Società tra Avvocati e relativo trattamento fiscale
06 Agosto 2018
L'esercizio della professione forense in forma societaria, è frutto di un recentissima riforma. Difatti, in ragione della Legge n. 1815 del 23 novembre 1939 e fino al 2011, sussisteva lo storico divieto di costituire società per l'esercizio di professioni protette. L'unica forma associativa consentita ai professionisti era allora quella dello studio associato (v. art. 16 D.Lgs. n. 96/2001, in attuazione della Direttiva n. 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro, diverso da quello in cui era acquisita la qualifica professionale), costituito solo tra soggetti regolarmente iscritti a un albo professionale e comprendente nella denominazione, il nome e il cognome di tutti gli associati. Tale divieto, veniva rimosso dall'art. 10, commi da 3 a 11 della Legge 183/2011 che introduceva, in modo espresso, le società tra professionisti per l'esercizio associato delle attività professionali governate attraverso gli Ordini, mantenendo, nel contempo, la possibilità di esercitare tali attività secondo i modelli associativi già esistenti(ad esempio, studio associato). Preso atto dello scarso successo riscosso dallo schema di “Società tra avvocati” introdotto con il D.L. 96/2001, con la Legge n. 247/2012 (“Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”), il legislatore aveva delegato il Governo affinché si occupasse di ripensare alla disciplina delle medesime, indicando all'art. 5 - oggi abrogato - una serie di importanti criteri direttivi. Detta delega non è mai stata attuata. Orbene, la riforma della disciplina dell'esercizio in forma societaria della professione forense, proseguiva il 29 agosto 2017 ove, a seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento della c.d. Legge sulla Concorrenza (v. art. 1, comma 141 Legge 04.08.2017, n. 124, pubblicata nella Gazz. Uff. 14 agosto 2017, n. 189), era inserito l'art. 4-bis alla Legge n. 247/2012, relativa all'ordinamento della professione forense. Tale norma disciplina l'esercizio della professione forense in forma societaria, superando la precedente disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 96/2001.
Completa la revisione della materia la Legge di Bilancio 2018 (v. art. 1 comma 443 Legge 27 dicembre 2017, n. 205, entrata in vigore in data 01.01.2018), la quale interviene – anche - in materia di Società tra Avvocati (di seguito STA), disponendo con un intervento di carattere integrativo sulla Legge Forense (v. Legge n. 247/2012), l'inserimento obbligatorio, nella denominazione sociale, dell'indicazione “società tra avvocati”, nonché l'applicazione della maggiorazione percentuale, relativa al contributo integrativo (4 % del volume d'affari) di cui all'art. 11 Legge n. 576/1980, da applicare ai corrispettivi rientranti nel volume annuale d'affari ai fini dell'IVA e l'obbligo di riversamento annuale alla Cassa Nazionale di Previdenza Forense. La tipologia societaria
A mente del nuovo comma 1 dell'art 4-bis L. 247/2012, “..l'esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative”. In altre parole, dal tenore letterale della riforma, si evince che sarà possibile costituire uno Studio Legale con la forma di qualsiasi modello: a) di società di capitali [S.r.l., S.p.A., S.a.s. (si deve escludere la Srls poiché il legislatore, all'art. 2463-bis, impone l'adozione nell'atto costitutivo di specifiche ed inderogabili clausole statutarie pattizie individuate nel modello standard tipizzato), b) disocietà di persone (S.s., S.n.c. e S.a.s.) e c) di società cooperative.
