Attentato contro i diritti politici del cittadino ed elettorato passivo: a cosa si estende la tutela?

21 Settembre 2018

Chi, con violenza, minaccia o inganno, determini una persona eletta ad una carica pubblica a dimettersi commette il delitto di attentato contro i diritti politici del cittadino, previsto e punito dall'art. 294 c.p.; infatti, con tale sua condotta, impedisce il concreto esercizio, da parte della medesima, del diritto elettorale passivo...
Massima

Chi, con violenza, minaccia o inganno, determini una persona eletta ad una carica pubblica a dimettersi commette il delitto di attentato contro i diritti politici del cittadino, previsto e punito dall'art. 294 c.p.; infatti, con tale sua condotta, impedisce il concreto esercizio, da parte della medesima, del diritto elettorale passivo, che supera il mero diritto del cittadino di partecipare all'elezione, ricomprendendo anche il mantenimento della carica da parte del vincitore.

Il caso

La Corte di cassazione, Sezione I penale, ha recentemente reso una sentenza (ud. 27 ottobre 2017 – dep. 10 maggio 2018, n. 20755) vertente sull'unica figura di delitto contro i diritti politici del cittadino prevista nel Libro II Titolo I, dedicato ai delitti contro la personalità dello Stato, del codice penale: vale a dire, la fattispecie dell'art. 294 c.p., rubricata: Attentato contro i delitti politici del cittadino e isolata – inopportunamente, secondo il giudizio di autorevole dottrina (PECCIOLI, Reati contro la personalità dello Stato, in Antolisei, Manuale di Diritto penale. Parte speciale - II, Milano, 2016, p. 848) – in un Capo a parte del Titolo, il terzo.

Essa è volta a punire con la reclusione chiunque «con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l'esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà»: quantunque la rubrica faccia riferimento al concetto di attentato, è evidente – come d'altronde pacificamente acquisito dagli interpreti – che la figura si presenti quale reato di evento, che di conseguenza consente il tentativo (ANDREAZZA, Sub Art. 294 c.p., in Lattanzi-Lupo, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Milano, 2015, pp. 309-312).

La norma presenta, in generale, una ricorrenza applicativa rara, specialmente in giurisprudenza di legittimità, ragion per cui la Suprema Corte si è costantemente trovata ad esprimere in proposito massime applicative che hanno presentato una sensibile carica innovativa.

Il caso da cui muove la decisione ha visto, quale imputato, un leader politico locale il quale, dopo aver convinto una compagna di partito e parente di amici a candidarsi come sindaco del proprio comune sardo, a seguito della vittoria di quest'ultima (e della nomina a vicesindaco dello stesso imputato, già più volte sindaco in passato), poneva in essere nei confronti della donna una serie di atti di pressione e di intimidazione che la conducevano, nel giro di un paio di anni, a dimettersi dalla carica ottenuta. Alla base di una simile condotta, vi sarebbero state discrasie nel programma amministrativo della realtà comunale, alla cui politica il soggetto agente ed il soggetto passivo del delitto concorrevano, ma su posizioni differenti. In realtà, alla prova della realtà, può forse leggersi la vicenda in funzione dell'interesse del primo a continuare a disporre del potere politico nel comune per il tramite della seconda, nell'attesa del superamento del periodo di incandidabilità.

Il tribunale del capoluogo sardo giungeva a condannare il soggetto agente per tre capi di accusa cumulativamente contestati. Oltre al reato ex art. 294 c.p., infatti, i giudici dei gradi di merito ravvisavano, in questa e in altre condotte ritenute esecutive del medesimo disegno criminoso, anche l'integrazione di tentativo di estorsione e di simulazione di reato; cadevano, invece, le accuse di diffamazione e di molestie alle persone formulate dalla procura della Repubblica. La Corte di appello della stessa città, con una parziale reformatio in melius della sentenza di primo grado, dichiarava insussistente il tentativo di estorsione e prescritti due su tre dei fatti imputati a titolo di simulazione di reato, pur ribadendo che in ordine a questi ultimi non vi fossero prove nel senso dell'innocenza dell'imputato; sopravviveva invece integralmente la condanna per attentato ai diritti politici del cittadino.

La questione

Si giunge quindi al ricorso per cassazione, affidato a numerosi motivi. Risulterà decisiva, ai fini del giudizio sulla penale responsabilità dell'imputato, l'eccezione di prescrizione, proposta con il primo motivo.

