illogicità manifesta della sentenza in riferimento al ruolo di promotore ed organizzatore della compagine associativa; l'attribuzione ai fornitori del ruolo di semplici partecipi e la mancata valutazione della posizione subordinata dell'imputato R.Z., rispetto ai reali promotori del gruppo, individuabili in altri soggetti.

La sentenza di condanna, per lo stesso difensore, difetterebbe anche di carenza di motivazione circa la sussistenza del reato associativo a seguito dell'intervenuta assoluzione di altri imputati ovvero circa le ragioni per le quali – all'esito dell'assoluzione dai reati riferiti ai viaggi di rifornimento in Calabria ascritti allo Z. e alle assoluzioni dal reato associativo degli altri coimputati – sarebbe da ritenersi comunque fondata la condanna del ricorrente per il reato associativo, sia come promotore che come semplice partecipe.

Il difensore del coimputato A.Z., invece, con i motivi di ricorso denunciava il vizio di violazione di legge e di motivazione circa il giudizio di colpevolezza, sulla base del mero contenuto delle conversazioni (della cui veridicità non sarebbe stato dato riscontro); nonché la mancata motivazione circa la destinazione a terzi dello stupefacente, anziché al consumo personale, e, infine, la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

La Suprema Corte, investita della questione, ed esaminati i singoli motivi dedotti, ha dichiarato il ricorso dell'imputato R.Z., limitatamente alla condanna per il reato associativo, fondato, disponendo così l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria, mentre ha dichiarato inammissibile il ricorso del coimputato A.Z.

Con riguardo al reato associativo, dopo aver ripercorso nel dettaglio il fatto come ricostruito nelle sentenze di merito, la Corte ha evidenziato come l'imputato R.Z. sia risultato al centro di fitte trattative, gestite a mezzo di conversazioni telefoniche, avendo egli assunto i compiti per le attività di raccolta preventiva del denaro necessario a finanziare l'acquisto e la successiva distribuzione a “quadri intermedi” dello stupefacente, e come abbia quindi rivestito un ruolo centrale nelle connesse attività - quali quella di controllare gli adempimenti e le scadenze di pagamento, dettare i tempi della consegna dello stupefacente: condotte queste sintomatiche di un ruolo di direzione e promozione dell'attività del sodalizio e di gestione del gruppo.

Non possono pertanto, a detta dei Supremi Giudici, ritenersi fondate le censure difensive nella parte in cui incentrano la ricostruzione del ruolo del ricorrente sulla base di una comparazione della sua posizione con quella di altri coimputati, ovvero nella parte in cui deducono l'incompatibilità del ruolo di organizzatore del gruppo in ragione della posizione rivestita all'interno del clan C., in quanto, secondo la nozione di organizzatore elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, «tale è colui che assume poteri di gestione anche se non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo»come si è verificato nel caso di specie.

La posizione di subordinazione del R.Z rispetto agli altri membri del clan non avrebbe pertanto escluso il suo ruolo di organizzatore; né allo stesso si sarebbe potuta applicare la qualifica di partecipe, in quanto «ciò che rileva, ai fini dell'attribuzione della qualità di mero partecipe o di una qualificata partecipazione, nella specie organizzatore, in attività direzione, è lo svolgimento di un qualificato potere di gestione, in uno dei settori rilevanti per la vita dell'organizzazione e che comporta attività di coordinamento delle attività degli associati per assicurare la funzionalità delle strutture».

Ritiene invero la Corte fondate le censure della sentenza di appello nella parte in cui non valuta le deduzioni difensive e le risultanze processuali sul ruolo svolto dal ricorrente in merito ai rapporti con gli acquirenti dello stupefacente, che gli assicuravano stabilmente lo smercio della droga nelle città del Nord in cui egli era direttamente operativo.

Più nello specifico, i giudici di secondo grado avrebbero omesso di verificare in concreto la valenza e la portata dei contatti calabresi di R.Z., (anche ai fini del descritto ruolo di promotore ed organizzatore del traffico), in ragione della pronuncia assolutoria, per non aver commesso il fatto, riportata da altri coimputati, referenti calabresi dello stesso R.Z.

