Adescamento di minorenni. Fattispecie delittuosa autonoma o tentativo di commettere il reato scopo?

29 Agosto 2018

Nella sentenza in commento la Corte affronta la questione, prospettata dalla difesa dell'imputato, dell'illegittimità costituzionale dell'art. 609-undecies c.p. (adescamento di minorenni), introdotto dall'art. 4 lett. z) della l. 172/2012 in attuazione della Convenzione di Lanzarote (sottoscritta nell'ambito del Consiglio d'Europa il 25 ottobre 2007).
Massima

La disciplina del reato di adescamento di minorenni ex art. 609-undeciesc.p. non può ritenersi sospetta di illegittimità costituzionale poiché rispettosa tanto del principio di offensività (artt. 13, 21, 27, 25 Cost.), quanto del principio di determinatezza (art. 25 Cost.) ed è conseguentemente compatibile con il principio di rieducazione della pena ex art. 27, comma 3, Cost., perché punisce con una cornice edittale equa, misurata e proporzionalmente inferiore rispetto a quella prevista per i reati fine, comportamenti idonei a mettere in pericolo un bene giuridico primario, meritevole di intensa tutela.

Il caso

Il tribunale di Udine aveva ritenuto integrata la fattispecie prevista dall'art. 609-undecies c.p., avendo accertato che l'imputato, tramite chat privata, aveva posto in essere condotte di adescamento nei confronti dei minori di anni quattordici con lo scopo di compiere il reato previsto dall'art. 609-quaterc.p. (atti sessuali con infraquattordicenne).

A tale conclusione il tribunale era pervenuto valorizzando i messaggi con cui l'imputato aveva chiesto al minore se volesse ricevere una carezza, manifestandogli anche il desiderio di incontrarlo per ammirare il suo fisico e accarezzarlo.

La questione

Nella sentenza in commento la Corte affronta la questione, prospettata dalla difesa dell'imputato, dell'illegittimità costituzionale dell'art. 609-undeciesc.p. (adescamento di minorenni), introdotto dall'art. 4 lett. z) della l. 172/2012 in attuazione della Convenzione di Lanzarote (sottoscritta nell'ambito del Consiglio d'Europa il 25 ottobre 2007).

In particolare, nel corso del giudizio è stato evidenziato che il Legislatore italiano, nel dare esecuzione alla Convenzione di Lanzarote, ha notevolmente anticipato la soglia di punibilità rispetto a quanto previsto dalla stessa normativa pattizia, la quale imponeva agli Stati firmatari di assoggettare a sanzione penale le condotte di adescamento che fossero andate a 'buon fine' perché tradottesi, quanto meno, nella concreta organizzazione di un incontro con il minore.

A parere della difesa, tale anticipazione deve ritenersi in contrasto con il principio di offensività in quanto attribuisce rilevanza penale a condotte soltanto prodromiche rispetto al tentativo di commissione dei reati-scopo e, quindi, inoffensive per il bene giuridico tutelato.

Inoltre, sempre a parere della difesa, il reato in esame costituirebbe il momento iniziale di una condotta più ampia, strutturata in termini di progressione criminosa e destinata a evolversi dapprima nel tentativo di commissione dei reati-scopo e poi nella loro consumazione. Con l'effetto, quindi, di rendere particolarmente ardua la delimitazione del campo di azione del reato in esame rispetto alle fattispecie tentate.

In questo senso, il reato di adescamento realizzerebbe una anticipazione della soglia di punibilità rispetto all'ipotesi tentata (dei reati-scopo), tale da renderlo sostanzialmente indeterminato, giacché finisce per affidare la selezione tra le condotte innocue e quelle illecite all'accertamento di una componente interna e imperscrutabile dell'animo umano.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale muovendo dall'analisi della derivazione pattizia del reato di adescamento di minorenni e delle modalità di recepimento utilizzate dal Legislatore interno.

L'art. 23 della Convenzione di Lanzarote chiedeva agli Stati l'adozione delle necessarie misure legislative per rendere punibile la proposta intenzionale fatta da un adulto, usando le tecnologie di comunicazione e d'informazione, di incontrare un minore allo scopo di commettere nei suoi confronti un reato di natura sessuale.

Ai fini della delimitazione della condotta punibile, la normativa pattizia prevedeva che la condotta di adescamento avesse superato la soglia dei meri “contatti” con il minore e fosse progredita fino alla realizzazione di atti materiali idonei ad organizzare l'incontro. Con l'introduzione della fattispecie descritta dall'art. 609-undecies c.p., il Legislatore italiano, invece, ha scelto di anticipare la tutela alla fase che precede la programmazione dell'incontro con il minore.

