Obblighi e limiti dell'assicuratore RC chiamato in causa di tenere indenne dalle spese di lite il garantito

Sergio Matteini Chiari
26 Luglio 2018

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, si è occupata di stabilire se e in quali limiti l'assicurato contro i rischi della responsabilità civile abbia diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che sia stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quest'ultimo.
Massima

L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c..

Il caso

Deducendo di essersi sottoposto ad intervento chirurgico i cui esiti erano stati contrari alle attese in ragione della negligenza/imperizia del chirurgo, AAA conveniva in giudizio quest'ultimo e la Casa di cura BBB, ove l'intervento aveva avuto luogo, per ottenere risarcimento del danno sofferto.

La Casa di cura BBB, costituendosi in giudizio, chiamava in causa la società CCC, quale gestrice della struttura, di cui essa era meramente proprietaria.

La società CCC promuoveva separato giudizio nei confronti del proprio assicuratore chiedendo che, in caso di accoglimento delle domande contro di essa proposte dalla Casa di cura BBB, l'assicuratore fosse condannato a tenerla indenne dalle pretese di quest'ultima.

I due giudizi venivano riuniti.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda principale proposta da AAA (estesa, per quanto è dato capire, a CCC – n.d.r.) e la domanda di garanzia proposta da CCC, condannando l'assicuratore a tenerla indenne dalle pretese esposte dalle controparti.

La sentenza veniva gravata in via principale dal chirurgo originario convenuto e in via incidentale dall'originario attore e dall'assicuratore della società CCC.

La Corte di merito «incrementava» la condanna della società CCC in favore di AAA, condannandola, inoltre, a rifondere a quest'ultimo, in solido con l'appellante chirurgo, i due terzi delle spese processuali del doppio grado di giudizio, dichiarando compensato il restante terzo e compensava le spese di lite tra le altre parti in causa; poneva le spese di consulenza a carico della società CCC e del chirurgo in solido fra loro; condannava, infine, l'assicuratore della società CCC a tenere indenne quest'ultima dalle somme che competevano ad AAA «per danni e spese in forza della … sentenza».

La società CCC proponeva ricorso per cassazione.

Nessuno degli intimati resisteva.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se e in quali limiti l'assicurato contro i rischi della responsabilità civile abbia diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che sia stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quest'ultimo.

Le soluzioni giuridiche

La ricorrente aveva mosso doglianza alla sentenza gravata per avere omesso di condannare l'assicuratore della R.C. alla rifusione delle spese processuali da essa sostenute per resistere alla pretesa del danneggiato e di quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore e coltivare il giudizio nei confronti dello stesso.

La doglianza è stata ritenuta parzialmente fondata.

Per le linee di principio, la Suprema Corte ha, preliminarmente, ricordato che l'assicurato contro i rischi della R.C., ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali: i) spese di soccombenza, costituite da quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice; ii) spese di resistenza, costituite da quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, al fine di resistere alla pretesa attorea; iii) spese di chiamata in causa, vale a dire quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, «chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato».

La Suprema Corte ha, quindi, precisato a) che le spese di soccombenza costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall'assicurato, e pertanto spetta a quest'ultimo il diritto di ripeterle dall'assicuratore, nei limiti del massimale di polizza; b) che le spese di resistenza non costituiscono, invece, propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenute per un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore, e ad esse l'assicuratore è o può essere tenuto anche oltre i limiti del massimale di polizza, nella proporzione stabilita dall'art. 1917, comma 3, c.c.; c) che, infine, le spese di chiamata in causa dell'assicuratore non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Ciò posto, la Suprema Corte ha affermato che, con riguardo alle spese della specie da ultimo ricordata (spese di lite relative al rapporto processuale tra l'assicurato che invocava la garanzia e l'assicuratore che la negava), la pronuncia gravata, di compensazione integrale delle stesse, dovesse ritenersi non sindacabile nella sede di legittimità, essendo stato dato conto delle circostanze di fatto tenute in considerazione ai fini di tale decisione.

La Suprema Corte ha, altresì, affermato che la sentenza gravata non potesse, invece, andare esente da censura laddove aveva limitato la condanna dell'assicuratore alla rifusione all'assicurato delle spese di soccombenza («tutte le somme che la DSC è tenuta a versare ad AAA, per danni e spese, nei limiti della presente pronuncia»), senza considerare anche le spese di resistenza, vale a dire quelle sostenute per contrastare la pretesa attorea, così violando il disposto dell'art. 1917, comma 3, c.c., negando all'assicurato un diritto che costituisce un effetto naturale, ex art. 1374 c.c., del contratto di assicurazione della responsabilità civile.

Osservazioni

i) Nella sentenza in commento vengonosanciti principiregolatori in materia di oneri di attribuzione delle spese processuali con riguardo al rapporto fra assicuratore della responsabilità civile ed assicurato nell'ambito di azione risarcitoria in cui quest'ultimo sia stato convenuto in giudizio e sia rimasto soccombente.