Le STA, dunque, non si pongono come un genere ad hoc rispetto alle tipologie di società disciplinate nel nostro Codice Civile, né s'impone l'utilizzo della sola tipologia di società in nome collettivo, come avvenuto con il D.L. n. 96/2001. Ne deriva che le “Società tra avvocati” così costituite, saranno soggette a tutte le disposizioni previste ex lege per il modello societario adottato, salvo quanto diversamente ed espressamente previsto dalla normativa speciale. A seconda del modello societario prescelto, ciascun socio potrà conferire alla società denaro, beni mobili o immobili, utili al perseguimento dell'oggetto sociale, nonché la propria opera professionale, qualora il socio sia un professionista. In ultimo, ex comma 6 art. 4-bis L. n. 247/2012, è previsto che ciascuna STA sarà tenuta al rispetto del codice deontologico forense e sarà soggetta alla competenza disciplinare dell'ordine degli avvocati di appartenenza. Obbligo di iscrizione e divieti di partecipazione
A mente del novellato comma 1 dell'art. 4-bis Legge n. 247/2012, i soci, al momento della costituzione della STA, devono attivarsi al fine di iscrivere la società nell'apposita sezione degli albi o dei registri conservati all'interno dell'Ordine degli Avvocati (competente per territorio a seconda della sede della società) e, successivamente, comunicare al medesimo Ordine ogni vicenda modificativa (variazione della ragione/denominazione sociale, dell'oggetto sociale, della sede legale, del nominativo del legale rappresentante, dell'atto costitutivo e così via). È, altresì, previsto l'espressa impossibilità di partecipare alle STA, mediante società fiduciarie, trust o per interposta persona, ma non di partecipare a più STA contemporaneamente. Sul punto, il legislatore ha previsto una sanzione nell'ipotesi in cui la disposizione sia violata: l'Ordine degli Avvocati, accertata l'inosservanza, procederà all'esclusione di diritto del socio dalla STA. Composizione STA
In ordine alla composizione delle STA, è possibile distinguere tra soci avvocati, soci professionisti diversi dagli avvocati e soci non professionisti. Difatti, a mente del comma 2, lett. a) dell'art. 4-bis Legge n. 247/2012, le STA, costituite nelle summenzionate forme, devono essere composte per due terzi (2/3) del capitale sociale (e dei diritti di voto) o da avvocati o da avvocati unitamente ad altri professionisti iscritti nei rispettivi albi. Per il restante un terzo (1/3), la società può essere composta da soci di capitale non professionisti, aventi diritto di voto. Qualora il numero dei soci professionisti (avvocati e non) e la loro partecipazione al capitale sociale della STA, divenga inferiore ai 2/3 ed entro il termine perentorio di sei mesi non si ristabilisca lo status quo, si avrà lo scioglimento della società e la cancellazione dall'albo. È, altresì, pacifica la multidisciplinarietà delle STA, ossia la partecipazione di altri professionisti “iscritti in albi di altre professioni”, in aggiunta ai soci avvocati (v. Parere C. O. A. Milano del 7 febbraio 2018), con l'obiettivo di favorire la creazione di sinergie con altre categorie professionali e ampliare le opportunità di mercato. Ovviamente, in tale caso, l'oggetto sociale potrà riguardare l'attività forense e altra attività permessa dagli Statuti delle altre professioni. Correttamente dunque si prevede (nella richiesta di parere) che “la società dichiari, nel proprio oggetto sociale, l'esercizio delle relative professioni, oltre a quella forense”. Deve segnalarsi che in seguito alla riforma, il rilascio della procura e/o dell'incarico professionale potrà esser dato direttamente alla società, e non più alla persona, la quale sottoscriverà gli atti giudiziali. La legge, infatti, recita che: “L'incarico deve essere svolto...” (v. art. 4-bis, comma 3, L. n. 247/2012), non che l'incarico deve essere affidato; né da nessuna parte la legge esclude che l'incarico possa essere affidato alla società. In merito alla gestione societaria, le lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 4-bis, statuiscono che l'organo di amministrazione deve essere composto in maggioranza da soci iscritti all'Albo degli Avvocati, mentre la restante parte può anche esser composta da soci professionisti non avvocati o da soci non professionisti. Stante il dato letterale dell'ultimo periodo del comma 2, lett. c) dell'art. 4-bis L. n. 247/2012, ove si legge che “i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori”, il ruolo di amministratore della STA può essere ricoperto, sia da soci di capitale, che da soci professionisti (avvocati e non), superando così le problematiche inerenti l'incompatibilità per l'avvocato nell'assunzione della carica di amministratore.
