Adozione: sì alla conoscenza dei fratelli e delle sorelle

Alberto Figone
14 Agosto 2018

Chi è stato adottato può accedere alle informazioni riservate relative a sorelle o fratelli biologici?
Massima

L'adottato ha diritto a conoscere le proprie origini, accedendo alle informazioni concernenti non solo l'identità dei propri genitori naturali, ma anche quella delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello da parte del giudice mediante procedimento finalizzato a garantirne la riservatezza e la dignità, al fine di acquisire il consenso all'accesso alle informazioni richieste, ovvero il diniego, impeditivo dell'esercizio del diritto.

Il caso

Un uomo adottato, sapendo che anche le proprie sorelle erano state adottate da famiglie diverse, chiede al Tribunale per i minorenni di accedere alle informazioni concernenti la loro identità. L'istanza viene respinta sia in primo che in secondo grado, in difetto di una specifica previsione normativa al riguardo. La Corte di cassazione accoglie invece il ricorso dell'uomo, rimettendo gli atti al giudice a quo, perché proceda all'interpello delle sorelle, sì da avere il consenso ovvero il diniego all'accesso delle loro informazioni da parte del fratello biologico.

La questione

Chi è stato adottato può accedere alle informazioni riservate relative a sorelle o fratelli biologici?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, l'art. 28, comma 6, l. n. 184/1983 (nel testo introdotto con l. n. 149/2001) prevede che colui che è stato adottato (nelle forme dell'adozione “piena”), una volta raggiunta l'età di venticinque anni, possa accedere alle informazioni «che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori». Analoga facoltà è concessa all'adottato che abbia raggiunto la maggiore età, «se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica». L'istanza si propone al Tribunale per i minorenni di residenza, il quale assume informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare se l'accesso alle informazioni riservate «non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente». L'accesso alle informazioni (quantomeno per il soggetto ultraventicinquenne) rappresenta l'oggetto di un diritto potestativo, il cui esercizio il giudice può negare solo quando ritenga che la conoscenza delle origini potrebbe essere di pregiudizio per l'interessato. Ciò potrebbe verificarsi in situazioni di fragilità emotiva dell'istante, ovvero per le condizioni obiettive del concepimento, frutto di una relazione incestuosa, piuttosto che di violenza.

Il comma 7 dell'art. 28 l. n. 184/1983 escludeva l'accesso alle informazioni nei confronti della madre che avesse dichiarato alla nascita di non essere nominata nell'atto di nascita ex art. 30, comma 1, d.P.R. n. 396/2000 (il cd. parto anonimo). La norma intendeva infatti tutelare al massimo il diritto all'oblio della madre. La Corte EDU, con sentenza 25 settembre 2012 aveva ritenuto tale previsione contrastante con l'art. 8 CEDU, escludendo qualsiasi bilanciamento tra gli interessi delle parti in causa (l'oblio, da un lato, e la conoscenza delle origini, quale aspetto dell'identità personale, dall'altro). Per parte sua, la Corte costituzionale, (Corte cost. 22 novembre 2013, n. 278), condividendo le valutazioni della Corte di Strasburgo, ebbe a dichiarare l'illegittimità dell'art. 28, comma 7 l. n. 184/1983, per contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non prevede – tramite un procedimento stabilito per legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre, al fine di un'eventuale revoca dell'anonimato. Ciò non certo per costituire uno status filiationis, ma solo esclusivamente a fini conoscitivi e relazionali.

A seguito dell'intervento della Consulta, si sono formati due diversi orientamenti nella giurisprudenza di merito; da un lato si riteneva necessaria l'entrata in vigore di una legge che disciplinasse termini e modalità dell'interpello, per poter consentire l'accesso alle informazioni da parte dell'interessato, dall'altro si riteneva tale accesso immediatamente esercitabile, previo assenso dell'interessata, da assumersi con l'osservanza rigorosa di specifiche modalità previste da protocolli in essere nelle varie realtà giudiziarie. Il contrasto è stato composto dalle Sezioni Unite della Cassazione, adite dal Procuratore Generale nell'interesse della legge ex art. 363 c.p.c., (Cass., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946, v. A. Figone, In caso di parto anonimo la madre può essere interpellata: lo dicono le Sezioni Unite in IlFamiliarista). Afferma questa decisione come il precedente della Corte costituzionale rappresenti «una sentenza additiva di principio, o di meccanismo», con la conseguenza che la norma censurata continua a vivere nell'ordinamento, se pur con l'aggiunta di un «principio ordinatore, capace di esprimere e di fissare un punto di equilibrio tra la posizione del figlio adottato e i diritti della madre». Il diritto all'accesso da parte del figlio è dunque immediatamente esercitabile, fatto salvo il preventivo interpello della madre ed il suo imprescindibile assenso, con le cautele e le garanzie necessarie. Il bilanciamento tra diritto all'identità del figlio adottivo e quello della madre all'oblio, secondo la Cassazione, non ha più ragione di porsi ove risulti invece il decesso della madre stessa, stante l'intrasmissibilità dei diritti della personalità (Cass. 9 novembre 2016, n. 22838; Cass. 7 febbraio 2018, n. 3004).

Rimane peraltro un'ulteriore questione, su cui interviene la pronuncia annotata. Il ricordato art. 28, comma 6, l. n. 184/1983 fa riferimento all'accesso a informazioni che riguardano tanto l'origine, quanto l'identità dei genitori biologici dell'adottato. Ci si è chiesti se dette informazioni riguardino un unico oggetto (i nomi dei genitori biologici), sicché il richiamo all'origine si risolverebbe in una mera endiadi, ovvero se gli oggetti siano differenti; in questo secondo caso, l'adottato potrebbe attingere anche a informazioni su eventuali fratelli o sorelle naturali. La Corte di Cassazione, disattendendo la decisione impugnata, aderisce alla seconda soluzione, al fine di una più adeguata tutela del diritto all'identità del figlio adottivo. Mette in evidenza peraltro la diversa natura del diritto di quest'ultimo. L'accesso alle informazioni sui genitori (ad eccezione del caso di parto anonimo di cui si è detto) rappresenta un vero e proprio diritto potestativo dell'interessato, da esercitarsi in un procedimento nel quale non esiste il contraddittorio. Per quanto riguarda invece l'accesso alle informazioni su fratelli e sorelle, esso deve essere preventivamente autorizzato dagli interessati, dovendosi adeguatamente bilanciare il loro diritto all'oblio e alla riservatezza. In altri termini, la posizione dei fratelli e delle sorelle naturali è equiparata a quella della madre che abbia chiesto di non essere nominata nell'atto di nascita.

Osservazioni

In questi ultimi anni la ricerca dei parenti è stata resa più agevole dall'utilizzo dei mass media e dei social. La sentenza in esame riconduce il tema in ambito strettamente giuridico e offre ampia tutela a quello che viene definito come diritto alle origini, che costituisce un aspetto specifico del più ampio diritto all'identità personale. La pronuncia è tanto più significativa, ove si consideri che al riguardo non esiste giurisprudenza edita. La formulazione originaria dell'art. 28 l. n. 184/1983 nulla prevedeva al riguardo; l'attuale testo è stato infatti introdotto solo con l. n. 149/2001 e ha rappresentato il punto più discusso della novella. In oggi il figlio adottivo può accedere alle informazioni sui propri genitori biologici, ma solo dopo aver raggiunto i venticinque anni, ossia un'età tale da avergli consentito, anche per il tramite dei genitori adottivi cui è demandato in primis l'onere di informazione, di elaborare il proprio status. Tanto è vero che il Tribunale per i minorenni potrebbe negare l'esercizio di tale diritto solo a fronte di un possibile grave pregiudizio sull'equilibrio psico-fisico dell'interessato dalla conoscenza delle proprie origini. Come osserva correttamente la Cassazione, la valutazione del tribunale minorile non ha ad oggetto la comparazione o il bilanciamento tra diritti della persona tra loro contrapposti, ma rimane ancorato alla sfera personale del richiedente. Difetta pertanto un contraddittorio e il pubblico ministero non è parte, in difetto di un interesse di natura pubblicistica; diverso è invece il caso (che nella specie non rileva) in cui la domanda dovesse provenire da un soggetto maggiorenne, ma di età inferiore ai venticinque anni.

La Corte procede correttamente ad un'«interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente» orientata dell'art. 28 l. n. 184/1983, sì da attribuire giuridica rilevanza al diritto del figlio adottivo di accedere alle informazioni non solo dei genitori biologici, ma pure dei più stretti congiunti, quali i fratelli e le sorelle, ancorché non espressamente menzionati dalla norma. In mancanza di una specifica disciplina, che competerebbe al legislatore fornire, ancora una volta spetta al Giudice farne le veci. La Suprema Corte infatti equipara la posizione dei parenti a quella della madre che aveva optato per il parto anonimo: il diritto alla conoscenza deve trovare adeguato bilanciamento con posizioni soggettive contrapposte, quali l'oblio e la riservatezza. I parenti, e in particolare i fratelli e le sorelle (adulti), devono essere interpellati (ovviamente con le cautele del caso, ben potendo gli stessi essere all'oscuro della loro origine adottiva) ed esprimere il loro consenso. Per quanto attiene le modalità di detto interpello, vengono richiamati i protocolli elaborati dai vari Tribunali per i minorenni, di cui dà atto la più volte richiamata sentenza Cass. n. 1946/2017.

In conclusione, si assiste a una progressiva valorizzazione del diritto alle origini, al di là di quelli che sono i rapporti giuridici formali di parentela, che l'adozione piena determina.

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