Aggiudicazione dell’immobile al migliore offerente o assegnazione al creditore?

Pasqualina Farina
12 Settembre 2018

Brevi considerazioni sulla discrezionalità del giudice dell'esecuzione.
Massima

In sede di vendita forzata, il giudice dell'esecuzione assegna l'immobile al creditore, se l'importo dell'istanza di assegnazione è più elevato dell'offerta di acquisto del terzo; ciò anche laddove quest'ultima raggiunga o superi il prezzo base riportato nell'ordinanza di cui all'art. 569 c.p.c..

Il caso

Nel corso di un'espropriazione forzata immobiliare venivano formulate tre offerte d'acquisto ed un'istanza di assegnazione a favore del terzo ex art. 590-bis c.p.c..

Al momento della gara di cui all'art. 573 c.p.c. solo l'offerente che aveva proposto un importo pari al prezzo base aumentato di dieci euro si presentava in udienza.

In assenza degli altri due offerenti (le cui offerte erano inferiori al prezzo base fissato nell'ordinanza di vendita) la gara non poteva tenersi.

Dal proprio canto il giudice ha comparato gli interessi delle parti (debitore e creditori) e, anziché aggiudicare il bene in capo al migliore offerente, ha preferito assegnarlo al creditore procedente, in quanto la relativa istanza era stata formulata per un importo «di gran lunga superiore al valore di stima (nello specifico più di 400.000 euro)».

In breve, il giudice ha esteso all'istanza di assegnazione la disciplina stabilita per l'offerta dall'art. 571 c.p.c.; una simile interpretazione sarebbe giustificata dal riferimento contenuto nell'art. 573 c.p.c. alla migliore offerta che, conseguentemente, condurrebbe ad una comparazione assoluta tra (il valore del)l'offerta del terzo e l'istanza di assegnazione; del resto a ritenere diversamente si finirebbe – come si legge nel provvedimento che si annota – per arrecare un grave pregiudizio alle ragioni del debitore.

La questione

La ratio decidendi, esplicitata in motivazione, segue un iter logico chiaro:se il debitore ha un vero e proprio «diritto a veder vendere il proprio bene al prezzo più alto che sia possibile ricavare onde ridurre i propri debiti nei confronti dei propri creditori», gli offerenti sono invece veri e propri «terzi rispetto al processo esecutivo e non meritano alcuna tutela, con riferimento soprattutto ai vantaggi economici che intendono ricavare dall'acquisto all'asta dei beni pignorati».

Nella comparazione tra i due interessi contrapposti, la decisione – improntata ad un evidente favor debitoris – nega l'aggiudicazione in capo all'offerente per un prezzo pari a quello base aumentato di dieci euro. Non solo. A conferma della correttezza di tale impostazione il provvedimento in esame richiama il «contemperamento degli interessi dei creditori procedenti ed intervenuti con quelli del debitore esecutato e la tutela degli interessi di quest'ultimo: tant'è che è stata anche introdotta la norma che prevede la dichiarazione di infruttuosità dell'esecuzione, allorché il prezzo presumibilmente ricavabile dalla vendita non sia soddisfacente per gli interessi dei creditori e pregiudizievole, quindi, per gli interessi del debitore (art. 164-bis disp. att. c.p.c.)».

Le soluzioni giuridiche

La decisione non sembra corretta per diversi motivi.

Innanzi tutto perché disattende la disciplina dell'assegnazione così come riformata dai recenti interventi normativi, estendendo all'istanza di assegnazione del creditore la stessa disciplina dell'offerta di acquisto del terzo, come fossero due istituti del tutto omogenei o equipollenti.

In secondo luogo la pronuncia è improntata alla tutela del debitore che nel processo di espropriazione forzata ha un'accezione decisamente peculiare. Ed infatti, le fondamenta della struttura del processo esecutivo poggiano sulla tutela delle ragioni del soggetto interessato all'acquisto prima e del migliore offerente (rectius aggiudicatario) poi, mentre la tutela del debitore – in seno al processo esecutivo – è affidata da sempre al regime delle opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi.

In riferimento al concorso tra offerta di acquisto e istanza di assegnazione, il combinato disposto degli artt. 572 e 573 c.p.c. è chiaro: l'assegnazione integra un istituto che da un canto consente di evitare l'aggiudicazione per un valore pari alla c.d. offerta «minima» e dall'altro garantisce il raggiungimento di un importo pari almeno al prezzo «base», (ai sensi del novellato art. 589, comma 1, c.p.c.). La ratio legis è, dunque, quella di perseguire una migliore satisfattività della fase liquidatoria latamente intesa.

Segnatamente, gli artt. 572 e 573 c.p.c. il giudice assegna il bene al creditore se ed in quanto la migliore offerta non raggiunge il prezzo base; in tal caso l'istanza di assegnazione è equiparata dal legislatore ad un'offerta più conveniente e pertanto tale istanza è da preferirsi all'offerta minima. In altre parole, il legislatore ha sì assimilato l'istanza di assegnazione ad un'offerta, ma solo per evitare un'aggiudicazione per un valore inferiore al prezzo base ovvero un nuovo tentativo di vendita quando non sono pervenute offerte efficaci, scongiurando così il rischio dell'operatività dell'art. 164-bis disp. att..

Diverse sono, dunque, le conseguenze di questa impostazione sulla valutazione rimessa al giudice (o al professionista delegato), sugli obblighi e sui diritti delle parti (creditori e debitori), nonché su quelli del migliore offerente.

Quanto al giudice, va preliminarmente chiarito che in relazione al concorso tra offerta d'acquisto ed istanza di assegnazione il dato normativo esclude qualsiasi scelta discrezionale al riguardo, come pure il potere di privilegiare un determinato soggetto del processo esecutivo o terzo semplicemente confrontando il valore delle istanze del terzo e del creditore.

Una volta chiarito che il presupposto per l'accoglimento dell'assegnazione è costituito dalla proposizione di una o più offerte minime (o dal mancato deposito di offerte), si deve ritenere che, il giudice (o il professionista), in difetto di tale presupposto, non possa legittimamente assegnare il bene al creditore. La mancanza di discrezionalità è, dunque, assoluta, senza che il dato normativo configuri alcuna eccezione.

Contrariamente a quanto affermato nel provvedimento del Tribunale di Udine nessun rilievo attribuisce, infatti, il legislatore alla circostanza che il valore di assegnazione superi (di gran lunga come accaduto nel caso di specie o di pochi spiccioli) la migliore offerta pari o superiore al prezzo base. Né, analogamente, potrebbe rilevare la circostanza che l'istanza integri un'ipotesi di assegnazione - vendita, satisfattiva ovvero mista.

Osservazioni

A conferma della (limitata) discrezionalità attribuita al giudice dell'esecuzione dagli artt. 572 e 573 c.p.c. va segnalato che il giudice per uscire dall'impasse non avrebbe avuto nemmeno il potere di rinviare la vendita ad altra data; ciò in quanto l'art. 572, comma 3, c.p.c. dispone che solo se è stata formulata una unica offerta cd. minima il giudice può non aggiudicare«quando ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita e non sono state presentate istanze di assegnazione ai sensi dell'art. 588».

Guida all'approfondimento
  • P. Farina, Il concorso tra assegnazione ed aggiudicazione e la mancanza di discrezionalità del giudice dell'esecuzione, in REF, 2018, 427-439;
  • F. Petrucco Toffolo, La fase della vendita nell'espropriazione immobiliare “riformata”, in REF, 2016, 657.

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