Assoluzione, per gli Ermellini, che non può non riverberarsi sulla ricostruzione della posizione e del ruolo nella compagine associativa dell'imputato, poiché, ai fini della configurabilità del rapporto associativo tra fornitore (nel caso i referenti della cosca), e acquirente (cioè il ricorrente), al di là dei rapporti di cessione, è necessario che sia accertata l'esistenza di un vincolo stabile – riconducibile all'affectio societatis – e non il mero reciproco affidamento nelle operazioni di cambio: accertamento che può dirsi avvenuto solo se il giudicante verifica, attraverso l'esame delle circostanze di fatto, e, in particolare, della durata dell'accordo criminoso tra i soggetti, delle modalità di azione e collaborazione tra loro, del contenuto economico delle transazioni, della rilevanza obiettiva che il contraente riveste per il sodalizio criminale, che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale e sia stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del singolo al progetto associativo.

Accertamento, nel caso in esame, del tutto carente, in quanto i giudici avrebbero dovuto verificare, ed esplicitare in una congrua motivazione (sulla base di dati di fatto circostanziali, desunti dalle concrete modalità e dalla stabilità dei rapporti di compravendita), la qualificata partecipazione del ricorrente.

Il giudice di rinvio sarà dunque tenuto, sulla scorta di un'accurata e pertinente ricostruzione del fatto, a verificare «se le attività dell'imputato corrispondano ad una condotta partecipativa, anche qualificata, e che richiedono, rispetto all'attività di spaccio anche continuato, la prova dell'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all'art. 74 d.P.R.309/1990, ovvero il carattere stabile dell'accordo criminoso, che contempla la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti, con permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti, i quali, anche al di fuori dei singoli reati programmati, assicurino la propria disponibilità duratura ed indefinita nel tempo al perseguimento del programma criminoso del sodalizio e, ai fini dell'attribuzione del ruolo di organizzatore, l'individuazione di condotte di direzione e gestione dei contributi dei singoli».

La questione

Le questioni di diritto sollevate nei motivi di ricorso, e accolte dai giudici della Suprema Corte, riguardano l'annoso tema della configurabilità o meno del vincolo associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, in assenza di uno stabile vincolo tra fornitori della sostanza e acquirenti.

Le soluzioni giuridiche

Sulla scia di alcune pronunce analoghe, la Corte, ancora una volta, ha ribadito che si possa ritenere sussistente un vincolo associativo vero e proprio, tra fornitore e acquirente di sostanze stupefacenti – finalizzato al traffico – solo ove tale vincolo sia stabile, continuativo e, per le modalità con cui si esplicita, sintomo e indice di una volontà dei soggetti coinvolti di far parte dell'associazione e, dunque, di esserne partecipi a tutti gli effetti.

In due occasioni la Sezione V, si è infatti pronunciata sull'argomento, con le sentenze n. 13916 del 1 aprile 2015 e n. 34686 del 7 agosto 2017, ribadendo come «ai fini della configurabilità dell'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non sono di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo né la diversità di scopo personale, né la diversità dell'utile, ovvero il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell'intera attività criminale. La sola stabilità nel tempo dei rapporti di compravendita è elemento necessario ma non sufficiente per affermare la sussistenza del vincolo associativo, dovendosi in realtà fornire la prova che l'acquirente (o il fornitore a seconda dei casi) è per il sodalizio veicolo essenziale, ancorché non esclusivo, di accesso al mercato di riferimento (sia quello dell'approvvigionamento o quello dello smercio)».

E ancora «In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, sussiste il delitto anche quando sia rilevabile un vincolo durevole che accomuna il fornitore di droga e gli spacciatori acquirenti che in via continuativa la ricevono per immetterla nel mercato del consumo. La "ratio" della configurabilità del vincolo associativo tra fornitore e acquirente abituale di sostanze stupefacenti all'interno dell'unico sodalizio criminale nel quale essi operano risiede, infatti, nella reciproca consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l'operatività dell'associazione in quanto tale, rivelando così l'affectio societatis dello stesso acquirente o fornitore. Inoltre, per la sussistenza del vincolo non si richiede l'esclusività del rapporto di fornitura, potendo il singolo acquirente rivolgersi stabilmente per l'approvvigionamento di sostanze stupefacenti anche a più di un fornitore; anzi, tale condotta costituisce un'abituale precauzione per chi opera nel mercato degli stupefacenti per evitare possibili carenze, sempre possibili, dei canali di approvvigionamento. Infine, l'elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non è incompatibile con l'affermata partecipazione dell'agente all'organizzazione di cui si è consapevolmente servito per commettere il fatto».

