Liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale secondo lo schema elastico proposto dall'Osservatorio di Milano edizione 2018

Cesare Trapuzzano
11 Settembre 2018

Nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita o grave compromissione del rapporto parentale i riferimenti tabellari elaborati dall'Osservatorio costituito presso il Tribunale di Milano, la cui ultima versione è stata pubblicata il 14 marzo 2018, non consentono, ad ogni modo, il ricorso ad acritici automatismi, poiché tale voce di danno non è mai in re ipsa, ossia non è meramente riconducibile all'evento lesivo dell'interesse protetto, ma delinea, viceversa, un danno conseguenza, che deve essere in concreto accertato, sia pure avvalendosi anche delle presunzioni.
Inquadramento

Il danno da perdita del rapporto parentale, ovvero da compromissione di tale rapporto, si sostanzia nell'onnicomprensivo danno non patrimoniale che scaturisce dalla rottura della congiunzione parentale per effetto del decesso del prossimo congiunto ovvero dalla consistente alterazione di detta relazione per effetto di una lesione dell'integrità psicofisica. Quest'ultima deve essere talmente grave da deteriorare in termini significativi il relativo rapporto. Si tratta, dunque, del danno rivendicato dalle vittime secondarie in conseguenza del decesso o delle gravi lesioni patite dalla vittima primaria. L'interesse sotteso a tale categoria di pregiudizio si identifica con l'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito di formazioni familiari degne di tutela nonché con l'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, anche di fatto, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost. Si tratta, dunque, di un interesse protetto di rilievo costituzionale, che non ha natura economica, la cui lesione non apre la via ad una tutela risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c., bensì ad una riparazione ai sensi dell'art. 2059 c.c. (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828).

In tal caso il danno che ne deriva non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini di vita quotidiana, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti nello stile di vita del prossimo congiunto, il cui onere allegatorio e probatorio ricade sulla parte che lamenti tale nocumento e ne chieda il relativo risarcimento (Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21060). Tale onere di allegazione e dimostrazione va peraltro adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche. L'integrazione di siffatto nocumento resta, pertanto, esclusa ove dall'evento conseguano meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, ovvero, in sintesi, la perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5013; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n.16992; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228; Cass.civ., sez. III, 13 maggio 2011, n. 10527). Più specificamente, il danno da perdita del rapporto parentale va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi piuttosto nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (Cass.civ., sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107).

Pertanto, il danno da perdita o compromissione del rapporto parentale importa il radicale cambiamento delle abitudini di vita, l'alterazione della personalità e lo sconvolgimento dell'esistenza del prossimo congiunto all'esito della perdita o della compromissione della relativa relazione. In ragione della natura onnicomprensiva del danno non patrimoniale da perdita di persona cara (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972) costituisce indebita duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno morale, non altrimenti specificato, oltre al pregiudizio da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la mancanza è percepita, e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ma unitariamente ristorato (Cass.civ., sez. III, 17 dicembre 2015, n. 25351).

Il pregiudizio da perdita del rapporto parentale, quale danno subito iure proprio, che deve essere allegato e provato specificamente dal danneggiato ai sensi dell'art. 2697 c.c., costituisce una voce distinta dal danno biologico eventualmente subito dallo stesso congiunto in occasione del medesimo fatto causativo. Mentre il danno da perdita del rapporto parentale consiste nello sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, il danno alla salute eventualmente subito dallo stesso parente in ragione della perdita del proprio familiare si sostanzia nella lesione dell'integrità psicofisica, suscettibile di accertamento medico legale, ossia prevalentemente nella diagnosi di un nocumento psicologico con effetti invalidanti. Ma tra le due voci di danno non ricorre alcun automatismo (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992; Cass.civ., sez. III, 8 maggio 2015, n. 9320). Piuttosto, in caso di illecito plurioffensivo, è possibile la liquidazione di tanti danni quanto sono i beni della vita oggetto di separata lesione, seppure facenti capo al medesimo soggetto.

