Sequestro presso lo studio del difensore. La Cassazione chiarisce i limiti di ammissibilità

30 Luglio 2018

La Corte di cassazione affronta, con la sentenza in oggetto, un tema di grande interesse e attualità, segnatamente quello delle garanzie fondamentali di libertà del difensore, durante l'espletamento di ispezioni, perquisizioni e sequestri presso il proprio ufficio professionale. Gli interessi in gioco sono molteplici e il bilanciamento non sempre di facile realizzazione...
Massima

L'art. 103, comma 2, c.p.p. fa espresso divieto di sequestrare carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato. Non è quindi sufficiente a superare il divieto, assistito dalla sanzione di inutilizzabilità di cui al comma 7 dello stesso articolo, la mera utilità probatoria dell'oggetto del sequestro, perché la legge esige un quid pluris che giustifichi l'interferenza nel rapporto professionale tra cliente e difensore, e cioè che l'atto o documento appreso costituisca, esso stesso, “corpo del reato”.

Il caso

La vicenda che investe la Corte di legittimità traeva origine dal decreto di perquisizione e sequestro emesso dal pubblico ministero presso il tribunale di Trento, nei confronti di un avvocato, indagata per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta.

Il tribunale del riesame di Trento, adito dall'indagata, rigettava l'istanza di riesame proposta e avverso tale decisione la predetta ricorreva in Cassazione, svolgendo tre motivi di ricorso.

Anzitutto, la ricorrente deduceva la violazione dell'art. 103, comma 2, c.p.p., per l'indebita esecuzione della perquisizione e del sequestro di atti e documenti relativi all'attività professionale non costituenti corpo del reato, poiché, nello specifico, erano stati sequestrati una cartellina costituente il fascicolo di studio relativo al processo penale per bancarotta, nel quale la stessa ricopriva un incarico fiduciario, l'agenda legale, i computer nonché i cellulari.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamentava la violazione dell'art. 103 c.p.p., per inosservanza delle garanzie difensive nei confronti dell'avvocato, essendo stato sequestrato il fascicolo di studio relativo al procedimento nel quale l'avvocato difendeva il proprio cliente, peraltro in relazione agli stessi fatti contestati all'indagata.

Il terzo ed ultimo motivo di ricorso, afferiva, invece, alla mancanza assoluta o apparenza della motivazione, con riferimento alla rilevanza probatoria della documentazione sequestrata.

Il tribunale del riesame aveva, invero, motivato sulla ritenuta esigenza di ricercare atti e documenti inerenti la fase precontrattuale, contrattuale ed esecutiva di pattuizioni simulate o fraudolente, necessari per provare l'accusa di aver fatto apparire l'esistenza di una trattativa con le banche, in realtà inesistente.

La questione

La vicenda che investe la Corte Suprema di cassazione nella pronuncia in commento afferisce ai limiti, posti dall'art. 103 c.p.p., che regolano le perquisizioni e i sequestri eseguiti nei confronti di soggetti che rivestono la qualifica di difensori.

Le soluzioni giuridiche

I giudici del Supremo Consesso affrontano, anzitutto, il tema dell'interesse della ricorrente a proporre ricorso per Cassazione, prendendo a esame le due sentenze delle Sezioni unite che si sono pronunciate sul tema, considerato che, nelle more della decisione, i beni oggetto della misura erano stati restituiti all'indagata.

La Corte osservava che il primo approdo delle Sezioni unite, con la sentenza Tchmil, n. 18253, del 24 aprile 2008, affermava che l'eventuale ricorso per cassazione era da considerarsi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, anche quando l'autorità giudiziaria aveva disposto l'estrazione di una copia del materiale sottoposto a sequestro, in quanto tale provvedimento era autonomo dal decreto di sequestro ed avverso lo stesso non era prevista, per il principio di tassatività vigente in materia, alcuna forma di impugnazione.

Tale orientamento, tuttavia, era stato recentemente sovvertito da altra pronuncia delle Sezioni unite, la n. 40963 del 20 luglio 2017, la quale, prendendo atto della ratifica da parte dell'Italia della Convenzione di Budapest, aveva affermato che il ricorso per cassazione era ammissibile avverso il provvedimento di sequestro di beni già restituiti, allorquando fosse dedotto un interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati, oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari.

