Modifica dell'imputazione e incostituzionalità dell'art. 517 c.p.p. in relazione alla facoltà di richiedere la messa alla prova

31 Agosto 2018

La problematica in esame attiene alla relazione tra l'art. 517 c.p.p. e l'istituto della messa alla prova, istituto che, seppure ha effetti sostanziali, è connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio e destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo (Corte costituzionale, sentenza n. 240/2015).
Massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 517 c.p.p. nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà per l'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Il caso

Il tribunale di Salerno con ordinanza del 24 marzo 2016 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p. «nella parte in cui non prevede che, contestata nel corso del giudizio dibattimentale una circostanza aggravante fondata su elementi già risultanti dagli atti di indagine, l'imputato abbia facoltà di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi degli artt. 168-bis c.p. e 464-bis e ss. c.p.p., relativamente al reato oggetto della nuova contestazione», ritenendo sussistente la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Nel caso di specie, confronti dell'imputato, era stato emesso decreto penale di condanna per il reato p. e p. dall'art. 186, comma 2, lett. b) e comma 2-sexies, del codice della strada e contro tale decreto, era stata proposta opposizione con richiesta di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.p. e con specifica richiesta di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità. Tale richiesta era stata rigettata poiché dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero era emerso che l'imputato aveva provocato un incidente stradale con feriti, con la conseguente configurabilità dell'aggravante dell'art. 186, comma 2 bis, d.lgs. 285/992, ostativa all'applicazione della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.

Nell'udienza camerale, fissata per la delibazione dell'istanza di patteggiamento, il difensore dell'imputato, aveva presentato una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell'art. 168-bis c.p. ma il giudice per le indagini preliminari, dopo la pronuncia di rigetto della richiesta di patteggiamento, aveva rimesso ogni ulteriore determinazione sulla nuova richiesta al primo giudice (quello che aveva emesso il decreto penale), il quale, a sua volta, aveva dichiarato «non luogo a provvedere» e rimesso la decisione al giudice del dibattimento, emettendo il decreto di giudizio immediato. Nell'udienza dibattimentale il pubblico ministero aveva contestato all'imputato assente l'aggravante prevista dall'art. 186, comma 2 bis, d.lgs. n. 285 del 1992 e il difensore aveva reiterato la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.

Il tribunale ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale sopra indicata, ritenendo che la nuova contestazione avrebbe dovuto consentire all'imputato di chiedere la messa alla prova, così come gli consentiva di chiedere il patteggiamento e il giudizio abbreviato, sussistendo, allo stato, una violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La questione

La problematica in esame attiene alla relazione tra l'art. 517 c.p.p. e l'istituto della messa alla prova, istituto che, seppure ha effetti sostanziali, è connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio e destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo (Corte costituzionale, sentenza n. 240/2015). In considerazione altresì degli effetti premiali, la possibilità di accedere a tale procedimento costituisce una vera e propria un'estrinsecazione del diritto di difesa garantito dall'art. 24, comma 2, Cost.

Nel partire dalla natura dell'istituto della messa alla prova, il giudice a quo rileva in primis che a fronte di «evenienze patologiche che mutano in modo sostanziale la situazione processuale originariamente prospettata all'imputato» risulterebbe «lesivo del diritto di difesa di quest'ultimo precludere l'accesso ai riti speciali».

Inoltre, ritiene sussistente la violazione dell'art. 3 Cost., per la discriminazione cui l'imputato si trova esposto a seconda della maggiore o minore esattezza e completezza dell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero.

Sul punto il Tribunale rileva che, con la sentenza n. 184 del 2014, la Corte costituzionale ha già riconosciuto all'imputato il diritto di chiedere il procedimento speciale previsto dagli artt. 444 e ss. del c.p.p. nel caso in cui il pubblico ministero operi una modificazione dell'imputazione, contestando una circostanza aggravante già risultante dagli atti di indagine, specificando che l'opzione per un rito di carattere premiale costituisce una declinazione del diritto di difesa.

Nel caso in esame la situazione processuale appare assimilabile a quella esaminata dalla Corte con la sentenza n. 184 del 2014 e il giudice rimettente si duole della mancata previsione della facoltà di accesso al nuovo rito speciale della sospensione del procedimento con messa alla prova, in presenza di una contestazione suppletiva cosiddetta “tardiva” o “patologica” di una circostanza aggravante, cioè di una contestazione basata non sulle nuove risultanze dell'istruzione dibattimentale, ma su elementi che già emergevano dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale.