Sul piano ontologico la categoria del danno parentale è eterogenea anche rispetto alla superata figura del danno morale soggettivo contingente, inteso come sofferenza interiore transeunte, pretium doloris, oggi convergente nell'unitario danno non patrimoniale.

Il nocumento da perdita o compromissione del rapporto parentale spetta iure proprio, ove ne siano integrati i presupposti, sicché si differenzia dal danno che può essere riconosciuto ai parenti iure hereditario in conseguenza del decesso, dopo apprezzabile lasso temporale, del congiunto, qualificandosi tale voce risarcitoria come danno terminale. Il danno in questione si distingue altresì dal danno catastrofale, quale danno morale percepito dalla parte lesa in termini di lucida coscienza del suo decesso causato dal fatto lesivo addebitabile ad un terzo, che si trasmette agli eredi per effetto del medesimo decesso, i quali pertanto potranno rivendicare tale voce di danno iure hereditario.

Liquidazione del danno parentale

Il danno da perdita del rapporto parentale, conseguente alla morte di un prossimo congiunto, deve essere integralmente risarcito mediante l'applicazione di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, tenuto conto dell'irreparabilità e della perdita della comunione di vita e di affetti nonché dell'integrità della famiglia. Pertanto, la relativa quantificazione va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie e, ove si ricorra a valori tabellari, che devono essere in ogni caso esplicitati, effettuandone la necessaria personalizzazione (Cass.civ., sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107).

Le ultime tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (aggiornate all'anno 2018), che rappresentano ormai da anni i riferimenti tabellari maggiormente utilizzati sul territorio nazionale (aventi, per il costante utilizzo nella metodologia degli operatori e nella stratificazione giurisprudenziale, una vera e propria “vocazione nazionale”), prendendo spunto dall'esperienza acquisita in sede applicativa (segnatamente sui 415 casi reperiti e catalogati nel distretto, come, da ultimo, rilevato dal monitoraggio del 5 luglio 2018), procedono ad una ricognizione volta all'adeguamento dei valori di liquidazione di tale voce di danno. Già le tabelle precedenti hanno provveduto a rielaborare la vecchia tabella dell'anno 1995 del c.d. danno superstiti, che attribuiva alle vittime secondarie un danno morale per la morte dei prossimi congiunti, liquidato secondo una frazione del danno morale, variabile tra 1/5 e 2/3, in base al rapporto di parentela e al numero dei superstiti, che sarebbe spettato al defunto, ove non fosse deceduto e avesse riportato, in conseguenza del fatto lesivo, una percentuale di invalidità permanente del 100%. Infatti, all'esito delle sentenze gemelle della Cassazione nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003, sono mutati i parametri normativi e i criteri di liquidazione del danno da uccisione del prossimo congiunto, che è stato, per l'effetto, denominato come danno da perdita del rapporto parentale. All'uopo, le nuove tabelle individuano, a fronte del rapporto parentale inciso dalla condotta causativa del danno non patrimoniale per la morte del congiunto, una forbice compresa tra un valore monetario medio e un aumento personalizzato massimo della corrispondente liquidazione. Segnatamente, sono presi in considerazione i seguenti rapporti di parentela, con i conseguenti range: a favore di ciascun genitore per la morte di un figlio da euro 165.960,00 a euro 331.920,00; a favore del figlio per la morte di un genitore da euro 165.960,00 a euro 331.920,00; a favore del coniuge (non separato), della parte dell'unione civile o del convivente di fatto sopravvissuto per la morte del proprio partner da euro 165.960,00 a euro 331.920,00; a favore del fratello per la morte di un fratello da euro 24.020,00 a euro 144.130,00; a favore del nonno per la morte di un nipote (e, dovrebbe ritenersi, anche viceversa, a favore del nipote per la morte di un nonno) da euro 24.020,00 a euro 144.130,00.