Tale scelta estensiva e anticipatoria non può ritenersi in contrasto con le regole che governano i rapporti tra normativa interna e sovranazionale, essendo quest'ultima destinata a fissare soltanto il nucleo minimo ed essenziale di tutela da accordare a una data situazione giuridica.

A tal proposito, la Corte di cassazione ha evidenziato che la previsione pattizia finiva per coincidere con le fattispecie già previste dal nostro ordinamento tramite la clausola estensiva dell'incriminazione di cui all'art. 56 c.p. (delitto tentato), in combinato disposto con le fattispecie di parte speciale che già sanzionavano i comportamenti a danno di minore.

Ciò premesso, la Corte ha ricostruito la natura giuridica della fattispecie di adescamento, segnalando che si tratta di un reato di pericolo concreto poiché volto a neutralizzare il rischio di commissione dei più gravi reati a sfondo sessuale lesivi del corretto sviluppo psicofisico del minore e della sua libertà di autodeterminazione.

In termini generali, le fattispecie di pericolo devono ritenersi compatibili con il principio di offensività, anche nelle forme più controverse caratterizzate dalla tipizzazione di un pericolo astratto o presunto, purché declinate su specifiche presunzioni di pericolosità o sull' accertamento ex ante, in concreto, della pericolosità della condotta.

Con specifico riferimento al reato di adescamento di minorenni, il nucleo essenziale della pericolosità deve individuarsi nel dolo specifico che sorregge la condotta del soggetto agente, finalizzata al compimento dei reati-scopo.

Nella prospettiva legislativa, quindi, non tutte le condotte artificiose, lusinghiere o minacciose volte a carpire la fiducia del minore sono idonee a costituire un pericolo concreto per il suo corretto sviluppo psico-fisico. La sfera della pericolosità penalmente rilevante, in grado di delimitare le condotte innocue da quelle illecite, è costruita intorno alle finalità del soggetto agente. Soltanto le condotte finalizzate al compimento di reati di sfruttamento o abuso a danno del soggetto vulnerabile acquisiscono quel livello di pericolosità idoneo a costituire un rischio concreto per la persona offesa.

L'elemento del dolo specifico, sotto questo profilo, pur contrassegnando l'elemento soggettivo del reato, concorre a “costruire” parte della tipicità della condotta, qualificandone in termini decisivi la pericolosità e contribuendo per tale via a delimitare la fattispecie in chiave offensiva.

La Suprema Corte, poi, attribuisce al dolo specifico del reato un ruolo decisivo anche nel confronto con il principio di determinatezza ex art. 25 Cost.

L'accertamento del movente sessuale, sotto questo profilo, non implica un'analisi introspettiva dell'animus del soggetto agente ma esige, al contrario, la verifica dei parametri oggettivi, i c.d. indicatori del dolo, da svolgersi secondo gli ordinari parametri di accertamento volti a dimostrare la rappresentazione e volontà del fatto materiale tipico in tutti i suoi elementi positivi, tra i quali rientra anche il fine specifico che l'agente intende perseguire.

Tra gli elementi probatori “oggettivi” un ruolo significativo assumono le conversazioni con il minore, laddove contengano riferimenti espliciti o allusivi alla sfera sessuale o all'interesse mostrato dall'adescatore nei confronti della fisicità del minore; soltanto in via sussidiaria, devono considerarsi le condotte antecedenti o contemporanee da cui desumere con certezza l'interesse sessuale dell'agente nei confronti di soggetti minori o, comunque, l'attitudine del soggetto a stringere rapporti di natura intima con vittime di minore età.

Una volta ancorato l'accertamento del dolo specifico a parametri oggettivi, è possibile delimitare la sfera del penalmente rilevante in un ambito concreto di condotte espressive del movente sessuale, nel pieno rispetto della funzione essenziale del principio di determinatezza della fattispecie penale ex art. 25 Cost.

Altro elemento che, a parere della Corte di cassazione, concorre a determinare in termini sufficientemente precisi la fattispecie è il riferimento a modalità specifiche di realizzazione della condotta, consistenti nell'uso di artifici, lusinghe o minacce. Si tratta di modalità costitutive che, strutturando il reato come fattispecie a forma vincolata, consentono di ritenere raggiunto l'equilibrio tra l'esigenza di tutela del bene giuridico interessato e le garanzie poste a presidio del soggetto agente.

Osservazioni

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte ha superato i dubbi di legittimità costituzionale della fattispecie di adescamento di minori valorizzando le modalità vincolanti e il fine specifico che devono connotare la condotta del soggetto agente.

La punibilità del soggetto agente esige che si accerti la sua intenzione di realizzare uno dei reati-scopo previsti dall'art. 609-undecies c.p. ai danni di un minore di anni sedici.

