Il punto sul danno da sconvolgimento della vita familiare

18 Settembre 2018

Con l'espressione danno da lesione del rapporto parentale si indica sinteticamente il pregiudizio subito dagli stretti congiunti di una persona rimasta uccisa o gravemente lesa nell'integrità psico- fisica, che compromette il loro diritto «all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia» (Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124). Recenti provvedimenti giudiziali, di legittimità (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2018 n. 9178) e di merito (Trib. Roma, sez. XIII civile, 9 aprile 2018), oltre che autorevoli interventi dottrinari offrono lo spunto per alcune riflessioni su questa voce di danno.
Parentela e famiglia

Non sarà inutile, prima di procedere, ricordare come da oltre un cinquantennio, la dottrina abbia affermato la relatività e la storicità del concetto di famiglia, escludendo che ad esso possa essere attribuito un valore assoluto, e affermando la necessità di assumere come orizzonte esclusivamente i modi di rilevanza effettivamente riscontrabili in un determinato ordinamento positivo (L. CAMPAGNA, Famiglia legittima e famiglia adottiva, Milano 1966). Muovendo da tali premesse, sono state nettamente distinte, sulla base dei dati normativi, le nozioni di ‘parentela' e quella di ‘famiglia' evidenziando come la prima si fondi su un fatto naturale, il c.d. vincolo di sangue (o, meglio, la discendenza da un comune capostipite), mentre la seconda, derivando dal matrimonio, si ponga essenzialmente come frutto di una scelta libera e consapevole. La parentela è stata vista come fonte di effetti dal contenuto essenzialmente patrimoniale, mentre alle relazioni familiari conseguirebbero effetti giuridici di contenuto prevalentemente personale (CAMPAGNA, Famiglia legittima, cit., 98 ss.; P. BARCELLONA, s.v. Famiglia (diritto civile), in ED., XVI, Milano 1967, 788; S. CICCARELLO, s.v. Parentela (diritto civile), in ED., XXXI, Milano 1981, 657).

Il richiamo della distinzione a suo tempo così chiaramente delineata dalla dottrina sarà utile nell'ulteriore svolgimento del tema in esame.

Rilevanza costituzionale della famiglia

Il pregiudizio in questione rientra nell'ampia categoria generale del danno non patrimoniale, cioè del danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica e di rango costituzionale, i quali sono risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c. interpretato in modo conforme a Costituzione (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975).

La fondatezza della distinzione dottrinaria di cui è si dato succintamente atto nel paragrafo precedente risulta, dunque, confermata, se solo si considera il rilievo costituzionale della famiglia – formazione sociale rientrante nell'alveo dell'art. 2 Cost., e oggetto di una specifica norma, l'art. 29 Cost., – assente, invece, in relazione alla parentela.

Nel tempo, è stata superata la concezione secondo la quale il convivente more uxorio non sarebbe stato titolare di alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione del rapporto (in tal senso, ex multis Cass. pen., 21 settembre 1981) ed è stata progressivamente attribuita identità di tutela alla c.d. famiglia di fatto, quando la relazione con il convivente more uxorio e con il figlio naturale risultasse contraddistinta dalla tendenziale stabilità e dalla mutua assistenza morale e materiale (Cass. civ., sez. III, 28 marzo 1994, n. 2988; Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2005 n. 8976).

Va, in conclusione, sottolineato che il bene della vita tutelato è il rapporto familiare, non quello parentale (cosicché la diffusa locuzione “danno da lesione del rapporto parentale” risulta, a ben vedere, inesatta). La giurisprudenza ha da tempo precisato,

  • da un lato, l'insufficienza della mera titolarità della relazione parentale a fondare un diritto al risarcimento del danno, occorrendo, di volta in volta, verificare l'attualità e l'intensità del legame affettivo (così già Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2003, n. 10986, ma brilla per chiarezza il seguente passaggio tratto dalla parte motiva di Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766: «[…] anche il dolore più grave che la vita può infliggere, come la perdita di un figlio, può non avere alcuna conseguenza in termini di sofferenza interiore e di stravolgimento della propria vita di relazione per un genitore che, quel figlio, aveva da tempo emotivamente cancellato, vivendo addirittura come una liberazione la sua scomparsa; […] anche la sofferenza più grande che un figlio può patire, quale la perdita per morte violenta di un genitore, non implica ipso facto la risarcibilità del danno, se danno non vi fu perché, da tempo, irrimediabilmente deteriorato il rapporto parentale»);
  • dall'altro lato, la configurabilità del pregiudizio soltanto quando si verifichi uno «sconvolgimento della vita familiare» (cfr., per tutte, Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26792) cioè «nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto» (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2003 n. 16946).