A mente del comma 5 dell'art. 4-bis più volte citato, le vicende professionali del socio avvocato, quali sospensione, cancellazione o radiazione dall'Albo di appartenenza, si ripercuotono anche sulla vita del medesimo all'interno della Società, comportandone l'esclusione dalla società. In tali estreme ipotesi, sarà obbligo della STA di sostituire il socio professionista radiato o sospeso, così da proseguire la causa senza alcun pregiudizio, né per il cliente in ordine alla tutela legale, né per la STA in ordine al pagamento dei compensi.
Anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria, resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale (v. art. 4 bis, comma 3). L'incarico può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente, i quali assicurano per tutta la durata dell'incarico la piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità, iniziali o sopravvenute. In altri termini, l'accordo tra cliente e società fa nascere un'obbligazione di prestazione professionale a carico di quest'ultima, la quale ovviamente può essere eseguita solamente da un socio avvocato. Peraltro, le obbligazioni nascenti dall'obbligazione della prestazione professionale divengono inevitabilmente obbligazioni sociali, con tutto ciò che ne deriva. Qualora il professionista individuato ed incaricato della prestazione professionale, per esempio, si dimostri inadempiente o, diversamente, receda dalla partecipazione alla STA, sarà la società a risponderne, sulla base della disciplina legale afferente il modello societario scelto. A sua volta la responsabilità della società e quella dei soci, non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione. Profili fiscali e tassazione delle STA
Per ciò che attiene alla qualifica dei redditi prodotti dalle società tra avvocati (STA), si evidenzia che dalla Legge n. 124/2017, non si rinviene alcuna disposizione specificamente diretta a disciplinare il trattamento fiscale dei redditi derivanti dall'esercizio “in forma societaria della professione forense”. Ciò detto, al fine di dare giusta qualifica ai redditi prodotti, deve ricordarsi che il citato art. 4 bis, costruisce le STA, quali species delle società di persone, delle società di capitali e delle cooperative. Ciò comporta che le STA, risulteranno automaticamente soggette, sul piano civilistico e fiscale, alla disciplina applicabile a ciascuno dei richiamati modelli societari: pertanto, i redditi dalle stesse prodotti, soggiacciono al regime di tassazione dei redditi d'impresa (v. artt. 55 e ss. d.P.R. n. 917/1986 e 72 e ss. d.P.R. n. 917/1986). Difatti, per ciò che attiene a fattispecie speculari, già in passato la stessa Agenzia delle Entrate aveva qualificato il reddito prodotto dalle società di ingegneria (v. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 56/E del 4 maggio 2006) o dalle società tra professionisti (v. Risposta ad interpello n. 954-93 del 09.05.2014 e la Consulenza giuridica n. 954-55/2014 del 16 ottobre 2014 della Direzione Centrale Normativa dell'Agenzia delle Entrate), quale reddito d'impresa. L'automatica qualificazione dell'attività svolta dalle STA quale attività di impresa, a prescindere da ogni indagine sul concreto contenuto dei servizi prestati, comporta che i compensi per prestazioni professionali dalla stessa svolte, sono destinati ad assumere rilevanza, sul piano fiscale, secondo il principio di competenza (v. art. 109 d.P.R. n. 917/1986) e non sono soggetti a ritenuta di acconto (v. art. 25 d.P.R. n. 600/1973).
