La responsabilità degli esercenti la professione medica dopo la legge Gelli

Alessandro Benni de Sena
22 Agosto 2018

L'approfondimento si prefigge lo scopo di evidenziare le principali novità in materia di responsabilità medica introdotte dalla c.d. legge Bianco-Gelli, con esclusivo riferimento al personale medico. L'analisi di questo specifico aspetto della responsabilità medica sarà comunque condotta tenendo presente l'intero impianto della nuova legge, nonché alcuni aspetti del sistema normativo della responsabilità civile in generale.
Inquadramento e profili generali

A soli tre anni dall'entrata in vigore della discussa l. n. 189 del 2012 (c.d. legge Balduzzi) il legislatore è intervenuto di nuovo con la l. 8 marzo 2017 n. 24 (c.d. legge Gelli), ridisegnando e ridefinendo il sistema della responsabilità medica.

La delicatezza della materia emerge dalla stessa intitolazione della l. (sicurezza delle cure e della persona assistita) e risulta conforme all'idea costituzionale della salute come un bene del singolo, ma anche generale (art. 32 Cost.). La necessità di intervento normativo, tuttavia, sorge da esigenze (dichiarate) di bilancio. Il crescente contenzioso venutosi a creare in anni recenti ha portato, comprensibilmente, il medico ad agire con molta prudenza. Si parla di medicina difensiva o preventiva, consistente o nella prescrizione di farmaci e/o trattamenti non necessari oppure nell'esclusione dei pazienti a rischio da alcuni trattamenti al di là delle normali regole di prudenza, oppure nell'evitare procedure diagnostiche o terapeutiche rischiose. Il risultato comune a queste strategie è l'aumento dei costi diretti per il Servizio Sanitario Nazionale (farmaci o trattamenti non necessari) ovvero nell'aumento del contenzioso (e dei relativi risarcimenti).

Da qui, l'esigenza di individuare un equilibrio tra la tutela del paziente e “ragioni di cassa” ovvero di ricomporre il contrasto venutosi a creare tra interesse privato e interesse pubblico.

Strutturalmente, i primi articoli (artt. 1-4) prevedono la sicurezza delle cure, adempimenti amministrativi di prevenzione e trasparenza, nonché l'istituzione di figure garanti (il difensore Civico, il Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, l'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, si badi, «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»); i restanti articoli (artt. 5-18) riguardano la responsabilità civile e penale delle strutture sanitarie e del personale medico e sanitario, nonché gli aspetti del procedimento risarcitorio in caso di responsabilità sanitaria, gli obblighi assicurativi, l'istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati e le coperture finanziarie.

In questa sede ci concentreremo sulla responsabilità civile degli operatori sanitari, che presenta oggi profili di novità, talvolta definiti copernicani, e che possiamo individuare nella:

  • affermazione della centralità delle raccomandazioni, delle buone pratiche e delle linee guida;
  • ri-definizione dei contorni della colpa e della diligenza del medico in ambito penale e civile;
  • qualificazione della responsabilità civile del medico come aquiliana;
  • allocazione dell'obbligazione risarcitoria in capo alla struttura sanitaria;
  • liquidazione del danno sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass.;
  • agevolazione della soluzione conciliativa della lite rispetto alla soluzione giudiziale,

mediante un intervento normativo complesso, che riguarda più aspetti e settori del rapporto medico-paziente.

In una valutazione unitaria, occorre infatti riconoscere che l'intervento normativo aspira a fornire una disciplina organica della responsabilità medica in tutti i suoi aspetti (la sicurezza delle cure, il monitoraggio e la distribuzione dei rischi, la prevenzione, il monitoraggio dell'attività mediante raccolta dei dati, la responsabilità civile e penale delle strutture e del personale medico, l'assicurazione sulla responsabilità, l'azione di regresso della struttura sanitaria, l'azione diretta del danneggiato verso l'assicurazione, i modi di risoluzione extragiudiziale delle controversie, il Fondo di garanzia, la quantificazione del danno in base alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass., etc.).