Le soluzioni giuridiche

È noto che la giurisprudenza costituzionale sulla facoltà dell'imputato di chiedere il patteggiamento o il giudizio abbreviato dopo nuove contestazioni a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p. è andata evolvendosi nel tempo in modo significativo e appare utile passare in rapida rassegna i precedenti relativi ai riti speciali ex artt. 438 e ss. e 444 e ss. c.p.p. al fine di analizzare meglio le questioni rimesse alla Corte.

Quello a cui si è assistito inizialmente è stato un numero considerevole di decisioni di infondatezza delle questioni sollevate, ove si riteneva che il limite dello sbarramento temporale per accedere ai riti speciali fosse invalicabile e fosse necessaria la correlazione, nel caso di richiesta di patteggiamento o di giudizio abbreviato, tra premialità e deflazione processuale, con conseguente assunzione, da parte dell'imputato (che non abbia tempestivamente chiesto il rito alternativo), del rischio della modificazione dell'imputazione per effetto di sopravvenienze (sentenza n. 277 del 1990; ordinanze n. 477 e n. 361 del 1990; sentenza n. 593 del 1990, relativa ad una richiesta di giudizio abbreviato; nello stesso senso, sentenza n. 316 del 1992, relativa ad una richiesta di rito abbreviato; sentenza n. 129 del 1993, relativa ad una richiesta di patteggiamento; ordinanza n. 107 del 1993, relativa ad una richiesta di giudizio abbreviato; ordinanza n. 213 del 1992, relativa ad una richiesta di patteggiamento).

In senso contrario, e con un graduale cambio di prospettiva, la Corte con la sentenza n. 265 del 1994, dichiarava costituzionalmente illegittimi gli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente, quando questo ha formato oggetto di contestazione “tardiva”.

La Consulta è intervenuta anche recentemente, ampliando i profili di incostituzionalità dell'art. 517 c.p.p., con le sentenze n. 184 del 2014 e n. 139 del 2015 circa facoltà dell'imputato di chiedere il patteggiamento o il giudizio abbreviato in caso dicontestazione suppletiva di una circostanza aggravante, hanno rilevato che la trasformazione dell'originaria imputazione in un'ipotesi circostanziata (o pluricircostanziata) determina un significativo mutamento del quadro processuale, sicchè le circostanze aggravanti possono incidere in modo rilevante sull'entità della sanzione – tanto più quando si tratti di circostanze ad effetto speciale – e talvolta sullo stesso regime di procedibilità del reato, o, ancora, sull'applicabilità di alcune sanzioni sostitutive. Infatti, l'imputato che si vede contestare in dibattimento una circostanza aggravante già risultante dagli atti di indagine si trova in una situazione non dissimile da quella del destinatario della contestazione “tardiva” di un fatto diverso, «evenienza che in realtà potrebbe costituire per l'imputato anche un pregiudizio minore».

Tale principio ha portato la Corte a dichiarare incostituzionale l'art. 517 c.p.p, nella parte in cui a seguito della contestazione suppletiva di una aggravante non si ammetteva la possibilità di richiedere il rito speciale di cui all'art. 444 c.p.p., (sentenza n. 184 del 2014), ovvero non prevedeva la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione (sentenza n. 139 del 2015).

Le più recenti pronunce sono arrivate a riconoscere all'imputato anche la facoltà di accedere ai riti alternativi del patteggiamento o del giudizio abbreviato in seguito a nuove contestazioni “fisiologiche”, collegate cioè non a elementi acquisiti nel corso delle indagini ma alle risultanze dell'istruzione dibattimentale (sentenza n. 206 del 2017), alla contestazione di un reato concorrente (sentenza n. 237 del 2012) o di un fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale (sentenza n. 206 del 2017).

Dall'analisi di tali precedenti si evince l'evoluzione del pensiero della Corte che stabilisce il principio secondo il quale, in seguito alla contestazione, ancorché “fisiologica”, del fatto diverso o di un reato concorrente, l'imputato che subisce la nuova contestazione viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore – quanto alla facoltà di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena – rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio”. Infatti, condizione primaria per l'esercizio del diritto di difesa è che l'imputato abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei suoi confronti. Pertanto le modifiche che l'imputazione può seguire non possono destituire l'imputato dal suo diritto di accedere alle opzioni premiali.