A tali modelli societari, il TUIR (v. art. 5 d.P.R. n. 917/1986) riserva un modello di tassazione per trasparenza dei redditi prodotti in forma associata (in tal senso si è recentemente espressa la Direzione Regionale della Lombardia, in risposta all'interpello n. 904-1126/2017, relativamente ad un quesito relativo alle società tra professionisti; la soluzione può essere, a parere di chi scrive, sicuramente applicata anche alle società tra avvocati). Difatti, indipendentemente dall'effettiva percezione, i redditi prodotti da società di persone vengono, in altri termini, automaticamente attribuiti pro quota ai soci e assoggettati in capo ad essi ad aliquota progressiva IRPEF (qualora i soci siano soggetti passivi IRPEF) o ad aliquota proporzionale IRES (nel caso in cui il socio assuma veste di soggetto passivo IRES). La società non è soggetta ad IRPEF, ma sconta solamente l'IRAP e l'IVA. Ora, per le società in nome collettivo e in accomandita semplice, non sussiste alcuna incertezza in merito alla qualifica del reddito prodotto, stante che l'art. 6, comma 3, TUIR introduce una presunzione assoluta di commercialità dei redditi comunque generati, i quali devono essere tassati secondo le regole proprie del reddito d'impresa e risultano, dunque, fiscalmente rilevanti secondo il principio di competenza economica. Qualora la STA assuma la veste di società semplice, occorrerà procedere ad una preventiva verifica in ordine alla tipologia di reddito prodotto. In questo contesto, i proventi derivanti dall'esercizio in forma societaria della professione forense potranno, a ragion veduta, essere qualificati come redditi di lavoro autonomo (v. art. 53 d.P.R. n. 917/1986), soggetti a ritenuta alla fonte e tassabili per cassa in capo ai soci percettori.
Per ciò che attiene alle società di capitali di cui all'art. 73 TUIR, i compensi per prestazioni professionali percepiti dalle STA, sono destinati ad assumere rilevanza, sul piano fiscale, secondo il principio di competenza (in base al quale, per ogni periodo d'imposta, vanno individuati tutti gli elementi positivi e negativi di reddito riferibili al periodo stesso, indipendentemente dalla manifestazione finanziaria dei fatti economici, v. art. 109, co. 1 TUIR), non sono soggetti a ritenuta di acconto, ex art. 25, d.P.R. n. 600/1973 e verranno tassati con l'aliquota Ires del 24 % (v. art. 77 Tuir). Ciò, in ragione di quanto affermato dall'art. 81 TUIR il quale riconduce entro la categoria del reddito di impresa il “reddito complessivo” delle predette persone giuridiche, a prescindere dalla fonte di provenienza. Ne consegue l'automatica qualificazione dell'attività svolta dalle STA quale attività di impresa e ciò, tralasciando ogni indagine sul concreto contenuto dei servizi prestati (v. combinato disposto artt. 6 e 81 TUIR). Ove la STA dovesse produrre utili (o riserve di utili) distribuiti ai soci, essi andranno tassati come redditi di capitali di cui all'art. 44, comma 1 lettera e) d.P.R. n. 917/1986. Ora, a mente del citato art. 44, per i redditi di capitali percepiti da persone fisiche non in regime di impresa, a partire dal 1 gennaio 2018, in cui è stata eliminata ogni distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate (v. art. 1 commi 1000-1006 Legge 205/2017), è prevista la tassazione con la sola imposta sostitutiva al 26 %. In tal caso il socio persona fisica non in regime d'impresa, non dovrà riportare nulla in dichiarazione dei redditi, poiché in questo caso è la società stessa che effettua e versa la ritenuta d'acconto. La società sarà tuttavia obbligata alla presentazione della Cupe (Certificazione degli utili e dei proventi equiparati di cui all'art. 4, commi 6-ter e 6-quater d.P.R. n. 322/1998) e del relativo Modello 770. Per ciò che attiene ai dividendi (ossia distribuzione di utili relativi alla partecipazione al capitale o al patrimonio e di quelli derivanti da strumenti similari alle azioni) percepiti da soggetti IRES (es. società di capitali), invece, è previsto un trattamento fiscale di maggior favore. Difatti, i dividendi distribuiti alle società di capitali, non concorrono alla formazione del reddito imponibile in misura pari al 95 % degli stessi (v. art. 89 d.P.R. n. 917/1986), concorrendo all'imponibile di esercizio, nella misura del solo 5%.
