L'interesse del minore prevale sul diritto del genitore a trasmettere al figlio il proprio credo religioso

Luca Dell'Osta
14 Settembre 2018

Nel determinare le modalità di affidamento dei figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice è quello del superiore interesse del minore, che prevale sul diritto del genitore di comunicare al figlio il proprio credo religioso se quest'ultimo ne compromette la salute fisica.
Massima

Il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalità dell'affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore a una crescita sana ed equilibrata. Il perseguimento di tale obiettivo può perciò comportare anche l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti e libertà individuali dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute fisica e lo sviluppo.

Il caso

La sentenza qui in commento origina da una vicenda contenziosa che vede contrapposti T.C., padre della piccola E., e S.G., madre della bambina; nell'ambito del giudizio di primo grado, in sede di determinazione delle condizioni dell'affido condiviso di E., il tribunale aveva inibito al padre T.C. di condurre con sé la bambina agli incontri e alle manifestazioni dei Testimoni di Geova, credo religioso che l'uomo aveva abbracciato dopo la fine della convivenza con S.G..

La Corte di appello competente respingeva con decreto il reclamo proposto dall'uomo avverso il provvedimento del Tribunale.

T.C., quindi, proponeva ricorso straordinario per Cassazione, al quale resisteva S.G. eccependo l'inammissibilità del ricorso stesso (per essere stato proposto avverso un provvedimento privo dei caratteri della decisorietà e della definitività).

La questione

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi su alcune questioni procedurali.

In primo luogo, deve valutare l'eccezione di inammissibilità sollevata in via preliminare dalla controricorrente;

In secondo luogo, deve affrontare i tre motivi di impugnazione del ricorrente; con il primo si denuncia violazione degli artt. 3, 19 e 30 Cost., artt. 8 e 9 CEDU, artt. 147, 315-bis, 316, 337-bis e 337-ter c.c.; con il secondo, si denuncia la violazione dell'art. 6 CEDU; con il terzo, infine, si denuncia il mancato rispetto di numerosi articoli di legge che ha condotto il giudice a emanare un provvedimento fondato esclusivamente sulle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, senza fare alcun riferimento alle critiche mosse dalla difesa di T.C. all'elaborato peritale, privandolo in definitiva del diritto a un giusto processo.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto riguarda la prima questione, nel solco di una giurisprudenza di legittimità consolidata, la Corte di cassazione evidenzia che il decreto con cui vengono risolte, dal giudice del merito, contrapposte pretese inerenti l'affidamento di uno o più figli minori, ha requisiti assimilabili a quelli del giudicato e presenta quindi i requisiti della decisorietà e della definitività che, come noto, sono i presupposti per l'impugnabilità per cassazione.

Ne consegue, pertanto, la necessità di analizzare e affrontare i tre motivi di ricorso a cui si è affidato il padre T.C..

Con il primo motivo, come si è accennato, T.C. lamenta che la Corte del merito, nell'impedire alla piccola E. di partecipare ai riti dei Testimoni di Geova, abbia limitato il suo diritto a far conoscere alla figlia la sua nuova religione. Sempre secondo le prospettazioni del ricorrente, non è stata fornita prova, in nessun grado del giudizio, del pregiudizio che la bambina avrebbe potuto subire dall'apprendere e dal seguire i precetti di una diversa religione rispetto a quella cristiana, soprattutto perché la motivazione del giudice del merito è basata esclusivamente sulla CTU e su una conseguente errata interpretazione del ruolo del giudice, il quale può porre limitazioni alla relazione fra genitore e figlio ma solo nel caso in cui vi sia evidenza di un danno concreto per il bambino, di certo non evincibile da sue manifestazioni di disagio.

