Decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale e opposizione alla dichiarazione di adottabilità

Sergio Matteini Chiari
29 Agosto 2018

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione è stata quella di stabilire se il genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale, che abbia interesse ad un recupero del rapporto genitoriale, sia legittimato ad opporsi alla dichiarazione di adottabilità.
Massima

La decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale non impedisce al medesimo di contestare la dichiarazione di adottabilità del figlio minore, stante il suo interesse ad opporsi all'adozione per evitare le più incisive e definitive conseguenze di tale provvedimento, che comportano il venir meno di ogni rapporto nei riguardi del figlio.

La legittimazione a contestare lo stato di adottabilità non è, d'altro canto, espressione della rappresentanza legale del figlio minore da parte del genitore, ma viene esercitata dal medesimo in proprio, quale portatore dell'interesse dell'ordinamento alla tendenziale conservazione della famiglia naturale, così da consentire che, una volta revocata la dichiarazione di adottabilità, il genitore possa attivarsi per recuperare il rapporto con il figlio e, conseguito tale scopo, richiedere la reintegra nella responsabilità genitoriale ex art. 332 c.c..

Il caso

Il tribunale per i minorenni di ZZZ dichiarava lo stato di adottabilità di un minore, essendo stati entrambi i genitori dichiarati – da oltre un quinquennio – decaduti dalla «potestà genitoriale» ed essendosi i nonni paterni – con i quali il minore era andato a vivere a seguito del provvedimento di decadenza – rivelatisi inadeguati.

In sede di gravame, proposto dalla madre del minore, la Corte d'appello adita, in totale riforma della sentenza di primo grado, riteneva insussistente lo stato di adottabilità del minore e, per l'effetto, revocava la dichiarazione di adottabilità del medesimo, disponendo che i Servizi sociali del Comune di residenza della madre organizzassero incontri assistiti tra il figlio e quest'ultima, ai fini del recupero dei relativi rapporti.

Il tutore del minore, già parte nei precedenti gradi del giudizio, proponeva – nei confronti dei nonni e dei genitori del minore nonché del P.G. presso la Corte di merito – ricorso per cassazione avverso tale sentenza, chiedendone l'annullamento.

La madre del minore resisteva con controricorso.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se il genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale, che abbia interesse ad un recupero del rapporto genitoriale, sia legittimato ad opporsi alla dichiarazione di adottabilità, facendo valere l'insussistenza di uno stato di abbandono del minore, per poi, una volta avvenuto gradualmente il recupero di detto rapporto, eventualmente attivarsi per richiedere la reintegrazione nella suddetta responsabilità, ai sensi dell'art. 332 c.c..

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha, in primo luogo, chiarito che la decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale non impedisce al medesimo di contestare la dichiarazione di adottabilità del minore, facendo valere l'insussistenza di uno stato di abbandono del minore, per poi, una volta avvenuto gradualmente il recupero di detto rapporto, eventualmente attivarsi per richiedere la reintegrazione nella responsabilità genitoriale, ai sensi dell'art. 332 c.c.. Ciò in ragione del suo interesse ad opporsi all'adozione per evitare le incisive e definitive conseguenze che tale provvedimento comporta, vale a dire, oltre alla perdita della responsabilità genitoriale, il venir meno di ogni rapporto nei confronti del figlio. Ciò, d'altro canto, in quanto la legittimazione a contestare lo stato di adottabilità non è espressione della rappresentanza legale del figlio minore da parte del genitore, ma viene esercitata dal medesimo in proprio, quale portatore dell'interesse alla tendenziale conservazione della famiglia naturale, cui la normativa in materia di adozione è prioritariamente ispirata.