Tuttavia, il più interessante di essi, ai fini di un'indagine di diritto penale sostanziale, in considerazione della peculiarità delle tesi difensive espresse, è senz'altro il terzo, vertente, ex art. 606 lett. b) c.p.p., sulla violazione di legge nell'applicazione dell'art. 294 c.p. Nel formularlo, infatti, la difesa distingue dai diritti politici l'asseritamente differente categoria dei c.d. diritti funzionali, a suo avviso non sussumibili nel bene giuridico tutelato dalla norma in questione se non con una forzatura incompatibile col principio di tassatività. L'esercizio del mandato sindacale sarebbe rientrato, secondo questa ricostruzione, nel novero dei diritti funzionali. Viepiù revoca in dubbio l'estensione del predetto concetto di diritti politici al conseguimento di una carica elettiva – vale a dire, al diritto di elettorato passivo – tentando così di discolpare l'imputato sulla base dell'errore rilevante su legge extrapenale ai sensi dell'art. 47, comma 3, c.p.: il fatto che lo stesso elettorato passivo possa rappresentare un caso non pacifico di applicazione della norma dell'art. 294 c.p., infatti, avrebbe escluso il dolo dell'agente riguardo alla stessa commissione del reato.

Sempre in relazione all'applicazione dell'art. 294 c. p., la difesa aveva già censurato, con il secondo motivo, anche l'interpretazione delle prove testimoniali ex art. 192 c.p.p., asserendo che la conclusione in base alla quale le dimissioni del soggetto passivo fossero da porsi in correlazione con le pressioni dell'imputato risultava, essenzialmente, da un travisamento delle prove: dalle stesse emergerebbe, infatti, che il sindaco eletto avrebbe presentato una personalità robusta e la capacità di amministrare il comune anche in disaccordo con la linea del vicesindaco, come dimostrato in particolare da scontri verificatisi in occasioni di concessioni amministrative volute da questi ed ostacolate dal sindaco.

Si può dunque osservare come la difesa dell'imputato imperni le proprie tesi sulla prospettazione di un ambito di tutela penale tendente a restringersi, essenzialmente, al concetto di elettorato attivo, coinvolgendo quello passivo solo in caso di un dolo particolarmente qualificato e limitandolo, per giunta, al solo momento elettorale.

Le soluzioni giuridiche

Di diverso segno è la soluzione adottata, con riguardo alla questione dell'applicazione della legge penale sostanziale, dalla Corte di cassazione.

La I Sezione, infatti, pur preso atto del decorso dei termini di prescrizione in relazione ai capi d'accusa sopravvissuti ai due gradi di giudizio di merito, ha occasione di statuire sul terzo motivo di ricorso, dovendo decidere in ordine alla responsabilità civile dell'imputato ai sensi del combinato disposto fra gli artt. 578 e 129, comma 2, c.p.p. e ottenendo, in tal modo, anche l'effetto di tenere il punto in relazione all'interpretazione della disposizione incriminatrice dell'art. 294 c. p.

La Corte, evidenziate tra l'altro le modalità minacciose della condotta dell'imputato in danno della P.O., pone in risalto (nel sesto punto del considerato in diritto) l'ampiezza del significato tipico della previsione delittuosa in esame alla luce dei diritti politici riconosciuti dalla carta costituzionale, in armonia con l'impostazione di autorevolissima dottrina (FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale – Vol. I, Bologna, 2012, pp. 142-144). Non appare infatti dubbia l'estensione del dettato normativo all'elettorato sia attivo che passivo, tanto per le elezioni degli organi rappresentativi nazionali e locali quanto per le consultazioni referendarie, estensione che lambisce persino il diritto di rivolgersi alle assemblee rappresentative per formulare petizioni e proporre iniziative segnatamente legislative.

In tal misura, il collegio giudicante ha buon gioco a inferire, dopo aver dedicato un breve approfondimento alla questione dell'elettorato passivo interpretato alla luce dell'art. 51 Cost., la copertura della tutela penale anche dei diritti definiti come “funzionali” dalla difesa. Non che tale ultima categorizzazione sia priva di appigli teorici: nel testo della motivazione, infatti, si dà atto dell'esistenza di una corrente dottrinale che si esprime in tal senso; ancor più valorizzata è l'evidente presa di posizione, nella medesima direzione, rappresentata in seno alla Relazione ministeriale al codice penale, secondo la quale il delitto contro i diritti politici concentrerebbe il proprio focus sul momento elettivo, lasciando la tutela dell'espletamento della carica pubblica alle fattispecie di delitti contro i pubblici ufficiali o addirittura alle più comuni fattispecie di violenza o minaccia. Tuttavia, sottolineano i Supremi Giudici, i pur non numerosi precedenti della giurisprudenza di legittimità già introducono elementi di esegesi pratica atti a superare siffatte letture, configurandosi le fattispecie comuni come solo generiche e sussidiarie a fronte di una disposizione, quella dell'art. 294 c.p., improntata all'opposto ad un marcato livello di specificità.