La nuova legge mira a garantire, in via preventiva, le condizioni per ottenere un buon rapporto medico-paziente. In questo senso possono essere intese la disposizione di cui all'art. 2 (centralità delle attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione delle prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative; centralità delle attività di prevenzione del rischio, messe in atto dalle strutturo sanitarie col concorso di tutto il personale), ma anche la disposizione di cui all'art. 3 (con l'istituzione dell'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità) e all'art. 4 (sulla trasparenza).

Raccomandazioni delle linee guida e buone pratiche (art. 5)

Centrale è l'art. 5, secondo cui «gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute (…) e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali».

Se, da un lato, la valorizzazione delle linee guida (già presenti del decreto Balduzzi) evoca il concreto rischio della spersonalizzazione e della burocratizzazione dell'attività professionale medica e di ricerca, occorre evidenziare che tali indicazioni sono costantemente pubblicate e aggiornate.

Il rischio, poi, di una medicina semplificata, meccanica e stereotipata deve confrontarsi con la consapevolezza giurisprudenziale che le linee guida possono rappresentare uno strumento utile di accertamento, ma non costituiscono regole cautelari assolute, sia perché prive della prescrittività, sia perché troppo variabili, non affidabili e non escludenti il dovere del medico di perseguire la migliore soluzione per il paziente (Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187; Cass. pen., 18 giugno 2013, n. 39165; Cass. pen., 11 luglio 2012, n. 35922).

L'idea che il riferimento alle linee guida non costituisca un vulnus alla tutela della salute del paziente trova conferma proprio nell'inciso normativo salve le specificità del caso concreto, che non esonerano il medico dalle opportune valutazioni, per cui il formale rispetto delle raccomandazioni potrebbe non portare all'automatica esclusione di responsabilità.

Sul piano tecnico-guridico, è stato evidenziato che le buone pratiche e le raccomandazioni delle linee guide fanno parte delle regole dell'arte e, in via approssimativa, hanno valenza sotto il profilo della perizia tecnica. Oggi e con la nuova legge, sembrano assurgere ad un nuovo rango, essendo collocate sul piano delle fonti del diritto. Pare crearsi una sovrapposizione tra la diligenza nell'esecuzione della prestazione e la fonte del diritto. Le linee guida tendono a formalizzarsi, essendone previsti gli enti idonei a produrle e la pubblicazione. Esse, tuttavia, non hanno la stessa efficacia della legge, vuoi imperativa, vuoi dispositiva. Opinare diversamente, porterebbe davvero alla critica della burocratizzazione della medicina. Altro è il loro significato: il medico deve dimostrare di conoscerle, di averle esaminate criticamente all'atto della scelta diagnostica o terapeutica, sia quando si sia ad esse uniformato, sia quando se ne sia discostato (FRANZONI, infra, 271 ss., secondo cui «la vera funzione delle linee guida è quella di garantire la trasparenza nelle decisioni prese in sede di esecuzione della prestazione professionale, così da assicurare il grado il perizia richiesto e la diligenza da valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata (art. 1176, comma 2, c.c.)».

La responsabilità civile dell'esercente la professione sanitaria (art. 7, comma 3). Natura aquiliana delle responsabilità.

La nuova legge, all'art. 7, ha distinto nettamente la responsabilità della struttura (comma 1), da quella del medico (comma 3).

La prima ha natura contrattuale (e non vi sono novità rispetto agli approdi precedenti), la seconda ha natura extracontrattuale.

Questo rappresenta senza dubbio un punto di assoluta novità della legge, che esclude la teoria del contatto sociale. Ricondotta la responsabilità del medico alla responsabilità aquiliana, le tradizionali conseguenze sono note: onere probatorio a carico del danneggiato e termine di prescrizione più breve rispetto alla responsabilità contrattuale.