I rapporti parentali tutelati

La selezione degli aventi diritto va, dunque, operata avendo riguardo, in primo luogo, alla famiglia c.d. nucleare, che ricomprende, oltre al coniuge, ai figli e ai genitori, anche i fratelli e le sorelle, comunque legati da stretti vincoli di parentela, salvo la prova della compromissione del rapporto affettivo con la vittima; la legittimazione attiva oggi spetta anche ai protagonisti dell'unione civile, secondo quanto disposto dalla l. 20 maggio 2016, n.76 (c.d. legge Cirinnà). Il risarcimento non spetta invece al coniuge divorziato: col divorzio, infatti, deve presumersi dissolto il vincolo affettivo tra vittima e superstite. Nel caso, invece, di uccisione del coniuge soltanto separato, il risarcimento non è precluso, ma l'onere della prova si inverte. La separazione, infatti, non consente di presumere ex art.2727 c.c. l'esistenza di un perdurante vincolo affettivo tra i due coniugi. Pertanto, il superstite potrà domandare il risarcimento del danno morale per l'uccisione del coniuge, ma a condizione che dimostri che l'uccisione dell'ex partner abbia provocato quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona cara.

Alla posizione del coniuge non separato sono espressamente equiparate le posizioni, oltre che della parte dell'unione civile, anche del convivente more uxorio. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha già da tempo riconosciuto che il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente more uxorio ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima, assimilabile al rapporto coniugale (Cass.civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12278), che però non potrà ritenersi senz'altro soddisfatto solo in presenza della coabitazione, richiedendosi invece che la vittima ed il superstite abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale e che questo vincolo sia dimostrato attraverso un insieme complessivo di elementi quali, a titolo meramente esemplificativo, un progetto di vita comune, l'esistenza di un conto corrente comune, la compartecipazione di ciascuno dei conviventi alle spese familiari, la prestazione di reciproca assistenza, la coabitazione (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2018, n. 9178). Il giudice, però, non potrà liquidare questo pregiudizio ricorrendo a criteri equitativi puri, ma dovrà applicare le tabelle adottate dal Tribunale di Milano per la liquidazione del danno parentale (Cass.civ., sez. III, 18 maggio 2017, n. 12470). Pertanto, ove sia dimostrata, con ogni mezzo di prova, la convivenza e la esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo tra la vittima ed il convivente di fatto, quest'ultimo avrà diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il cui esatto ammontare dipenderà anche dalle peculiarità del caso concreto e dunque dagli elementi di cui disporrà il giudice, applicando le tabelle milanesi, allo scopo di personalizzare l'ammontare della liquidazione.

La nuova tabella elaborata nel 2018 (ribadendo una innovazione introdotta nell'Edizione 2009 rispetto alle precedenti tabelle) ha preso espressamente in considerazione anche il legame nonno-nipote stravolto in ragione del fatto lesivo. E ciò alla luce dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui il legame tra nonno e nipote, in quanto giuridicamente rilevante, consente di presumere che il nonno (ma ciò potrebbe valere a mio giudizio anche per il nipote) possa subire un pregiudizio non patrimoniale per la morte del nipote anche in difetto di convivenza, fatta salva la necessità di provare l'effettività e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno (Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332). Così, qualora risulti comprovata la dissoluzione della famiglia per il prematuro decesso di uno dei coniugi o per separazione o divorzio, i nonni sono chiamati a un ruolo quasi surrogatorio rispetto ai genitori, con la conseguenza che la familiarità dei contatti tra nonno e nipote genera in quest'ultimo una percezione di affetto e di relazione sempre più marcata e non riconducile al comune, e già normalmente intenso, rapporto nipote-nonno.

