Stupefacenti. La valutazione del profilo quali-quantitativo delle sostanze ai fini dell'esclusione della fattispecie lieve

Nicolò Pini
26 Settembre 2018

La sentenza in commento permette di affrontare due questioni che sono al centro del dibattito giurisprudenziale, in continua evoluzione, in tema di fattispecie lieve come prevista dall'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990: 1) se la fattispecie lieve sia configurabile dopo aver valutato globalmente...
Massima

In materia di stupefacenti, è necessaria la concreta verifica del principio attivo e dunque dell'effettivo profilo quali-quantitativo, rapportato alla tipologia di stupefacente, elemento in realtà rilevante e destinato a convergere in un giudizio unitario, ai fini della configurazione della lieve entità del fatto.

Il caso

La Corte di appello di Napoli conferma la sentenza emessa dal tribunale di Napoli con la quale i due imputati sono stati condannati per condotte riguardanti la detenzione illegale di sostanze stupefacenti del tipo hashish. La difesa ricorre per cassazione, lamentando, con il secondo motivo di ricorso, che il dato ponderale è stato ricostruito dalla Corte d'appello, in assenza di una perizia, sulla base unicamente di mere presunzioni.

La Corte di cassazione annulla con rinvio sul punto, stabilendo che la centralità del dato ponderale, così impropriamente ricostruito, vizia l'intera motivazione sul punto e rigetta nel resto i ricorsi degli imputati.

La questione

La sentenza in commento permette di affrontare due questioni che sono al centro del dibattito giurisprudenziale, in continua evoluzione, in tema di fattispecie lieve come prevista dall'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990:

  1. se la fattispecie lieve sia configurabile dopo aver valutato globalmente tutti i parametri descritti dalla norma (mezzi, modalità o circostanze dell'azione, quantità e qualità delle sostanze) o se sia sufficiente a escluderne l'applicazione il vaglio negativo anche di uno solo degli indici previsti;
  2. se sia applicabile la disciplina prevista in tema di concorso formale fra i reati più gravi di cui al comma 1 e di cui al comma 4 dell'art. 73, d.P.R. 309/1990 e l'ipotesi più lieve prevista dal comma 5 dello stesso articolo.

Pare utile premettere che, in tema di sostanze stupefacenti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 e, successivamente, delle modifiche normative introdotte, la disciplina sulla repressione degli illeciti ha subito pesanti modifiche ed è stata ripristinata la precedente distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere. La norma, oggi, punisce la condotta di chi «coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo»sostanze droganti e prevede due distinti reati di differente gravità sanzionatoria: le condotte che hanno ad oggetto le droghe c.d. pesanti sono sanzionate dal comma 1, mentre quelle che riguardano le droghe c.d. leggere sono punite in misura inferiore secondo quanto disposto dal comma 4.

Tuttavia, se il fatto è lieve, a prescindere dal tipo di sostanza (pesante o leggera), si applicano le pene, di gran lunga più miti rispetto a entrambi i reati appena descritti, previste dal comma 5 («Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329»).

Quest'ultima fattispecie incriminatrice è stata oggetto di molteplici interventi normativi: da un lato, il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10, ha mutato la natura della disposizione da circostanza attenuante ad effetto speciale a reato autonomo, e, dall'altro, il d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (conv. in l. 16 maggio 2014, n. 79) ha ridotto la cornice edittale della pena che ora va, appunto, da 6 mesi a quattro anni.

Sembra opportuno rilevare che la ratio che ha mosso l'intervento legislativo pare rispondere all'esigenza di distinguere in modo netto due realtà fattuali, ossia il piccolo spaccio dal grande spaccio: citando alla lettera la Cassazione, in una recente pronuncia, «il mutamento di qualificazione giuridica dell'ipotesi lieve, da mera circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato, risponde alla logica di tenere ben distinte due realtà criminologicamente eterogenee, quelle del grande traffico e del piccolo spaccio, impedendo anche che il bilanciamento delle circostanze possa azzerare tale ontologica diversità»(Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2017, , n. 28251).

