Codice Civile art. 1122 bis - Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili (1).Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili (1). [I]. Le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze sono realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche. [II]. È consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato. [III]. Qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell'articolo 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali. [IV]. L'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere. Non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative. (1) Articolo inserito dall'art. 7, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. InquadramentoLa riforma del condominio realizzata nel 2012 ha introdotto la norma in commento, che costituisce una novità rispetto al passato, allo scopo di dettare una specifica disciplina volta a regolare una particolare categoria di interventi, che possono aver luogo sia sulle parti comuni dell'edificio che sulle proprietà solitarie, diretti all'installazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva (si pensi alle parabole per la ricezione di segnali satellitari) e di produzione di energia da fonti rinnovabili (si pensi, evidentemente, ai pannelli fotovoltaici). L'art. 1122-bis c.c. è dunque dedicato agli «impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili», allo scopo di regolamentare le modalità della loro esecuzione in àmbito privato. Il diritto del singolo di installare tali impianti, oltre che sulla propria unità immobiliare, nelle parti comuni dell'edificio a beneficio del suo appartamento, costituisce esplicazione del diritto riconosciuto in via generale a ciascun condomino dall'art. 1102 c.c., applicabile al condominio attraverso il rinvio contenuto nell'art. 1139 c.c., di utilizzare i beni comuni al servizio della sua proprietà esclusiva. A seguito della riforma, l'utilizzazione individuale delle parti comuni e delle proprietà solitarie per le finalità in discorso continua ad essere consentita, ma nel rispetto della previsione indicata nella nuova disposizione. Il suo comma 1, in particolare, detta una disposizione di ordine generale secondo cui dette installazioni devono essere realizzate in modo da recare il minor pregiudizio sia alle parti comuni che alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio. Il comma 2 conferisce un generale carattere di liceità all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare e su ogni altra idonea superficie comune, nonché sulle parti di proprietà individuale dell'interessato. Il comma 3 prescrive le regole procedurali da seguire, e le maggioranze applicabili, attribuendo all'assemblea il potere di disporre l'adempimento di specifici accorgimenti, qualora l'installazione degli impianti richieda modificazioni delle parti comuni. Il comma 4 regola l'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale, che deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere. Le antenne televisive: la normativa succedutasi nel tempoDiscorrendo della disciplina delle antenne televisive (su cui v. pure sub art. 1120) occorre muovere dalla l. 6 maggio 1940, n. 554 (abrogata dall'art. 24 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modif. in l. 6 agosto 2008, n. 133, con la decorrenza prevista dal comma 1 del medesimo art. 24; successivamente l'efficacia del provvedimento è stata ripristinata a norma dell'art. 3, comma 1, d.l. 22 dicembre 2008, n. 200, convertito, con modificazioni, in l. 18 febbraio 2009, n. 9), la quale, agli artt. 1-3, ha stabilito: - che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non possono opporsi alla installazione nella loro proprietà, di aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili o appartamenti stessi; - che però tale installazione, altre a dover essere eseguita in conformità alla pertinente normativa tecnica, non deve in alcun modo impedire il libero uso della proprietà secondo la sua destinazione, né arrecare danni alla proprietà medesima o a terzi; - che il proprietario ha sempre facoltà di fare nel suo stabile qualunque lavoro o innovazione ancorché ciò importi la rimozione o il diverso collocamento dell'aereo, né per questo deve alcuna indennità all'utente dell'aereo stesso, essendo in tal caso soltanto tenuto ad avvertire preventivamente il detto utente, al quale spetterà di provvedere a propria cura e spese alla rimozione o al diverso collocamento dell'aereo. L'art. 232 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, recante il Testo unico in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, abrogato dall'art. 218, comma 1, lett. s), d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, ha successivamente stabilito che: - negli impianti di telecomunicazioni, i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non vi siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto; - che il proprietario