Trasponendo, dunque, il discorso sul più elevato livello di un'interpretazione costituzionalmente orientata, la sentenza in analisi richiama due recenti pronunce della Corte costituzionale in tema di sospensione dalle cariche elettive locali prevista nell'ambito delle riforme anticorruzione del 2012 (Corte cost., n. 276/2016, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 d.lgs. 235/2012; Corte cost. n. 236/2015, che parimenti ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. 235/2012): entrambe danno infatti atto dell'idoneità delle norme impugnate a incidere sul diritto di elettorato passivo del soggetto colpito da tale sanzione, lanciando un evidente segnale nel senso dell'inclusione, in tale concetto, anche del momento dell'espletamento del mandato elettivo e non solo di quello anteriore della candidatura. Siffatta impostazione è peraltro condivisa anche dalle Sezioni unite civili (ord. n. 11131 del 28 maggio 2015, Pres. Rordorf, Rel. Petitti, dalla cui motivazione si evince il convincimento della S.C. di ritenere l'immanenza del diritto al mantenimento della carica elettiva legittimamente conseguita nel diritto di elettorato passivo, essenziale diritto politico del cittadino).

Un ulteriore argomento viene a questo punto speso per recuperare, in un senso ben differente rispetto a quello prospettato dalla difesa, la distinzione fra pubbliche attività funzionali – espressione già ictu oculi più precisa e specifica che non diritti funzionali – e diritti politici. Anche le prime risultano pur sempre meritevoli di tutela, tant'è che il Collegio, anche qui in armonia con quanto espresso da autorevole dottrina (SPASARI, voce Attentato contro i diritti politici del cittadino, in Enciclopedia del Diritto, Vol. III, Milano, 1958, p. 974), enumera alcune disposizioni – tratte soprattutto dai delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, cui si aggiunge l'art. 289 c.p. per quanto riguarda il delitto di attentato agli organi costituzionali e alle assemblee regionali – aventi l'obiettivo di difendere i titolari di cariche pubbliche da condotte criminose volte ad influenzare od impedire con violenza o minaccia l'esercizio del munus; purtuttavia, ribadisce che ben altro discorso è il mantenimento delle cariche elettive: esso non può che esulare dall'ambito di tutela delle predette disposizioni, dal momento che esso si ricollega direttamente al momento elettivo e, in tal misura, al diritto di elettorato passivo. In tal senso, alla stregua di un ragionamento ferreo, laddove si ragiona strettamente di cariche elettive, l'eletto ha un diritto per così dire basilare al mantenimento della carica e, in aggiunta, un diritto al suo esercizio non condizionato. Il primo, la cui tutela è assicurata dall'art. 294 c.p., consiste nella possibilità in sé dell'esercizio e si correla al secondo, che, attenendo invece alle modalità di esercizio in costanza di mantenimento, lo presuppone come antecedente logico e giuridico.

La risposta alle doglianze della difesa viene quindi conclusa con la trattazione dell'elemento soggettivo. Dalle modalità delle condotte complessivamente poste in essere dall'imputato e dal compendio probatorio a suo carico emerge, secondo il convincimento della I Sezione, la piena intenzione del medesimo di conseguire l'effetto delle dimissioni del sindaco; inoltre, il fatto che lo stesso sia stato sindaco in passato lo poneva nelle condizioni di comprendere appieno il significato di una carica politica elettorale e, di conseguenza, quello degli atti volti ad attentarne al mantenimento.

Al termine di un siffatto percorso, la sentenza della Corte di appello di Cagliari ne esce sostanzialmente confermata, salva, purtroppo, pur in una materia cardinale per la democrazia come quella di cui si discute, la dichiarazione dell'intervenuta prescrizione ai fini degli effetti penali.

La dottrina. Nel corso dell'analisi della soluzione adottata dalla Corte, si è già fatto riferimento all'evidente armonia espressa, in alcuni passi, con la dottrina.

Sul punto, salta sicuramente all'occhio il fatto che gli interpreti che si sono occupati del tema non abbondano, risultando il delitto in esame, pur nella ricchezza delle sue implicazioni anche in termini di fondamenti politico-ideologici dell'ordinamento costituzionale, piuttosto ‘di nicchia'. Nondimeno, non si può fare a meno di notare il prestigio degli Autori coinvolti, nonché la perdurante vitalità del dibattito.