In ogni caso, l'elencazione dei rapporti parentali contenuta in tale tabella non ha alcuna pretesa di tassatività. Piuttosto, con riferimento agli altri rapporti parentali, non si è reputato congruo elaborare appositi criteri tabellari per difetto di un numero sufficiente di precedenti giurisprudenziali, idonei a consentire l'allestimento di una specifica voce tabellare. Sicché il giudice potrà riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale anche a soggetti diversi da quelli indicati in tabella, purché sia fornita la prova dell'integrazione di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento della vita della vittima secondaria a seguito della morte ovvero della grave lesione biologica del congiunto. Ne consegue che, quanto agli altri parenti ed affini (nipoti, zii, cugini, cognati, ecc.), la legittimazione può essere loro riconosciuta soltanto se, oltre all'esistenza del rapporto di parentela o di affinità, concorrano ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale. Così il Tribunale di Macerata ha riconosciuto il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale anche in favore degli ascendenti e fratelli costituitisi in giudizio, assumendo a tal fine rilievo la sussistenza o meno di un rapporto di convivenza (Trib. Macerata, sent. 26 aprile 2018, n. 498).

La convivenza tra il de cuius ed i congiunti non rappresenta criterio fondamentale e necessario per accordare tutela al pregiudizio di cui si tratta, anche in considerazione del progresso tecnologico che caratterizza lo sviluppo nel settore delle telecomunicazioni e che conseguentemente modifica le modalità di interrelazione personale nella società odierna. Sul punto anche recentemente la Corte di Cassazione ha ribadito che il dato esterno ed oggettivo della convivenza non è elemento idoneo ad escludere a priori il diritto del non convivente al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale; tuttavia la convivenza costituisce elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare il quantum debeatur (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016 n. 21230; contra Cass.civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4253).

Sotto l'aspetto descrittivo della contiguità, invece, possono essere offerti criteri di identificazione della legittimazione (si pensi al convivente more uxorio per il quale si potrà richiedere un periodo minimo di comprovata convivenza abitativa, oppure l'esistenza di parametri obbiettivi, quali la condivisione delle spese di vita per un lasso di tempo, di assicurazioni, del mutuo e così via).

Quanto alla posizione del congiunto residente all'estero, si aderisce all'indirizzo di legittimità secondo cui l'art. 16 disp. prel.c.c., nella parte in cui subordina alla condizione di reciprocità l'esercizio dei diritti civili da parte dello straniero, pur essendo tuttora vigente, deve essere interpretato in modo costituzionalmente orientato, alla stregua dell'art. 2 Cost., che assicura tutela integrale ai diritti inviolabili. Pertanto, allo straniero, che sia o meno residente in Italia, è sempre consentito (a prescindere da qualsiasi condizione di reciprocità) domandare al giudice italiano il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona (quali il diritto alla salute e ai rapporti parentali o familiari), avvenuta in Italia, sia nei confronti del responsabile del danno, sia nei confronti degli altri soggetti che per la legge italiana siano tenuti a rispondere, ivi compreso l'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli od il Fondo di garanzia per le vittime della strada (Cass. civ.,sez. III, 4 novembre 2014, n. 23432; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2012, n. 7049; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2011, n. 450). Con riferimento alla quantificazione di tale danno, la Cassazione ha superato l'orientamento precedente, secondo cui la somma riconosciuta avrebbe dovuto tenere conto della realtà socio-economica in cui il danneggiato vive (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1637), ed ha sostenuto, per converso, che la realtà socio-economica nella quale vive il soggetto danneggiato da un fatto illecito, ed in cui la somma da liquidare è presumibilmente destinata ad essere spesa, è del tutto irrilevante ai fini della liquidazione del danno aquiliano, atteso che si tratta di un elemento estraneo all'ambito dell'illecito e che – ove venisse considerato – determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento ed una lesione del principio di integralità del risarcimento (Cass. civ., sez. VI-III, ord.15 febbraio 2018, n. 3767; Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2016, n. 12146; Cass.civ., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12221; Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2014, n. 24201; Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2012, n.7932). Sicché l'illecito aquiliano si compone di tre elementi essenziali - condotta illecita (dolosa o colposa), danno e nesso causale tra essi -, le cui circostanze soltanto possono incidere sulla aestimatio del danno, mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento a lui spettante, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell'illecito, un posterius, come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2016, n. 20206).

