La bancarotta fraudolenta patrimoniale quale reato di pericolo concreto: la rilevanza del “contesto economico” dell'azienda

17 Settembre 2018

La Corte di cassazione con la sentenza del 24 marzo 2017, n. 17819 traccia un passaggio fondamentale nell'indagine relativa al reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare, sottolineando che, quale che sia la natura della dichiarazione di fallimento all'interno della fattispecie, «anche ove si candidasse quest'ultima a ricoprire il ruolo di condizione di punibilità, non ne risulta comunque esclusa l'esigenza di un'indagine sull'imputabilità soggettiva del pericolo concreto per la massa dei creditori».

La Cortedi cassazione con la sentenza del 24 marzo 2017, n. 17819 traccia un passaggio fondamentale nell'indagine relativa al reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare, sottolineando che, quale che sia la natura della dichiarazione di fallimento all'interno della fattispecie, «anche ove si candidasse quest'ultima a ricoprire il ruolo di condizione di punibilità, non ne risulta comunque esclusa l'esigenza di un'indagine sull'imputabilità soggettiva del pericolo concreto per la massa dei creditori».

Si tratta di un'affermazione di principio di estrema importanza che risulta essere coerente con il riconoscimento della natura di reato di pericolo concreto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Affermazione di principio, peraltro, ancora più significativa, perchè interviene circa un mese dopo dalla storica pronuncia Cass. Pen., Sez. V, 08 febbraio 2017 n. 13810, che attribuisce alla dichiarazione di fallimento il ruolo di condizione obiettiva di punibilità, cioè di accadimento che non contribuisce in alcun modo a descrivere l'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma ma che per ragioni di opportunità ne determina l'applicazione della pena (v. PISANI; ROSSI).

Il richiamo fatto dalla sentenza Palitta (Cass. Pen., Sez. V, 24 marzo 2017, n. 17819) alla necessità di un'indagine soggettiva sulla rappresentazione da parte dell'agente del pericolo concreto per la massa dei creditori, nonostante la natura di condizione oggettiva di punibilità estrinseca della dichiarazione di fallimento, definisce il contenuto dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare.

Il dolo generico della bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto riferibile ad un reato di pericolo concreto, richiede comunque la rappresentazione da parte dell'agente della pericolosità della condotta distrattiva che è in grado di incidere negativamente sulle garanzie patrimoniali e la consapevole volontà di provocare quelle conseguenze.

Contrariamente alla maggior parte delle pronunce per le quali il dolo della bancarotta consiste nella coscienza e nella volontà dell'atto distrattivo, la sentenza richiamata, in linea con il riconoscimento della natura di pericolo concreto del reato di bancarotta, va oltre la semplice rappresentazione del fatto distrattivo.

In dottrina

Recentemente (E. BOZHEKU, Continua il restyling della cassazione in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione: alcune annotazioni in tema di dolo, in Dalle Corti, 2018, 70 ss.) si è sostenuto che se le condotte distrattive «debbono essere valutate anche nella prospettiva dell'effettivo squilibrio che provocano al patrimonio sociale. Gioco forza la prospettiva del dissesto rappresenta il parametro attraverso il quale valutare concretamente la pericolosità delle stesse». Per questo Autore, che non fa che recuperare un passaggio della motivazione della sentenza Gessi (Cass. pen., Sez. V, 10 settembre 2013, n. 41665. La sentenza Gessi nell'affrontare il tema della natura del reato di pericolo della bancarotta fraudolenta osserva che «l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta implica una conoscenza della situazione aziendale e in genere patrimoniale e la rappresentazione della futura dichiarazione di fallimento, rappresentazione fondata sull'attualità del dissesto con volontarietà dell'atto distrattivo. Soltanto nella consapevole prospettiva del dissesto finanziario gli episodi distrattivi assumono, anche sotto il profilo psicologico un potenziale offensivo»), solo la rappresentazione della prospettiva del dissesto conferisce carattere offensivo alla condotta distrattiva. Tale affermazione, anche se viene ripresa da un passaggio motivazionale della sentenza Gessi, si pone in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale che esclude non solo un nesso causale, ma anche un nesso psicologico tra la distrazione e il dissesto, soprattutto alla luce della sentenza Santoro che ha assegnato alla dichiarazione di fallimento, che altro non è che il riconoscimento giudiziale del dissesto, la natura di condizione obbiettiva di punibilità estrinseca. Se il fallimento (e quindi il disseto) quale condizione di punibilità costituisce un accadimento che non contribuisce in alcun modo a descrivere l'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, ne deriva quale conseguenza logico-giuridica che la rappresentazione della prospettiva del dissesto finanziario, che segue alla condotta distrattiva, rimane estranea al fuoco dell'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il dissesto e la dichiarazione di fallimento rimangono estranei alla fase rappresentativa dell'agente, perché costituiscono l'evento che non contribuisce a descrivere l'offesa al bene giuridico.