I giudici, dunque, ritenendo che, nel caso di specie, la ricorrente aveva rappresentato siffatto interesse in modo sufficientemente concreto e specifico, indicandolo nel rapporto professionale che legava l'avvocato al cliente in relazione ai documenti inerenti al mandato difensivo del quale era stata officiata, dichiaravano il ricorso ricevibile.

Il Supremo Consesso rilevava, dunque, quanto ai primi due vizi dedotti, che il Tribunale del Riesame era incorso in una violazione di legge, con riferimento al comma 2, dell'art. 103 C.p.p. e, per l'effetto, in un difetto assoluto di motivazione circa i presupposti legittimanti l'adozione del sequestro, in quanto non risultava dimostrato che i documenti sequestrati rientrassero nella categoria corpo di reato, ai sensi dell'art. 253, comma 2, c.p.p., che fa esplicito riferimento alle cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché alle cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

Per tale ragione, doveva considerarsi illegittimo il sequestro della documentazione rinvenuta presso lo studio dell'indagata, poiché la privazione della disponibilità degli atti e dei documenti sequestrati, necessari ai fini dello svolgimento dell'attività difensiva affidata all'avvocato da terzi, non poteva essere giustificata dalle esigenze di accertamento dei fatti per i quali stava procedendo la procura di Trento.

Con riferimento, invece, all'ultimo motivo di ricorso, i giudici di legittimità osservavano che secondo la difesa della ricorrente, il tribunale del riesame non aveva motivato in ordine alla rilevanza probatoria della documentazione sequestrata e, in particolare, aveva indebitamente ampliato l'ipotesi accusatoria delineata nel decreto di perquisizione e sequestro.

Su questo punto, i Giudici richiamavano il principio interpretativo acquisito, secondo cui il provvedimento di perquisizione e sequestro, quale mezzo di ricerca della prova, non può trasformarsi in uno strumento di ricerca della notitia criminis e dunque, nel predetto decreto devono essere individuati, quantomeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare, in relazione a concrete ipotesi di reato ascritte all'indagato, in modo da garantire che la perquisizione non venga eseguita sulla base di mere congetture.

Sulla base di tale principio, la Corte ribadiva che, mentre non è consentito il sequestro probatorio a fini meramente esplorativi, volto ad acquisire la notizia criminis, è legittimo il sequestro fondato su fatti che lo giustificano sul piano razionale e rispetto ai quali è configurabile una notizia criminis, la cui effettiva sussistenza e consistenza può essere, tuttavia, definitivamente accertata solo attraverso atti invasivi.

Del pari, era stato ritenuto legittimo il sequestro probatorio, emesso sulla base di una notitia criminis precedentemente acquisita, per accertare gli esatti termini della condotta denunciata o ipotizzata, al fine, non solo di valutarne l'antigiuridicità, ma anche la sua esatta qualificazione giuridica.

Venendo alla vicenda sottoposta ad esame, i giudici respingevano la doglianza proposta dalla ricorrente, sulla base della considerazione che, nel decreto di perquisizione e sequestro, la pubblica accusa aveva formulato un'ipotesi accusatoria più vasta di quella riportata dal ricorrente e, dunque, il Tribunale del Riesame non aveva affatto dilatato la contestazione accusatoria.

Per tutte le ragioni sopra esposte, il Supremo Consesso annullava il provvedimento impugnato e rinviava al tribunale di Trento per un nuovo esame.

Osservazioni

La Corte di cassazione affronta, con la sentenza in oggetto, un tema di grande interesse e attualità, segnatamente quello delle garanzie fondamentali di libertà del difensore, durante l'espletamento di ispezioni, perquisizioni e sequestri presso il proprio ufficio professionale.