Quantificazione in concreto

L'intervallo compreso tra il valore medio unitario e l'aumento massimo consente di tenere conto, nella fase liquidativa, ai fini della precisa tassazione dell'importo dovuto per il titolo preteso, di tutte le circostanze del caso concreto, che possono esemplificativamente essere identificate nella sopravvivenza o meno di altri congiunti del nucleo familiare primario all'esito del decesso della vittima primaria, nella convivenza o meno dei prossimi congiunti prima che il fatto si verificasse, nella qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, nella qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona deceduta. Alla necessità di proporzionare la liquidazione alla durata ed intensità del vissuto fa richiamo anche la giurisprudenza di merito (Trib. Napoli, sent. 18 aprile 2017, n. 4490). Siffatti criteri orientano il quantum e non l'an debeatur. Per l'effetto, l'assenza di convivenza o la distanza rispetto alla vittima del sinistro non esclude di per sé il risarcimento in favore dei prossimi congiunti; infatti, l'uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti, circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate appunto ai fini del quantum debeatur. Nei casi suddetti è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 15 febbraio 2018, n. 3767).

Nondimeno, non esiste un minimo garantito da liquidarsi in ogni caso per effetto del decesso del congiunto in favore del parente richiedente. Il giudice dovrà, infatti, valutare caso per caso e la parte interessata sarà comunque gravata dai conseguenti oneri di allegazione e prova del danno non patrimoniale patito (Cass. civ., sez. VI-III, 17 gennaio 2018, n. 907). Con la conseguenza che nulla vieta che, in base alle circostanze del caso concreto, il giudice possa liquidare una somma minore rispetto al valore medio prospettato in tabella. Piuttosto, il valore medio potrà costituire il punto di riferimento per una liquidazione fondata su una prova presuntiva, qualora la parte istante abbia fornito specifiche allegazioni in proposito. Al riguardo, non a caso il valore di partenza è qualificato come valore medio (più esattamente denominato “valore monetario base” nella nuova veste grafica 5 luglio 2018) e non minimo, trattandosi appunto di quegli importi che in via di regola la prassi giurisprudenziale ha ritenuto congrui ristori compensativi con riferimento ai casi di decesso collegati alle corrispondenti relazioni parentali. Per converso, la misura massima prevista in tabella potrà essere applicata dal giudice, per effetto di personalizzazione, solamente ove la parte danneggiata alleghi nel processo e provi in modo rigoroso specifiche circostanze di fatto da cui possa desumersi il più radicale sconvolgimento della propria vita in conseguenza della perdita del rapporto parentale. Si pensi all'ipotesi in cui il prossimo congiunto rimasto in vita alleghi e provi che il parente deceduto a causa del fatto lesivo imputabile al danneggiante gli prestava un'assistenza esclusiva in ragione delle sue precarie condizioni di salute.

Peraltro, anche per il danno da perdita del rapporto parentale devono essere distinte le ipotesi integranti reati colposi da quelle che integrano reati dolosi. Infatti, la tabella trova applicazione esclusivamente con riguardo agli effetti della commissione di reati colposi. Di contro, nelle fattispecie in cui l'illecito sia stato cagionato con dolo, il giudice avrà la possibilità di valutare tutte le peculiarità del caso concreto e potrà pervenire anche ad una liquidazione superiore alla soglia massima contemplata in tabella (ma la liquidazione non deve essere necessariamente superiore). Ne discende che, a fronte dell'integrazione di reati dolosi, i parametri tabellari assumono una mera valenza orientativa ab externo. In questa previsione è stata ravvisata la volontà di attribuire una funzione anche punitiva al risarcimento dei danni. Sennonché, al pari di tutte le ipotesi di liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice potrà liquidare una somma anche superiore ai massimi tabellari. Al riguardo, la tabella costituisce la sintesi di un monitoraggio di sentenze aventi ad oggetto fatti illeciti, che sono, di regola, penalmente irrilevanti ovvero integrano gli estremi di un reato colposo. Laddove, invece, ricorrano tutti i presupposti per ravvisare la sussistenza di un reato doloso ovvero la fattispecie concreta presenti altri elementi di eccezionalità, il giudice deve prescindere dalla tabella e liquidare gli importi ritenuti più congrui, in considerazione delle peculiarità del caso in esame.