Secondo l'orientamento giurisprudenziale l'offensività della condotta del reato di bancarotta fraudolenta è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto alla massa dei creditori, quando la diminuzione della consistenza patrimoniale comporta uno squilibrio tra attività e passività, risultando l'atto depauperativo idoneo a creare un vulnus all'integrità delle garanzie dei creditori.

Il dolo, quindi, nella fase rappresentativa, dovrà investire solo la consapevolezza che dalla condotta distrattiva sia derivato uno squilibrio tra attività e passività idoneo a pregiudicare le aspettative dei creditori.

È chiaro che in questa prospettiva l'indagine sulla consapevolezza del carattere offensivo della condotta si fa complicata, perché investe un complesso di fattori che attengono alla vita economico-finanziaria dell'impresa.

Quando e in che misura si dovrà sostenere che l'agente si sia rappresentato che dalla sua condotta distrattiva sarebbe potuto derivare uno squilibrio tra attività e passività, idoneo ad incidere sulle garanzie dei creditori?

La valutazione deve essere fatta nel contesto economico finanziario dell'azienda perché, ad esempio, la condotta che ha determinato una diminuzione della consistenza del patrimonio, nella prospettiva dell'agente, può essere stata rappresentata come inidonea a esporre a pericolo concreto il patrimonio a tutela dei creditori, non incidendo direttamente sull'equilibrio aziendale, perché l'impresa era dotata di risorse economiche così rilevanti, tali da risultare idonee a fornire garanzie alle pretese creditori (Cass. Pen., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 49622).

Ma la verifica sull'idoneità della condotta a ledere le garanzie dei creditori si deve limitare a una valutazione di inidoneità estrinseca, che deve aver riguardo al solo contesto ambientale, cioè a condotte che nel momento in cui vengono poste in essere, in considerazione delle rilevanti risorse economiche, dell'impresa non sono in grado di intaccare le garanzie dei creditori. In altre parole è sufficiente a escludere il dolo che l'agente si rappresenti che per le dimensioni economiche dell'impresa l'atto depauperativo non sia in grado di esporre a pericolo, anche per il futuro, le aspettative dei creditori, sicché la consistenza patrimoniale svolge un ruolo assolutamente determinante nella prospettiva dell'agente sull'assenza di un pericolo concreto della condotta o viceversa la valutazione deve essere fatta avuto riguardo alla dimensione intrinseca della condotta e al suo contenuto offensivo, anche se, nel momento in cui fu posta in essere, non rappresentava un pericolo per le aspettative dei creditori?

La risposta che viene data dalla giurisprudenza individua il pericolo concreto per le aspettative dei creditori, indipendentemente dal contesto aziendale in cui la condotta viene realizzata, in una sequenza di condotte di spoliazione dell'impresa poi fallita (Cass. Pen., Sez. V. 23 giugno 2017, n. 38396), connotate da una intrinseca potenzialità offensiva da non richiedere, per le loro caratteristiche obbiettive particolari, un ulteriore accertamento per la verifica dell'esposizione al pericolo del patrimonio dell'impresa (Cass. pen., Sez. 24 marzo 2017 n. 17819).

In questi casi in cui la condotta si traduce in una serie di atti di spoliazione dell'impresa, a seguito dei quali il bene viene sottratto in via definitiva e irreversibile dal patrimonio della stessa, l'ipotesi che l'agente possa rappresentarsi che dalla sua condotta non possa derivare alcun pericolo concreto per le aspettative dei creditori, perché la situazione economico finanziaria dell'azienda è tale da neutralizzare qualsiasi rischio, viene ad essere annullata in ragione della potenzialità offensiva dell'atto di spoliazione.

La fraudolenza (Cass. pen., Sez. V, 23/06/2017, n. 38396) del fatto distrattivo è tale da rendere consapevole l'agente che, nonostante il contesto aziendale favorevole in cui egli opera, sta compiendo operazioni sul patrimonio sociale, idonee a esporlo al pericolo concreto per le garanzie dei creditori.

