Mancato pagamento della pena pecuniaria irrogata con decreto penale e declaratoria di estinzione del reato

23 Luglio 2018

Ai fini della declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell'art. 460,comma 5, c.p.p., è necessario che il condannato abbia eseguito la pena irrogata? Occorre premettere che l'art. 460, comma 5, c.p.p. prevede che, in caso di condanna per decreto, il reato oggetto della pronuncia monitoria si estingue qualora entro due o cinque anni - a seconda che si tratti di una condanna per una contravvenzione o ...
Massima

L'effetto estintivo di cui all'art. 460, comma 5, c.p.p. non è condizionato dalla mancata esecuzione della pena inflitta con il decreto penale di condanna.

Il caso

Tizio veniva condannato al pagamento di una multa di 5.500 euro con decreto penale emesso in data 10 maggio 2011 e divenuto esecutivo in data 16 dicembre 2011.

Trascorsi cinque anni dall'esecutività del provvedimento monitorio, Tizio chiedeva al giudice dell'esecuzione la declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell'art. 460, comma 4, c.p.p.

Il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza pronunciata de plano in data 25.5.2017, rigettava l'istanza sul presupposto che Tizio non aveva provveduto al pagamento della suddetta somma di denaro e la pena non si era estinta non essendo ancora trascorso il termine di cui all'art. 172 c.p. (dunque Tizio avrebbe ancora potuto e dovuto eseguire la pena).

Tale decisione veniva ribadita anche a seguito del contraddittorio instaurato da Tizio con l'opposizione al decreto ex art. 667 comma 4 c.p.p.

Avverso l'ordinanza reiettiva, Tizio proponeva personalmente ricorso per cassazione osservando come l'art. 136 disp. att. c.p.p. condizioni l'effetto estintivo del reato all'esecuzione della pena con esclusivo riferimento alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Il silenzio del Legislatore in materia di procedimento per decreto, ad avviso del ricorrente non potrebbe essere colmato con una applicazione analogica della suddetta norma di attuazione in quanto si tratterebbe di un caso di analogia sfavorevole all'imputato.

Anche il procuratore generale chiedeva l'annullamento dell'ordinanza impugnata osservando che l'art. 460,comma 5, c.p.p. non condiziona l'effetto estintivo del reato all'esecuzione della pena, che peraltro, nel caso in esame, non era stata neppure attivata dall'organo esecutivo competente.

La Suprema Corte, condividendo le argomentazioni del ricorrente, annullava con rinvio l'ordinanza impugnata.

La questione

La questione in esame è la seguente: nell'ambito del procedimento monitorio, ai fini della declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell'art. 460, comma 5, c.p.p., è necessario che il condannato abbia eseguito la pena irrogata?

Le soluzioni giuridiche

Occorre premettere che l'art. 460, comma 5, c.p.p. prevede che, in caso di condanna per decreto, il reato oggetto della pronuncia monitoria si estingue qualora entro due o cinque anni (a seconda che si tratti di una condanna per una contravvenzione o per un delitto) dall'esecutività del decreto, il condannato non abbia commesso un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole (“medesimezza d'indole” da intendersi riferita alle sole contravvenzioni, come chiarito dalla giurisprudenza in materia di patteggiamento, la cui disciplina contiene una previsione analoga a quella del decreto penale: cfr. Cass. pen., Sez. I, 5 giugno 2014, n. 30011).

Secondo l'interpretazione maggioritaria, maturata sempre in tema di patteggiamento, la commissione del reato ostativa all'effetto estinto deve risultare da una pronuncia che sia divenuta definitiva, anche successivamente al termine ma prima della decisione sulla istanza ai sensi dell'art. 676 c.p.p. (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. I, 24 settembre 2015, n. 43792; ma si veda anche Corte cost., ord., 4 giugno 1998, n. 107).

La disciplina del procedimento monitorio non prevede ulteriori condizioni per il realizzarsi dell'effetto estintivo del reato, e in ciò differisce dall'omologa disciplina in tema di patteggiamento, che contempla invece anche una disposizione di attuazione – l'art. 136 disp. att. c.p.p. – che preclude l'effetto estintivo nei casi in cui il condannato si sia sottratto volontariamente all'esecuzione della pena applicatagli.

La perdita di uno dei benefici del rito negoziale in caso di inottemperanza al decisum giudiziale, a fronte della possibilità invece per il condannato con decreto di beneficiare dell'effetto estintivo nonostante il mancato pagamento della pena pecuniaria irrogata, ha suscitato dubbi di ragionevolezza sia per l'evidente disparità di trattamento fra situazioni omogenee (decreto penale e patteggiamento presentano gli stessi effetti premiali), sia perché il decreto penale di condanna, a differenza del patteggiamento, non contiene un accertamento solo implicito (esclusione di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.) ma presuppone piuttosto un accertamento espresso della responsabilità dell'imputato secondo gli standard probatori della sentenza di condanna.