Apparentemente, dunque, la legge Gelli favorisce la posizione del medico, che, invero, è articolata e la responsabilità civile e penale va letta congiuntamente.

Il comma 3 stabilisce che «l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5 della presente legge e dell'art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della presente legge».

L'art. 5, come appena visto sopra, riguarda le linee guida. L'art. 6 disciplina la responsabilità penale del medico introducendo l'art. 590-sexies c.p., di cui ci interessa il comma 2: «qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».

La responsabilità penale del medico è diventata più rigorosa (art. 6), per cui la responsabilità è esclusa, nel solo caso di imperizia (e non di imprudenza e/o negligenza), quando siano state rispettate le linee guida.

Sul versante civile, la responsabilità del medico è aquiliana nei confronti del paziente, salvo che non sia stato concluso un vero e proprio contratto di prestazione d'opera professionale. Si tratta di una novità di assoluto rilievo.

Sul piano tecnico, colpisce la scelta legislativa di procedere alla qualificazione giuridica della responsabilità, che spetta all'interprete e al giudice. Semmai, sarebbe stato corretto disciplinare la responsabilità in base alle regole aquiliane (onere della prova, elementi dell'illecito, termine di prescrizione, etc.).

L'invasione di campo risulta più discutibile, tenendo presente che cancella tutta la teorica, ormai cristallizzata, della responsabilità da contatto sociale che si era venuta a creare sin da Cass. civ., sez.III, 22 gennaio 1999, n. 589 poi avallata da Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577. Ancora più criticabile è la previsione del comma 5, in base al quale «le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile».

È stato ricordato che l'art. 1173 c.c. prevede tra le fonti dell'obbligazione non solo il contratto e il fatto illecito, ma anche «ogni altro atto e fatto idonee a produrla in conformità dell'ordinamento», e che la norma imperativa regola i rapporti contrattuali e non la responsabilità aquilina, con questo evidenziando i discutibili e criticabili aspetti della nuova legge (CARBONE, Responsabilità, infra, 393 ss.).

Il sistema delineato dalla legge è chiaro: far defluire la responsabilità verso la struttura sanitaria.

L'inciso «salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione assunta con il paziente» potrebbe creare delle incertezze, con riferimento in particolare al regime di libera professione intramuraria. In questo caso, sorge il contratto?

  • Da una parte, si osserva che la professione è svolta all'interno della struttura e sulla base di una disciplina speciale che consente “ai dipendenti di dedicare tempo parziale alla libera professione avvalendosi delle strutture della clinica e ripartendo con essa il profitto”. Pertanto, non sarebbe irragionevole l'estensione del rapporto di natura extracontrattuale (ALPA, infra, 729).
  • Dall'altra, si evidenzia il carattere facoltativo di questa attività di libera professione, la scelta da parte del paziente, il carattere di prestazione personale ed infungibile, il rapporto di fiducia, per cui appare una contraddizione qualificare questo rapporto in termini extracontrattuali (BREDA, infra, 285 ss.).

Pertanto, bisogna chiedersi se la teoria del contatto sociale sia davvero superata o possa, invece, continuare a trovare applicazione in questi casi.

Di converso, deve ravvisarsi un rapporto contrattuale nell'ipotesi del medico che non sia dipendente della struttura, ma che vi operi sulla base di un'apposita separata convenzione. Pur trattandosi di ipotesi eccezionale, è da notare che in passato la giurisprudenza ha evidenziato la necessità della prova rigorosa dei due contratti separati, uno del paziente con la clinica (circoscritto alla degenza) e l'altro del chirurgo con la clinica (avente ad oggetto l'intervento), ferme altre problematiche come la consapevolezza del paziente e la impossibilità di parcellizzare i diversi contributi ad un'operazione complessa di chirurgia, per cui è in realtà difficile immaginare che la struttura non risponda dell'intervento: Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18805.