Obbligo di motivazione

Ad ogni modo, la quantificazione del caso concreto operata dal giudice dovrà essere supportata da adeguata motivazione, non potendo la liquidazione essere giustificata da un mero richiamo tabellare, senza alcuna opera di adattamento e specificazione rispetto alla fattispecie concreta. Pertanto, rimane fermo il dovere di motivazione dei criteri adottati per graduare il risarcimento entro il range previsto in tabella ovvero per legittimare il suo collocamento sotto la soglia media o il superamento del massimo.

In conseguenza, all'onere di allegazione e di prova della parte danneggiata corrisponde un obbligo di motivazione del giudice in ordine alla quantificazione di tutte le voci meramente descrittive dell'onnicomprensivo danno non patrimoniale. Sono, per converso, esclusi meri rinvii automatici, che sarebbero violativi del generale dovere di motivazione di tutti i provvedimenti giudiziali ex art. 111 Cost.

Per l'effetto, attraverso debita motivazione, il giudice, in base al suo prudente apprezzamento, potrebbe non liquidare alcunché per la morte del prossimo congiunto se fossero provati litigi (ad esempio, plurime e pretestuose cause giudiziarie) o reati (ad esempio, furti o truffe, violenza sessuale, ecc.) commessi ai danni del familiare oppure fossero accertate altre eccezionali circostanze (ad esempio, la circostanza che il marito, subito dopo il decesso della moglie, abbia trascorso una lunga vacanza alle Maldive con l'amante).

Grave lesione del rapporto parentale

Il risarcimento del danno spetta anche nell'ipotesi di danno non patrimoniale derivante da compromissione del rapporto parentale, ossia in conseguenza delle macrolesioni patite dal prossimo congiunto. Tale nocumento si sostanzia nel mutamento in peius delle relazioni personali e familiari nonché nello sconvolgimento delle abitudini di vita pregresse, eziologicamente derivante dalle gravi lesioni fisiche riportate dalla vittima primaria in conseguenza di un fatto illecito. Così accade nel caso in cui si debba modificare il proprio stile di vita, la propria agenda, in tutte le sue peculiari estrinsecazioni, per assistere un figlio gravemente invalido, con la forzata rinuncia alle attività quotidiane, ivi incluse quelle che siano fonte di compiacimento, e - in genere - con il provocato stravolgimento, conseguente all'illecito, della propria vita familiare e sociale. Chiaramente deve trattarsi di lesioni gravi, ossia seriamente invalidanti (Cass. civ.,sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25729). Anche in questo caso il danno è immediatamente e direttamente riconducibile al fatto lesivo e la fattispecie che si determina non può essere derubricata ad un'ipotesi di danno privo di un nesso di regolarità (o normalità) causale con l'illecito, essendo per converso il danno riflesso o di rimbalzo dei prossimi congiunti pacificamente ristorabile ai sensi dell'art. 1223 c.c. (a partire dalla pronuncia di Cass. civ., Sez. Un.,1 luglio 2002, n. 9556). In specie dal fatto illecito discende l'impossibilità di ripristinare un normale ménage familiare, in relazione alle condizioni sociali, economiche e culturali del nucleo familiare, così come si erano articolate e consolidate nel periodo precedente al fatto. Infatti, molto frequentemente, per effetto di una grave lesione subita, ad esempio da un figlio o da un genitore, il ménage del nucleo familiare è alterato irreversibilmente: per l'effetto, è necessario accompagnare il parente all'incontro periodico con lo psicologo o il fisioterapista ovvero per l'esecuzione di controlli medici periodici da effettuare in sedazione (come gastroscopie, colonscopie), occorre aiutarlo nelle piccole incombenze quotidiane, occorre avere un sostegno negli studi, si è costretti a cambiare lavoro, non è più possibile guidare l'auto della famiglia, è necessario l'ausilio di una domestica, ecc..