Per le linee di principio, la Suprema Corte ha ritenuto che all'assicurato compete il diritto ad essere tenuto indenne da qualsiasi delle specie di spesa ipotizzabili (in ordine a tali specie si veda il paragrafo che precede), sia pure per titoli e con limiti diversi.

Nel caso concreto, tale diritto è stato riconosciuto limitatamente alle spese cd. di soccombenza (nei limiti del massimale di polizza), costituenti accessorio dell'obbligazione risarcitoria, ed a quelle cd. di resistenza (incluse nel genus delle spese di salvataggio previste dall'art. 1917, comma 3, c.c. e liquidabili anche in eccedenza sul massimale di polizza), mentre il diritto dell'assicurato ad essere tenuto indenne dalle spese cd. di chiamata non ha avuto analoga sorte, peraltro unicamente in quanto la pronuncia gravata, che aveva compensato le spese relative al rapporto processuale tra assicurato ed assicuratore, è stata ritenuta insindacabile sul punto, giacché fondata su circostanze di fatto adeguatamente riportate in sede di motivazione.

Le statuizioni della sentenza in commento sono appieno condivisibili e risultano conformi agli arresti giurisprudenziali in argomento (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2016, n. 667; Cass. civ., sez. III, 11 settembre 2014, n. 19176; Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3638; Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2008, n. 5300).

ii) Le situazioni che possono prospettarsi in materia, nell'ambito dei rapporti fra garantito e garante, determinati dalla chiamata in causa di quest'ultimo, nonché fra garante ed altre parti in causa sono molteplici e merita ricordare almeno quelle che si verificano con maggiore frequenza, senza, tuttavia, pretesa di esaustività.

iii) L'art. 106 c.p.c. individua, fra i presupposti della chiamata di terzi in causa, accanto a quello costituito dalla «comunanza di causa», quello costituito da un rapporto di garanzia.

Con il termine «garanzia» si fa riferimento al fenomeno in base a cui un soggetto (il garantito, che può identificarsi sia con la parte convenuta o chiamata in causa nella causa principale, sia con la parte attrice nella stessa causa) ha, per legge o per titolo negoziale, il diritto ad essere tenuto indenne, ad opera di un altro soggetto (il garante), dal pregiudizio economico o giuridico che gli possa derivare dalla soccombenza nei confronti della controparte nella causa in cui sia stato coinvolto.

Mediante la chiamata in garanzia, il terzo garante viene evocato in causa affinché risponda in luogo del chiamante, oppure affinché sia condannato a rispondere di quanto il chiamante sarà tenuto eventualmente a prestare all'altra parte, oppure affinché su di lui vengano a prodursi le eventuali conseguenze negative a carico del chiamante in una causa promossa, ad esempio, per conseguire il risarcimento di un danno.

A seconda del fatto giuridico assunto a fondare il rapporto di garanzia, si è, sino a tempi recenti, sempre distinto, per vari effetti sul piano processuale, tra garanzia c.d. «propria» (quando domanda principale e domanda di garanzia abbiano lo stesso titolo o sia unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella accessoria – v., ex multis, Cass. civ., sez.L, 16 aprile 2014, n. 8898; Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2007, n. 5978; Cass. civ., Sez. Un. 26 luglio 2004, n. 13968) e garanzia cd. «impropria» (quando il chiamante - di regola, la parte convenuta - tenda a riversare su di un terzo le conseguenze della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso ed autonomo/indipendente da quello assunto a fondare la domanda principale, oppure in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto – v., ex multis, Cass. civ., sez.L, 16 aprile 2014, n. 8898).

La distinzione fra tali due specie di garanzia deve ritenersi divenuta ormai irrilevante, essendole stato attribuito «valore puramente descrittivo» in forza di recente intervento delle Sezioni Unite Civili (Cass civ., Sez. Un., 4 dicembre 2015, n. 24707).

iv) Per gli aspetti di principio, valevoli in qualsiasi circostanza, è incontroverso che colui che attivamente o passivamente si espone all'esito del processo, oltre a conseguire i vantaggi, debba anche sopportare le eventuali conseguenze sfavorevoli, che, in ordine alle spese, sono stabilite a suo carico in base al principio della soccombenza e ciò anche se si tratti di spese non rigorosamente conseguenziali e strettamente dipendenti dalla sua attività (v. Cass. civ., sez. I, 11 aprile 2013, n. 8886).

v) La regola dell'attribuzione dell'onere delle spese di lite in capo al soccombente si applica anche con riguardo alle cause accessorie innescate dalla chiamata in garanzia.

Si possono prospettare differenti situazioni:

a) Per ciò che attiene al rapporto fra il chiamato in causa e le altre parti diverse dal chiamante, ove il chiamato, cui sia stata estesa la domanda principale, resti soccombente, l'onere delle rifusione delle spese di lite dovrà far carico ad esso, salva l'ipotesi di compensazione.