Tra i reati scopo presi in considerazione dall' art. 609-undecies c.p. si distingue la fattispecie di cui all'art. 609-quater c.p. (atti sessuali con infraquattordicenne), la quale punisce colui che «compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto, non ha compiuto gli anni quattordici». Una condotta, quindi, che, seppur caratterizzata da un approccio sessuale con il minore di anni quattordici, è priva di connotazioni violente o minacciose.

Nel caso concreto, ove veniva in rilievo una vittima infraquattordicenne, si è ritenuto che la condotta dell'imputato integrasse la fattispecie di cui all'art. 609-undecies c.p., avendo egli agito allo scopo di compiere il reato previsto dall'art. 609-quater c.p.

Sussiste, però, un'apparente discrasia tra la due fattispecie – quella di pericolo prevista dall'art. 609-undecies c.p.e quella di danno (o “scopo”) descritta dall'art. 609-quater c.p.– giacché, pur correlate tra loro in termini di progressione criminosa, il loro ambito di estensione è diversamente definito in relazione all'età della vittima: l'infraquattordicenne e l'infrasedicenne.

Il confronto tra le due fattispecie consente, in primo luogo, di ricostruire in termini più chiari il convincimento del Legislatore sulle capacità del minore – in relazione all'età – di orientare le sue scelte in ambito sessuale.

Ed invero, nella prospettiva ordinamentale il minore deve ritenersi in grado di esprimere un valido consenso (o rifiuto) ad un rapporto sessuale dal momento in cui compie quattordici anni.

Tuttavia, con l'introduzione dell'art. 609-undeciesc.p. la protezione è stata estesa, di fronte a forme insidiose di adescamento da parte dell'estraneo (artifici, lusinghe o minacce di cui all'art. 609-undecies c.p.), anche a coloro che versano nella fascia di età 14-16 anni.

Il Legislatore, quindi, ha esteso la tutela al minore che versi in tale fascia di età riconoscendo che, pur a fronte della sua capacità di autodeterminarsi, si tratta in ogni caso di un soggetto vulnerabile.

Deve però ritenersi che, coerentemente con la natura di reato di “pericolo” della fattispecie di adescamento di minorenni (infrasedicenni), qualora l'età del minore sia compresa fra i quattordici e i sedici anni, la condotta del soggetto agente non sarà comunque punibile se finalizzata a un rapporto sessuale “consenziente”. In tale ipotesi, infatti, non potrebbe ravvisarsi alcun pericolo per il minore – pericolo inteso come rischio di verificazione dei reati-scopo – atteso che il soggetto agisce per il perseguimento di un fine lecito.

La condotta orientata nei confronti del minore ultraquattordicenne, quindi, potrà sussumersi nella fattispecie di cui all'art. 609-undecies c.p. solo ove si accerti che l'adescatore abbia agito con l'intenzione di costringere il minore ad un rapporto sessuale in modo violento o minaccioso (artt. 609-bis e 609-octies c.p.).

Al riguardo, appare comunque utile un'ulteriore considerazione contenuta nella sentenza in commento, secondo cui la disciplina pattizia prevista dalla Convenzione di Lanzarote, nella parte in cui si riferisce alla realizzazione di atti materiali idonei ad organizzare l'incontro (c.d. sexual stage), descrive una tipologia di condotte che, nel nostro ordinamento, sarebbero state già sussumibili nelle ipotesi tentate dei reati scopo.

Ciò implica che la condotta di colui che “adeschi” il minore ultraquattordicenne potrà comunque integrare il diverso reato di violenza sessuale, nella forma tentata o consumata, anche se, rispettivamente, l'incontro non si sia ancora verificato o il rapporto sessuale non presenti connotazioni violente o minacciose.

La qualificazione della condotta in tali termini esige, però, che già nelle fasi che costituiscono il perimetro della condotta di “adescamento” il soggetto agente abbia carpito la fiducia del minore ricorrendo a delle minacce (e non, invece, soltanto a lusinghe o artifici).

Occorrerà accertare, poi, che la condotta sia progredita in atti preparatori o esecutivi ulteriori rispetto a quelli presi in considerazione dall'art. 609-undecies c.p., quali ad esempio la realizzazione di atti materiali finalizzati all'organizzazione dell'incontro con il minore.

Infine, dovrà verificarsi che, sul piano della derivazione causale, il comportamento “minaccioso” tenuto dall'adescatore nella prima fase del rapporto non abbia influito esclusivamente sulla scelta del minore di acconsentire ad un incontro, ma sia stato o sarebbe stato in grado di produrre i suoi effetti “costrittivi” anche sulla sua volontà di intrattenere dei rapporti sessuali (soltanto apparentemente consenzienti).

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