Il profilo specifico dell'ampiezza del significato normativo dell'art. 294 c.p. si è posto quale sorgente di almeno due correnti dottrinali, nel più ampio contesto, però, di un'analisi rivolta ad inquadrare la figura in sé di detto reato, costituendo essa, almeno, in prima battuta, la ricezione ed il riadattamento, tuttavia inizialmente in seno all'ordinamento autoritario del 1930, dell'art. 139 del codice Zanardelli. La storia è progredita e con l'avvento dell'era repubblicana – al cospetto di una forma quasi immutata – l'ordinamento repubblicano ha finito per recuperare un filo di collegamento con quello liberale classico, ferma nondimeno una differenza fondamentale: alla luce dei valori del nuovo sistema costituzionale [cfr., pur con diversità di accenti da quelli qui proposti, Marenghi, Sub Art. 294 c. p., in Padovani (a cura di), Codice penale. Tomo I, Milano, 2011, pp. 1917-1918], si passa da una visione ottriata a una di carattere originario, imperniata su una matrice autonomistica, dei diritti politici (MUSCO, voce Attentati contro i diritti politici del cittadino, in Dig. disc. pen., Vol. I, Torino, 1978, p. 331).

Una prima corrente di pensiero, sul vento di libertà della Costituzione, si è espressa nel senso di ampliare la previsione normativa a un novero comprendente anche i diritti funzionalirectius, per usare il rigoroso linguaggio adottato nella sentenza, le pubbliche attività funzionali – e molti diritti di libertà di cui al Titolo I della Carta fondamentale. In particolare, secondo interpretazioni massimamente estese, per quanto riguarda l'accesso ed il mantenimento delle pubbliche funzioni, essi dovrebbero ricomprendere anche il pubblico impiego non elettivo, cui tuttavia si accede per concorso. Attingendo dalla sola dottrina penalistica, si può fare riferimento a STORTONI, Appunti per uno studio sulla tutela e sulla rilevanza penale dello statuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, n. 4, pp. 1419-1455, che anzi amplia ancor di più il novero dei diritti rilevanti ex art. 294 c.p., sino a sussumervi il diritto di associazione e di libertà sindacale, nonché quelli di assemblea e di referendum sindacale, significativamente privi di tutela penale nello Statuto dei lavoratori in quanto trascendenti la loro sfera personale-privata per assurgere al livello di diritto politico.

La seconda corrente di pensiero, risultata prevalente anche grazie alla sua concordanza con la giurisprudenza di legittimità, opera invece una raffinata e rigorosa distinzione fra le pubbliche attività funzionali e i diritti politici. Le prime, infatti, costituirebbero esercizio di un diritto – o comunque di un potere – che non appartiene al titolare e che è ontologicamente al di fuori della sua sfera giuridica, mentre i secondi sono di sua diretta pertinenza ed attuano un corredo di attribuzioni che gli spetta in via originaria (così soprattutto SPASARI, voce Attentato, cit., p. 974; con sfumature parzialmente differenti si schiera comunque in tal senso anche Musco, voce Attentati, cit., p. 331, che afferma: «A me sembra però che i diritti funzionali attengano più all'interesse della Pubblica Amministrazione al buon andamento che a quello politico dello Stato»).

Ad ogni modo, entrambe le correnti di pensiero esaminate risultano concordi nel ricomprendere nell'area del bene giuridico tutelato dall'art. 294 c.p. sicuramente il diritto di elettorato passivo di cui all'art. 51 Cost.Ma, e ciò rende conto del self restraint della S.C., la sentenza in commento, nell'includere il mantenimento della carica elettiva nel novero dei diritti politici, si pone in linea con l'orientamento dottrinale più rigoroso nell'interpretare i confini del dettato normativo alla luce dei principi costituzionali.

I precedenti giurisprudenziali. In punto di applicazione pratica, la sentenza si pone in continuità anche con i canoni esegetici progressivamente affinatisi in seno alla giurisprudenza di legittimità, in parallelo con le acquisizioni della dottrina più autorevole, soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

Le prime pronunce sono intervenute in una situazione che vedeva la giurisprudenza di merito intenta ad ampliare il tenore letterale della norma, ricomprendendo anche i diritti di funzione dei pubblici ufficiali (Corte Ass. Padova, sentenza 6 marzo 1980, in Foro Italiano, 1980, II, p. 440), la violenza politica e la dialettica pre-elettorale. Proprio in relazione a queste ultime casistiche, la Corte si è determinata nel senso di affermare la natura sussidiaria del delitto di attentato ai diritti politici del cittadino rispetto ai reati specificamente previsti in materia elettorale (Cass. pen., Sez. II, 27 ottobre 1980, n. 1564; Cass. pen., Sez. I, 26 giugno 1989, n. 11835).