Posti tali principi (in termini parzialmente diversi già espressi da Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 2013, n. 24482), la Suprema Corte ha escluso l'ammissibilità/fondatezza dei motivi di ricorso:

a) a fronte delle motivate valutazioni compiute dalla Corte di merito per escludere la sussistenza dello stato di adottabilità del minore, è stata ritenuta insussistente la denunciata violazione di legge, traducendosi, le relative doglianze del tutore, in una inammissibile – nella sede di legittimità – «rivisitazione del merito della vicenda, mediante la riproposizione – in chiave di ricostruzione alternativa delle risultanze processuali – dei temi difensivi già svolti nel merito»;

b) è stata ritenuta inammissibile la deduzione del vizio di omessa o insufficiente motivazione della decisione gravata, attesa l'intervenuta riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione, con esclusione di qualsiasi rilievo alla motivazione insufficiente e contraddittoria (modifica introdotta all'art. 350, comma 1 n. 5, c.p.c. dall'art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012 ed applicabile ratione temporis), e non potendo ritenersi – per le ragioni indicate sub a) – che la motivazione della sentenza di appello fosse addirittura inesistente;

c) è stata, infine, esclusa la violazione e falsa applicazione dell'art. 61 c.p.c., nonché l'omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, comma 1 nn. 3 e 5, c.p.c., sul rilievo che, contra l'assunto del ricorrente, la Corte di merito non aveva recepito acriticamente le conclusioni del c.t.u. nominato in secondo grado, bensì le aveva condivise motivatamente, tenendo anche conto dei rilievi dei c.t.p..

Osservazioni

i) L'art. 1 della leggen. 184/1983 e succ. modif. (legge adozioni) attribuisce carattere prioritario al diritto del minore di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerando questa l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico (ex multis, Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2015, n. 23979; Cass. civ., sez. I, 29 marzo 2011, n. 7115; Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2011 n. 1838).

ii) Il diritto del minore a mantenere rapporti con la propria famiglia di origine incontra un limite nell'oggettiva incapacità, non temporanea, della famiglia stessa (genitori e parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore) di prestare le cure necessarie e di assicurare l'adempimento degli obblighi di mantenere, educare e istruire la prole, nonché di dare ad essa assistenza morale (artt. 147, 148 e 315-bis c.c.), configurandosi in tal caso lo stato di abbandono, che ricorre non soltanto in presenza di un rifiuto intenzionale e irrevocabile dell'adempimento dei doveri genitoriali, ma ogniqualvolta i genitori (od i suddetti parenti entro il quarto grado) non siano in grado di garantire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per assicurare il suo armonico sviluppo psico-fisico (art. 8, comma 1, legge adozioni) e questa situazione non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio (v. le sentenze precedentemente citate, nonché Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2018, n. 4097; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11069; Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2011, n. 7608; Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2010, n. 4545).

La situazione di abbandono costituisce presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore.

iii) L'istituto dell'adozione è da considerare – alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte EDU – una extrema ratio, cui ricorrere solo allorché il minore risulti privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi e risulti, di conseguenza, esposto a gravi pericoli per la sua salute fisica e psichica, ed è finalizzato ad assicurare assistenza e stabilità affettiva al minore che ne sia privo, mediante inserimento in una famiglia diversa da quella di origine (ex multis, Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2016, n. 13435; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2015, n. 23979).

iv) Così come costantemente affermato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, nel suo superiore interesse.

L'accertamento della situazione di abbandono deve avvenire in concreto, in base a riscontri obiettivi e a valutazioni prognostiche che siano basate su fatti aventi carattere indiziario di sicura valenza probatoria (ex multis, Cass. civ., sez. I, ord. 27 marzo 2018, n. 7559; Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2016, n. 13435; Cass. civ., sez. I, 14 aprile 2016, n. 7391; Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 2015, n. 24445; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2015, n. 23979 – principi ribaditi dalla sentenza in commento).