Per quelle operazioni che consistono in condotte di spoliazione del patrimonio, a seguito delle quali i beni vengono sottratti in maniera definitiva e irreversibile, si può affermare che siamo in presenza di una vera e propria forma di dolo in re ipsa (v. BRICOLA), perché la condotta riveste una potenzialità lesiva da rendere l'agente consapevole che da quell'atto le pretese dei creditori verranno esposte a pericolo concreto.

Quando l'operazione consiste in una sottrazione pura e semplice del bene il connotato offensivo della condotta esclude qualsiasi possibilità di sostenere, per escludere l'elemento soggettivo del reato, che la condotta era finalizzata ad aumentare l'efficienza finanziaria dell'impresa o a scongiurare il rischio per la salute finanziaria della stessa e che la congiuntura patrimoniale non dava alcuna preoccupazione per un prevedibile futuro.

Identica situazione di pericolo concreto per le aspettative dei creditori può essere ricollegata, non già come nel caso precedente ai connotati offensivi della condotta ma al contesto in cui viene ad essere realizzata.

Una condotta distrattiva, che viene posta in essere quando la situazione dell'azienda è in crisi, cioè in prossimità del manifestarsi o in presenza dello stato di insolvenza, assegna al fatto i caratteri inequivoci della fraudolenza.

Analogamente, quando nella stessa situazione di insolvenza viene a trovarsi il soggetto beneficiario della prestazione, tanto da rendere l'agente consapevole che quella prestazione non verrà mai soddisfatta, perché la crisi in cui versa l'impresa destinataria del finanziamento è tale che non le consentirà di onorarlo (v. D'AVIRRO - DE MARTINO).

In questi casi la consapevolezza del contenuto offensivo dell'operazione risulta essere in re ipsa, perché un finanziamento fatto da un'impresa in stato di decozione o a un'impresa in analoghe condizioni, ha la stessa portata offensiva della sottrazione del bene in maniera definitiva e irreversibile.

Esistono, quindi degli indici di fraudolenza (quali la natura offensiva dei fatti distrattivi e le condizioni economiche in cui la condotta pericolosa per il ceto creditorio si è realizzata) che non richiedono «particolari e ulteriori accertamenti per provare l'esposizione al pericolo del patrimonio» (Cass. Pen., Sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396; Cass. Pen., Sez. V, 24 marzo 2017 n. 17819).

In queste ipotesi criminose, secondo la giurisprudenza, risulta essere inutile indugiare sulla prova del dolo e in particolare sulla prova della rappresentazione da parte dell'agente che dalla condotta che ha determinato la diminuzione della consistenza patrimoniale sarebbe derivato un pericolo concreto per la massa dei creditori, perché la rappresentazione del pericolo concreto risulta essere immanente nello stesso fatto materiale.

Se si presta attenzione alle sentenze richiamate (Cass. pen., Sez. V, 24 marzo 2017 n. 17819; Cass. pen., Sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396) la presenza del dolo, o meglio della rappresentazione del pericolo concreto della condotta per le aspettative dei creditori, per alcune figure criminose risulta essere immanente nello stesso fatto materiale e la valutazione del dolo viene fatta al momento della realizzazione della condotta, solo sul suo aspetto modale, senza che l'indagine tenga conto degli effetti che la stessa possa produrre sugli equilibri economici dell'impresa. Il che lascia intendere chiaramente che, secondo la giurisprudenza, vi sono delle ipotesi criminose per le quali non occorre verificare gli effetti che la condotta distrattiva possa aver prodotto sugli equilibri economici dell'impresa, perché non richiedono particolari ed ulteriori accertamenti per provare l'esposizione al pericolo del patrimonio.

Accanto agli atti di distrazione che si traducono in veri e propri atti predatori, con una carica offensiva che rivela in sé la completa idoneità dell'atto (D'AVIRRO-DE MARTINO, 76) a pregiudicare il patrimonio, la giurisprudenza contrappone quelle condotte che consistono nell'eventuale deviazione del bene dagli scopi sociali, cioè in atti di abuso di gestione. Si tratta di quelle residue tipologie di bancarotta «ossia di atti di spesa non orientati su obbiettivi correlati all'oggetto dell'impresa e cronologicamente distaccati in modo significativo dall'epilogo della vita stessa» (Cass. pen., Sez. V, 24 marzo 2017, n. 17819), per i quali, viceversa, occorre verificare la presenza degli indici di fraudolenza.

In questi casi la verifica del dolo richiede l'accertamento degli indici di fraudolenza che nel momento in cui fu posta in essere connotano la condotta di quel carattere di pericolosità concreta che la rendono idonea ad esporre a pericolo le pretese dei creditori.

