Nel divorzio congiunto non conta la revoca del consenso

Redazione Scientifica
02 Agosto 2018

In tema di divorzio congiunto la revoca del consenso di uno dei coniugi non comporta necessariamente il diniego della domanda di scioglimento del matrimonio. Si tratta infatti di una decisione che deve prendere il giudice avente presupposti completamente diversi da quella prevista per la separazione consensuale.

Sul punto la Cassazione con ordinanza n. 19540/2018, depositata il 24 luglio.

Il caso. La Corte d'Appello di L'Aquila rigettava il gravame promosso dall'interessato avverso la sentenza di prime cure del Tribunale di Pescara con la quale veniva dichiarata improcedibile la domanda congiunta di divorzio promossa dal medesimo in inziale accordo con la moglie. I Giudici di merito rilevavano che all'udienza di comparazione dei coniugi la moglie aveva revocato il consenso precedentemente prestato.

La decisione di merito è impugnata con ricorso per cassazione dall'originario richiedente il quale denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge sul divorzio, in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile la revoca unilaterale del consenso alla domanda congiunta di divorzio senza considerare che, al contrario di quanto accade nella separazione consensuale, la stessa non impedisce l'accertamento della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio.

Domanda di divorzio congiunta e valore della revoca del consenso. Ricorda la Corte di Cassazione che in tema di divorzio a domanda congiunta l'accordo tra i coniugi ha natura meramente ricognitiva «con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale la cui sussistenza è soggetta a verifica da parte del tribunale», il quale ha pieno potere decisionale. La revoca del consenso da parte di uno dei coniugi è inammissibile solo con riferimento al valore negoziale in ordine all'accordo sulle condizioni del divorzio e sulla scelta dall'iter processuale, nei quali sono esclusi ripensamenti unilaterali, «configurandosi la fattispecie non già come somma di distinte domanda di divorzio o come adesione di una delle parti alla domanda dell'altra, ma come iniziativa comune e paritetica, rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi».

Differenza tra separazione consensuale e divorzio congiunto. Da ciò consegue che, secondo la Suprema Corte, non può condividersi la decisione di merito secondo cui, analogamente a quanto accade nel procedimento di separazione consensuale, la revoca del consenso comporta il venir meno del requisito indispensabile per l'accoglimento della domanda, in quanto ciò «si pone in contrasto con le profonde differenze riscontrabili tra le relative discipline».

La separazione consensuale infatti «individua il presupposto sostanziale della fattispecie nell'accordo tra i coniugi, al quale il tribunale è chiamato ad attribuire efficacia dall'esterno, mediante un'attività di controllo che non può mai tradursi in un'integrazione o una sostituzione del consenso delle parti». Mentre il divorzio congiunto, «richiede una pronuncia costitutiva, fondata sull'accertamento dei presupposti richiesti dall'art. 3 della l. n. 898/1970», con la conseguenza che se la separazione consensuale produce un procedimento di giurisdizione volontaria, il divorzio congiunto costituisce espressione di giurisdizione contenziosa.

In conclusione la Cassazione, applicando i citati principi, ha ritenuto fondato il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale che, nonostante la revoca del consenso di uno dei coniugi, dovrà provvedere ugualmente all'accertamento dei presupposti del divorzio.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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