Si segnala, inoltre, senza poter qui trattare approfonditamente il tema che, in merito al trattamento sanzionatorio previsto dalla norma, è intervenuta recentemente anche la Corte costituzionale (sentenza 179/2017), la quale ha rilevato la sproporzione della cornice edittale prevista dal reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 (anni 8 nel minimo) rispetto a quella stabilita dal comma 5 dello stesso articolo (anni 4 nel massimo) riconoscendo un saltum sanzionatorio in realtà non giustificato dalle differenze strutturali dei due reati e inviando, sul punto, un monito al legislatore affinché intervenga.

Le soluzioni giuridiche

In primo luogo, occorre rilevare che la Cassazione, nella sentenza in commento, stabilisce che si debba valutare, al fine di escludere la fattispecie lieve, anche il profilo quali-quantitativo della sostanza drogante, non essendo sufficiente, nel caso di specie, il vaglio di un solo indice negativamente assorbente (i.e. la modalità della condotta). La Corte, in altri termini, sembra ritenere che la modalità della condotta (assenza di fonti di reddito alternative e la somma rinvenuta di 6500 euro), che certamente non consentiva di pervenire ad un giudizio di lieve entità, non sia da sola sufficiente ad escludere la configurabilità dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990, poiché sarebbe necessario vagliare tutti i parametri previsti dalla norma, compreso quello quali-quantitativo, motivo per il quale, secondo quanto stabilito dalla sentenza in commento, la Corte d'appello avrebbe dovuto verificare il principio attivo della sostanza rinvenuta.

Sul tema, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità non sembra pacifica e la Corte si è più volte espressa, anche in una pronuncia a Sezioni unite, in modo difforme, stabilendo che la fattispecie lieve «può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (per tutte, Cass. pen., Sez. unite, n. 17/2000, cit. e, da ultimo, Cass. pen., Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 38879, Frank; Cass. pen., Sez. VI, 14 aprile 2008, n. 27052, Rinaldo)»(Cass. pen., Sez. unite, 24 giugno 2010, n. 35737).

La soluzione interpretativa della Corte a Sezioni unite trova accoglimento in numerose pronunce successive che, anche molto recentemente, hanno stabilito che «il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione – mezzi, modalità e circostanze della stessa – sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato – quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa –, dovendo, conseguentemente, escludere la lieve entità quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità»(Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 11920).

Nella più recente giurisprudenza, peraltro, pare affermarsi l'orientamento dal quale la sentenza in commento sembra trarre spunto, secondo cui i parametri previsti dal comma 5 andrebbero, invece, complessivamente considerati al fine di valutare la gravità dei fatti: secondo tale indirizzo interpretativo, infatti, non si potrebbe indurre da un singolo parametro la gravità del reato, poiché si tratterebbe di una valutazione astratta del caso concreto, che non terrebbe conto della complessiva gravità della condotta.

In questo senso si è recentemente espressa Cass. pen., Sez. VI, 19 settembre 2017, n. 46495) che sottolinea come anche la sentenza delle Sezioni unite che si era pronunciata sul tema, in realtà, se da un lato affermava l'insussistenza del comma 5, qualora anche solo di uno degli indici previsti per legge risultasse negativamente assorbente, dall'altro stabiliva che l'applicabilità o meno della norma in questione «non possa essere risolta in astratto, stabilendo incompatibilità in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per caso, con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e concrete circostanze»(Cass. pen., Sez. unite, n. 35737/2010 cit.).

L'interpretazione appena descritta prevede, dunque, che il giudice adotti un criterio valutativo che tenga conto della globale gravità della condotta dell'imputato, dopo il vaglio di tutti i parametri previsti dalla norma e non solo di questo o quell'indice previsto dalla disposizione.

Sembra così che la sentenza in commento si possa inserire nel filone giurisprudenziale che tende ad escludere che il vaglio negativo, anche solo di uno dei parametri della norma, possa comportare l'inapplicabilità della fattispecie lieve.

Il contrasto segnalato, ben lontano dall'essersi esaurito, è particolarmente evidente con riferimento alla questione che ha per oggetto la possibilità di configurare l'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 nel caso, frequentissimo nella prassi, in cui l'agente detenga sostanze eterogenee.