Ove, invece, il chiamato risulti vittorioso, regola generale è quella secondo cui le spese processuali sostenute dal medesimo debbono essere rifuse (salva, ognora, l'ipotesi di compensazione integrale) dalla parte soccombente, e quindi da quella che ha azionato una pretesa rivelatasi infondata, ovvero da quella che ha resistito ad una pretesa rivelatasi fondata (v. Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2016, n. 7401; Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2007, n. 4958; Cass.civ., sez. III, 15 dicembre 2003, n. 19181; Cass.civ., sez. III, 17 maggio 2001, n. 6767; si vedano anche Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2008, n. 76 e Cass.civ., sez. L, 19 aprile 2006, n. 9049, relative a casi in cui un terzo era stato evocato in giudizio per ordine del giudice, rivelatosi successivamente ingiustificato).

É stato, in particolare, chiarito che il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda (v. Cass.civ., sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 2492; Cass.civ., sez. I, 14 maggio 2012, n. 7431; Cass.civ., sez. II, 10 novembre 2011, n. 23552; Cass.civ., sez. III, 21 marzo 2008, n. 7674; Cass.civ., sez. III, 28 agosto 2007, n. 18205; Cass.civ., sez. III, 10 giugno 2005, n. 12301).

Identica soluzione è stata data, ricorrendo le suddette condizioni (chiamata resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore), nei casi di rinuncia agli attidel giudizio da parte dell'attore, anche in tale ipotesi nulla rilevando la mancata proposizione di domande nei confronti del terzo (Cass.civ., sez. II, 15 novembre 2013, n. 25781; Cass.civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21933).

b) Per ciò che attieneal rapporto tra chiamante in causa e chiamato, valgono, in linea di massima, le regole sancite dalla Suprema Corte nella sentenza in commento e precedentemente riportate.

Le spese di soccombenza del chiamante costituiscono accessorio dell'obbligazione risarcitoria e ad esse è, pertanto, tenuto l'assicuratore chiamato, in misura non eccedente il massimale di polizza.

Del pari, l'assicuratore è tenuto a tenere indenne l'assicurato delle spese direttamente sostenute da quest'ultimo per resistere alle pretese del danneggiato, nei limiti stabiliti dall'art. 1917, terzo comma, c.c., pertanto anche in eccedenza al massimale di polizza.

In tali ipotesi, invero, la costituzione e difesa dell'assicurato viene svolta anche nell'interesse dell'assicuratore, ritualmente chiamato in causa, in quanto finalizzata all'obbiettivo ed imparziale accertamento dell'esistenza dell'obbligo di indennizzo (v. Cass.civ., sez. III, 18 gennaio 2016, n. 667; Cass.civ., sez. III, 11 settembre 2014, n. 19176; Cass.civ., sez. III, 28 febbraio 2008, n. 5300).

Le spese giudiziali relative alla controversia tra assicuratore e assicurato in ordine all'azione di garanzia vanno liquidate secondo le regole generali della soccombenza, non rientrando nella disciplina dell'art. 1917 c.c. (v. Cass.civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3638; Cass.civ., sez. III, 28 novembre 2007, n. 24733).

Il rimborso deve rimanere a carico della parte chiamante qualora la sua iniziativa si sia rivelata palesemente arbitraria, cioè quando la domanda di garanzia si sia palesata del tutto infondata (Cass.civ., sez. I, ord. 21 febbraio 2018, n. 4195 e Cass.civ., sez. VI, ord. 21 aprile 2017, n. 10070, entrambe relative a casi in cui il chiamante era risultato totalmente vittorioso nella causa principale; Cass.civ., sez. III, 8 aprile 2010, n. 8363).

Del pari, in ossequio ai doveri di correttezza e di buona fede, va escluso il diritto dell'assicurato alla rifusione, da parte dell'assicuratore, delle spese sostenute per resistere all'azione promossa dal danneggiato quando l'assicurato abbia scelto di difendersi senza avere interesse a resistere alla domanda avversaria o senza poter ricavare utilità dalla costituzione in giudizio (v. Cass.civ., sez. III, 19 marzo 2015, n. 5479).

vi) Con riguardo alla fase di appello, è stato affermato che, allorché il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia «impropria» - e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria -, legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell'attore, pone a carico di quest'ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nella seconda fase del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall'altro, l'onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza - mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l'attore ed il terzo - bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo (Cass.civ., sez. III, 26 febbraio 2008, n. 5027)

Ancora con riguardo alla fase di appello, si è affermato che, qualora l'attore, soccombente in un giudizio risarcitorio nel quale il convenuto abbia chiamato un terzo in causa quale effettivo responsabile del fatto dannoso, proponga appello solo nei confronti del convenuto e non anche del terzo, e la domanda prima reietta trovi accoglimento, è illegittima la condanna dell'appellante alla rifusione delle spese di lite sopportate dal terzo, poiché, in tal caso, il chiamante risponde delle spese di lite del chiamato ove l'attore, totalmente vittorioso nei confronti del chiamante, non abbia rivolto alcuna domanda nei confronti del terzo (Cass.civ., sez. VI, ord. 10 dicembre 2014, n. 26026).

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