Il riconoscimento del pregiudizio anche nell'ipotesi della grave lesione psico-fisica subita dal congiunto

Il pregiudizio in esame è stato ritenuto configurabile non soltanto nell'ipotesi in cui il sinistro abbia causato la morte del congiunto, ma anche in quella in cui ne sia derivata una grave lesione psico-fisica.

Nel prevalere di quell'orientamento (ormai superato: cfr. Cass. civ., Sez. Un., 22 luglio 1999 n. 500) secondo il quale il danno in senso giuridico sarebbe stato unicamente la lesione di un diritto soggettivo perfetto, la giurisprudenza più avveduta aveva comunque ritenuto risarcibili, in presenza di una grave lesione psico-fisica, quelli che erano configurati come diritti propri del coniuge, quale quello ai rapporti sessuali, se resi impossibili (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1986 n. 6607) o, più in generale, ai rapporti coniugali in senso più ampio, nell'ambito dei reciproci doveri di assistenza materiale e morale, richiamando l'art. 143 c.c., e il diritto dei figli all'educazione e ad un sano sviluppo psicofisico, ai sensi dell'art. 147 c.c. a carico di entrambi i genitori) (Cass. civ., sez. III, 17 settembre 1996, n. 8305).

Le Sezioni Unite, con la sentenza 1 luglio 2002 n. 9556, hanno poi chiarito l'inesistenza di differenze sostanziali o eziologiche tra il caso della morte e quello delle semplici lesioni, poiché in entrambi vi è una prima vittima, lesa nel bene della vita o in quello della salute, e una vittima ulteriore, lesa anch'essa in via diretta ma in un diverso interesse di natura personale. È stato così rimosso ogni ostacolo al riconoscimento di quello che veniva definito “danno morale” dei congiunti della vittima di una lesione e che, poi, a seguito della ricostruzione operata dalle Sezioni Unite con le già ricordate sentenze c.d. di San Martino – va chiamato danno non patrimoniale tout court.

Anche in tale ipotesi, per poter configurare il danno, deve potersi riscontrare lo sconvolgimento della vita familiare, che ricorre in ipotesi quali quella della madre che abbia abbandonato il lavoro per potersi dedicare esclusivamente alla cura del figlio gravemente invalido (per danno iatrogeno al parto, Cass. civ, sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228; o in conseguenza di un incidente stradale, Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2011, n. 7844).

Il timore dell'eccessiva dilatazione del novero dei soggetti aventi diritto al risarcimento

L'esame della giurisprudenza in materia consente di cogliere il timore di un eccessivo ampliamento del numero dei soggetti aventi diritto al risarcimento e l'esigenza di individuare i criteri di selezione dei medesimi.

Se, dunque, è certo che siano legittimati a domandare il risarcimento i congiunti più stretti (coniuge, genitori, figli, fratelli) – in sintesi, gli appartenenti alla c.d. famiglia nucleare –, maggiori dubbi sono sorti in relazione agli altri parenti o, anche, con riferimento ai congiunti più stretti, ma non conviventi.

È così possibile rinvenire sentenze che affermano la legittimazione degli appartenenti alla famiglia nucleare (genitori, figli, fratelli), riconoscendola agli altri congiunti soltanto se conviventi (così Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993 n. 6938; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2007 n. 10823; Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4253, tutte relative a rapporto nonni-nipoti), accanto ad altre che, invece, non richiedono tale requisito (Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2005 n. 15019).

Nella giurisprudenza più recente si assiste ad un ridimensionamento del requisito della convivenza come elemento idoneo ad escludere a priori il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale: essa viene, invece, ritenuta un elemento probatorio utile, unitamente ad altri, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare il quantum debeatur Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21230; Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332).