Oggi, tuttavia, la nuova legge prevede espressamente all'art. 7, comma 1, la responsabilità ex artt. 1218 e 1228 c.c. della struttura, ancorché l'esercente la professione sanitaria sia stato scelto dal paziente e non sia dipendente della struttura stessa.

La colpa del medico e il nesso di causa: la fase stragiudiziale e l'onere della prova (art. 8)

È chiaro che nel sistema della responsabilità del medico assumono posizione centrale le linee guide, cui si è fatto cenno.

Trattandosi di responsabilità extracontrattuale (salvo non sia stato concluso un contratto di prestazione d'opera professionale), l'onere della prova dell'elemento soggettivo della colpevolezza spetta al danneggiato.

A questo apparente ed innegabile trattamento deteriore per il paziente-leso rispetto alla concezione di una responsabilità derivante da contatto sociale, deve osservarsi che il sistema delineato dalla legge non deve necessariamente essere visto con sfavore.

In primo luogo, le linee guida, così come valorizzate dalla l., fanno emergere un percorso di oggettivazione della colpa. Questa assume una nozione oggettiva e sociale, in quanto venga posto in essere un comportamento non conforme alle regole di diligenza, prudenza e perizia che si considerano, nel constato sociale in cui si inserisce la condotta, idonee a prevenire i danni (SCOGNAMIGLIO, infra, 740; PARDOLESI-SIMONE, infra, 5).

In secondo luogo, l'art. 8 della l. in esame al comma 1 prevede che chi intende esercitare l'azione risarcitoria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c.. tale presentazione costituisce condizione di procedibilità della domanda di risarcimento (comma 2).

Consegue che, poiché di regola l'accertamento della responsabilità medica trova indispensabile ausilio nella CTU, la previsione del ricorso alla ATP preventiva e la previsione dell'importanza delle linee guida, dovrebbe permettere, almeno in teoria, di ottenere risarcimenti in tempi brevi e senza troppe contestazioni, almeno nei casi numericamente più probabili. Detto diversamente, nel sistema delineato dalla legge dovrebbe essere più semplice arrivare all'accertamento della responsabilità del medico.

Pertanto, la qualificazione della responsabilità come extracontrattuale non pare incidere, nel complesso e negativamente, sulla posizione del danneggiato, che, invero, non sembra mutare troppo rispetto alla teoria della responsabilità da contatto sociale.

In realtà, il problema potrebbe porsi in tutti quei casi ove non sia presente una conclamata colpa del medico, oppure nei casi di causa ignota. Qui potrebbe porsi, a rigore, il problema della CTU esplorativa, in quanto il danneggiato non riesce a dimostrare la colpa del medico e il nesso di causa.

Al riguardo, tuttavia, la dottrina ha sottolineato che dovrebbe soccorrere il principio della vicinanza della prova, già delineato in giurisprudenza. Pertanto, il danneggiato potrebbe limitarsi a dedurre fatti che rendano verosimile o molto probabile che la malattia possa ragionevolmente imputarsi alla condotta colposa del medico (contra, D. SPERA, La responsabilità sanitaria contrattuale ed extracontrattuale nella legge Gelli-Bianco: da premesse fallaci a soluzioni inappaganti).

In base al principio di riferibilità o vicinanza della prova compete al medico, che è in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, provare l'incolpevolezza dell'inadempimento (ossia della impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore) e la diligenza nell'adempimento, tanto più se l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche, sconosciute al creditore in quanto estranee al bagaglio della comune esperienza e specificamente proprie di quello del debitore: mentre compete al paziente l'onere di allegare l'inesattezza dell'adempimento (nella specie, l'esecuzione dell'esame ecografico di controllo; l'omessa diagnosi di malformazione fetale grave; la nascita di un bambino con grave malformazione agli arti- Cass. civ., sez. III, 21 giugno2004, n. 11488; Trib. Roma, sez. XIII, 16 ottobre 2017, n. 19388).