o il condominio non può opporsi all'appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto nell'immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini; - che i fili, cavi ed ogni altra installazione debbono essere collocati in guisa da non impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione; - che il proprietario è tenuto a sopportare il passaggio nell'immobile di sua proprietà del personale dell'esercente il servizio che dimostri la necessità di accedervi per l'installazione, riparazione e manutenzione degli impianti di cui sopra; - che per tutto ciò non è dovuta alcuna indennità. L'art. 209 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, ha ulteriormente disciplinato la materia prevedendo: - che i proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprietà di antenne appartenenti agli abitanti dell'immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali; - che le antenne, i relativi sostegni, cavi ed accessori non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, né arrecare danno alla proprietà medesima od a terzi; - che gli impianti devono essere realizzati secondo le norme tecniche emanate dal Ministero; - che nel caso di antenne destinate a servizi di comunicazione elettronica ad uso privato è necessario il consenso del proprietario o del condominio, cui è dovuta un'equa indennità che, in mancanza di accordo fra le parti, è determinata dall'autorità giudiziaria. Lo stesso art. 203 richiama inoltre gli artt. 91 e 92, comma 7, dello stesso testo, secondo cui: - negli impianti in questione i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto; - il proprietario od il condominio non può opporsi all'appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto, nell'immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini; - i fili, cavi ed ogni altra installazione debbono essere collocati in guisa da non impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione; - il proprietario è tenuto a sopportare il passaggio nell'immobile di sua proprietà del personale dell'esercente il servizio che dimostri la necessità di accedervi per l'installazione, riparazione e manutenzione degli impianti di cui sopra, - al proprietario non è dovuta alcuna indennità; - il proprietario ha sempre facoltà di fare sul suo fondo qualunque innovazione, ancorché essa importi la rimozione od il diverso collocamento degli impianti, dei fili e dei cavi, né per questi deve alcuna indennità, salvo che sia diversamente stabilito nella autorizzazione o nel provvedimento amministrativo che costituisce la servitù. Tra gli aspetti salienti che discendono dalla normativa così riassunta assume particolare rilievo senza dubbio quello concernente il peculiare diritto all'installazione dell'antenna sull'altrui proprietà, ove ciò sia necessario. L'art. 3, comma 13, della l. 31 luglio 1997, n. 249, concernente il diverso aspetto delle antenne centralizzate, anche satellitari, ha stabilito che, a partire dal 1° gennaio 1998, gli immobili composti da più unità abitative di nuova costruzione o quelli soggetti a ristrutturazione generale, per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari si avvalgono di norma di antenne collettive e possono installare o utilizzare reti via cavo per distribuire nelle singole unità le trasmissioni ricevute mediante antenne collettive. In seguito l'art. 2-bis, comma 13, della l. 20 marzo 2001, n. 66, di conversione con modificazioni, del d.l. 23 gennaio 2001, n. 5, recante disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, ha disposto che, al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie ai sensi dell'art. 1120, comma 1. Per l'approvazione delle relative deliberazioni si applica l'art. 1120, comma 2. Merita aggiungere che la diffusione dell'accesso ad internet, la quale influisce tra l'altro sulla stessa fruizione dei programmi televisivi, ha indotto il legislatore ad un intervento diretto a favorire la diffusione delle infrastrutture necessarie per l'accesso alla rete. A tale scopo l'art. 1, comma 7, l. 18 giugno 2009, n. 69, recante: «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile», richiamando la previsione dettata per le antenne satellitari ha stabilito che «le disposizioni dell'articolo 2-bis, comma 13, del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, si applicano anche alle innovazioni condominiali relative ai lavori di ammodernamento necessari al passaggio dei cavi in fibra ottica». Va infine accennato che le regole tecniche relative agli impianti condominiali centralizzati d'antenna riceventi del servizio di radiodiffusione sono state dapprima emanate con decreto del Ministero delle Comunicazioni 11 novembre 2005, in G.U. del 21 novembre 2005, n. 271, e sono ora contenute nel decreto del Ministero dello Sviluppo economico 22 gennaio 2013, in G.U. 30 gennaio 2013, n. 25, che ha disposto, con l'art. 11, l'abrogazione del citato d.m. 11 novembre 2005. Il