La modifica dell'imputazione in relazione al tempus commissi delicti in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare

Piera Gasparini
06 Settembre 2018

La questione affrontata nella specie dalla decisione in commento involge in primo luogo il tema della modifica dell'imputazione riguardante un elemento accessorio del fatto – quale la data del commesso reato – nell'ambito del reato di cui all'art. 570 c.p.
Massima

L'obbligo di assistenza familiare nei confronti dei figli sussiste dal momento della nascita ma se l'imputazione individua in un momento posteriore il termine iniziale della condotta omissiva, il giudice di merito non può estendere in sentenza la condanna per il reato sin dal momento della nascita senza violare il principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Il caso

La Corte d'appello di Palermo con la sentenza del 29 giugno 2017 rideterminava la condanna dell'imputato per il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. commesso in danno del figlio minore in relazione al periodo contestato in imputazione e individuato nell'arco temporale dal marzo 2010 (data di riconoscimento della paternità del minore) al dicembre 2011, giungendo a tale soluzione nonostante il tribunale avesse in motivazione riconosciuto la decorrenza dell'obbligo di assistenza familiare sin dalla nascita del minore avvenuta l'11 dicembre del 2008.

Con ricorso in sede di legittimità l'imputato denunciava vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 516, 521 e 522 c.p.p. poiché, a fronte della contestazione temporalmente determinata, il giudice di merito aveva operato un'indebita estensione dell'imputazione affermando, in motivazione, che l'obbligo di assistenza familiare nei confronti dei figli sussiste sin dal momento della nascita.

La Corte di cassazione con la pronuncia in commento ha respinto il ricorso sul punto rilevando come la Corte d'appello avesse già correttamente escluso il vizio di nullità per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza sul rilievo che la sentenza di condanna aveva affermato la responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli benché, nel corpo della motivazione, fosse illustrato il principio secondo il quale l'obbligo giuridico di contribuzione in capo all'imputato in favore del figlio naturale sussiste fin dalla nascita del minore e non dalla data della sentenza che ne ha accertato la paternità.

Pur dovendosi, infatti, ribadire che in presenza di un termine iniziale e di un termine finale della condotta omissiva, reiterata ed omogenea, sanzionata dall'art. 570 c.p., l'estensione temporale della condotta comporta una sostanziale modifica dell'imputazione, sicché occorrerebbe procedere ad una contestazione suppletiva in ossequio al diritto di difesa dell'imputato, nel caso in esame non si è in presenza di un' ipotesi di nullità, poiché il dispositivo della sentenza ha fatto espresso richiamo al “reato contestato”, ivi compreso il tempus commissi delicti.

Si tratta, dunque, di un caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, dove il giudizio di colpevolezza dell'imputato resta validamente cristallizzato dal decisum del dispositivo in coerenza con l'originaria imputazione, cui deve darsi prevalenza rispetto alla motivazione, caratterizzata da una funzione “servente”.

La questione

La questione affrontata nella specie dalla decisione in commento involge in primo luogo il tema della modifica dell'imputazione riguardante un elemento accessorio del fatto – quale la data del commesso reato – nell'ambito del reato di cui all'art. 570 c.p. che è, come noto, reato permanente (Cass. pen., Sez. VI, 19 maggio 2015, n. 34786).

In particolare, ci si chiede se, nel caso di “contestazione chiusa”, ossia con indicazione del termine inziale e del termine finale della condotta il giudice di merito possa riconoscere in motivazione la sussistenza della violazione penalmente rilevante da un momento anteriore (o successivo) a quello contestato, senza incorrere in un vizio di nullità della sentenza.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte nel caso di reato permanente “a contestazione chiusa”, ossia con indicazione di un termine iniziale e di un termine finale della condotta, l'anticipazione (così come il protrarsi) del tempus commissi delicti modifica il nucleo essenziale del fatto e determina una nullità assoluta della sentenza laddove non sia accompagnata dalla contestazione suppletiva ex art 516c.p.p. (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. II, n. 20798 del 20/4/2016).