Alle STA che assumano forma di società cooperative, si applicano una serie di agevolazioni in materia Ires (v. art. 191 d.P.R. n. 917/1986), di seguito riportate. L'utile devoluto - il 3% degli utili annuali e del fondo residuo - a nuovi fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, è deducibile dal reddito ed è intassabile. Risulta sottoposto a tassazione, invece, il solo 10 % dell'utile netto annuale (v. comma 36-bis, art. 2, D.L. n. 138/2011), destinato a riserva minima obbligatoria, che in precedenza non concorreva, in toto, a formare il reddito imponibile. Non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative le somme destinate a riserva indivisibili, purché ne sia esclusa in via definitiva, la distribuzione fra i soci, anche all'atto dello scioglimento (v. art. 12 Legge n. 904/1977) e gli utili portati ad aumento delle quote dei soci fino al 10 % (v. art. 14 Legge n. 72/1983). Ulteriore beneficio fiscale, nelle STA che adottano la forma delle cooperative, è la deducibilità dal reddito imponibile dei ristorni (v. 2545-sexies, c.c.) erogati ai soci. Per ristorni si intende la restituzione ai soci di una parte del prezzo pagato per acquisire servizi, oppure l'incremento del compenso dei soci per i conferimenti di beni o servizi effettuati o la maggiorazione retributiva per il lavoro prestato dai soci lavoratori (v. art. 12 d.P.R. n. 601/1973, modificato dal comma 23, dell'art. 6 Legge n. 388/2000). In pratica, le cooperative, in caso di risultati di gestione positivi, potranno restituire ai propri soci determinate somme di denaro, realizzando, pertanto, in modo migliore il proprio scopo mutualistico, a beneficio dei soci stessi. Tali somme costituiranno una voce di costo per la cooperativa, deducibile per competenza ai fini delle imposte dirette (reddito imponibile della cooperativa) e non configureranno, se correttamente determinate, distribuzione surrettizia di utili o di patrimonio ai soci. STA ed IRI
Accanto alle regole ordinarie di tassazione vigenti ai fini Irpef ed Ires, occorre considerare che le STA che utilizzano il modello societario delle società di persone, possono scegliere il regime di tassazione Iri. Difatti, a partire dall'1 Gennaio 2018 (v. art. 1 comma 1063 L. n. 205/2017) è possibile applicare a società in nome collettivo e società in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria (v. art. 18 d.P.R. n. 600/1973), la nuova imposta sul reddito di impresa (IRI), assoggettata a tassazione separata, con l'aliquota prevista per l'Ires (v. art. 77 d.P.R. n. 917/1986), fissata al 24% (v. art. 55-bis d.P.R. n. 917/1986). L'Iri interessa, anche, le società a responsabilità limitata ed a ristretta base proprietaria che applicano il regime di trasparenza, per come individuate dall'art. 116 d.P.R. n. 917/1986. L'opzione IRI, ha durata pari a cinque periodi d'imposta, è rinnovabile e deve essere esercitata in dichiarazione dei redditi. Tale sistema, consente di avere accesso ad un regime fiscale che si presenta tanto più vantaggioso, quanto più elevati siano i redditi derivanti dall'attività imprenditoriale e la propensione al reimpiego degli utili in azienda da parte dell'imprenditore. Invero, dal reddito d'impresa sono ammesse in deduzione le somme prelevate, a carico dell'utile d'esercizio e delle riserve di utili, nei limiti del reddito del periodo d'imposta e dei periodi precedenti assoggettati a tassazione separata, al netto delle perdite residue computabili, in diminuzione dei redditi dei periodi d'imposta successivi, a favore dell'imprenditore dei collaboratori familiari o dei soci.