Gli interessi in gioco sono molteplici e il bilanciamento non sempre di facile realizzazione: da un lato l'attività ispettiva persegue la finalità, di interesse pubblicistico, di repressione delle fattispecie criminose; dall'altro, l'esercizio dell'attività di difesa tecnica espleta un'altra importante funzione, in quanto assicura il diritto di difesa, quale diritto fondamentale della persona sancito dall'art. 24 della Carta costituzionale.

Ebbene, come già richiamato dalla giurisprudenza in commento, la norma cardine della disciplina in materia è rappresentata dall'art. 103 c.p.p., baluardo del diritto all'esercizio libero ed incondizionato dell'attività difensiva.

La ratio della norma è resa evidente dal fatto che le disposizioni in essa contenute non sono rivolte all'avvocato in quanto tale, ipotesi che si risolverebbe in un ingiustificato trattamento privilegiato riservato alla categoria professionale dei legali, ma solo al difensore al quale è stato conferito specifico mandato.

Da questa precisazione, ne consegue, come affermato dalla consolidata giurisprudenza, che l'attività ispettiva e di perquisizione non deve essere proceduta da alcun avviso al Consiglio dell'Ordine Forense, allorquando la prova ricercata nello studio del professionista non sia connessa con uno specifico mandato difensivo rilasciato da terzi.

Secondo la citata norma, per quanto qui strettamente di interesse, le ispezioni e le perquisizioni negli studi professionali degli avvocati sono consentite solo allorquando il difensore sia esso stesso indagato o imputato, limitatamente all'accertamento del fatto contestato, oppure per ricercare tracce o altri effetti materiali del reato.

Per quanto concerne il sequestro dei documenti oggetto della difesa rinvenuti, come osservato nella sentenza qui in commento, la norma fissa un limite molto rigido, stabilendo che lo stesso è consentito solo quando si tratti del corpo del reato. Affinché operi la norma, deve quindi trattarsi di atti o documenti inerenti ad un procedimento giudiziario, ancorché concluso, in relazione al quale l'avvocato espleti, o abbia espletato, un mandato difensivo.

A contrario, si deduce che il materiale non relativo all'oggetto della difesa è sempre sequestrabile, fatta salva, ovviamente, la tutela del segreto professionale, eventualmente opponibile anche in tali ipotesi, nelle forme di legge.

A presidio della correttezza dell'espletamento delle operazioni di ispezione e perquisizione sono poste due garanzie di rilevante importanza: da un lato, la presenza del Pubblico Ministero o del Giudice personalmente, in luogo della Polizia Giudiziaria, abitualmente delegata ad eseguire tali tipi di attività investigative e, dall'altro, l'intervento di un rappresentante del locale Consiglio dell'Ordine degli Avvocati.

L'inosservanza di tali procedure è sanzionata dalla norma con la nullità di ordine generale ex art. 178, lett. c) c.p.p., se non è stato avvertito preventivamente il Presidente del Consiglio dell'Ordine, e dalla inutilizzabilità dei risultati investigativi, se l'atto non è stato compiuto dal magistrato, unico soggetto legittimato a farlo.

L'ultimo comma della norma in esame sancisce, infine, l'inutilizzabilità assoluta di tutti gli elementi probatori acquisiti in violazione delle garanzie apprestate dai commi precedenti, dichiarabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, a mente dell'art. 191, comma 2, c.p.p.

Guida all'approfondimento

CIANI, Ancora qualche puntualizzazione sulle garanzie di libertà del difensore, in Cass. pen. 1998, 848;

FILIPPI, Le nuove norme su intercettazioni e tabulati, Pisa, 2018;

FOTI, Perquisizione e sequestro presso uno studio legale: quali sono i limiti alle garanzie di libertà del difensore?, in Diritto & Giustizia, fasc.24, 2015, p. 47.

GRILLO, Perquisizione e sequestro negli studi legali: ultimissime dalla Cassazione, in Diritto & Giustizia, fasc. 108, 2018, p. 14;

JESU, Le garanzie di libertà del difensore nella ricostruzione delle Sezioni Unite: un'opportuna precisazione e qualche nuovo dubbio, in Cass. pen. 1994, 2020;

MONTAGNA, In tema di sequestro presso il difensore, in Giur. It. 1995, 105.

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