In particolare, si è osservato come solo nel diverso caso in cui si tratti di una contestazione c.d. aperta (che in genere è relativa alla mancata indicazione di un termine finale) la protrazione di una condotta possa ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale. Ciò in quanto la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza (di primo grado), e ciò perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione.

Nel caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare è del tutto pacifica la genesi del vincolo nei confronti del minore dal momento della nascita e tuttavia, nel caso di indicazione di un momento posteriore dell' inizio della violazione, la condanna non può essere estesa senza che l'imputato abbia, nel processo, dispiegato il suo diritto di difesa, in quanto l'anticipazione della condotta implica valutazioni in fatto (quali la verifica delle necessità della famiglia e delle condizioni economiche dell'obbligato) mutevoli nel tempo e sulle quali è necessario realizzare il contraddittorio.

Ne consegue che, incidendo la modifica sul nucleo essenziale del fatto, in assenza di contestazione suppletiva ex art. 516 c.p.p., l'estensione della condanna non potrebbe che determinare la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Nella fattispecie in esame, tuttavia, l'accertamento della violazione affermato dalla motivazione del giudice di merito con riferimento al momento della nascita del minore anziché alla data successiva indicata nella contestazione non ha condotto alla sanzione della nullità, avendo il dispositivo della sentenza fatto riferimento al “reato contestato”, e dunque al tempus commissi delicti indicato nell'imputazione originaria.

Il contrasto tra dispositivo e motivazione è stato dunque risolto dando prevalenza al primo sulla seconda.

Tale soluzione risponde ad altro principio affermato dalla Suprema Corte nel tempo, secondo il quale il contrasto tra dispositivo e motivazione non dà luogo a nullità dovendosi dare prevalenza all'elemento decisionale contenuto nel dispositivo su quello motivazionale (recentemente Cass. pen., Sez. VI,1 febbraio 2017, n. 7980).

Al riguardo, tuttavia, l'orientamento dei Giudici di legittimità non sempre è univoco, nel senso che la Corte ha precisato che tale prevalenza non può ritenersi automatica, bensì dipende dalle specificità del caso posto all'attenzione del giudice (Cass. pen., Sez. II, 1 marzo 2016, n. 23343).

Osservazioni

La decisione in commento ha richiamato con chiarezza e puntualità la necessità di una valutazione rigorosa del rispetto del principio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza con riferimento a quei reati caratterizzati, come quello previsto e punito dall'art. 570 c.p., da condotte omogenee e permanenti, dove l'offesa ha natura durevole e viene meno solo con il positivo adempimento dell'obbligo, richiamando l'attenzione sui limiti processuali all'estensione temporale delle condotte.

Con argomentazioni più sintetiche ha ricondotto la fattispecie sottoposta al suo esame all'ipotesi di un contrasto tra dispositivo e motivazione, ispirandosi al principio consolidato di prevalenza del primo sulla seconda. Nella piena condivisione della soluzione adottata pare solo opportuno ricordare che l'orientamento della stessa Corte si è nel tempo evoluto nel senso di ritenere non assoluta l'affermazione secondo la quale, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, debba prevalere il primo sulla seconda; la stessa giurisprudenza reputa che, pur rimanendo tendenzialmente valida la regola della prevalenza del dispositivo in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, debba sempre potersi valutare caso per caso l'eventuale pregnanza degli elementi ricavabili dall'apparato giustificativo della sentenza ai fini dell'interpretazione di tale volontà; andrebbe cioè sempre compiuta una esauriente ricognizione critica della motivazione proprio al fine di accertare la natura del contrasto tra le due componenti essenziali della sentenza, stabilendo attraverso argomentazioni coerenti sul piano logico che la discrasia esistente risulti più apparente che reale.

Guida all'approfondimento

G. CONSO-G.ILLUMINATI, Comm. al Codice di Proc. Penale, Padova, 2015, sub art. 521 c.p.c. pagg. 2358 e ss.;

E. ANTONINI, La tutela penale degli obblighi di assistenza familiare, GIUFFRÈ, Milano, 2007.

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