Parte della giurisprudenza si è pronunciata in merito stabilendo che la detenzione di sostanze droganti eterogenee è di per sé indice di una più accentuata pericolosità sociale e «da sola, esclude la minima offensività del fatto, poiché esprime la capacità della condotta di rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori»(Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 11920).

In tema di detenzione di sostanze droganti eterogenee, si esprimono diverse altre pronunce nel solco di quella appena citata, secondo le quali «Il dato della varietà delle sostanze detenute è pertanto decisivo in quanto di per sé ostativo alla qualificazione del fatto in termini di lieve entità»(Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 12157).

Tuttavia, tale indirizzo sembra all'evidenza peccare di astrattezza, poiché, da un lato, si stabilisce una presunzione insuperabile di pericolosità sociale dell'individuo, senza tener in alcun modo conto della condotta concreta, dall'altro, si nega l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 facendo riferimento al solo parametro qualitativo.

La giurisprudenza più recente, infatti, si è scostata dall'interpretazione appena descritta e ha affermato la necessità di «escludere qualsivoglia preclusione derivante dalla eterogeneità delle sostanze»(Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2017, n. 29132), ritenendo che l'eterogeneità delle sostanze detenute sia idonea a escludere l'ipotesi del fatto lieve soltanto qualora sia dimostrativa di una significativa potenzialità offensiva.

Pare che quest'ultima interpretazione venga ulteriormente supportata sia dal dato testuale della norma, che parla di sostanze, al plurale, consentendo evidentemente l'applicazione della disposizione anche nel caso di detenzione di sostanze diverse, sia dalla comune massima di esperienza, secondo la quale il possesso di stupefacente di diversa natura non può di per sé escludere l'applicabilità della fattispecie lieve poiché non è indice univoco di una più accentuata pericolosità (si pensi al piccolo o piccolissimo spacciatore trovato con qualche grammo di sostanze diverse). Non pare convincente neppure l'argomento secondo il quale si tratterebbe di «condotta indicativa della capacità dell'agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice»(Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2015, n. 26205), poiché, nella prassi, ben potrebbe darsi che la detenzione di più sostanze stupefacenti sia destinata alla vendita a un unico cliente, o comunque a un numero molto ristretto di destinatari che acquistino sostanze di diversa qualità, motivo per cui il concreto disvalore della condotta sarebbe parificabile o perfino inferiore a quello del soggetto che venda, sì sostanze di natura omogenea, ma ad un numero di clienti di gran lunga superiore.

Da ultimo, vale la pena sottolineare un ulteriore argomento recentemente espresso dalla Corte: l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, diversamente da quanto previsto per le condotte “non lievi”, si applica tanto in caso di droghe leggere, quanto in caso di droghe pesanti. «Risulterebbe, pertanto, del tutto irrazionale – oltre che contrario al principio di legalità, facendo dire alla norma ciò che non vi sta scritto – ritenere la disposizione applicabile soltanto in presenza di condotte "lievi" aventi ad oggetto sostanze droganti fra loro omogenee» (Cass. pen., n. 46495/2017 cit.).

Pare, quindi, che neppure il dato qualitativo, esattamente come la sola modalità della condotta, possa essere di per sé dirimente se considerato a prescindere dagli altri parametri indicati dalla norma poiché, anche in questo caso, occorre che il giudice, valutando la condotta concreta sulla base del proprio prudente apprezzamento, stabilisca l'effettiva gravità della condotta senza che gli sia preclusa l'applicazione della fattispecie lieve sulla base di invincibili presunzioni di pericolosità, peraltro del tutto astratte, create unicamente in via giurisprudenziale.