Dalla lettura congiunta di tali sentenze e alla luce della recentissima sentenza qui in commento, appare pertanto pacifico che il reato di partecipazione all'associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti può ravvisarsi anche in capo all'acquirente della sostanza ove lo stesso, nel suo rapporto di scambio, stabile e continuativo, con il fornitore, garantisca operatività al gruppo criminale e nell'interesse di quest'ultimo. Solo sulla base di tale reciproco accordo, i singoli atti di acquisto divengono altrettanti reati-fine dell'associazione; contrariamente rimarranno allo stato di autonome operazioni illecite.

Il rapporto tra i citati soggetti, dunque, si trasforma da mero reciproco affidamento a vincolo stabile solo quando, verificate alcune circostanze di fatto – quali la durata dell'accordo, le modalità di azione e collaborazione, il contenuto economico delle transazioni, la rilevanza obiettiva del contraente per il sodalizio – risulti instauratosi un legame tale da rendere il singolo acquirente, parte e partecipe, del progetto associativo.

Il giudice dovrà pertanto motivare attentamente ed adeguatamente in merito alla sussistenza dell'elemento soggettivo e, dunque, circa la coscienza e volontà del singolo di assicurare, mediante la fornitura o l'approvvigionamento continuativo della sostanza, il proprio stabile contributo al gruppo alla realizzazione degli scopi criminosi e alla permanenza in vita dell'associazione criminale.

Con la sentenza in esame la S.C. concentra la propria attenzione su alcune questioni particolarmente delicate, attinenti non solo alla natura del vincolo associativo tra fornitori ed acquirenti di sostanze stupefacenti ma anche ai ruoli dei partecipi all'interno dell'associazione, ed alla sussistenza del dolo specifico in capo a ciascuno di loro.

Purché sussista l'associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, ex art.74 d.P.R.309/1990, occorre dunque un vincolo associativo stabile e permanente volto alla realizzazione di un programma criminale (ovvero alla commissione di una pluralità di delitti) tra almeno tre partecipanti.

Tale vincolo deve avere natura continuativa e diretta ad attuare un piano criminoso durevole (consistente nella commissione di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti), anche dopo la consumazione dei singoli reati programmati; deve essere stabile in relazione ad attività e beni economici e si deve esplicare all'interno di una struttura organizzata, destinata a durare nel tempo e adeguata a realizzare gli obiettivi criminali posti dai compartecipi.

Su tale ultimo aspetto, tuttavia, la giurisprudenza più recente è dell'avviso che, in relazione alle strutture finalizzate al traffico di stupefacenti, non sia necessaria l'istituzione di strutture particolarmente sofisticate, essendo sufficiente la predisposizione di mezzi anche semplici ed elementari per l'attuazione di un programma criminale permanente.

Non è indispensabile, inoltre, la sussistenza di formalità costitutive (statuti, regolamenti etc.) né una divisione convenzionale e predeterminata dei ruoli, purché sia facilmente rinvenibile un pactum sceleris (addirittura tacito), desumibile dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione e dai rapporti continuativi tra i concorrenti – tale da ingenerare specifica appartenenza tra i partecipanti.

Va da sé che la mera adesione non possa che rappresentare un fatto diverso dal contributo alla realizzazione del reato-scopo: in tal caso occorrerà accertare l'esistenza di un concorso nel reato scopo, sia esso morale o materiale, ma necessario od agevolatore, nonché un dolo specifico di concorso.

L'elemento soggettivo va inteso infatti quale affectio societatis, ossia specifica consapevolezza e volontà di far parte in modo stabile e duraturo della struttura criminale, condividendone il programma illecito, nonché di affiancare il proprio contributo a quello degli altri sodali, per agevolare l'operatività dell'associazione.

Si tratta di un dolo specifico che non richiede, in capo a tutti gli associati, l'intenzione di porre in essere identici fatti penalmente rilevanti, né che il singolo partecipante conosca e sia in rapporto con tutti gli altri sodali, purché però abbia la consapevolezza che la propria attività si inserisce in un complesso di operazioni strumentali alla realizzazione del traffico di stupefacenti.

