Accertamento negativo della falsità del testamento olografo e onere della prova

Francesco Bartolini
02 Agosto 2018

La questione in esame nella pronuncia in commento è la seguente: la parte che intende contestare l'autenticità del testamento olografo deve proporre una domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e deve dare la prova di quanto afferma?
Massima

La parte che contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.

Il caso

La parte ricorrente per cassazione aveva senza successo chiesto ai giudici di merito di accertare e dichiarare la propria qualità di erede legittima della madre in conseguenza della nullità del testamento olografo che aveva favorito il fratello. La consulenza tecnica disposta d'ufficio attribuiva la scrittura alla defunta e in tal senso aveva pronunciato il tribunale in primo grado mentre il successivo appello era stato ritenuto inammissibile. Con il ricorso alla Suprema Corte si deduceva, tra l'altro, l'asserita violazione dell'art. 216 c.p.c. per inosservanza dell'onere della prova: essendo stata impugnata l'autenticità del documento, si asseriva con il gravame che la controparte, intendendo valersi dello stesso, avrebbe dovuto manifestare con apposita dichiarazione la volontà di servirsene come titolo del suo preteso diritto. Un tale intento non era stato espresso, contrariamente a quanto richiedeva la norma codicistica, con la conseguenza per cui si sarebbe dovuto decidere senza tener conto del testamento e secondo le regole della successione legittima.

La questione

La questione posta alla Corte muoveva da un presupposto che il ricorrente dava per acquisito. Il testamento, si ricordava, non è che una scrittura privata sì che, pur se proveniente da un terzo rispetto alle parti in causa, la contestazione della sua sottoscrizione e della sua integrità deve seguire i precetti imposti per tale genere di documenti dalle norme in tema di verificazione e di querela di falso. In particolare, si affermava, se chi contesta un documento olografo propone una domanda di accertamento negativo, deve applicarsi per analogia il principio (stabilito per la verificazione e per la querela di falso) per il quale la controparte deve dichiarare se intende ugualmente avvalersi di esso, pena l'inutilizzabilità di questo come titolo nel processo. La normativa vigente dispone, infatti, che in difetto della dichiarazione il giudice non deve tener conto della scrittura e deve, pertanto, giudicare come se essa non esistesse. Aveva dunque errato il tribunale (si concludeva) nel rigettare la domanda fondata sull'avvenuto mancato assolvimento dell'onere della prova circa la riferibilità e la veridicità della scheda testamentaria.

Le soluzioni giuridiche

L'assunto che costituisce il presupposto della tesi del ricorrente è stato sottoposto a un sintetico vaglio critico dalla Corte, che lo ha sconfessato. Quale (praticamente unico) argomento in proposito è valso il richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite, resa con sentenza n. 12307/2015, secondo cui la parte che intende contestare l'autenticità del testamento olografo deve proporre una domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e deve dare la prova di quanto afferma. Il testamento olografo è una scrittura privata del tutto peculiare, in quanto caratterizzata da una intrinseca forza dimostrativa che lo differenzia dagli ordinari documenti. La parte che agisce per contestarlo in giudizio pone una quaestio inexistentiae, volta a rimuovere il titolo della successione e, quindi, a disconoscere gli effetti del testamento come conseguenza del riconoscimento della sua falsità. Per tale ragione la parte interessata è onerata della prova del suo assunto, senza che possa configurarsi alcun contrapposto onere del soggetto evocato in giudizio di dichiarare preventivamente di voler utilizzare il testamento che lo designa erede. Sulla parte che contesti l'autenticità del documento olografo ovvero deduca che la scheda testamentaria non proviene da chi ne appare l'autore grava l'onere della prova, e ciò indipendentemente dalla posizione processuale rivestita. Con la conseguenza, evidenziata nell'ordinanza, che, ai fini dell'esperimento dell'azione di accertamento negativo, si deve avere riguardo esclusivamente ai principi generali dettati con riferimento a tale azione di impugnativa negoziale, tra i quali non si annovera alcun onere della parte contro cui l'azione è proposta di dichiarare di volersi avvalere dell'atto, né quale autonomo requisito dell'azione di impugnazione né attraverso il richiamo analogico ai principi vigenti in tema di verificazione e disconoscimento delle scritture private.
La Corte ha conclusivamente affermato che il richiamo effettuato dal ricorrente all'art. 216 c.p.c. evocava regole valevoli sul piano dell'efficacia sostanziale e del trattamento processuale per le scritture private in genere. Le quali regole non sono applicabili all'azione di accertamento negativo della falsità del testamento olografo. Questo atto non è contestabile attraverso il procedimento previsto per le altre scritture private e tale circostanza esclude l'applicabilità della citata disposizione.

