La “contagiosa” scia della De Tommaso. Le violazioni in tema di prevenzione tra determinatezza e prevedibilità

Enrico Campoli
07 Settembre 2018

Tra le prescrizioni imposte al sorvegliato speciale, con obbligo o divieto di soggiorno, sia in forza della precedente legge (art. 9 l. 1423/1956) che di quella attuale (d.lgs. 159/2011), è individuata quella del divieto di partecipare a pubbliche riunioni. La difficoltà interpretativa di tale precetto si è sempre annidata nella ...
Massima

Determinatezza del precetto penale e prevedibilità/conoscibilità dello stesso sono legati da un rapporto che influisce sulla stessa sussistenza della colpevolezza in quanto la mancata tassatività del primo non è in grado di orientare il comportamento del soggetto che deve obbedirvi.

Il caso

La Corte di appello conferma la sentenza del Gup con la quale il sorvegliato speciale viene condannato per avere assistito, presso lo stadio locale, a una partita di calcio così violando una delle prescrizioni della misura di prevenzione – quella del divieto di partecipare a pubbliche riunioni – cui è sottoposto.

Avverso tale decisione ricorre, in sede di legittimità, la difesa reclamando la natura meramente occasionale ed estemporanea della pubblica riunione esulando, quella cui in concreto il soggetto aveva partecipato, dal carattere di abitualità necessario: il divieto sancito dalla legge, difatti, trova la sua ratio giustificatrice, dovendosi contemperare con il diritto della persona di associarsi liberamente, garantito dalla Costituzione (art. 17), nella frequentazione continuativa di luoghi in cui la pericolosità del soggetto, attestata dall'applicazione della misura di prevenzione, può essere più difficilmente controllabile.

La questione

Tra le prescrizioni imposte al sorvegliato speciale, con obbligo o divieto di soggiorno, sia in forza della precedente legge (art. 9 l. 1423/1956) che di quella attuale (d.lgs. 159/2011), è individuata quella del divieto di partecipare a pubbliche riunioni.

La difficoltà interpretativa di tale precetto si è sempre annidata nella definizione di cosa debba intendersi per pubblica riunione in considerazione del fatto che di tale concetto «nell'ordinamento italiano non è rintracciabile una definizione univoca».

Difatti, le stesse espressioni utilizzate dalle norme (art. 266, comma 3, n. 3, c.p.; art. 18 Tulps; art. 4, comma 4, l. 110/1975) non consentono di evincere una traccia uniforme di ciò che può essere definita una pubblica riunione accentuando, a volte, il significato del luogo in cui esse si svolgono, altre, lo scopo perseguito, altre ancora, le possibilità di accesso alle stesse ovvero la pluralità delle persone riunite.

Invero, quanto ermeneuticamente ricavabile dal sistema non solo produce categorizzazioni non assimilabili tra loro ma finisce per attribuire al giudice una discrezionalità interpretativa assai vasta che neanche la funzione nomofilachica, attribuita alla Suprema Corte di cassazione, è mai riuscita pienamente a irreggimentare se non a mezzo di un artificio interpretativo assai discutibile.

Si è ritenuto, difatti, che la circostanza che, potenzialmente, presso uno stadio, possa confluire un numero elevato di persone “coincida” con la ratio della fattispecie, da individuarsi sia nella maggiore difficoltà di controllo del sorvegliato speciale da parte delle forze dell'ordine e sia, dall'opportunità, per il sottoposto, di poter porre in essere, più agevolmente, in tali situazioni, azioni delittuose.

In forza di tale impostazione, pertanto, la giurisprudenza per anni (ex multis, Cass. pen., Sez I, n. 15870/2015; Cass. pen., Sez. I, n. 28964/2003), pur riconoscendo le carenze strutturali del precetto, ne ha sempre “giustificato” la voluta indeterminatezza, così comprimendo sensibilmente il diritto di associarsi liberamente in nome della sicurezza sociale e affidando al giudice il compito del “gendarme” e ciò in forza di «una inversione logico-giuridica per effetto della quale la ratio giustificatrice assurge ad elemento integrativo di quest'ultima».

Alla luce dell'intervento delle Sezioni unite (n. 40076/2017), a sua volta generato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23 febbraio 2017 nel giudizio De Tommaso contro Italia, la fattispecie di cui all'art. 75, comma 2, del d.lgs. 159/2011 non può più trovare “rifugio” applicativo in autarchiche e autoreferenziali, nicchie interne essendo la stessa oramai bisognevole di letture (= interpretazioni) tassativizzanti (= tipizzanti), in armonia con il sistema costituzionale e convenzionale.

Occorre, in definitiva, chiedersi se così come è stata ritenuta priva di specificità la prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi da parte del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo o divieto di soggiorno, lo stesso può, o meno, affermarsi per quella del divieto di partecipare a pubbliche riunioni.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno affermato i seguenti principi di diritto :

  • anche con riferimento al divieto di partecipare a pubbliche riunioni la normativa interna necessita di una rilettura “tassativizzante” e tipizzante della fattispecie, tale da rendere coerenza costituzionale e convenzionale alla norma incriminatrice di cui all'art. 75, comma 2, d. lgs. 159/2011;
  • il carattere precettivo della norma penale è «funzionale a influire sul comportamento dei destinatari» ma tale carattere difetta alla prescrizione che vieta di partecipare a pubbliche riunioni, perché il contenuto incerto della stessa non è in grado di orientare il comportamento sociale richiesto;
  • l'inosservanza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, da parte del soggetto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non integra il reato previsto dall'art. 75, comma 2, d. lgs. 159/2011.
Osservazioni

Il solco interpretativo prescelto dalle Sezioni unite nella sentenza n. 40076/2017 riguardo al fatto che, nel perimetro dell'art. 75, comma 2, del d.lgs. 159/2011, la prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi assume un contenuto «amplissimo ed indefinito che non è in grado di orientare il comportamento sociale», ragione per la quale la sua indeterminatezza «impedisce la stessa conoscibilità del precetto in primo luogo da parte del destinatario e poi da parte del giudice» con la conseguenza, da un lato, che ciò «finisce per influire sulla sussistenza stessa della colpevolezza» e, soprattutto, che, dall'altro, «il delitto in esame è integrato solo ed esclusivamente dalle prescrizioni cd. specifiche, che hanno un autonomo contenuto precettivo» trova, nella decisione qui in commento, un coerente sviluppo applicativo sebbene il percorso dell'illegittimità costituzionale sarebbe stato, senz'altro, ortodossamente, preferibile.