La questione, lontana dall'essere superata, è stata di recente oggetto di ordinanza di rimessione alle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. III, 15 marzo 2018, ord. n. 23547). Nell'ordinanza di rimessione la Corte, dopo aver descritto gli opposti orientamenti, ha così compendiato la questione: «se la diversità di stupefacenti, a prescindere dal dato quantitativo, osti alla configurabilità dell'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990». Pare necessario notare che la Corte ha rimesso alle Sezioni unite l'ulteriore questione, già segnalata in un precedente contributo (PINI, Stupefacenti. La lieve entità va esclusa in caso di vaglio negativo di uno solo dei parametri individuati dalla legge), «se, in caso negativo, il reato di cui al d.P.R. 309 del 1990, art. 73, comma 5, possa concorrere con uno dei reati di cui al medesimo art. 73, commi 1 e 4».

La seconda questione è strettamente connessa alla precedente dal momento che, nel caso in cui la mera eterogeneità delle sostanze non fosse ostativa alla configurabilità dell'ipotesi lieve, come peraltro si è sostenuto, potrebbe ben darsi il caso (peraltro assai frequente) in cui il soggetto detenga diversi tipi di sostanza drogante in dosi molto differenti. Un caso paradigmatico è quello dell'imputato fermato in auto che detenga, ad esempio, 10 grammi di cocaina e 500 grammi di marijuana.

Di fronte alla necessità di stabilire in concreto che reato applicare, se l'eterogeneità delle sostanze non fosse più preclusiva ai fini della configurabilità dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990, la soluzione interpretativa potrebbe essere la seguente: si considerano i 10 grammi di cocaina puniti secondo la previsione del comma 5, mentre i 500 grammi di marijuana rientrerebbero nella fattispecie sanzionata dal comma 4. Così, per effetto della disciplina prevista dall'art. 81, comma 1, c.p. applicando la norma sul concorso formale di reati, la pena base andrebbe individuata partendo dal reato più grave, ossia il comma 4, operando poi l'aumento per il comma 5.

Tuttavia, in questo caso, se “uno dei fatti” dev'essere di lieve entità ne consegue che, decidendo su un'unica condotta di detenzione (benché di droghe diverse in quantitativi diversi) essa o è di lieve entità o non lo è: il comma 5, infatti, non può riferirsi a una singola sostanza, poiché il fatto, unitario, non può essere contemporaneamente lieve per la cocaina e non lieve per la marijuana, con l'ulteriore conseguenza di frazionare in modo arbitrario una condotta che, peraltro, è, per definizione, unitaria. La soluzione sembra pertanto la seguente: o si ritiene che il fatto detentivo sia lieve, senza alcuna astratta preclusione derivante dalla mera eterogeneità delle sostanze ricevute, e allora si applica l'ipotesi di cui al comma 5, o si ritiene (alla luce di tutti i parametri della norma) che il fatto detentivo sia non lieve, e allora è necessario applicare la previsione di cui al comma 1 (per i 10 grammi di cocaina come nell'esempio), in continuazione con quella di cui al comma 4 (per i 500 grammi di marijuana).

L'obiezione, in quest'ultimo caso, potrebbe certamente essere quella di considerare iniquo un trattamento sanzionatorio così elevato (comma 1) per una fattispecie tutto sommato di modesta offensività. Tuttavia, la risposta a tale rilevo è contenuta proprio nell'ampliamento del perimetro applicativo della fattispecie lieve: infatti, l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 non potendo mai essere a priori escluso sulla base di astratte preclusioni, come già argomentato, sarà sempre applicabile in tutti quei casi in cui sembri iniquo irrogare il pesante trattamento sanzionatorio previsto dalle ipotesi più gravi. Il giudice, poi, ben potrà adeguare il trattamento sanzionatorio sfruttando tutta la cornice edittale prevista dall'ipotesi lieve, arrivando ad irrogare anche una pena prossima al massimo edittale in modo da punire adeguatamente condotte che, pur lievi, non meritino di trovare una risposta sanzionatoria contenuta nel minimo.