Da ultimo la qualificazione della responsabilità del medico come aquiliana ha un'ulteriore implicazione, oltre a quella del profilo del riparto dell'onere probatorio. Il medico risponde anche dei danni imprevedibili, mentre la struttura ospedaliera (che ha una responsabilità contrattuale) solo dei danni prevedibili (salvo il caso del dolo, art. 1225 c.c.).

La colpa

Come detto, le raccomandazioni e le buone pratiche assurgono a criterî di verifica della sussistenza o meno della responsabilità civile dell'esercente la professione sanitaria. L'elemento soggettivo della colpa nell'illecito aquiliano tende ad oggettivizzarsi in base a standards di diligenza professionale esigibili ed applicabile nel settore.

Non si deve, tuttavia, dimenticare che la legge fa salve le specificità del caso concreto.

Ma chi deve provare la colpa o l'assenza di colpa, se ricorre un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale?

Abbiamo già ricordato che, secondo i più, il principio della vicinanza della prova dovrebbe attenuare, se non annullare, la qualificazione normativa della responsabilità del medico come aquiliana.

Anche l'oggettivazione della colpa può portare, se non a configurare una vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva, a considerare soddisfatto l'onere probatorio del danneggiato mediante una seria allegazione degli elementi di colpa, specie in relazione alla difficoltà dei diversi tipi di intervento, che hanno in concreto cagionato un danno, e, quindi, alla diligenza richiesta dal professionista.

La mente corre alla nota partizione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, sia pure in materia contrattuale. Infatti, in via generale il professionista non risponde a causa del mancato raggiungimento del risultato perseguito in occasione del rapporto contrattuale, a condizione che siano state osservate le regole della prestazione diligente. Detto diversamente, i mezzi e non i risultati sono centrali per l'affermazione di responsabilità, se il professionista risulta aver operato in modo negligente.

In effetti, non sempre il risultato utile è dedotto in obbligazione, con la conseguenza che non si può far derivare la colpa del debitore per il suo mancato raggiungimento.

D'altra parte, l'art. 2236 c.c. prevede, come noto, che il prestatore d'opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave, nel solo caso che la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Consegue che, all'inverso, si applica il principio generale comune per cui la colpa è insita nel mancato raggiungimento del risultato utile, ove si tratti di attività “ordinaria”. Sarà il debitore a dover dimostrare la non imputabilità dell'evento.

Si tenga presente che il giudizio sulla “soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” va rapportato non alle capacità del debitore, ma ai canoni invalsi nella pratica professionale, secondo le competenze e le specialità richieste.

Infatti, l'art. 1176, comma 2, c.c. prevede che nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata. Consegue che un medico che operi un intervento riservato ad uno specialista viola tale norma, salvo costretto da uno stato di necessità.

Al di là dei casi limite di mancanza di cognizioni e titoli specialistici, il medico non può avvalersi delle limitazioni di responsabilità previste dall'art. 2236 c.c. tutte le volte nelle quali le difficoltà della prestazione rientrino nella normalità rapportata al caso concreto.

In questo quadro, nelle operazioni “di routine” dovrà essere il medico a dimostrare la propria diligenza.

Venendo al versante della responsabilità extracontrattuale delineata dalla nuova legge, il quadro non pare mutare troppo: in forza del principio della vicinanza della prova e del processo di oggettivazione della colpa come sopra inteso, il medico dovrà provare la conoscenza delle linee guida, di averle esaminate criticamente all'atto della scelta diagnostica o terapeutica, sia quando si sia ad esse uniformato, sia quando se ne sia discostato.

La nuova legge non sembra, quindi, destinata a produrre grandi cambiamenti sotto questo punto di vista.