Partendo da presupposti non coincidenti, ma infine muovendo nel medesimo senso, si è espressa una pronuncia del 1993, che ha escluso il reato di violenza privata ex art. 610 c.p. e riconosciuto l'impedimento all'esercizio dei diritti politici, nella specie dell'elettorato passivo, ritenendo integrati gli elementi specializzanti costituiti dall'evento, in un caso in cui un candidato consigliere comunale era stato costretto a ritirare la candidatura (Cass. pen., Sez. I, 14 ottobre 1993, n. 11055).

Più restrittiva appare, ma nella sostanza forse non è, una succinta ordinanza del 2005, che ha escluso, ai fini del reato in esame, la rilevanza di un pur contestabile procedimento disciplinare interno alla compagine partitica, facendo tuttavia salvo il caso in cui l'irregolarità dello stesso attenga ai requisiti formali e fosse rilevabile ictu oculi (Cass. pen., Sez. I, 21 aprile 2005, ord. n. 17333).

Di tenore analogo alla sentenza qui analizzata è il suo più immediato precedente, oggetto di decisione da parte della VI Sezione penale nel 2016. In tale occasione, il Collegio si è focalizzato sulla distinzione fra diritti politici in senso stretto e libertà di manifestazione del pensiero politico: trattandosi di una fattispecie in cui gli indagati erano stati sottoposti a misure cautelari per aver aggredito attivisti di una formazione avversaria informalmente preposti ad un banchetto di raccolta di firme, ha ritenuto la Corte che tale attività contestata risultasse preliminare al successivo esercizio di un diritto politico, potendosi quindi ravvisare tutt'al più un'ipotesi di violenza privata ex art. 610 c.p. (Cass. pen., Sez. VI,9 novembre 2016, n. 51722).

Ora, ponendo idealmente la sentenza qui analizzata al termine di un siffatto percorso ermeneutico, è possibile riconoscere la presenza di un filo rosso che unisce tutti gli arresti della Corte di cassazione sull'art. 294 c.p. Esso consiste nel definire rigorosamente i confini dell'art. 294 c.p. con una duplice azione che si svolge in direzioni uguali e contrarie:

  • da un lato, disattendendo i tentativi di estenderne eccessivamente il tenore, al fine di evitare anche solo sospetti di violazione dei principi di determinatezza e tassatività;
  • dall'altro, però, difendendo il dettato normativo da interpretazioni intese a sminuirne il significato, al fine di evitare la compressione dell'effettività e forsanche ancora prima dell'utilità dello stesso in un ordinamento che, definendosi democratico, non può abdicare alla difesa strenue dei meccanismi di realizzazione della democrazia.
Osservazioni

Sembra naturale concludere nel senso di ritenere che la Corte, nella sentenza che ha dato l'occasione del presente scritto, abbia svolto un lavoro estremamente equilibrato e attento nel rimarcare l'importanza dell'espletamento del mandato politico ai fini dell'integrazione del fatto tipico del reato di attentato ai diritti politici del cittadino, offrendo così un contributo di spessore, nel solco della continuità con il passato, al percorso interpretativo di tale figura di reato ma, nel contempo, esprimendo una decisione innovativa ed originale in termini di questioni vertite.

La duplice azione per certi versi antitetica cui si faceva riferimento al termine del paragrafo precedente a proposito della giurisprudenza occupatasi dell'art. 294 c.p. è ben rappresentata nel tessuto di una sentenza, quale quella in commento, che, nel respingere tesi difensive il cui accoglimento avrebbe finito per svuotare di potenzialità applicative l'art. 294 c.p. e quindi per depauperare di significato lo stesso bene giuridico dell'elettorato passivo rientrante nella sua tutela (condivisibilmente non riconducibile al solo evento elettorale, in quanto solo strumentale all'espletamento di un successivo mandato politico), si è comunque sentita in dovere di spendere parole ferme per perimetrare una lettura della norma che, se “entusiasticamente” (nell'afflato di libertà della Costituzione) spinta sino a tutelare qualsiasi libertà costituzionale avente rilievo ultra-particolare (ultra-individuale ed ultra-categoriale), finirebbe per sfociare in un'inammissibile “clausola in bianco”.

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