In presenza di condotte di abuso di gestione, cioè «di atti di spesa non orientati su obbiettivi correlati all'oggetto», diversamente da quelle condotte che da sé sole esprimono la loro dimensione offensiva, occorrerà accertare la presenza dei “vettori” (v. CAVALLINI)di fraudolenza, quali la condizione patrimoniale dell'impresa, il contesto in cui l'impresa ha operato, l'estraneità della condotta «a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale» (Cass. pen., Sez. V., 23 giugno 17 n. 38396). Il che sta a significare che se l'atto di diminuzione del patrimonio, o meglio l'abuso di gestione, fu posto in essere quando la società era in bonis, l'agente era consapevole che la sua condotta sarebbe stata inidonea a determinare un'alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio.

Nel momento in cui la dimensione offensiva della condotta, ossia la fraudolenza, non viene più ad essere individuata nell'aspetto modale della condotta (spoliazione del bene), ma nel contesto dei fattori in cui fu posta in essere, il contesto diviene il necessario oggetto dell'accertamento.

Ed in questo caso anche la ragionevolezza imprenditoriale dell'operazione viene in rilievo ai fini dell'accertamento del dolo, perché occorre verificare quali fossero state le prospettive e gli effetti che l'operazione poteva produrre sugli equilibri economici dell'impresa.

Tra gli atti di abuso di gestione, che consistono nell'eventuale deviazione del bene dagli scopi sociali, si possono far rientrare: a) l'affitto di beni aziendali per un canone non congruo; b) la cessione di un ramo d'azienda con corrispettivo inferiore al valore reale; c) la vendita di merci a prezzo inferiore a quello di mercato; d) gli atti di disposizione patrimoniale a titolo gratuito come nel caso in cui si rilasci fideiussione ad una società terza senza alcun corrispettivo; e) la concessione di finanziamenti infragruppo in assenza di un vantaggio compensativo.

Nei casi richiamati non siamo in presenza di atti di spoliazioni, con i quali il bene viene sottratto in maniera definitiva ed irreversibile e la pericolosità della condotta è bene espressa dall'aspetto modale della stessa ma di quelle “residue tipologie di bancarotta” per le quali il compito dell'interprete è quello di accertare la presenza degli indici di fraudolenza.

Indagine che verrà poi a riflettersi sull'imputabilità soggettiva ed in particolare sulla verifica se l'assenza degli indici di fraudolenza rendevano l'agente consapevole che la condotta distrattiva risultava essere inidonea a esporre a pericolo le garanzie dei creditori.

Se la vendita di merce sottocosto o la cessione di un ramo d'azienda a un corrispettivo inferiore al prezzo di mercato si sono verificate in un momento distante dal manifestarsi dello stato di insolvenza, quando le condizioni economico-finanziarie dell'impresa erano floride, la condotta di diminuzione della consistenza patrimoniale non può prescindere da un'indagine sull'imputabilità soggettiva del pericolo concreto per la massa dei creditori.

Così come nel caso di finanziamento infragruppo, in assenza di un vantaggio compensativo, l'atto di disposizione patrimoniale della società in bonis all'altra società del gruppo che versava in difficoltà finanziarie, ma non in una situazione di dissesto, può essere stato dettato da esigenze di razionalità imprenditoriale, finalizzate a superare le difficoltà finanziarie della società destinataria del finanziamento.

La natura di reato di pericolo concreto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale rende necessaria l'indagine non sulla consapevolezza che dalla condotta dell'agente sarebbe derivato il dissesto o la dichiarazione di fallimento ma sull'esposizione a pericolo delle garanzie dei creditori.

Guida all'approfondimento

F. BRICOLA, Dolus in re ipsa, Milano, 1960

S. CAVALLINI, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”: verso il recupero della dimensione lesiva dell'archetipo prefallimentare, in Giur. it., 2018, 194;

A. DAVIRRO-E. DE MARTINO, La bancarotta fraudolenta, Milano, 2018, 95;

N. PISANI, La sentenza dichiarativa di fallimento ha natura di condizione obbiettiva di punibilità estrinseca della bancarotta fraudolenta prefallimentare, in Giur. it., 2017, 9, 1158;

A. ROSSI, La sentenza dichiarativa di fallimento quale dichiarazione obiettiva di punibilità nella bancarotta prefallimentare: pace fatta tra giurisprudenza e dottrina, in Giur.it., 2017, 47

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