In merito alle perdite d'esercizio maturate da soggetti IRI, esse sono computate in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi per l'intero importo che trova capienza in essi. Pertanto per le STA che dotteranno il regime Iri, sarà prima necessario determinare il reddito d'impresa secondo le ordinarie disposizioni previste per poi, portare in deduzione dal reddito le somme così prelevate nei limiti, ovviamente, del plafond Iri. Gli utili d'esercizio e le riserve di utili derivanti dalle partecipazioni in società che optano per l'IRI, perdono la natura di redditi di capitale e concorrono, invece, alla formazione del reddito del percettore, quale reddito d'impresa. STA soggetto passiva Iva
È pacifico che le STA siano soggetti passivi IVA ed è, altrettanto pacifico, che i corrispettivi percepiti da dette società, costituite ai sensi dell'art. 4-bis Legge n. 247/2012, stante la presunzione assoluta di commercialità degli enti a carattere societario di cui all'art. 4, d.P.R. n. 633/1972 ed in quanto esercenti attività di prestazione di servizi (v. art. 3 d.p.r. n. 633/1972, quali contratto d'opera professionale di cui all'art. 2222 c.c.), siano ricompresi nel campo d'applicazione del tributo IVA. Quale che sia il modello societario adottato, dunque, le prestazioni professionali effettuate dalle STA daranno in ogni caso luogo ad operazioni imponibili ai fini IVA secondo la disciplina ordinariamente dettata dal d.P.R. n. 633/1972. STA soggetto passiva IRAP
In ragione degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997, alle STA deve essere riconosciuta piena soggettività passiva ai fini IRAP, essendo la struttura organizzativa assunta, idonea a comprovare la sussistenza dei requisiti organizzativi minimi che giustificano l'applicazione del tributo. Difatti, come affermato di recente dalla Suprema Corte, l'esercizio di professioni in forma societaria – ivi incluse le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni - costituisce, ex lege, presupposto dell'imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un'autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell'attività (v. SS. UU. Cass. civ., n. 7371/2016). Invero, l'esercizio in forma associata di una professione, è circostanza di per sé idonea a far presumere l'esistenza di un'autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché di non particolare onere economico (v. Cass. civ., n. 22781/2009). È, pertanto, possibile affermare che alle STA deve essere riconosciuta piena soggettività passiva ai fini IRAP. Tassazione compensi percepiti dai soci professionisti amministratori
Ulteriore aspetto da esaminare in seno alle STA, riguarda la tassazione dei redditi percepiti dai soci professionisti, in relazione all'ufficio di amministratore ricoperto in seno al sodalizio. Sul punto, come di recente affermato dalla stessa prassi erariale, laddove un socio rivesta anche la qualifica di amministratore della società, i proventi da questi ricevuti per l'attività di amministratore daranno luogo ad un reddito assimilato ai redditi di lavoro dipendente ai sensi dell'art. 50, comma 1, lett. c-bis), del TUIR (v. Direzione Regionale della Lombardia, risposta all'interpello n. 904-1126/2017, del 19.10.2017). A detta dell'Ufficio, infatti, il compenso percepito dal socio professionista amministratore, è assimilato al reddito di lavoro dipendente ex art. 50, comma 1, lett. c-bis) del Testo unico delle imposte sui redditi, in base al quale sono tali le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, in relazione agli uffici di amministratore, sempreché gli uffici non rientrino nell'oggetto dell'arte o professione di cui all' articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente. Secondo l'Agenzia, infatti, “l'attività svolta dall'amministratore non rientra tra quelle professionali in quanto la società amministrata è la stessa società tra professionisti”. In breve, l'incarico di amministratore del socio professionista non rientra nell'oggetto della «sua» professione perché, nei fatti, questa è svolta per il tramite della persona giuridica che lo rappresenta. Per tanto tali compensi, sono da considerarsi assimilati ai redditi da lavoro dipendente. In conclusione
In conclusione, la recente riforma della società tra avvocati apre nuove prospettive per gli studi legali e nuove opportunità per gli investitori, in uno scenario di mercato in continua evoluzione. Tra tali novità, deve certamente segnalarsi l'apertura ai soci di capitali. Ora, quali sono gli scenari oggi ipotizzabili in seguito a tale innovazione. Dal punto di vista del professionista, il piccolo studio legale (statisticamente maggioritario, soprattutto nel Mezzogiorno), vede con timore l'apertura di un mercato, prima riservato ai soli professionisti, anche a soci “finanziari”, che ragionevolmente saranno portati ad investire nelle strutture medio grandi (già strutturate in forma imprenditoriale e più aperte a contaminazioni di questo tipo). Esso percepisce, sicuramente, tale mutamento come fonte di possibili effetti negativi (sulla quantità e sulla qualità del lavoro). Siffatta situazione, se da un lato insidia le sicurezze fino ad oggi consolidate, consiglia più professionisti ad aggregarsi, anche al fine di costituire sinergie, perfino in ambiti e/o settori differenti.