… e, con riferimento al danno da lesione psico-fisica subita dal congiunto, dei casi in cui il danno alla c.d. vittima riflessa sia configurabile

La preoccupazione di non ampliare oltre misura l'area del danno risarcibile è, giustamente, presente anche con specifico riferimento al caso delle lesioni psico-fisiche subite da un congiunto, non potendosi ammettere che si dia luogo a risarcimento nel caso di una compromissione non grave del bene salute.

In alcuni – ormai risalenti – tentativi di disciplinare tale fenomeno, si faceva riferimento a «sofferenze di carattere eccezionale» (così nella Risoluzione n. 7-75 del 14 marzo 1975 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa [Résolution (75) 7 relative à la réparation des dommages en cas de lésions corporelles et de décès] avente la finalità di avvicinare le nozioni di danno materiale e di danno morale presenti nei diversi ordinamenti nazionali) o a lesioni dell'integrità psicofisica del danneggiato primario in misura pari o superiore al 50% d'invalidità (così nell'art. 2059-bis c.c. che l'art. 2 del disegno di legge n. 4093 presentato in data 11 giugno 1999 dal Ministro di grazia e giustizia di concerto col Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, col Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e col Ministro del lavoro e della previdenza sociale avrebbe voluto introdurre).

Anche in epoca più recente, in assenza di lesioni seriamente invalidanti, la giurisprudenza di legittimità ha escluso il risarcimento (oltre che del danno morale inteso come ingiusta sofferenza contingente) anche del pregiudizio allo svolgimento della relazione affettiva con la persona offesa (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2003, n. 7379; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2004, n. 10816: ma vi erano ancora pronunce che negavano il danno in assenza di morte: Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 2004, n. 22593).

Corrispondentemente, il danno da compromissione del rapporto parentale è stato riconosciuto in ipotesi di lesioni definite gravissime (Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2009, n. 469, relativa ad un neonato totalmente paraplegico) o almeno gravi (Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2011 n. 7844; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228, relativa ad un neonato con paralisi ostetrica del braccio destro; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22909) cui consegue l'esigenza di provvedere perennemente a bisogni non ordinari del congiunto la cui salute è lesa, sicché ne risulta uno sconvolgimento dell'esistenza (così, Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2003, n. 8827; Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2011 n. 7844; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228).

Nel contempo, è stato negato nel caso di lesione della salute “assai lieve” (Cass. civ.,sez. III, sent., 5 dicembre 2014, n. 25729, relativa ad una lesione dell'invalidità permanente del 5%; Cass. civ.,sez. III, 22 maggio 2006, n. 11947, relativa ad un'invalidità del 10%).

D'altro canto, che la gravità dell'offesa costituisca requisito per l'ammissione al risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona, conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili, è stato affermato a chiare lettere nelle c.d. sentenze di San Martino.

La prova del danno

Non è inutile ricordare che il danno in esame non può mai essere ritenuto sussistente in re ipsa o sulla base del notorio (art. 115 c.p.c.) (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975; Cass. civ., sez. III, 5 ottobre 2009, n. 21223; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992; Cass. civ.,sez. III, ord. 17 gennaio 2018, n. 907), neppure nel caso di morte, (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12273) ma deve essere allegato e specificamente provato da parte del danneggiato, ai sensi dell'art. 2697 c.c. (Cass. civ., sez. III, 6 settembre 2012, n. 14931; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992; Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2017, n. 12603).

La prova può essere fornita attraverso presunzioni – che, anzi, nel caso in questione assumono particolare rilievo e possono anche costituire l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice (Cass. civ., sez. Unite, 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975) –, cosicché dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti si possa, attraverso un prudente apprezzamento, risalire coerentemente al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno (Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2016, n. 12146; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2017, n. 17058; Cass. civ., sez. III, ord. 17 gennaio 2018, n. 907).

Come lo sconvolgimento della vita familiare va provato nel caso di morte del congiunto, a maggior ragione deve esserlo nel caso di lesione dell'integrità psicofisica del congiunto.