Sul piano probatorio, i congiunti del macroleso hanno l'onere di allegare e dimostrare che la vittima primaria abbia effettivamente subito una macrolesione in conseguenza del fatto illecito e che tale macrolesione incida altresì sulla vita e sulle relazioni familiari, provocando sofferenze ai prossimi congiunti. Un siffatto pregiudizio non è, tuttavia, accertabile in concreto solo attraverso le prove storiche, ma occorre anche e soprattutto fare ricorso alle prove critiche, prima tra tutte la prova presuntiva di cui all'art.2727 c.c. Inoltre, trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo contingente) e dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l'illecito ha invece reso impossibile, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a ragionamenti inferenziali sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire.

Sul piano della quantificazione, la misura del danno non patrimoniale riparabile in favore della vittima secondaria non è collegata alla quantificazione del danno biologico spettante alla vittima primaria. In proposito, pur essendo la gravità di quest'ultimo rilevante per la stessa configurabilità del pregiudizio al familiare, la parte esplicativa delle tabelle ambrosiane suggerisce di tenere conto in fase liquidativa essenzialmente della natura e dell'intensità del legame che si era in precedenza instaurato e consolidato tra vittime secondarie e vittima primaria, nonché della quantità e qualità dell'alterazione della vita familiare pregressa. Tali aspetti possono essere dimostrati anche attraverso presunzioni. Così ove il padre-attore abbia allegato e provato gli elementi costitutivi del diritto risarcitorio, vale a dire la gravità delle lesioni risentite dal minore, comportanti un lungo periodo di ricovero ospedaliero, l'intensità del rapporto di parentela e la coabitazione, da tali fatti il giudice può desumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la circostanza che il padre della vittima primaria si sia messo in allarme per la salute del figlio (Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2017, n. 17058). La difficoltà nella tipizzazione delle molteplici varianti rispetto alle peculiarità dei casi concreti ha indotto a ritenere praticabile solo l'individuazione di un tetto massimo nella liquidazione, pari al tetto massimo di cui alla perdita del rapporto parentale, da applicare esclusivamente ove sia provato il massimo sconvolgimento della vita familiare. Non è invece possibile ipotizzare un danno non patrimoniale medio. Sicché nell'ipotesi in cui la madre rivendichi il danno da compromissione del rapporto parentale per la macrolesione patita dal figlio, il giudice potrà liquidare una somma variabile da zero sino a euro 331.920,00, corrispondente al massimo sconvolgimento della vita familiare, che potrebbe sussistere se la madre avesse lasciato il lavoro per dedicare tutta la propria vita all'assistenza morale e materiale del figlio.

Quanto all'individuazione dei soggetti legittimati, agli oneri di allegazione e di prova gravanti sulle parti nonché all'obbligo di motivazione del giudice si applicano gli stessi criteri previsti per la liquidazione del danno da radicale perdita del rapporto parentale.

