Turbata libertà degli incanti mediante accordo tra imprese appartenenti a un consorzio

Angelo Salerno
19 Luglio 2018

È lecito l'accordo che intervenga tra gli imprenditori appartenenti al medesimo consorzio, volto a determinare le rispettive percentuali di ribasso, al fine di condizionare l'esito della procedura di gara ad evidenza pubblica?
Massima

Il delitto di turbata libertà degli incanti, di cui all'art. 353 c.p., è integrato da ogni accordo clandestino diretto a influire sul normale svolgimento della gara e concretamente idoneo a sortire tale effetto, quand'anche intervenuto tra imprese che partecipino al medesimo consorzio.

Il caso

Il giudice dell'udienza preliminare, a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti, ha emesso sentenza di non doversi procedere, ex art. 129 c.p.p., nei confronti degli imputati, chiamati a rispondere del delitto di cui al combinato disposto degli artt. 110-353 c.p., per aver turbato, in qualità di titolari delle rispettive ditte, una gara pubblica, accordandosi sulla percentuale di ribasso che ciascuna ditta avrebbe dovuto presentare con la propria offerta.

Le predette ditte appartenevano al medesimo consorzio, che non aveva, sebbene invitato, partecipato alla procedura.

Il giudice di merito ha ritenuto che, in presenza di una espressa disciplina delle cause di incompatibilità, dettata dall'art. 36 del d.lgs. 163/2006, vigente all'epoca dei fatti, che rinviava alla norma incriminatrice di cui all'art. 353 c.p. in caso di violazione della stessa, non potesse essere assegnata rilevanza penale alla condotta dei singoli imprenditori, consistita nell'accordarsi in merito all'aggiudicazione del contratto, dal momento che il consorzio non aveva partecipato alla gara e non era ravvisabile l'ipotesi di incompatibilità individuata dalla predetta disposizione dell'art. 36 cit.

Il pubblico ministero ha proposto appello avverso la sentenza e la Corte di appello ha riqualificato l'impugnazione come ricorso per cassazione, ritenendo inappellabile, nel merito, la decisione di primo grado, come confermato dai giudici di legittimità che, sul punto, preliminarmente, hanno osservato che «l'esito del proscioglimento è strettamente correlato alla fisionomia tipica del rito, e deve ritenersi ricompreso negli “altri casi” di inappellabilità indicati dall'art. 448 comma secondo cod. proc. pen.», richiamando sul punto Cass. pen., Sez. VI, 2 febbraio 2017, n. 14580.

I motivi del ricorso attengono, da un lato, alla omessa valutazione, da parte del giudice di primo grado, delle risultanze degli atti di indagine e, in specie, delle intercettazioni, dalle quali emergeva chiaramente l'intento degli imputati di pilotare la gara mediante gli accordi collusivi circa il ribasso delle offerte.

Si rileva altresì che erroneamente il giudicante ha sovrapposto la disciplina amministrativa delle incompatibilità, di cui al previgente art. 36 cit., e quella penale, di cui all'art. 353 c.p., dal momento che la costituzione del consorzio non vale ad escludere la rilevanza penale delle condotte poste in essere dai singoli partecipanti, specie a fronte del coinvolgimento di soggetti terzi rispetto al consorzio nei predetti accordi.

La questione

La questione sottoposta ai giudici di legittimità attiene alla rilevanza penale degli accordi che siano intervenuti tra imprenditori, facenti parte del medesimo consorzio, in merito alle percentuali di ribasso delle offerte da presentare in una gara pubblica, al fine di condizionarne l'aggiudicazione.

È lecito l'accordo che intervenga tra gli imprenditori appartenenti al medesimo consorzio, volto a determinare le rispettive percentuali di ribasso, al fine di condizionare l'esito della procedura di gara ad evidenza pubblica?

È sufficiente il rispetto del divieto di partecipazione alla medesima gara previsto dal previgente art. 36, comma 5, d.lgs. 163/2006, per il consorzio e le imprese che ne fanno parte, perché possa escludersi la rilevanza penale del predetto comportamento collusivo?

Le soluzioni giuridiche

La sesta Sezione penale della Corte di cassazione, nell'affrontare le suindicate questioni, ha ritenuto fondate le doglianze del pubblico ministero, ritenendo erronea la premessa della decisione di primo grado.

Nella sentenza in commento si evidenzia infatti che il rinvio all'art. 353 c.p., operato dal comma 5 dell'art. 36 del d.lgs. 163 del 2006,pur consentendo di ritenere integrata la fattispecie penale di turbata libertà degli incanti in ipotesi di partecipazione, alla medesima gara pubblica, del consorzio e di una o più imprese consorziate, non esaurisce l'ambito applicativo della norma incriminatrice.

