Nessuna giustificazione per chi aiuta il prossimo congiunto detenuto in 41-bis a eludere le prescrizioni carcerarie

Redazione Scientifica
31 Luglio 2018

All'udienza del 20 luglio 2018, la Sezione II della Cassazione penale ha deciso che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 391-bis c.p., sollevata per contrasto con l'articolo 3 della Costituzione (in riferimento agli artt. 386, 390 e 391 c.p.), nella parte in cui non prevede che la pena è diminuita se il colpevole è un prossimo congiunto.

All'udienza del 20 luglio 2018, la Sezione II della Cassazione penale ha deciso che:

«è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 391-bis c.p., sollevata per contrasto con l'articolo 3 della Costituzione (in riferimento agli artt. 386, 390 e 391 c.p.), nella parte in cui non prevede che la pena è diminuita se il colpevole è un prossimo congiunto. La ratio dell'art. 391-bis c.p. risiede nell'esigenza di evitare i collegamenti tra il soggetto detenuto in carcere e sottoposto al regime penitenziario di cui all'art. 41-bis l. n. 354 del 1975 ed altri membri di un medesimo sodalizio criminale ancora in libertà od a loro volta ristretti; per tale ragione, le condotte dei prossimi congiunti che fungono da intermediari tra il recluso ed il mondo esterno non sono rivolte ad esclusivo vantaggio del congiunto ristretto, come nei casi previsti dagli artt. 386, 390 e 391 c.p. – il che giustifica la prevista attenuazione della pena edittale – bensì anche del sodalizio di volta in volta enucleato».

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.