diritto di antennaQuantunque la l. 6 maggio 1940, n. 554, si riferisse ad aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi radiofonici, la giurisprudenza (per esempio, Trib. Roma 27 ottobre 1980), ha ritenuto l'applicabilità della norma per analogia alle antenne trasmittenti televisive, non diverse per forma da quelle riceventi. La Suprema Corte ha ricondotto il c.d. diritto di antenna individuato nella normativa richiamata, che consente tra l'altro l'installazione di essa sulla proprietà altrui, al diritto alla manifestazione del pensiero ed alla informazione, tutelati dall'art. 21 Cost. (Cass. II, n. 7418/1983; Cass. II, n. 5399/1986). In tale prospettiva detto diritto è stato qualificato come diritto soggettivo perfetto di natura personale, corrispondente dall'altro lato ad un'obbligazione di sopportare (Cass.S.U., n. 3728/1976; Cass. II, n. 906/1975; Cass. II, n. 2160/1971), consistente nel divieto imposto al proprietario di opporsi all'installazione delle antenne sulla sua proprietà, senza compenso o indennità. In altri casi si è esclusa la configurazione del c.d. diritto di antenna in termini di diritto personale di credito corrispondente ad una posizione di pati, e si è qualificato il diritto in questione come diritto sì personale e non reale, ma assoluto, quale espressione del diritto primario alla ricezione del pensiero altrui, riconosciuto dal citato art. 21 Cost. (Cass. II, n. 7418/1983; Cass. II, n. 1139/1993). La qualificazione del diritto di antenna come personale e non reale possiede evidentemente rilevanti ricadute pratiche, giacché consente di affermare che esso spetta anche agli abitanti dello stabile condominiale non proprietari, quali, ad esempio, i conduttori, i comodatari, gli usufruttuari, gli ospiti, ecc., e si inquadra in un più ampio processo di affermazione del primato della tutela giurisdizionale dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, rispetto alla tutela indiretta ad essi fino a quel tempo concessa mediante le classiche azioni reali. In senso critico si è osservato che il diritto di manifestazione del pensiero si configurerebbe come diritto soggettivo perfetto, costituzionalmente tutelato, in capo all'autore della manifestazione, mentre l'interesse del destinatario del messaggio a riceverlo non potrebbe confondersi con il diritto di manifestare il proprio pensiero. Con riguardo al diritto di ricevere programmi radiotelevisivi, non sarebbe dunque invocabile un diritto di libertà avente consistenza di diritto soggettivo costituzionalmente protetto, ma solo un diritto di libertà riconosciuto dal legislatore ordinario, che nel conflitto con altre situazioni soggettive vale nei limiti fissati dalle stesse norme che lo prevedono. D'altronde, si aggiunge, il richiamo all'art. 21 Cost. non giustificherebbe la violazione del domicilio, che riceve tutela costituzionale dall'art. 14 Cost. (Ceccherini, 2525). Si discute, inoltre, se ed in quale misura il c.d. diritto di antenna possa pregiudicare l'altrui diritto di proprietà. Si è sottolineato cioè che il diritto di antenna non debba comportare un sacrificio apprezzabile dell'altrui diritto di proprietà (Cass. II, n. 7418/1983). Così, è stato stabilito che, qualora il proprietario del terrazzo sui cui è installata l'antenna sposti la medesima per eseguire delle opere edilizie, il titolare del diritto d'antenna non può pretendere il ripristino dello stato dei luoghi da parte del proprietario del terrazzo, ed ha anzi l'onere di provvedere a propria cura e spese alla rimozione o alla diversa collocazione dell'antenna (Cass. II, n. 2862/1994). Lo stesso art. 397 del Codice postale stabiliva che le facoltà accordate al titolare del diritto di antenna dovesse attuarsi senza «in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione». Del resto, se così non fosse, si dovrebbe dubitare della costituzionalità di una disciplina che impone delle limitazioni alla proprietà privata, a tutela di diritti di altri soggetti privati, senza alcun indennizzo, laddove secondo l'art. 42 Cost. simile sacrificio può aver luogo esclusivamente per motivi di interesse generale, e in ogni caso salvo indennizzo. In senso contrario non si potrebbe invocare la disciplina delle servitù coattive, sia perché il diritto di antenna non ha natura reale, sia perché tale diritto si colloca al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 44 Cost., che legittima tali servitù, sia perché la costituzione delle servitù coattive richiede il pagamento di un'indennità. Neppure è stato ritenuto pertinente, con riguardo alla facoltà prevista dall'art. 232, comma 4, Codice postale, concernente l'obbligo di sopportare il passaggio nella proprietà per l'installazione, riparazione e manutenzione degli impianti, il richiamo all'art. 843 c.c., che consente l'accesso al fondo ed il passaggio attraverso di esso per la riparazione del muro o di altra opera propria o comune, atteso