Assegno per il figlio: la Cassazione precisa come si calcola il reddito dei genitori

Rosa Muscio
12 Settembre 2018

La pronunzia in esame affronta ancora una volta la delicata questione della ricostruzione della capacità reddituale dei genitori/coniugi che il Giudice è chiamato a fare ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento ex artt. 337-ter, comma 4, c.c. e art. 156 c.c..
Massima

Ai fini della liquidazione dell'assegno di mantenimento, occorre avere riguardo non già al reddito lordo, ma a quello netto, dal momento che è su quest'ultimo che la famiglia fa affidamento in costanza di matrimonio, rapportando ad esso ogni possibilità di spesa.

Il caso

In un giudizio di separazione la sentenza di primo grado, confermata in appello, ai fini della determinazione della capacità reddituale del padre/marito, per stabilire la misura dell'assegno di mantenimento dei figli e della moglie, ha ritenuto che il reddito netto potesse essere desunto dall'importo delle fatture emesse per il pagamento dei corrispettivi, detratte le ritenute d'acconto, limitandosi ad osservare, in ordine ai costi, che gli stessi non potevano essere dimostrati mediante la dichiarazione di un commercialista.

La Suprema Corte ha cassato la pronuncia in questione, osservando, in primo luogo, che in tema di separazione dei coniugi, ai fini della valutazione delle condizioni economiche delle parti, occorre avere riguardo non già al reddito lordo, ma a quello netto, dal momento che è su quest'ultimo che la famiglia fa affidamento in costanza di matrimonio, rapportando ad esso ogni possibilità di spesa.

Ha poi precisato che, ai fini della prova, dovendosi fare innanzitutto riferimento alle dichiarazioni dei redditi, il reddito netto va individuato nella differenza tra il reddito complessivo del dichiarante, costituito dalla somma degli introiti derivanti dall'esercizio della sua attività lavorativa o imprenditoriale e dei proventi dei beni di cui abbia la disponibilità, detratti gli oneri deducibili, a loro volta rappresentati dai costi sostenuti per l'esercizio della medesima attività e la gestione dei predetti beni, e l'ammontare dell'imposta netta pagata.

La questione

La pronunzia in esame affronta ancora una volta la delicata questione della ricostruzione della capacità reddituale dei genitori/coniugi che il Giudice è chiamato a fare ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento ex artt. 337-ter, comma 4,c.c. e art. 156 c.c..

Le soluzioni giuridiche

Deve premettersi che la questione affrontata dalla pronuncia in esame non si pone solo nei giudizi di separazione, ma anche nei giudizi di divorzio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, ormai di competenza del Tribunale ordinario in forza dell'art. 38 disp. att. c.c, come modificato dalla l. n. 219/2012.

La ricostruzione della capacità reddituale ed economico-patrimoniale delle parti nei giudizi del conflitto familiare è necessaria sia per la determinazione dei contribuiti al mantenimento dei figli sia per la determinazione dell'assegno di mantenimento del coniuge ex art. 156 c.c. sia dell'assegno divorzile.

E la soluzione che il Supremo Collegio offre, muovendo da un principio di diritto consolidato, rappresenta un'indicazione più chiara, ma già in precedenti pronunce affermata (Cass., sez. I, 23 aprile 2010, n. 9719; Cass., sez. I, 23 agosto 2012, n. 14610), della rilevanza ai fini della ricostruzione della capacità reddituale delle parti del reddito netto e non di quello lordo, ricostruito attraverso le dichiarazioni fiscali prodotte in giudizio dalle parti.

È principio consolidato affermato dalla Suprema Corte e ribadito quale premessa anche della pronuncia in esame che, al fine della decisione sull'an e sul quantum dei contributi al mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare attraverso l'acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., sez. I, 5 novembre 2007, n. 23051; Cass., sez. I, 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., sez. I, 18 giugno 2008, n. 16575; Cass., sez. I, 28 gennaio 2011, n. 2098; Cass., sez. I, 6 giugno 2013, n. 14336; Cass., sez. VI-I, 15 novembre 2016, n. 23263).

La Corte nella sentenza in commento aggiunge che deve aversi riguardo al reddito netto dell'obbligato e non al reddito lordo, dando, nel caso di specie, peculiare rilevanza alle dichiarazioni fiscali ai fini del calcolo del reddito netto e illustrando in modo analitico le modalità per il calcolo di tale reddito.

La Corte considera, infatti, quale dato di partenza il reddito complessivo indicato nelle dichiarazioni fiscali, voce che comprende sia il reddito da lavoro dipendente o equiparato sia i redditi da fabbricati, se soggetti a tassazione ordinaria. Evidenzia come da tale dato debbano detrarsi sia l'imposta netta sia gli oneri deducibili indicati nella dichiarazione fiscale, così da avere il dato reddituale netto effettivo.

Tale ultimo dato costituisce il parametro reddituale da considerare ai fini della ricostruzione della capacità reddituale delle parti cui ovviamente va sommata la capacità patrimoniale, immobiliare e mobiliare, ricavabile sia dalle dichiarazioni fiscali sia dagli altri elementi probatori acquisiti e/o acquisibili in giudizio.

Tale insegnamento, ad avviso di chi scrive, deve in ogni caso coordinarsi con altri principi affermati dalla Suprema Corte con riguardo a questa specifica materia.