Osservazioni

Così come la parte ricorrente ha preso le mosse da un presupposto che dava per scontato, anche la decisione della Corte ha assunto come punto fermo dal quale far discendere la motivazione un assunto che è formalmente esterno alla decisione ed è semplicemente richiamato come postulato della successiva argomentazione. Il dato di partenza è costituito dalla conclusione cui erano pervenute le Sezioni unite con la sentenza n. 12307/2015: la contestazione di provenienza e autenticità del testamento olografo deve avvenire nelle forme processuali dell'accertamento negativo e la prova è a carico di colui che effettua la contestazione, sia egli attore o convenuto. Non si applicano le norme sul disconoscimento e sulla querela di falso, dedicate alle scritture documentali in senso stretto. Da queste affermazioni, riprese dalla sezione semplice con assoluto adeguamento, è scaturita la conseguenza di rilievo decisivo per la causa in corso: era del tutto irrilevante che la controparte non avesse dichiarato di volersi avvalere del testamento, nonostante l'addebito di falsità, perché una siffatta dichiarazione è imposta unicamente per le azioni di disconoscimento e di querela di falso e non è affatto prevista per l'azione generica di accertamento negativo.
Quel dato di partenza era costato alle Sezioni unite una lunga e torturata motivazione. In allora esse avevano dovuto intervenire sulla dibattuta questione concernente la natura giuridica del testamento olografo e le procedure da esperire per discuterne in giudizio l'autenticità. Il quesito trovava ragione nella speciale posizione dell'atto di volontà, quale documento proveniente da un privato in posizione di terzo per le parti direttamente in causa e, per certi aspetti, avente effetti di maggiore rilievo rispetto alle scritture private ordinarie.
In proposito le Sezioni Unite osservavano come l'elaborazione dottrinale avesse posto in luce elementi idonei a classificare il testamento olografo sia come scrittura privata ordinaria che come atto avente una efficacia paragonabile a quella dell'atto pubblico. In quest'ultimo senso si citavano, a dimostrazione di una innegabile differenza, l'immediata esecutività dell'atto, la sua trascrivibilità e la disciplina penalistica che ne accomuna la tutela al documento pubblico nelle ipotesi di falsificazione. Appariva certo, anche a chi sosteneva la natura strettamente privata del testamento, che il testamento olografo è una scrittura il cui tratto formalistico – l'olografia, la datazione, la sottoscrizione – ai fini della sua validità la rende una scrittura privata sui generis, i cui requisiti tendono a garantire la corrispondenza del contenuto del documento a quello della dichiarazione nonchè la tutela dell'integrale autenticità contro le manomissioni esterne. Proprio all'olografia doveva riconoscersi attribuita una funzione specifica, ossia la funzione integrativa della “conoscenza“ dell'atto, nel senso che con essa vuol garantirsi che il testo sia stato “conosciuto” dal suo autore, in un significato che va oltre la “presunzione di conoscenza” delle normali scritture.
Nella sentenza si dava atto dell'insufficienza della riconduzione del testamento olografo tanto alla categoria delle scritture private tout court quanto a quella dei documenti richiedenti la contestazione a mezzo della querela di falso. In questa situazione riteneva il collegio di aderire ad un insegnamento proveniente da una decisione del 15 giugno 1951, n. 1545 (Pres. Mandrioli, rel. Torrente) che evidenziava una soluzione di terza via, quella della necessità di servirsi come unico strumento di impugnazione dell'azione di accertamento negativo della falsità.
Questo retroterra di argomentazioni e di acquisizioni emerge soltanto dalla lettura della sentenza delle Sezioni unite del 2015, che serve come necessario passaggio per comprendere la reale portata della pronuncia contenuta nell'ordinanza più recente. Il principio di diritto enunciato da questa emerge, dunque, nella sua completezza soltanto dalla considerazione degli arresti che l'hanno preceduta.
Nel medesimo senso la Corte si era già espressa con indicazioni prevalenti nel contrasto giurisprudenziale. Si vedano, ad esempio, Cass. civ., sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 140, Cass. civ., sez. II, 22 settembre 2017, n. 22197 e Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1995.
L'azione di accertamento negativo avente come riferimento il testamento olografo non si differenzia per nulla da quella che può riguardare altri atti giuridici o altri rapporti. Il principio per cui spetta alla parte che agisce in accertamento negativo di un diritto fornire la prova del proprio assunto è stato affermato, per esempio, a proposito dell'azione di opposizione all'ingiunzione fiscale (qualificata come azione di accertamento negativo: Trib. Potenza, 14 febbraio 2018), dell'azione proposta dal convenuto con domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2017, n. 25113) e in tema di controversie su rapporti bancari (Trib. Spoleto, 26 giugno 2017, n. 223; Trib. Vicenza, 28 gennaio 2016).

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