il difetto del carattere reale del diritto di antenna (Ceccherini, 2525). Sebbene il c.d. diritto di antenna si configuri secondo l'opinione accolta dalla S.C. quale diritto della personalità fornito di protezione costituzionale, è stato ritenuto inoperante il congegno di bilanciamento al quale sono sottoposte le libertà economiche rispetto alle libertà fondamentali, bilanciamento ancorato ai concetti di funzione sociale della proprietà (art. 42, comma 2, Cost.) e di sacrificio di essa per motivi di interesse generale (art. 42, comma 3, Cost.). La materia rimane così regolata, in ambito condominiale, dalle consuete regole sull'uso delle cose comuni, nonché da quelle dettate per i rapporti di vicinato. È stato allora affermato che il diritto all'installazione di antenne ed accessori è limitato (solo) dal pari diritto di altro condomino nonché dal divieto di menomare in misura apprezzabile il diritto di proprietà di colui che deve consentire l'installazione su parte del proprio immobile: sicché, qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale venga installata per volontà della maggioranza dei condòmini un'antenna televisiva centralizzata e un condomino intenda invece installare un'antenna autonoma, l'assemblea dei condòmini può vietare tale seconda installazione solo se la stessa pregiudichi l'uso del terrazzo da parte degli altri condòmini o arrechi comunque un qualsiasi altro pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni; al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti l'installazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso può far accertare il proprio diritto all'installazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dall'art. 1137 c.c. o, essendo stato presente all'assemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa (Cass. II, n. 5399/1985). La Suprema Corte ha inoltre in passato osservato che, in virtù del disposto dell'art. 232 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il proprietario o il condomino non può opporsi alla installazione di antenne e di sostegni, ed al passaggio di condutture o di altro impianto nell'immobile di sua proprietà, quando si tratti di soddisfare la richiesta di utenza di un inquilino o di un condomino dello stesso stabile (Cass. II, n. 12134/1997; Cass. II, n. 2274/1995; Cass. II, n. 7825/1990; Cass. II, n. 1176/1986). Più di recente la Suprema Corte sembra aver abbandonato l'idea che l'installazione di un'antenna televisiva propria su un bene altrui sia in linea di principio legittima, ponendo come condizione di esistenza del diritto di collocare nell'altrui proprietà esclusiva antenne televisive il requisito della «necessità»: ossia che l'utente di servizi radiotelevisivi si trovi nell'impossibilità di utilizzare spazi propri, in base alla considerazione che altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai proprietari, e che la limitazione imposta all'altrui proprietà esclusiva deve essere la minore possibile. Il c.d. diritto di antenna non importa cioè la facoltà di scegliere a proprio piacimento il sito preferito per l'antenna, ma, come è insito nei principi generali in materia di condominio, va riconosciuto in presenza di una effettiva esigenza. L'affermazione è stata fondata sull'art. 2 della l. n. 554 del 1940, la quale disponeva che le installazioni «non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà secondo la sua destinazione, né arrecare danni alla proprietà medesima o a terzi». Tale disposizione, come si è visto, è poi confluita nell'art. 209 d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, sicché essa, unitamente all'art. 92, comma 7, concernente i diritti del proprietario servente, mostra come il legislatore abbia avuto presente che la limitazione imposta deve essere minima; a maggior ragione non può essere pretesa da chi, con normale impiego di mezzi idonei, può provvedervi impegnando i beni condominiali. È stato allora osservato, in tale prospettiva, che il diritto di collocare nell'altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli artt. 1 e 3 l. 6 maggio 1940, n. 554 e 231 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, ed attualmente regolato dagli artt. 91 e 209 d.lg. 1° agosto 2003, n. 259, è subordinato all'impossibilità per l'utente di servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, poiché il diritto all'installazione non comporta anche quello di scegliere a piacimento il sito preferito per l'antenna: è stata così confermata la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di installazione dell'antenna sul lastrico solare di proprietà di un altro condominio, in quanto era possibile collocarla sul torrino della scala condominiale (Cass. II, n. 9427/2009). Anche in tempi più recenti è stato ribadito che, per quanto riguarda l'installazione delle antenne televisive, il diritto di collocare nell'altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli artt. 1 e 3 della l. n. 554 del 1940, nonché 231 del d.P.R. n. 156 del 1973, è subordinato all'impossibilità per l'utente, onerato della corrispondente dimostrazione, di utilizzare spazi propri o condominiali, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai proprietari (Cass. II, n. 16865/2017). In termini analoghi è stato affermato che il sacrificio imposto ai proprietari di immobili dalle citate disposizioni che disciplinano la materia deve intendersi condizionato alla impossibilità per gli utenti dei servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, a meno di ammettere che si tratta di norme irragionevolmente vessatorie, che ingiustificatamente privilegiano sugli interessi di una parte quelli dell'altra, anche quando non è necessario per il loro soddisfacimento (Cass. II, n. 9393/2005). Il c.d. diritto di antenna rimane governato dalle regole sull'uso delle cose comuni e, perciò, da principi diversi da quello della «necessità», quando, in un edificio in condominio, l'interessato non chieda di collocare antenne nella proprietà esclusiva di un altro condomino, bensì, chieda di provvedervi impegnando i beni comuni, quali, ad esempio, il tetto di copertura del fabbricato. Infatti, in tal caso, va considerato che il tetto di copertura del fabbricato è cosa comune (art. 1117, n. 2, c.c.), di cui ciascun partecipante può servirsi, alla sola condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (artt. 1102,1139 c.c.). E la norma di cui all'art. 1102 c.c., che in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici, non postula che l'uso individuale sia caratterizzato dalla «necessità», nel senso di «indispensabilità», tale da ritenere quell'uso vietato se il relativo bisogno possa essere altrimenti soddisfatto dall'interessato. Al contrario, richiede soltanto che questo uso consenta un «miglior godimento» della cosa comune, a vantaggio di tutti i comunisti, o anche una maggiore comodità di utilizzo di un bene esclusivo a vantaggio di un singolo condomino (Cass. II, n. 13752/2006; Cass. II, n. 16496/2005; Cass. II, n. 13600/2004). Difatti, ai sensi degli artt. 1102 e 1139 c.c., com'è noto, è consentita al condomino la più ampia utilizzazione di un bene comune, anche a favore della sua unità immobiliare e per il miglior godimento di un proprio appartamento, purché sia rispettata la destinazione della cosa comune e non sia violata la facoltà degli altri condòmini di farne uguale uso secondo il loro diritto. E, nel caso dell'installazione dell'antenna, non può dubitarsi che l'uso particolare o più intenso del bene comune che un condomino intenda compiere (apposizione di una antenna televisiva) non impedisce l'altrui paritario uso e non altera la destinazione del bene comune, atteso che i rimanenti partecipanti alla comunione ben possono apporre altre proprie antenne, e che il tetto non perde per questo la sua normale ed originaria funzione e destinazione, di copertura e protezione delle sottostanti unità immobiliari. E difatti, in quest'ottica, la giurisprudenza ha costantemente affermato la legittimità dell'installazione di una antenna televisiva sul terrazzo di uno stabile condominiale da parte di un singolo condomino (Cass. II, n. 4617/2007; Cass. II, n. 5517/1998; Cass. II, n. 7825/1990; Cass. II, n. 5399/1985; nella giurisprudenza di merito v., per tutte, App. Perugia 1° luglio 2004). L'antenna televisiva individuale in ambito condominialeRiassumendo, l'installazione dell'antenna (o dell'impianto fotovoltaico) può essere realizzata sia sulle parti comuni (tetto, lastrico solare, facciata), sia sulle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva. Nella prima ipotesi, l'installazione dipende dalla volontà assembleare, con l'osservanza delle forme procedurali di cui all'art. 1136 c.c. ed in applicazione dei quorum previsti dall'art. 1120, nn. 2) e 3), c.c. Nella seconda ipotesi, pur non sorgendo questioni derivanti dall'uso delle parti comuni, con il conseguente interessamento dell'assemblea, occorre verificare se l'installazione, in linea di principio riconducibile, come si è detto, alla previsione dell'art. 1102 c.c., non incontri un limite in ragione della lesione dei diritti degli altri condomini. Fino alla riforma trovava applicazione, in quest'ultimo caso, il precetto dettato dall'art. 1122 c.c., che faceva divieto di compiere nella proprietà esclusiva interventi che potessero danneggiare le parti comuni dell'edificio. Oggi occorre invece far riferimento alla norma in commento, che, da un lato, si colloca su un distinto piano rispetto all'art. 1120, comma 2, c.c., giacché regola non deliberazioni adottate dall'assemblea per soddisfare esigenze collettive, bensì interventi realizzati dal singolo, ma che possono coinvolgere le parti comuni, e, dall'altro, si pone sulla linea tracciata dall'art. 1102 c.c., che disciplina l'uso delle cose comuni da parte del condomino, regolamentando anche i rapporti con