Considerando la questione dal punto di vista del nesso di causa, poi, nulla di impedisce che la specificità del caso concreto possa essere «apprezzata ai fini dell'affermazione della ricollegabilità delle complicanze ad un contegno evidentemente non conforme a quanto concretamente esigibile da parte dell'esercente la professione sanitaria» (SCOGNAMIGLIO, infra, 743 ss.).

Sullo sfondo rimane il problema di sovrapporre il piano (della prova) della colpa con quello del nesso di causa tra condotta ed evento, nella diversa questione, esulante dal campo d'indagine del presente approfondimento, di concorrenza di cause.

La quantificazione del danno (art. 7, commi 3 e 4)

Il comma 3 prevede che il giudice, nel determinare il risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5 della legge Gelli e del neo-introdotto art. 590-sexies c.p.

Indubbiamente il rispetto delle linee guida assume una rilevanza non solo ai fini della determinazione della colpa del medico, ma anche della quantificazione del danno. Si configura “un'area di illeciti nei quali l'insorgere dell'obbligazione risarcitoria risulta variamente influenzata dalle modalità soggettive della condatta” (SCOGNAMIGLIO, infra, 741).

Il comma 4 richiama le tabelle di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass. per la liquidazione del danno.

Tale ultima previsione nel sistema della legge si raccorda con l'obbligatorietà (sia pure non bilaterale) dell'assicurazione. In tale modo si mira, da una parte, a uniformare i risarcimenti (con parametri a volte inferiori ad altri come le Tabelle milanesi), per conseguire anche una riduzione dei premi, che sono diventati particolarmente elevati. Il tutto in considerazione che la legge mira a far conseguire celermente i risarcimenti in via stragiudiziale, come detto sopra.

È stato evidenziato che entrambe le disposizioni introducono «un correttivo al rigore della teoria differenziale nella stima e nella liquidazione del danno, così da premiare il medico che abbia rispettato le raccomandazioni» di cui all'art. 5; «la logica non è declassare il risarcimento all'indennizzo, e neppure procede verso il danno punitivo. Semplicemente il legislatore tende a far leva sulla finalità preventiva della responsabilità civile, operando un correttivo sul risarcimento» (FRANZONI, infra, 272 ss.).

L'azione di rivalsa (art. 9)

È interessante ricordare che l'art. 9, comma 1, prevede che l'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave.

Se il medico non è stato parte del procedimento stragiudiziale o giudiziale, l'azione di rivalsa può essere esercitata solo successivamente al risarcimento avvenuto sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale e, a pena di decadenza, entro un anno dall'avvenuto pagamento (comma 2).

La decisione resa nel giudizio contro la struttura sanitaria o contro l'impresa assicuratrice non fa stato nel giudizio di rivalsa (comma 3).

In nessun caso la transazione è opponibile all'esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa (comma 4).

I successivi commi riguardano l'azione di responsabilità amministrativa e la surrogazione della compagnia di assicurazione ex art. 1916 c.c.

Efficacia nel tempo della disciplina

Un'ultima questione riguarda l'applicazione della legge nel tempo, in quanto introduce elementi di assoluta rilevanza, quali la qualifica giuridica della responsabilità del medico (con le sue implicazioni) e la liquidazione del danno in base alle tabelle del cod. ass.

Secondo i più, la nuova legge dovrebbe applicarsi solo alle ipotesi di responsabilità sorte nel periodo della propria vigenza. Si esclude, quindi, un'applicazione retroattiva, in forza dell'art. 12 preleggi c.c., che sancisce che la legge non dispone che per l'avvenire (Trib. Avellino, 12 ottobre 2017, n. 1806: «la legge Gelli stabilisce che la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria sia collocata nella responsabilità aquiliana pur prevedendo la clausola di salvezza rappresentata dall'assunzione di un'obbligazione contrattuale con il paziente senza riconoscere l'applicazione retroattiva di tale disciplina prevalendo in tal caso la disciplina di cui all'art. 11 disp. prel. c.c., ne consegue che ai fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore si applicano i principi del precedente quadro normativo e quindi la responsabilità contrattuale del medico fondata sulla teoria del contatto sociale)».