In conclusione

Siffatto sistema tabellare di calcolo del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale, secondo la proposta elaborata dall'Osservatorio istituito presso il Tribunale di Milano, consente di raggiungere risultati obiettivi, confacenti alle finalità primarie che la formulazione della proposta si prefigge: da un lato, l'individuazione di criteri di calcolo ragionevoli ed elastici, che consentano di escludere che il principio equitativo (recte di equità valutativa) nella liquidazione si traduca in un vero e proprio arbitrio, senza compromettere, al contempo, l'adeguamento al caso concreto, attraverso il riconoscimento di un calibrato potere di personalizzazione, anch'esso regolato entro limiti ben definiti; dall'altro, l'esigenza di assicurare quantificazioni congrue a fronte di fattispecie omogenee, atte ad evitare deprecabili possibilità di ingiustificate disparità di trattamento, come tali violative del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Il superamento della tradizionale forbice compresa tra un minimo e un massimo e la prospettazione, per contro, di un valore monetario medio di base, suscettibile di aumenti personalizzati, sino ad un tetto massimo espressamente indicato, rispondono appunto all'esigenza, particolarmente avvertita in sede nomofilattica (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5013), di assicurare un'uniformità pecuniaria di fondo. Muovendo da quest'ultima, il giudice, nella sua prudente discrezionalità, è in grado comunque di procedere alla personalizzazione del danno, giungendo così ad una liquidazione adeguata e proporzionata all'effettiva incidenza della menomazione subita dal danneggiato nel caso concreto. All'elasticità interna, che consente al giudice di muoversi nell'ambito del range, facendo applicazione degli indici profilati, si accompagna una duttilità esterna, che permette di superare detti confini, sia in difetto sia in eccesso, in ragione della specifica vicenda oggetto di apprezzamento, ove essa si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui la tabella non abbia già tenuto conto, in quanto elaborata in astratto in base all'oscillazione ipotizzabile sulla scorta delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'id quod plerumque accidit, purché si dia atto in motivazione di dette circostanze e dei termini (quomodo) in cui esse sono state considerate.

Segnatamente, la considerazione del tipo di rapporto parentale instaurato in concreto, ossia nel suo concreto atteggiarsi, nonché la valutazione delle implicazioni che la rottura o la menomazione della relazione ha determinato nella specie (alla stregua della gravità del fatto, dell'entità del dolore patito, delle condizioni soggettive della persona, del turbamento dello stato d'animo, dell'età della vittima e dei congiunti all'epoca del fatto, del grado di sensibilità dei danneggiati superstiti, della situazione di convivenza o meno con il deceduto), escludono che la stima del danno possa avvenire sulla scorta di meri automatismi e postulano, viceversa, che il giudice dia conto, rispetto all'assetto della vicenda esaminata, dei termini di effettiva emersione del pregiudizio lamentato. La duttilità, intesa come capacità di adattamento alla vicenda di specie, inerisce anche all'individuazione delle relazioni parentali, atteso che i rapporti elencati non sono tassativi. Sicché i previsti termini di funzionamento del meccanismo tabellare, per definizione contraddistinto da una valenza orientativa, non esonerano affatto la parte danneggiata dall'onere di allegazione e asseverazione, precisa e circostanziata, piuttosto agevolano la quantificazione, evitando che il riconoscimento della riparazione sconfini in un'opera abusiva e, comunque, discutibile, perché del tutto disancorata dal richiamo a dati obiettivi.

Guida all'approfondimento

R. FOFFA, Riflessi parentali del danno da morte ed onere probatorio, in Danno e Resp., 2017, 2, 167;

G. IORIO, Il danno risarcibile derivante dal decesso del convivente di fatto, in Resp. civ. e prev., 2017, 1092B, fasc. 4;

L. LA BATTAGLIA, Il danno non patrimoniale da perdita del figlio del partner: variazioni sul tema della famiglia di fatto, in Fam. e dir., 2017, 4, 329;

M. RODOLFI, Danno da perdita del rapporto parentale, in Ridare.it, 9 giugno 2014;

G. SILECI, Criteri per la liquidazione del danno da morte del convivente more uxorio e oneri di allegazione della parte danneggiata, in Ridare.it, 4 giugno 2018;

D. SPERA, Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, in Officina del diritto - civile e processo, 2018, 27

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