Esclusa totalmente la configurabilità del danno sconvolgimento della vita familiare in presenza di lesioni di lieve entità, seppure non pare potersi escludere, in astratto, che esso possa verificarsi anche in presenza di una lesione in sé di entità non grave (si pensi al pregiudizio subito da una persona anziana, non autosufficiente, conseguente al danno, anche moderato, subito dall'unico figlio, che comporti l'ulteriore compressione dei già ridotti spazi di autonomia), è evidente che, normalmente, il danno in questione potrà piuttosto verificarsi nel caso in cui la vittima primaria abbia subito una macrolesione. Ne conseguirà, sul piano probatorio, un più grave onere nel caso in cui si richieda il danno da sconvolgimento della vita familiare in conseguenza di una lesione di moderata entità, essendo contrario all'id quod plerumque accidit.

La valutazione del danno

La liquidazione del pregiudizio in questione – integrando una lesione di valori inerenti alla persona e quindi privi di diretto contenuto economico – avviene inevitabilmente in base a valutazione equitativa, ai sensi degli artt. 1225 e 2056 cod. civ. (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827; Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2006, n. 13546).

Essa terrà conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima c.d. primaria e dei singoli superstiti (Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. civ. Sez. III, 2 marzo 2004, n. 4186; Cass. civ. Sez. III, 6 settembre 2012, n. 14931).

L'assenza di convivenza del danneggiato con il congiunto deceduto potrà incidere in senso riduttivo, mentre è stato escluso che possa assumere rilievo, in tal senso,

  • la circostanza che la vittima c.d. primaria fosse persona malata di mente ed incline ad intenti suicidari (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2008, n. 5282);
  • la precarietà delle condizioni di salute del defunto, le cui gravi affezioni o patologie, secondo l'id quod plerumque accidit, intensificano, piuttosto che diminuire, il legame emozionale con gli altri parenti (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2010, n. 16018).

Anzi, in caso di perdita di un familiare, la liquidazione del danno non patrimoniale subìto da un congiunto affetto da sordomutismo deve tener conto di tale particolare condizione del danneggiato, trattandosi di persona avente una ridotta capacità di comunicare e di relazionarsi con le altre persone, e rispetto alla quale la perdita di un familiare, soprattutto se convivente, se non comporta sofferenze morali maggiori, determina comunque un vulnus particolare ed ulteriore della concreta possibilità di comunicare e relazionarsi (Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2009, n. 14551).

La liquidazione va compiuta, sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2009, n. 26505; Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2014, n. 16657; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2015, n. 12923; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992).

Il ricorso alle tabelle non esonera il giudice dallo svolgere un'indagine specifica (anche in via presuntiva) circa l'intensità del rapporto sussistente tra vittima primaria e vittima secondaria, allo scopo di personalizzare la liquidazione nella misura più corrispondente alle specificità del caso, cioè congrua, adeguata e proporzionata (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992), rifuggendo da ogni automatismo.

L'esigenza di una tendenziale uniformità della valutazione di base della lesione non può, infatti, tradursi in una preventiva tariffazione della persona, rilevando aspetti personalistici che rendono necessariamente individuale e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992).

In conclusione

Per indicare il pregiudizio non patrimoniale esaminato, in luogo dell'usuale denominazione di “danno da perdita (o lesione) parentale”, parrebbe più opportuno impiegare quella di “danno da sconvolgimento della vita familiare”.

Essa, infatti, racchiuderebbe in sé, sinteticamente, gli elementi caratterizzanti della fattispecie: il valore costituzionale della famiglia (anziché il mero dato di fatto della parentela, di per sé privo di valore) e le devastanti ripercussioni sulla quotidianità della vita, in presenza delle quali risulta integrato il danno in questione.

È auspicabile una sempre maggiore consapevolezza, nei difensori dei soggetti che si assumono danneggiati, della necessità di allegare e adeguatamente provare – anche attraverso il ricorso a presunzioni – il pregiudizio lamentato.

Per contro, i magistrati chiamati a giudicare controversie del genere dovranno impegnare a fondo le proprie doti di valutazione per giungere, in presenza dei relativi presupposti, ad una liquidazione equa, cioè adeguatamente personalizzata alle specificità del caso concreto.

La risposta alle esigenze di una liquidazione “giusta”, in una materia così complessa e sfaccettata quale quella delle relazioni affettive familiari non può che passare, a parere di chi scrive, dalla “porta stretta” dell'impegno, paziente e umile, del difensore, nella prova di tutti gli elementi rilevanti, e del giudice, nella valutazione dei medesimi, e non certo dal ricorso ad automatismi o a formule a punti.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario