Affidamento del minore ai servizi sociali per un tempo predeterminato: presupposti e finalità

Marta Caineri
21 Agosto 2018

Il Tribunale di Milano individua i presupposti, le modalità e le finalità in presenza dei quali è possibile, nell'attuale sistema normativo, disporre l'affidamento di un minore in favore dei servizi sociali, interrogandosi anche sull'ammissibilità di un affidamento a tempo.
Massima

Nell'ipotesi di inidoneità di entrambe le figure genitoriali, il Tribunale, non vincolato alle contrapposte domande, può disporre l'affidamento del minore ai servizi sociali per un tempo determinato, rimettendo a questi ultimi, al termine del periodo, anche la decisione di ripristinare l'affidamento condiviso ovvero di provocare l'intervento del Pubblico ministero perché a sua volta adisca l'autorità giudiziaria competente a pronunciarsi.

Il caso

La sentenza qui in commento origina da un giudizio di separazione personale nel cui ambito ciascun coniuge chiedeva la collocazione presso di sé delle due figlie minori, da affidarsi in via condivisa a entrambi i genitori. A sostegno delle proprie domande, la madre addebitava al padre condotte ingiuriose e minacciose poste in essere alla presenza delle minori, tra cui, in particolare, l'allontanamento coatto di moglie e figlie dalla residenza familiare; il padre deduceva la condizione di alcooldipendenza della madre, che l'aveva portata a porsi alla guida in stato di ebbrezza mettendo a rischio l'incolumità delle ragazze, e la sua incapacità di prendersi responsabilmente cura delle figlie, come evincibile, in particolare, dall'aver negato i problemi di obesità della figlia minore e dall'aver coadiuvato la maggiore a nascondere al padre la bocciatura scolastica.

Il procedimento veniva istruito conferendo ai Servizi sociali l'incarico di monitorare il nucleo familiare, di attivare gli interventi di supporto psicologico – sociale e di ausilio alla genitorialità che dovessero palesarsi necessari e di provvedere all'esame delle minori.

Il Tribunale rilevava l'inidoneità di entrambe le parti a svolgere la funzione genitoriale e, ferma la collocazione presso la madre, affidava la figlia minore (avendo l'altra figlia nelle more del giudizio raggiunto la maggiore età) ai Servizi sociali del Comune di residenza per il periodo di due anni. Disponeva quindi la limitazione della responsabilità dei genitori quanto alle decisioni di maggior interesse relative a istruzione, educazione e salute della figlia, da assumersi, in caso di disaccordo tra genitori, a cura dell'ente affidatario. Incaricava i Servizi del prosieguo degli interventi di supporto in favore della minore e dei genitori e prescriveva che, decorso il termine di due anni, la minore venisse affidata in via condivisa a entrambi i genitori, a meno che l'ente affidatario non rinvenisse situazioni di pregiudizio che ne imponessero la segnalazione al Pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni.

La questione

La questione affrontata dal Tribunale di Milano consiste nell'individuare alla presenza di quali presupposti, con quali modalità e con quali finalità sia possibile, nell'attuale sistema normativo, disporre l'affidamento di un minore in favore dei Servizi sociali e se è ammissibile un affidamento a tempo.

Le soluzioni giuridiche

Numerose e significative sono le ragioni e le circostanze che hanno portato il Tribunale a formulare una prognosi di inidoneità in capo a entrambe le figure genitoriali.

Innanzitutto, è emerso che nessun genitore è stato in grado di essere tutelante nei confronti delle figlie e di coglierne i bisogni emotivi ed educativi a fronte dell'elevata conflittualità caratterizzante gli ultimi anni della vita coniugale, cui le ragazze sono state indebitamente esposte. La madre è risultata essere persona vulnerabile, centrata sulla propria sofferenza, eccessivamente permissiva con le figlie tanto da un punto di vista gestionale quanto educativo. Il padre è apparso poco capace di cogliere le notevoli difficoltà psicologiche e personali delle figlie, nei cui confronti si è spesso posto in termini svalutanti e denigratori, al punto da cagionare un'interruzione dei rapporti con la figlia maggiore per circa un anno. Tali profili di criticità in capo ai genitori appaiono vieppiù importanti e dirompenti ove si consideri l'instabilità emotiva e lo stato di malessere delle ragazze, entrambe portatrici di insuccessi scolastici, avvinte da una relazione fraterna astiosa e competitiva, sofferenti di evidenti disturbi alimentari, abituate ad agiti autolesivi e a ideazioni allucinatorie (la maggiore) ovvero a una relazione morbosa con la madre (la minore).

L'organo giudicante ha quindi concluso che «la perdurante conflittualità dei genitori impedisce di prevedere la possibilità che gli stessi possano adottare scelte condivise circa le questioni sanitarie, educative, scolastiche. Non solo ma la loro inadeguatezza -fragilità, incapacità di mettere al centro l'interesse della minore, incapacità di sostenerla adeguatamente sulle questioni della salute e in particolare della obesità, di sostenerla nella frequenza regolare della scuola e nelle scelte future-, convince del fatto che sia necessario limitare la loro responsabilità genitoriale prevedendo un affidamento di S. al Comune di residenza».

Il Tribunale, con una probabilmente troppo stringata motivazione, ha quindi predeterminato in anni due la durata dell'affidamento ai Servizi sociali, in aperta applicazione analogica dell'art. 4, comma 4, l. n. 184/1983, disponendo, con pronunzia alternativa, l'esito di tale regime di affido temporaneo. Decorso il termine biennale, la minore sarà affidata in via condivisa a entrambi i genitori ove questi assumano adeguate competenze all'esito dei percorsi di sostegno intrapresi, ovvero, ove vengano riscontrate situazioni di pregiudizio in danno della stessa, i Servizi sociali segnaleranno quanto d'uopo al Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni, al fine di sollecitarne gli opportuni interventi.

Osservazioni

Il provvedimento del Tribunale di Milano si colloca nell'alveo di un filone interpretativo ormai consolidato in giurisprudenza, che ammette la possibilità di disporre l'affidamento eterofamiliare dei minori (eventualmente, come nel caso di specie, mantenendo la collocazione presso uno dei genitori, soluzione frequente nella prassi: Trib. Cosenza, sez. II, sent., 18 ottobre 2017, n. 2044; Trib. Genova, sez. IV, sent., 21 luglio 2017; Trib. Napoli, 18 aprile 2008; App. Milano, 30 marzo 2001) a fronte di carenze manifestate da entrambi i genitori nell'esercizio dei compiti di cura, accudimento ed educazione dei figli agli stessi spettanti. Tale modulo di affidamento, pur in difetto di specifica previsione normativa, è ritenuto applicabile in ragione del potere – dovere attribuito in via generale al Giudice dall'art. 337-ter, comma 2, c.c. di adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse materiale e morale di essa (Cass. n. 784/2012; Cass. n. 24907/2008; Cass. n. 19065/2008), ovvero in considerazione del disposto dell'art. 333 c.c., che prevede provvedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale in caso di condotte parentali pregiudizievoli per i figli (Trib. Milano, sez. IX, decr., 14 aprile 2016).

Il profilo della pronunzia in esame che più sollecita l'attenzione dell'interprete attiene tuttavia alla distinta problematica che deriva dal vero e proprio “convitato di pietra” di ogni pronuncia in materia di famiglia, vale a dire la suscettibilità delle situazioni prese in esame di modificare i loro contorni fattuali con il mutare del tempo. Il Legislatore già si fa carico di tale peculiare atteggiarsi della materia, prevedendo la natura necessariamente temporanea delle decisioni, sempre modificabili in presenza di fatti nuovi (art. 337-quinquies c.c.; art. 710 c.p.c.; art. 9 l. n. 898/1970).

L'arresto milanese trasferisce la temporaneità dal versante processuale a quello sostanziale, attribuendo al contenuto del provvedimento un'espressa durata, nella fattispecie biennale, evidentemente derivata in via analogica da quella massima prevista dal citato art. 4, comma 4, l. n. 184/1983.

Si tratta di una soluzione che solleva qualche dubbio, per l'eccessiva dilatazione dei limiti all'efficacia dei provvedimenti giudiziari ch'essa comporta. Da un lato, infatti, viene stabilito un limite temporale prefissato e autostabilito alla capacità della decisione di produrre effetti; dall'altro lato, con soluzione forse ancor più innovativa rispetto alla sistematica processuale vigente, il Giudice prospetta – fra le tante soluzioni possibili rispetto a una situazione temporalmente lontana – due alternative, rimettendo la scelta tra le stesse a un soggetto terzo.

Sono più che comprensibili le esigenze pratiche che presiedono alla decisione che qui occupa e l'utilità che essa presenta per la soluzione del caso concreto, ma la radicalità di quest'ultima induce a qualche riserva sulla sua praticabilità processuale e forse anche sulla sua opportunità, in considerazione degli interrogativi cui, inevitabilmente, dà la stura. Appare infatti problematica l'individuazione del possibile gravame avverso l'atto con il quale i Servizi sociali, decorsi i due anni, potrebbero decidere, errando, per l'affidamento condiviso della minore, ovvero dello strumento processuale per superare l'eventuale ricusazione del Pubblico ministero – certamente non vincolato dalla segnalazione dei Servizi – che, non condividendo le valutazioni dell'ente affidatario, decidesse di non adire il Tribunale .

A parere di chi scrive, non può sottacersi che le soluzioni processuali troppo innovative rischiano forse di aprire più questioni di quelle che, lodevolmente, cercano di risolvere.

Guida all'approfondimento

A. Arceri, L'affidamento condiviso, Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, Milano, 2007;

L. Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, Familia, 2006;

E. Gabrielli, Della famiglia (a cura di L. Balestra) I, artt. 74 – 176, Torino, 2010;

M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, VI ed., Padova, 2015

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