Anche il divieto di partecipare a pubbliche riunioni finisce, quindi, sotto la mannaia derivante dall'insegnamento convenzionale della Cedu (De Tommaso contro Italia)in quanto «una norma non può essere considerata una “legge” se non è formulata con sufficiente precisione in modo da consentire ai cittadini di regolare la loro condotta; essi devono essere in grado – se necessario, mediante appropriata consulenza – di prevedere, ad un livello ragionevole nelle specifiche circostanze, le conseguenze che un determinato atto può comportare».

Tutte le volte che in una norma è presente un deficit di chiarezza e prevedibilità – come del resto si preannunciava nella decisione convenzionale sopra citata nella quale si anticipava la “preoccupazione” (par. 123) riguardo al divieto di partecipare a pubbliche riunioni non specificando la legge «alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice» – la conseguenza non può che essere l'espulsione dal sistema.

L'indeterminatezza dell'oggetto del divieto è tale che impedisce la stessa conoscibilità del precetto in primo luogo da parte del destinatario e poi da parte del giudice che si vede così impropriamente chiamato a dare, egli, contenuti alla prescrizione, facendosi legislatore in sede sanzionatoria.

Se la preoccupazione, legittima e condivisibile, è quella di evitare che un'eccessiva vaghezza incida sulle libertà costituzionalmente, e convenzionalmente, garantite non può, di contro, non evidenziarsi che è l'intero sistema della prevenzione che fatica a farsi comprendere in sede europea, essendo necessariamente legato a irrigimentare comportamenti del tutto legittimi, che se adottati da cittadini sottoposti a misure di polizia divengono vietati.

La centralità del giudice della prevenzione, melius la sua ampia discrezionalità in questo specifico settore repressivo – i cui giudizi non sono fondati su ragionamenti probatori strutturalmente declinati secondo il parametro dell' al di là di ogni ragionevole dubbio –, inevitabilmente si accentua nella ricaduta che le trasgressioni agli ammonimenti dati in quella sede comportano in sede sanzionatoria.

Ciò che viene dalla dottrina più autorevole stigmatizzato come oggettivo limite ordinamentale – e cioè che quando «una sanzione penale viene applicata in mancanza della possibilità di conoscere la norma precettiva, a causa della sua indeterminatezza» determina «una situazione in cui il soggetto che subisce la pena» risulta «in definitiva strumentalizzato dall'ordinamento a puri scopi di prevenzione generale mediante intimidazione» –, non può non prendere in considerazione che il sistema della prevenzione è basato proprio su tali pilastri atteso che le prescrizioni che limitano le libertà fondamentali del soggetto sono del tutto scardinate dal concetto di colpevolezza.

Il difetto di precettività è l'in sé della prevenzione in quanto non mira a colpire un tassativo divieto comportamentale bensì a vietare ciò che per ogni altro soggetto è lecito – tra cui recarsi allo stadio per assistere ad un concerto o a una partita di calcio –, per cui delle due l'una: o la legge si piega a formulare un lungo, ma impensabile, “elenco della spesa”, in cui indicare tutti i luoghi in cui si svolgono pubbliche riunioni (stadi; palazzetti dello sport; arenili; etc. etc.) oppure, più semplicemente, alcuni comportamenti del sorvegliato speciale non potranno essere vietati, così minando la stessa “filosofia” della prevenzione.

La dannosità sociale delle condotte che il sorvegliato speciale deve conoscere per orientare il proprio comportamento non potrà mai trovare una dettagliata elencazione nella legge atteso che la quasi totalità di esse corrisponde a legittimi atteggiarsi delle libertà costituzionali garantite a tutti gli altri cittadini con la conseguenza che essa non può che essere indiretta, presunta e, proprio per questo, non specifica.

È per questo motivo che più che calare direttamente le decisioni convenzionali nel sistema giurisprudenziale sarebbe stato assai più opportuno, come del resto in altre occasioni reclamato dai giudici di legittimità, “passare” attraverso il vaglio della illegittimità costituzionale potendo costituire quest'ultima la giusta sede in cui comporre valori contrapposti, come quello tra la materia della prevenzione – che in Europa non comprendono appieno –, e la sua ricaduta sanzionatoria in sede penale (Cass. pen., Sez. III, n. 28515/2016: «nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna ed una norma della Convenzione Edu il giudice nazionale deve preventivamente verificare la possibilità di interpretare la prima in senso conforme alla norma convenzionale e solo laddove ciò non sia possibile – non potendo disapplicare la norma interna contrastata – deve denunciarne la rilevata incompatibilità alla Corte Costituzionale»).

Guida all'approfondimento

A.V. LANNA, Sulla scia della sentenza De Tommaso, il difetto di tassatività delle fattispecie incriminatrici torna all'esame della Consulta;

M.H. SCHETTINO, I principi della sentenza De Tommaso al vaglio della Corte di cassazione.

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