Pertanto il Giudice è tenuto a valutare se, da una serie di episodi complessivamente considerati, si possa ritenere sussistente in concreto uno stabile vincolo associativo diretto al traffico, attribuendo rilevanza a comportamenti concludenti dai quali si desume che le singole attività sono l'espressione di un più vasto piano delittuoso per perseguire il quale è stato creato il sodalizio.

Osservazioni

Alcune osservazioni appaiono doverose a margine della presente sentenza, in quanto, oltre al tema predominante della natura del vincolo associativo, i giudici affrontano anche la questione relativa alla distinzione dei ruoli tra i vari partecipi all'associazione, distinguendo così la figura dell'organizzatore e del promotore, da quella del mero partecipe.

Si tratta di una distinzione di non poco conto se si considera il divario di trattamento sanzionatorio che il Legislatore ha riservato alle diverse figure.

Sul punto la Sesta Sezione ha infatti ribadito come, per distinguere la posizione del mero partecipe da quella di vertice, ovvero organizzatore o promotore, ciò che rileva «è lo svolgimento di un qualificato potere di gestione, in uno dei settori rilevanti per la vita dell'organizzazione e che comporta attività di coordinamento delle attività degli associati per assicurare la funzionalità delle strutture».

Connesso a tale concetto, e meritevole di un pur breve accenno, è quello relativo alla distinzione tra partecipazione all'associazione e mero concorso eventuale, ex art. 110 c.p., nella commissione di una pluralità di reati di produzione, traffico, detenzione e commercializzazione di stupefacenti.

Il criterio distintivo – che comporta anche un notevole divario in termini sanzionatori - è dato dal carattere dell'accordo criminoso che sorregge le attività dei concorrenti necessari od eventuali. Nel delitto associativo, infatti, occorre una struttura organizzativa incentrata su un pactum sceleris avente ad oggetto la consumazione di una serie indeterminata di reati, in cui gli associati sono vincolati a prescindere dal perfezionamento dei singoli reati fine. In questo caso, gli atti di detenzione o commercio posti in essere dai singoli costituiscono elementi accidentali della partecipazione al sodalizio.

Nel concorso eventuale ex art. 110 c.p., invece, l'accordo è occasionale e strumentale al compimento, unicamente, di uno o più reati determinati, la cui realizzazione comporta la rottura del legame tra i concorrenti. Il contributo è episodico e l'eventuale reiterazione delle condotte illecite richiede, di volta in volta, un apposito accordo tra i soggetti.

Ciò che muta è pertanto l'elemento soggettivo: nel delitto associativo si richiede la coscienza e volontà di partecipare e contribuire effettivamente alla stabilità e permanenza della struttura organizzativa, nonché alla realizzazione dei reati-fine programmati, ed il singolo si pone stabilmente a disposizione del gruppo che lo riconosce come intraneo.

Nel concorso eventuale, invece, il correo non assume un ruolo funzionale alle dinamiche operative di un sodalizio precostituito né reca un concreto ausilio all'attuazione dell'obiettivo criminoso, ma si limita alla realizzazione di uno o più delitti ben individuati.

In conclusione, non si può non apprezzare, in termini di chiarezza, il contributo odierno della Suprema Corte che, nel delimitare con sempre maggior precisione una fattispecie tanto ampia quale quella dell'associazione criminosa, ove molto spesso, in via interpretativa, vengono ricondotte ipotesi e situazioni che nulla hanno a che vedere con la natura associativa, aggiunge un ulteriore tassello alla definizione di vincolo criminale, con particolare attenzione a due categorie di soggetti, fornitori e acquirenti di sostanze stupefacenti, difficilmente legati e connessi da un pactum sceleris delineato e ben delineabile.

E allora diventa indispensabile il ruolo di “analista” del giudice il quale dovrà, passando al vaglio tutta una serie di indici e fattori, oggettivamente sussistenti e facilmente accertabili e apprezzabili in termini causali, scovare nell'animus dei soggetti coinvolti quel dolo di agire, con coscienza e volontà, non solo nel gruppo criminale ma per il gruppo, in maniera duratura e stabile, e attraverso un contributo finalizzato a consolidare e a far crescere l'organizzazione stessa.

Si rende quindi sempre più auspicabile un intervento applicativo di tali principi da parte dei giudici di merito, anche e soprattutto nell'ottica di rendere il trattamento sanzionatorio previsto per tali fattispecie maggiormente congruo, proporzionato ed equo, nel pieno rispetto del principio costituzionale di personalità.

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