Nella sentenza in esame si specifica anche che l'accesso al rito alternativo dopo l'inizio del dibattimento rimane idoneo a produrre un'economia processuale, anche se attenuata, e che in ogni caso le ragioni della deflazione processuale debbono recedere di fronte ai principi posti dagli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.

Nel breve excursus giurisprudenziale di cui sopra è emersa l'evoluzione giurisprudenziale finalizzata, nel caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, a prevedere nell'art. 517 c.p.p. la facoltà per l'imputato di chiedere i riti speciali; facoltà che nel rispetto dei principi costituzionali non può essere compressa nell'ipotesi di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, sussistendo, in caso contrario una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

In conclusione, per il contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 c.p.p. viene dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Osservazioni

Nonostante la sua breve vita, l'istituto della messa alla prova ha interessato plurime volte sia i giudici della Consulta che di legittimità (anche a Sezioni unite) a riprova del fatto che il dato normativo fosse ricco di lacune e di criticità.

Tra le lacune vi era anche quella oggetto della pronuncia in commento, ossia quella attinente alla facoltà per l'imputato di accedere al suddetto rito speciale a seguito di modifica dell'imputazione.

La messa alla prova, disciplinata sia dal codice penale che da quello di rito, ha sia effetti sostanziali, perché dà luogo all'estinzione del reato, sia processuali, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale. L'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. stabilisce i termini entro i quali, a pena di decadenza, l'imputato può formulare la richiesta di messa alla prova. Sono termini diversi, articolati secondo le sequenze procedimentali dei vari riti.

Chiaramente, trattandosi di una scelta anche difensiva, le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito alternativo dipendono anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, sicché la modificazione dell'imputazione, oltre ad alterare in modo significativo la fisionomia fattuale del tema d'accusa, può avere riflessi di rilievo sull'entità della pena irrogabile e, di conseguenza, sull'incidenza quantitativa dell'effetto premiale connesso al rito speciale. La facoltà di chiedere un rito speciale deve riconoscersi all'imputato anche quando la contestazione suppletiva è determinata, come del resto dovrebbe normalmente avvenire, da una sopravvenienza dibattimentale, poiché è nella sopravvenienza, e soprattutto nella correlativa contestazione suppletiva, che trova fondamento la facoltà di chiedere un rito speciale.

Il dato rilevante è la sopravvenienza di una contestazione suppletiva, quali che siano gli elementi che l'hanno giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso del dibattimento, pertanto ad essa deve ricollegarsi la facoltà dell'imputato di chiedere un rito alternativo, indipendentemente dalla ragione per cui la richiesta in precedenza è mancata.

Tale facoltà trova il suo fondamento nel diritto di difesa, perché, se, come si è ricordato, la richiesta dei riti alternativi costituisce una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio di tale diritto, occorre allora che la relativa facoltà sia collegata anche all'imputazione che, per effetto della contestazione suppletiva, deve effettivamente formare oggetto del giudizio.

Guida all'approfondimento
BOSSI, Omessa indicazione della possibilità di richiedere la messa alla prova nel decreto penale di condanna;BOVE, La messa alla prova si scrolla di dosso altre censure di incostituzionalità. Come a suo tempo il patteggiamento; CONTI, Nuove contestazioni dibattimentali e preclusione al rito abbreviato, in Giur. Cost., 1992, pag. 2623;CREMONESI, Compatibilità tra le contestazioni suppletive dopo l'apertura del dibattimento e l'adozione dei riti speciali, in Arch. Nuova Proc. pen., 1993, pag. 226;GALATI L., Riqualificazione del reato e istanza di messa alla prova;volendo, MURRO, Messa alla prova: incostituzionale la mancata previsione di incompatibilità per il giudice che ha respinto la richiesta?;volendo, MURRO, Una prima pronuncia di incostituzionalità per la messa alla prova;volendo MURRO, Compatibilità tra lenuove contestazioni dibattimentali e il diritto all'estinzione del reato per condotte riparatorie, in Giur. Cost., 2011, pag. 2733.

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