le proprietà esclusive contigue. In particolare, il comma 1 dell'art. 1122-bis c.c. prevede che le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, ed i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze, possono essere realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle unità immobiliari di proprietà individuale, sempre nel rispetto del decoro architettonico dell'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche, decoro architettonico che, in materia di installazione di antenne, in particolare su balconi e terrazze dei singoli appartamenti, richiede di verificare l'impatto dell'intervento ed è meritevole di essere regolato dal legislatore. Occorre sottolineare, al riguardo, la differenza tra il precetto posto dalla norma in commento e quello ben più severo contenuto nell'art. 1122 c.c., giacché l'art. 1122-bis c.c., laddove contempla la realizzazione dell'installazione «in modo da recar il minor pregiudizio», pare voler senz'altro individuare un'area di disturbo o fastidio che gli altri condomini sono tenuti a tollerare, sia che l'installazione abbia luogo sulle parti comuni, sia che venga effettuata sulle proprietà individuali, alle quali non si riferisce invece l'art. 1122 c.c., concernente le opere che possano recare danno alle sole parti comuni. Sembra dunque che l'art. 1112-bis c.c. intenda decisamente ricondurre la facoltà del singolo condomino di installazione dell'antenna al già menzionato diritto, riconosciuto dall'art. 21 Cost., alla libera manifestazione del pensiero attraverso qualsiasi mezzo di diffusione, spettante ad ogni cittadino, sia come soggetto attivo della manifestazione stessa (diritto alla diffusione), sia come destinatario della manifestazione del pensiero altrui (diritto all'informazione). In tale prospettiva, con riguardo alle antenne televisive, la norma pare dunque collocarsi in controtendenza rispetto ai precedenti interventi normativi di cui si è dato in precedenza conto, volti a favorire l'adozione di antenne centralizzate, per la loro maggiore idoneità alla tutela dell'estetica dell'edificio, se non anche ad un complessivo risparmio di spesa. Gli impianti non centralizzati di produzione di energia da fonti rinnovabiliIl comma 2 della disposizione in commento stabilisce che «è consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato». Tali impianti, dunque, sono sottoposti a servizio del fabbisogno elettrico dell'appartamento privato, ma la collocazione può essere disposta anche sulle parti comuni dell'edificio, mentre, nel quadro di applicazione dell'art. 1102 c.c., essendo generalmente insufficiente lo spazio a disposizione del singolo condomino, questi poteva usarle, purché ciò non impedisse agli altri condomini di fare parimenti uso di un'eguale superficie utile per l'installazione dei pannelli fotovoltaici e non si alterasse la destinazione del lastrico solare o del tetto comune. Rimaneva fermo il principio, di cui si è dato conto nel commento all'art. 1120 c.c., secondo cui l'estensione della proprietà del singolo condomino rispetto agli altri fosse irrilevante ai fini dell'applicazione del citato art. 1102 c.c.: se, cioè, un condomino era titolare di un appartamento di dimensioni doppie rispetto ad un altro, egli poteva nondimeno utilizzare il bene comune per un impianto fotovoltaico nella medesima misura dell'altro più piccolo. Oggi, viceversa, come si diceva, la disposizione in commento consente l'installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio, mentre è indifferente la collocazione del manufatto, che può interessare parti comuni o esclusive. L'installazione su parte comune di impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, ai sensi dell' art. 1122-bis c.c. , che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, può essere eseguita dal singolo condomino senza alcuna preventiva autorizzazione dell'assemblea. Ne consegue che all'eventuale parere contrario alla installazione di un tale impianto espresso dall'assemblea deve attribuirsi soltanto il valore di mero riconoscimento dell'esistenza di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante, con riferimento al quale non sussiste l'interesse ad agire per l'impugnazione della deliberazione ai sensi dell' art. 1137 c.c. (Cass. VI-II, n. 1337/2023). La norma in commento, concedendo la possibilità al condomino di installare pannelli fotovoltaici senza la necessità di ottenere il preventivo consenso dell'assemblea, si pone sulla falsariga di quanto disposto dall'art. 1102, comma 1, c.c., di cui essa costituisce un'ipotesi applicativa (Trib. Gorizia 18/07/2018, n. 315, in caso in cui non era stata fornita la prova del fatto che la posa dei pannelli, ad opera del condomino convenuto, avesse leso il decoro architettonico dell'edificio oppure compromesso la stabilità o la sicurezza del fabbricato; parimenti, non si era dimostrato, a seguito di tale iniziativa, alcun pregiudizio a danno