v) In conformità a tali principi, e in considerazione dell'ulteriore, consolidato, principio secondo cui le valutazioni del giudice di merito, qualora involgano un accertamento di fatto sono incensurabili in sede di legittimità salvo il caso in cui la motivazione debba ritenersi del tutto carente, la Suprema Corte ha confermato la decisione gravata, ove, sulla scorta di ampia ed adeguata motivazione, era stato escluso lo stato di abbandono del minore, alla stregua delle risultanze della c.t.u. disposta nel giudizio di appello e dei rilievi proposti dai c.t. di parte, nonché di quanto riferito dall'assistente sociale incaricata del caso, circa il miglioramento della madre del minore, sia sul piano neuropsichico – essendo stata la pregressa, risalente, severa diagnosi, di «disturbo della personalità di tipo schizoide con funzionamento intellettivo limite», rettificata, già dai consulenti nominati in primo grado, in quella più leggera di «variante torbida dell'ipoevolutismo psichico» –, sia su quello della sua idoneità a fare da mamma al minore, come dimostrato da concrete condotte di vita (coniugio con un uomo idoneo al ruolo di padre, disposto ad accogliere il minore in famiglia, e dal quale aveva avuto un altro figlio che curava adeguatamente); così da far ritenere appieno sussistenti le condizioni per chiedere di essere reintegrata nella responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 332 c.c..

vi) Deve escludersi che sussista situazione di abbandono, risultandone impedita la dichiarazione di adottabilità, quando la mancanza di assistenza sia dovuta a «causa di forza maggiore», peraltro di natura transitoria».

Per «causa di forza maggiore» deve intendersi l'esistenza di un ostacolo esterno posto dalla natura, dall'ambiente oppure da un terzo che si imponga alla volontà del genitore

Tale ostacolo deve essere di natura transitoria, alla luce del preminente interesse del minore. La transitorietà deve essere necessariamente correlata al tempo di sviluppo compiuto e armonico del minore stesso (Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2012, n. 9949).

vii) Merita, se pur per sommi capi, trattare della posizione processuale del minore.

Ai sensi dell'art. 8, comma 4, legge adozioni, il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall'inizio con l'assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti fino al quarto grado che abbiano con il minore rapporti significativi.

Si dà attuazione in tal guisa, fin dall'inizio, al principio del contraddittorio, con estensione alla posizione del minore.

Ai sensi dell'art. 10, comma 2, l. cit., all'atto dell'apertura del procedimento, con l'atto con cui i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore vengono avvertiti dell'apertura del procedimento, il presidente del T.M. li invita a nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore di ufficio per il caso che essi non vi provvedano.

Il Supremo Collegio ha ripetutamente affermato che le disposizioni appena sopra citate devono essere interpretate nel senso che il dovere del presidente del T.M. di nominare un difensore d'ufficio in favore dei genitori e dei parenti entro il quarto grado nel caso in cui essi non vi provvedano, a maggior ragione deve ritenersi sussistere nei confronti del minore (rappresentato non già dai genitori, sussistendo palese conflitto di interessi con gli stessi, ma, a seconda dei casi, dal tutore o dal curatore speciale), che del procedimento di adozione è la parte principale, sia in senso sostanziale che in senso formale (Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2010, n. 7281 e, da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11782).

viii) Nell'ambito della procedura in esame era stata proposta alla Suprema Corte anche la questione di stabilire se il tutore del minore fosse carente di legittimazione processuale e se, pertanto, il ricorso proposto dallo stesso fosse inammissibile;

La Suprema Corte ha dato soluzione a tale questione affermando che al tutore di persona di minore età, già costituito e soccombente in primo e/o secondo grado, non necessita l'autorizzazione del giudice tutelare per appellare o ricorrere per cassazione avverso la relativa sentenza, mancando, in tale ipotesi, diversamente da quella dell'inizio ex novo del giudizio da parte sua, agli effetti dell'art. 374, n. 5, c.c., la necessità di compiere la preventiva valutazione in ordine all'interesse ed al rischio economico per l'incapace (v., nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2015, n. 19499).

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