Di seguito alcune le critiche all'attuale disciplina.
Le STA, come tutte le società commerciali, potranno fallire: quindi se la società tra avvocati è personale, il fallimento si estenderà anche agli avvocati personalmente, i quali risponderanno con il proprio patrimonio illimitatamente delle obbligazioni sociali, ovvero di debiti che possono aver creato altri soci, anche non avvocati, e anche non professionisti. Se la società è di capitali, ai sensi dell'art. 147 L. Fall., per come interpretato dalla Corte di Cassazione (v. Cass. civ., 5069/2017, Cass. civ., n. 4917/2017, Cass. civ., n. 12120/2016 e Cass. civ., n. 1095/2016), potranno egualmente fallire, in proprio, anche quegli avvocati da considerare soci di fatto o occulti della società di capitali. La figura del socio di capitali, apre la strada alla figura del cliente/socio, non tassativamente vietata dalla novella. Difatti, nessun divieto sussiste sulla possibilità che il cliente di una STA, ne sia al contempo anche socio di capitali della suddetta persona giuridica, la quale lavorerà per il cliente/socio che, a fine anno, potrà recuperare sottoforma di dividendo, buona parte di quanto versato alla società per l'attività professionale.
In seno al sodalizio, è pacifico che il socio di capitali potrà, anche, svolgere l'ufficio di amministratore: questi risponderà delle direttive date alla STA solo civilisticamente e nei limiti del capitale investito; all'opposto l'avvocato socio, dovrà sottostare alla volontà della società, ma parimenti agli altri liberi avvocati risponderà illimitatamente delle eventuali infrazioni civili e/o deontologiche. Ed ancora, nulla vieta che in una società tra avvocati, gli stessi avocati siano in netta minoranza, venendosi a creare una “società tra avvocati, non necessariamente a maggioranza di avvocati”. Invero, la novella prevede che i soci debbano essere, per almeno due terzi del capitale sociale, “avvocati iscritti all'albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti in albi di altre professioni” (cd. multidisciplinarietà delle STA). Ne consegue che, paradossalmente, è possibile che all'interno di una STA, la percentuale dei 2/3 del capitale sociale, sia composta anche da altri professionisti e, dunque, potrebbe darsi una società forense fatta, ad esempio, di un solo avvocato che abbia un piccolo capitale sociale, e poi tanti altri professionisti che, unitamente a lui, riescono a raggiungere la quota del 2/3 di capitale sociale.
Deve, inoltre, segnalarsi, che non sussiste alcun divieto per l'avvocato di poter partecipare a più STA cosicché, oggi, un avvocato socio, se ne avrà le capacità economica, potrà partecipare ad un numero infinito di società, magari anche collegate e/o controllate fra loro, e/o dar vita a proprie e vere holding di società aventi ad oggetto l'attività forense. Per tutto quanto appena detto, lo scrivente auspica un'ulteriore intervento legislativo, necessario al fine di meglio regolamentare una materia dalle molteplici applicazioni, destinata non solo ai grandi studi legali già ampiamente strutturati, ma anche ai giovani professionisti, sempre più in difficoltà stante sia la crisi economica, sia le complessità legate ai primi periodi d'esercizio della professione forense. |