La Cassazione ritiene tale motivo non ammissibile, ed esprime il già richiamato principio di diritto per cui il criterio a cui deve attenersi il giudice è quello del superiore interesse del minore, di fronte al quale i diritti e le legittime libertà dei genitori sono senz'altro cedevoli, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute fisica e lo sviluppo. Per la Cassazione il decreto impugnato non si è discostato da questo principio, posto che la Corte di appello ha ritenuto pienamente condivisibile quanto era già stato statuito dal primo giudice in ordine al pregiudizio che la pratica della religione dei Testimoni di Geova avrebbe arrecato alla minore. Dal momento che tale primo motivo è unicamente rivolto a contestare l'accertamento (ossia il giudizio sul fatto) effettuato dal primo giudice proprio sul pregiudizio nei confronti della piccola E., deve essere dichiarato inammissibile, in quanto si risolve unicamente nella denuncia di un vizio di motivazione e non indica il fatto decisivo, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che sarebbe valso a smentire le risultanze dell'indagine e a determinare un diverso esito della controversia.

Ugualmente, deve essere dichiarato inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, con cui T.C. si lamenta della vaghezza e della incoercibilità del provvedimento impugnato, le cui statuizioni restrittive – almeno nella sua prospettazione – hanno l'obiettivo non di concretizzare il best interest della piccola E., ma di attenuare le tensioni derivanti dall'atteggiamento intollerante della ex compagna S.G. verso la religione dei Testimoni di Geova. Per la Cassazione, il motivo si risolve in una serie di astratte considerazioni che non sono in alcun modo riconducibili ai vizi di cui all'art. 360 c.p.c..

Infine, inammissibile è anche il terzo motivo di impugnazione, che denuncia la violazione del principio di imparzialità del CTU e la mancanza della diligenza richiesta in capo al consulente, il quale ha effettuato una indagine incompleta, priva di obiettività e di imparzialità. Le censure del ricorrente hanno carattere meramente assertivo.

La Corte di Cassazione conclude quindi per l'inammissibilità nel complesso del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Osservazioni

La sentenza in commento si inserisce in un solco giurisprudenziale già tracciato, in passato, dalla Corte di Cassazione.

La peculiarità della pronuncia in questione va rinvenuta nel fatto che, a fronte di rilievi esclusivamente procedurali, i giudici della Suprema corte hanno comunque modo di affermare, ancora una volta, il generale principio per cui l'interesse del minore è il faro che segna l'approdo a cui deve giungere il giudice, anche sacrificando, come nel caso di specie, il diritto del genitore di educare ai dettami della propria religione il figlio di cui si discute l'affido (sul punto, nella giurisprudenza di merito, si veda anche Trib. Novara, sez. civ., decr., 25 luglio 2016).

D'altra parte, come accennato, l'orientamento giurisprudenziale non è certo nuovo; il Tribunale di Agrigento (Trib. Agrigento, sent., 24 maggio 2017) aveva già sostenuto che, in caso di contrasto tra genitori appartenenti a diverse confessioni religiose, il giudice può disporre che, fino almeno all'età scolare, i genitori medesimi si astengano da specifici input religiosi; in termini anche un precedente della stessa Cassazione (Cass., sez. I, sent., 4 novembre 2013, n. 24683), con la quale i giudici avevano ritenuto non censurabile in cassazione il provvedimento con il quale era stato fatto divieto a uno dei due genitori di condurre i figli minori alle riunioni della confessione religiosa a cui aveva aderito dopo la separazione, specificando che tale divieto non è in contrasto con il diritto del genitore di professare la propria fede religiosa (ex art. 19 Cost.), se e in quanto adottato a tutela di minori i quali, cresciuti in un contesto religioso differente, vengano giudicati incapaci, in ragione dell'età, di praticare una scelta confessionale veramente autonoma e, conseguentemente, di elaborare con la necessaria maturità uno stravolgimento di credo religioso.

A medesime conclusioni, seppur con pronunce di segno opposto, erano già giunti anche il Tribunale di Foggia (Trib. Foggia, sez. I, sent., 14 gennaio 2014) per cui non si può impedire a un coniuge di portare il figlio nella Sala del regno dei Testimoni di Geova se tale partecipazione non ha ripercussioni negative sul percorso di crescita del minore e la stessa Cassazione (Cass., sez. VI, sent., 19 luglio 2016, n. 14728).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.