Aumento di pena ex art. 81, comma 4, c.p. in sede di appello. Violazione del divieto di reformatio in pejus?

Redazione Scientifica
01 Agosto 2018

Se la pena irrogata in primo grado si basa su un errore nel calcolo degli aumenti di pena da operare in caso di continuazione, in sede di appello il giudice è tenuto a condannare alla pena corretta e, qualora questa, nonostante sia intervenuta l'assoluzione per uno dei reati contestati, risulti identica a quella irrogata in primo grado non sussiste alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus.

Se la pena irrogata in primo grado si basa su un errore nel calcolo degli aumenti di pena da operare in caso di continuazione, in sede di appello il giudice è tenuto a condannare alla pena corretta e, qualora questa, nonostante sia intervenuta l'assoluzione per uno dei reati contestati, risulti identica a quella irrogata in primo grado non sussiste alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus.

Il principio è stato affermato da Cass. pen., Sez. II, n. 31798/2018.

Nel caso di specie il ricorrente era stato condannato in primo grado, alla pena ritenuta di giustizia, per i reati di furto, possesso ingiustificato di chiavi alterato, guida senza patente e violazione di una prescrizione indicata nella misura di prevenzione cui egli era sottoposto.

In secondo grado, l'imputato veniva assolto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato dal reato di giuda senza patente. Il reato contestato come furto in abitazione veniva altresì riqualificato come ricettazione. La pena rimaneva però inalterata.

Sul punto il ricorrente lamentava:

  • violazione della legge penale per aver la Corte territoriale applicato in concreto la recidiva contestata;
  • inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con violazione del divieto di reformatio in pejus, perché, a fronte dell'assoluzione in appello per il reato di guida senza patente, la pena inflitta dal primo giudice non è stata diminuita.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato:

«non vi è stata la violazione del principio del divieto di reformatio in peius, avendo già il primo giudice richiamato l'operatività nella fattispecie dell'art. 81, quarto comma, c.p., secondo il quale, in caso di applicazione della recidiva reiterata, l'aumento di pena per i reati satellite non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave. La Corte territoriale ha correttamente rilevato che il tribunale, richiamata la norma, ha poi determinato l'aumento di pena in misura inferiore a detto limite minimo, non avendo considerato che lo stesso deve essere applicato sulla pena già aumentata per effetto della recidiva stessa (Cass. pen., Sez. II, n. 49488/014, Youssef; (Cass. pen., Sez. II,n. 44366/2010, D'Ambra). Considerato che l'aumento di pena non inferiore ad un terzo, previsto dall'art. 81, quarto comma, c.p. va riferito all'aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo, come ribadito dalle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, n. 31669/2016, Filosofi), ne consegue che la pena inflitta dal primo giudice cumulativamente per i tre reati satellite, con riferimento al minimo legale (ed invero inferiore, come detto), sarebbe stata la medesima – e tale deve rimanere – anche qualora i reati satellite fossero stati due (o anche solo uno). Pertanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che l'assoluzione per la contravvenzione di guida senza patente non avesse alcun rilievo sul trattamento sanzionatorio»

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