Non può, infatti, non considerarsi che la stessa Cassazione ha a più riprese affermato che le dichiarazioni dei redditi dell'obbligato hanno una funzione tipicamente fiscale, sicché nelle controversie relative a rapporti estranei al sistema tributario, nella specie, concernenti l'attribuzione o la quantificazione dell'assegno di mantenimento, non hanno valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie (Cass., sez. VI-I, 16 settembre 2015, n. 18196).

E anche nella materia del conflitto familiare ha riconosciuto rilevanza sul piano probatorio alle presunzioni là dove ha affermato che è incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice di merito circa l'opportunità di fondare la decisione su tale mezzo di prova (cioè le presunzioni) e circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass., sez. I, 14 maggio 2005, n. 10135).

Non può, infatti, sottacersi che se le dichiarazioni fiscali possono di norma essere indicative della capacità reddituale da lavoro, specie nel caso di attività lavorative dipendenti/subordinate, in molti casi il dato reddituale ricavato dalla documentazione fiscale, anche secondo il corretto metodo di calcolo descritto dalla sentenza in esame, stride con il quadro probatorio complessivo a disposizione del giudice di merito circa la capacità economico patrimoniale di una e/o di entrambe le parti del giudizio, risultando spesso una capacità di spesa e un tenore di vita poco compatibili con il dato numerico emergente dalle sole dichiarazioni fiscali.

In tali casi è doveroso, quindi, operare una valutazione più ampia e complessiva degli elementi probatori già a disposizione, perché offerti in giudizio dalle stesse parti o acquisiti dallo stesso giudice nell'esercizio di quei poteri di ufficio di cui il giudice del conflitto familiare dispone con riguardo alle statuizioni relative ai figli minori (Cass. 4 maggio 2000, n. 5586; Cass. 22 novembre 2000, n. 15065; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4205, Cass., sez. I, 3 agosto 2007, n. 17043; Cass., sez. I, 18 marzo 2010, n. 6606).

Principio quest'ultimo che la Suprema Corte ha anche di recente ribadito, affermando che nei giudizi di separazione e divorzio e nei giudizi relativi ai figli di genitori non coniugati, ai fini dell'adozione dei provvedimenti relativi non solo all'affidamento dei figli, ma anche al loro mantenimento, in quanto volti alla tutela di interessi sì privati, ma rilevanti per l'ordine pubblico, è consentito al giudice di merito - in deroga ai princìpi generali - non solo acquisire d'ufficio le prove ritenute necessarie, ma anche adottare d'ufficio i provvedimenti relativi.

Nei procedimenti in questione, infatti, opera una deroga alle regole generali sull'onere della prova, essendo riconosciuti, in forza del complesso normativo che presiede la materia, al giudice del conflitto familiare non solo poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza che le domande delle parti stesse non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati a una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche in via officiosa, ma anche il potere di adottare, parimenti d'ufficio, i provvedimenti opportuni per il mantenimento del minore. La determinazione del contributo cui il genitore non affidatario è tenuto in caso di divorzio o di separazione o crisi della coppia non coniugata, non è governata dal principio della domanda, la necessità della quale non ricorre, attese le preminenti finalità pubblicistiche relative alla tutela ed alla cura dei minori stessi (Cass., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11412; Cass., sez. VI-I, 23 ottobre 2017, n. 25055).

Osservazioni

La sentenza in esame ribadisce, ad avviso di chi scrive, un importante insegnamento ai fini della corretta ricostruzione della capacità reddituale delle parti nei giudizi del conflitto familiare che deve in ogni caso essere coniugato con tutti gli altri principi consolidati affermati dalla stessa Suprema Corte in materia.

E ciò al fine di pervenire a decisioni che siano davvero aderenti alla singole situazioni familiari, così da poter determinare contributi di mantenimento per i figli e per il coniuge o ex coniuge che siano effettivamente rispondenti al principio di proporzionalità e idonei a garantire le esigenze di vita della famiglia disgregata e, quindi, non solo dei beneficiari del contributo, ma anche del soggetto obbligato al pagamento.

Se, infatti, è vero che devono essere garantite, specie ai figli, condizioni di vita il più possibile analoghe a quelle di cui gli stessi hanno goduto durante la convivenza dei loro genitori, è, altresì, vero che l'obbligo di mantenimento dei figli grava su entrambi i genitori in proporzione della rispettiva capacità economico-reddituale e che la disgregazione del nucleo familiare comporta di per sé un impoverimento, o meglio maggiori oneri che non possono farsi gravare solo su uno dei due genitori o su una sola delle parti, come affermato dalla stessa Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2013, n. 17199).

Né del resto in questa materia è possibile ipotizzare rigidi criteri di predeterminazione della misura dei contributi di mantenimento, come pure in alcuni contesti oggi a gran voce si suggerisce, invocando soluzioni adottate in altri paesi europei, atteso che, in un contesto economico-sociale quale quello italiano, solo una attenta e rigorosa applicazione dei criteri normativi previsti dalle nostre disposizioni di legge, interpretati alla luce della consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, può consentire una seria e attendibile ricostruzione della complessiva capacità reddituale e patrimoniale delle parti del giudizio e, quindi, una giusta e sostenibile determinazione della misura dei contributi di mantenimento per i figli e per il coniuge separato o per l'ex coniuge.

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