Trattamenti di dati effettuati per finalità di polizia. Il provvedimento di archiviazione resta in banca dati per vent’anni

Redazione Scientifica
11 Settembre 2018

Il d.P.R. 15/2018, Trattamenti di dati effettuati per finalità di polizia, all'art. 10, comma 3, lett. f) stabilisce il termine di venti anni per la conservazione delle informazioni relative ad attività di polizia giudiziaria conclusasi con provvedimento di archiviazione.

Il d.P.R. 15/2018, Trattamenti di dati effettuati per finalità di polizia, all'art. 10, comma 3, lett. f) stabilisce il termine di venti anni per la conservazione delle informazioni relative ad attività di polizia giudiziaria conclusasi con provvedimento di archiviazione.

Data la natura sostanziale della norma è consentita l'applicazione anche a fattispecie in cui l'acquisizione dei dati e la proposizione dell'istanza di cancellazione hanno avuto luogo in epoca anteriore all'entrata in vigore del regolamento.

Cass. civ., Sez. I, sent. 21362 del 29 agosto 2018, in applicazione dei suddetti principi, ha rigettato il ricorso di N.R. contro il provvedimento del tribunale di Roma che affermava la correttezza della condotta del Ministero dell'interno di rigettare la domanda di cancellazione dei dati del ricorrente dall'archivio del Ced istituito presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza - Direzione Generale della Polizia Criminale.

Secondo il tribunale, ai sensi delle disposizioni contenute nella l. 121/1981, la cancellazione può essere ordinata soltanto nell'ipotesi in cui si tratti di dati inesatti o illegittimamente acquisiti, mentre laddove gli stessi risultino incompleti, come nel caso in cui non si sia provveduto all'annotazione del provvedimento di archiviazione o proscioglimento, può disporsene soltanto l'integrazione.

La Cassazione rileva anzitutto una errata applicazione delle norme da parte del tribunale. Mancando, infatti, l'indicazione, da parte del Legislatore, di un termine massimo di conservazione dei dati, è compito dell'interprete trovare una lettura costituzionalmente orientata.

Pertanto, affermano i giudici di legittimità che «la conservazione del suo nominativo a tempo indeterminato non risponde ad alcuna funzione di prevenzione o repressione dei reati, ma accresce soltanto il danno alla sua reputazione ed alla sua credibilità, essendo l'accesso consentito ai soggetti operanti nel suo stesso settore di attività; aggiunge che la conservazione dei suoi dati personali si pone in contrasto con il d.lgs. n. 196/2003, art. 54, risultando eccedente e non più pertinente ai fini investigativi, per essere venute, meno, a seguito dell'archiviazione, le ragioni di prevenzione e sicurezza sottese all'avvio delle indagini».

Il tribunale avrebbe dovuto dunque accogliere la domanda di cancellazione, tuttavia in epoca successiva alla presentazione del ricorso è entrato in vigore il d.P.R. 15 gennaio 2018, n. 15 recante il regolamento per l'attuazione dei principi del codice della privacy relativamente al trattamento dei dati effettuato per finalità di polizia, che trova applicazione nel caso specifico in quanto il procedimento al quale si riferiscono i dati, dei quali è stata chiesta la cancellazione, è stato archiviato con provvedimento del 2 aprile 2007. Non risultando, dunque, ancora decorso il ventennio prescritto dalla predetta disposizione, ma solo la metà del predetto periodo, ne consegue che la tutela dell'interessato rimane allo stato affidata, ai sensi dell'art. 10, comma 2, all'accessibilità dei dati da parte dei soli operatori a ciò abilitati.

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