Tuttavia, la Corte costituzionale, interrogata sul punto, ha dichiarato inammissibile la questione ritenendo che la pronuncia invocata dal giudice rimettente (estensione al rito monitorio della limitazione dell'effetto estintivo del reato già prevista dall'art. 136 disp. att. c.p.p. per l'applicazione della pena su richiesta delle parti) sia preclusa dal principio della riserva di legge sancito in materia penale dall'art. 25,comma2, Cost., andando ad incidere in peius su un aspetto comunque inerente alla punibilità.

Osserva, infatti, la Corte, che la disposizione di cui all'art. 460,comma 5, c.p.p., a prescindere dalla sua collocazione all'interno del codice di rito, ha carattere di norma sostanziale e non meramente processuale (in tal senso è orientata anche la giurisprudenza di legittimità; contra, però, Cass. pen., Sez. I, 30 gennaio 2001, n. 15038, che la ritiene norma processuale soggetta alla regola del tempus regit actum) in quanto incide sull'esistenza del reato determinandone l'estinzione.

È evidente quindi che l'estensione invocata dal rimettente si risolverebbe in una limitazione dell'effetto estintivo del reato previsto dalla norma censurata e, dunque, in una pronuncia additiva in malam partem in materia penale sostanziale.

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, giustizia anche l'ulteriore argomento speso dal giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza impugnata, ossia che la pena non eseguita non si era ancora estinta per decorrenza del termine di prescrizione.

Ad avviso del giudice a quo, infatti, l'eventuale riconoscimento dell'estinzione del reato, nonostante la mancata esecuzione della pena, avrebbe comportato il verificarsi di una estinzione della pena a seguito del decorso di un termine (nella specie, cinque anni) inferiore rispetto a quello stabilito dall'art. 172 c.p. (dieci anni).

L'argomento è suggestivo ma ignora il fatto che l'ordinamento regola le ipotesi di concorso fra cause estintive della pena (nella specie, il decorso del tempo) e cause estintive del reato (nella specie, il decorso del tempo, unitamente all'assenza di condanne), accordando prevalenza alle seconde, anche se intervenute successivamente, stante il loro effetto maggiormente favorevole per il reo (art. 183, comma 2, c.p.).

In verità, va detto che il collegio ravvisa nella disposizione contenuta al quinto comma dell'art. 460 c.p.p. una causa di estinzione della pena (quale conseguenza dell'estinzione del reato), giungendo comunque alla medesima conclusione di cui sopra in ragione del criterio di priorità temporale utilizzato dall'art. 183 c.p., che regola i casi di concorso di cause estintive della pena inflitta accordando prevalenza a quelle intervenute per prime, senza operare distinzioni qualitative.

Va detto, però, per inciso, che non convince l'idea che la suddetta norma processuale disciplini una causa di estinzione della pena, perché altrimenti tutte le cause estintive del reato, in quanto precludono l'applicazione o l'esecuzione della pena, dovrebbero considerarsi cause estintive (anche o solo?) della pena.

Osservazioni

La soluzione adottata dalla pronuncia in commento appare senz'altro corretta sul piano giuridico e non necessita di particolari commenti data la linearità del ragionamento e il chiaro quadro normativo di riferimento: l'art. 460, comma 5, c.p.p., prevedendo una causa (processuale) di estinzione del reato, è norma sostanziale, la cui applicazione è quindi regolata dal principio del favor rei; dunque, qualsiasi limitazione alla sua sfera operativa, compreso l'effetto preclusivo derivante dalla mancata esecuzione della pena, non può che derivare da un intervento del Legislatore.

Sul piano della politica criminale, deve osservarsi che tale intervento legislativo è quanto mai opportuno per l'evidente e ingiustificata disparità di trattamento creata dall'ordinamento fra colui a cui è stata irrogata una pena con decreto penale e colui al quale è stata applicata la pena concordata con il pubblico ministero. Infatti, mentre il primo può conseguire l'effetto estintivo del reato anche rimanendo inadempiente al pagamento della somma stabilita nel provvedimento monitorio, il secondo deve eseguire la pena richiesta se vuole ottenere il medesimo effetto premiale.

Si tratta di una asimmetria del tutto irragionevole, sia perché i due riti presentano forti analogie dal punto di vista degli effetti premiali, sia, soprattutto, perché viene favorito colui che ha subito una condanna basata su un accertamento pieno della responsabilità.

Non vale, del resto, a riequilibrare il sistema la considerazione che la pena irrogata con il provvedimento monitorio è comparativamente meno grave di quella applicata su accordo della parti, in quanto di natura economica e ridotta fino alla metà. Si tratta infatti di un argomento quantitativo e non giuridico, e per di più non privo di eccezioni dato che nel decreto la riduzione può essere inferiore alla metà, mentre nel patteggiamento le parti possono concordare l'applicazione di una pena pecuniaria, originaria o sostitutiva.

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