D'altra parte, sembra contraddittorio, da un lato stabilire che si debbano vagliare tutti gli indici previsti dalla norma e, pertanto, che non sia sufficiente la sola eterogeneità delle sostanze ad escludere la configurabilità della fattispecie lieve (in altri termini, non è sufficiente il solo dato qualitativo) e, dall'altro, ritenere applicabile la disciplina prevista dall'art. 81 c.p. Infatti, la stessa condotta non può essere lieve per una sostanza e non lieve per l'altra poiché entrambi i “fatti” hanno in comune i medesimi indici, ossia i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione e perfino lo stesso profilo quali-quantitativo. La condotta è, pertanto, solidamente unitaria: per ritenere un fatto lieve e l'altro non lieve si dovrebbe operare un ragionamento che elida, a posteriori, la detenzione dell'altra sostanza stupefacente. Il risultato sarebbe di considerare lieve, ad esempio, la condotta di chi detiene i 10 grammi di cocaina, eliminando virtualmente la contestuale detenzione dei 500 grammi di hashish, che, se considerata, porterebbe ad escludere la lievità della condotta.

Nel senso di escludere la disciplina prevista dall'art. 81 c.p. sembra esprimersi anche recente Cassazione, citata anche nell'ordinanza di rimessione, che argomenta, in tema di contestuale detenzione di hashish e MDMA, che le diverse sostanze sono state detenute nell'identico contesto e che, pertanto, deve escludersi una duplicità temporale o giuridica della condotta, e conseguentemente la legittimità della riconosciuta continuazione del reato (Cass. pen., Sez. IV, 6 luglio 2017, n. 36078).

La stessa pronuncia cita altra Cassazione che si esprime ritenendo che Con la soppressione della distinzione tabellare tra droghe leggere e droghe pesanti operata dalla legge 21 febbraio del 2006, n. 49, la detenzione contestuale di sostanze stupefacenti di natura e tipo diversi integra un unico reato e non più una pluralità di reati in continuazione tra loro (Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2017, n. 28980). L'osservazione della Corte, anche se appare datata riguardo alle ipotesi più gravi, dal momento che, come si è visto, è stata ripristinata la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, risulta ancora attuale con riferimento all'ipotesi lieve poiché l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 è applicabile tanto alle droghe leggere quanto alle droghe pesanti.

Pertanto, pur con motivazioni parzialmente diverse da quelle già esposte, sembra che anche la Corte si esprima nel senso di ritenere che non si possa applicare la disciplina prevista dall'art. 81 c.p. ai casi in cui vi sia contestuale detenzione di più sostanze stupefacenti.

Osservazioni

Come già rilevato dalla Corte costituzionale (n. 179/2017 cit.), il comma 1 prevede nel minimo anni 8 di reclusione, ossia il doppio di quanto il comma 5 stabilisce nel massimo edittale: da ciò consegue un'evidente sproporzione, tenuto conto anche della sostanziale omogeneità strutturale dei reati descritti dalla norma, che impone di valorizzare adeguatamente la fattispecie lieve al fine di non punire con una sanzione iniqua condotte di modesta offensività.

Da tale osservazione deriva la necessità di evitare che l'art. 73, comma 5, pertanto, possa essere escluso sulla base di astratte preclusioni, o avendo riguardo ad un singolo parametro negativamente assorbente. La fattispecie lieve, pertanto, dev'essere concessa dopo aver valutato la condotta globalmente, alla luce di tutti i parametri descritti dalla norma, così da poter essere riconosciuta in tutti quei casi nei quali la condotta concreta sia di limitata offensività.

Da ultimo, non sembra si possa applicare alla fattispecie lieve la disciplina prevista dall'art. 81 c.p., in caso di contestuale detenzione di più sostanze droganti, dal momento che la condotta detentiva è certamente unitaria e non può essere arbitrariamente frammentata, come se si trattasse di fatti diversi: si è, infatti, argomentato che la valutazione congiunta di tutti gli indici dell'art. 73, comma 5, impedisce la scomposizione della fattispecie detentiva, unitaria per definizione, in più condotte separate e di gravità differente.

Guida all'approfondimento

BRAY C., La corte costituzionale salva la pena minima (di 8 anni di reclusione) per il traffico di droghe 'pesanti' ma invia un severo monito al legislatore, in Dir. pen. cont., 11, 2017;

PINI, Stupefacenti. La lieve entità va esclusa in caso di vaglio negativo di uno solo dei parametri individuati dalla legge.

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