In conclusione

La riforma in sé presenta elementi di conferma (ad esempio, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, già in precedenza pacifica) e elementi di novità (per tutti, la responsabilità aquiliana del medico).

Se nel suo complesso la riforma mira ad una sistemazione unitaria della questione, colpisce lo scollamento del legislatore dal rapporto con dottrina e giurisprudenza. In particolare, se il rigetto della tesi del contatto sociale può essere ritenuto privo di reale portata limitante dei diritti del paziente-danneggiato, alla luce di una visione di sistema della responsabilità medica e degli adattamenti interpretativi sopra visti del riparto dell'onere della prova, resta il fatto che il legislatore ha tecnicamente operato una qualificazione giuridica della responsabilità che non gli spetta.

La scelta di canalizzare la responsabilità verso la struttura sanitaria lascia il medico “libero” di svolgere la propria professione dagli assilli delle richieste risarcitorie. Non si può, però, dire che il medico sia favorito, perché la legge non è arrivata ad escludere la responsabilità civile diretta del medico, lasciandogli solo il rischio dell'azione di rivalsa in caso di dolo o colpa grave, come avviene in altre normative di settore (responsabilità dei magistrati o responsabilità degli insegnati, cfr. FRANZONI, infra, 271).

Nel sistema della responsabilità civile, quello della responsabilità medica fa interrogare sulla funzione della riparazione del danno, se fino ad ora questa è stata preminente rispetto alle altre possibili funzioni delle responsabilità civile, al punto di determinare progressivamente una più penetrante tutela delle ragioni del paziente e il correlativo inasprimento della valutazione della condotta del medico, tanto da portare, come detto, all'affermarsi della c.d. medicina difensiva. Il micro-sistema (con le sue logiche) introdotto con la l. in esame come potrà influire sul macro-sistema della responsabilità civile?

Guida all'approfondimento

ALPA G., Ars interpretandi e responsabilità sanitaria a seguito della nuova legge Bianco-Gelli, in Contr. e impr., 2017, 728;

BACHELET V., Il rapporto tra ASL e medico di base nel sistema riformato della responsabilità sanitaria, in Riv. dir. civ., 2017, 777;

BREDA R., La responsabilità civile delle strutture sanitarie e del medico tra conferme e novità, in Danno e resp., 2017, 283;

CALVO R., La «decontrattualizzazine» della responsabilità sanitaria (l. 8 marzo 2017 n. 24), in Nuove leggi civ. comm., 2017, 453;

CARBONE V., Legge Gelli: inquadramento normativo e profili generali, in Corr. giur., 2017, 737;

CARBONE V., Responsabilità aquiliana del medico: norma imperativa nata per risolvere problemi economici che pregiudica i diritti del paziente, in Danno e resp., 2017, 393;

FRANZONI M., Colpa e linee guida nella nuova legge, in Danno e resp., 2017, 271;

GRANELLI C., La riforma della disciplina della responsabilità sanitaria: chi vince e chi perde?, in Contr., 2017, 377;

PARDOLESI R. – SIMONE R., Nesso di causa e responsabilità della struttura sanitaria: indietro tutta!, in Danno e resp., 2018, 5;

PONZANELLI G., Medical malpractice: la legge Bianco-Gelli, in Contr. e impr., 2017, 356;

PONZANELLI G., Medical malpractice: la legge Bianco-Gelli. Una premessa, in Contr e impr., 2017, 268;

SCOGNAMIGLIO C., Regole di condotta, modelli di responsabilità e risarcimento del danno nella nuova legge sulla responsabilità sanitaria, in Corr. giur., 2017, 740;

SPERA D., La responsabilità sanitaria contrattuale ed extracontrattuale nella legge Gelli-Bianco: da premesse fallaci a soluzioni inappaganti, in RiDaRe.it.

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