Si rileva infatti che, nel caso di specie, il consorzio non aveva partecipato alla gara, sicché non sussisteva alcuna violazione del divieto di cui al citato art. 36, e tuttavia assume rilevanza penale, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 353 c.p., la conclusione di un accordo clandestino, diretto a influire sul normale svolgimento delle offerte e concretamente idoneo a conseguire tale risultato, costituendo tale condotta una ipotesi di collusione.

Tanto avviene in presenza di accordi preventivi intervenuti tra i partecipanti sui contenuti specifici delle rispettive offerte, diretti ad alterare il principio della libera concorrenza tra i singoli soggetti giuridici che partecipano in via autonoma alla gara, come già affermato dalla giurisprudenza precedente.

Né può ritenersi che l'appartenenza al medesimo consorzio degli imprenditori collusi consenta di porre in essere impunemente la descritta condotta, dal momento che la disciplina della costituzione e partecipazione alla gara pubblica dei consorzi e le cause di incompatibilità ivi previste, non escludono la rilevanza penale delle ulteriori e autonome condotte attraverso cui i singoli partecipanti turbino la gara o allontanino gli offerenti.

Osservazioni

La sentenza in esame interviene a chiarire la portata applicativa dell'art. 353 c.p., che punisce la condotta di chi «con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti».

Trattasi di un delitto a condotta alternativa, di turbamento o impedimento della gara ovvero allontanamento degli offerenti, che tutela la libera concorrenza, nell'interesse dei partecipanti alla gara e dell'ente pubblico che l'abbia indetta.

La condotta deve essere realizzata nelle forme tipiche descritte dalla norma incriminatrice, tra cui rientrano l'uso di violenza o minaccia, l'offerta di doni o promesse, nonché la collusione o qualsiasi altro mezzo fraudolento.

In merito a tali ultime modalità, la giurisprudenza ha precisato che la collusione va intesa come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte e che l'evento del reato va individuato nell'impedimento o alterazione del regolare svolgimento della gara ovvero nell'allontanamento degli offerenti e costituisce il momento di consumazione del reato, che si configura, in relazione alle condotte in questione, come reato di danno.

Con particolare riferimento al turbamento, il comportamento del reo deve risultare «concretamente idoneo a conseguire l'evento del reato, che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale».

Ne deriva che il delitto si perfezionerà indipendentemente dal risultato della gara, quando questa sia fuorviata dal suo normale svolgimento, attraverso le condotte tipiche descritte dalla norma, le quali alterino il gioco della concorrenza.

Nel caso di specie, oggetto della sentenza in commento, tale effetto di alterazione del regolare svolgimento della gara è stato determinato mediante una condotta plurisoggettiva, posta in essere da imprenditori partecipanti al medesimo consorzio, concorrenti nella gara pubblica, accusati di aver concordato il ribasso delle offerte per pilotare l'esito della procedura ad evidenza pubblica.

La Corte di cassazione, nel pronunciarsi sulle questioni sopra evidenziate, ha precisato la portata applicativa dell'art. 353 c.p., con particolare riferimento alla ipotesi descritta in cui i soggetti attivi del reato appartengano ad un consorzio, chiarendo due importanti profili.

Il primo riguarda la portata del rinvio contenuto nel previgente art. 36 del d.lgs. 163/2006, che richiamava l'art. 353 c.p. in caso di violazione del divieto di partecipazione alla medesima gara del consorzio e delle imprese ad esso appartenenti.

Un secondo, sebbene implicito, chiarimento attiene invece alla rilevanza penale delle condotte collusive che intervengano nell'ambito dei rapporti consortili, in quanto la Corte di legittimità ne ha affermato la punibilità, in termini di accordi collusivi, in quanto diretti ad alterare il principio della libera concorrenza, escludendo che tali condotte possano ritenersi lecite in quanto iscritte nelle dinamiche consortili.

Si conferma ed evidenzia, in questo modo, l'autonomia tra la disciplina amministrativa e la rilevanza penale che, comportamenti non espressamente vietati o disciplinati dalla prima, possono assumere allorché risultino lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, rappresentato, nel caso di specie, dal regolare svolgimento della gara pubblica e dal principio di libera concorrenza.

Guida all'approfondimento

DE PAOLIS, Le controversie sui contratti pubblici, Padova, 2010, pp. 334-335;

DELLA RAGIONE, Non c'è turbativa senza gara, in Dir. pen. proc., 2009, 12, pp. 1503 ss.;

MORMANDO, La tutela penale dei pubblici incanti, Padova, 1999;

SALERNO, I profili penali in materia di contratti pubblici, in CARINGELLA, GIUSTINIANI MANTINI, Manuale dei contratti pubblici, III Edizione, Roma, 2018.

VENTURATI, Incanti (frodi negli), in Digesto penale, VIII, Torino, 1995, 302.

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