degli altri partecipanti, né alcuna alterazione della destinazione della cosa comune, posto che il tetto condominiale interessato continuava ad assolvere la naturale funzione di copertura. Raffrontando la previsione del comma 2 dell'art. 1122-bis c.c. con quella del precedente comma 1, che, in caso di installazione di antenne televisive e simili, impone di arrecare il «minor pregiudizio alle parti comuni e alle parti immobiliari di proprietà individuale», sembra che l'installazione di impianti individuali per la produzione di energia da fonti rinnovabili, probabilmente perché ritenuta di strategico rilievo al fine del soddisfacimento di un interesse che trascende l'utilità del singolo, non contempli un limite costituito da un generico pregiudizio alla compagine condominiale: e ciò pare voler dire che tale installazione possa, almeno in linea di principio, avere qualunque ubicazione, sempre purché idonea. La norma prevede, oltre al lastrico solare e alla singola unità immobiliare, anche ogni altra superficie comune: sembra con ciò che la disposizione intenda non porre limiti alle parti condominiali dove posizionare la struttura a beneficio del singolo interessato, purché ovviamente non sia collocata sulla singola proprietà di altri condomini. In tema di condominio negli edifici, è stato affermato che l'apposizione di pannelli fotovoltaici sul lastrico o sul tetto se da un lato non impedisce questo o diversi usi agli altri condomini, o anche alla stessa collettività condominiale, non reca pregiudizio alla sicurezza e stabilità dell'edificio e non ne lede il decoro architettonico, dall'altro la loro apposizione configura certamente un miglior godimento della cosa comune (Trib. Roma 17 novembre 2015). È stato in proposito chiarito che, a fronte della richiesta di un condomino, l'assemblea non può negargli la possibilità di installare, sul tetto comune dell'edificio, i pannelli fotovoltaici per la produzione di energia ad uso personale, potendo limitarsi a prescrivere, se tale iniziativa comporta la modifica delle parti comuni e con una maggioranza qualificata, adeguate modalità alternative di esecuzione dell'intervento, o ad imporre le opportune cautele a salvaguardia delle stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico (Trib. Milano 7 ottobre 2014). Il giudice ha osservato che l'assemblea aveva esercitato una facoltà non consentita dal nuovo testo dell'art. 1122-bis c.c., norma introdotta proprio al fine di facilitare l'uso del singolo delle parti comuni dell'edificio per l'installazione di impianti fotovoltaici volti alla produzione di energia da fonti non inquinanti ed al contenimento dei consumi energetici. La disposizione, difatti, stabilisce che «è consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato», stabilendo che, soltanto «qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi». In tal caso, l'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., «adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio» e, «provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto». In definitiva, l'art. 1122-bis c.c., al comma 3, impone al condomino di interpellare l'assemblea, per il tramite dell'amministratore, qualora le opere che intende eseguire comportino delle «modificazioni delle parti comuni» e solo in tale ipotesi l'assemblea è chiamata a deliberare. Al di fuori di tale coinvolgimento, si applica l'art. 1102 c.c., secondo cui ciascun condomino può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, sicché, fermi i due limiti di cui sopra, senza instaurare il dibattito assembleare, il condomino è legittimato ad installare, in base all'art. 1122-bis c.c., un proprio impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Insomma, l'art. 1122-bis c.c. nel testo introdotto dalla recente riforma sul condominio non sembra accordare all'assemblea alcun potere di veto nei confronti del condòmino che voglia installare impianti previsti dalla norma, e ciò anche nel caso in cui le opere da realizzare richiedano la necessità di modificazioni di parti comuni, prescrivendo in tal caso la norma in commento, al comma 3, unicamente l'obbligo in capo al condòmino che intenda porre in essere le relative opere di previa comunicazione del contenuto di esse all'amministratore ai fini della successiva convocazione dell'assemblea (Trib. Milano 26 febbraio 2015). Le antenne satellitariL'esercizio del diritto di antenna ha finito per trasformare prima i tetti ed ora, con le antenne satellitari, anche le facciate in disordinati gineprai di detti apparati, tali da pregiudicare, talvolta, l'estetica del fabbricato. In tal senso è stato ad es. affermato che l'installazione di una antenna parabolica di notevoli dimensioni sulla facciata di un condominio, essendo lesiva del decoro dell'edificio, è contraria ai canoni di utilizzo della cosa comune fissati dagli artt. 1102 e 1120 c.c. (Trib. Milano 25 ottobre 2001). Sorge in tal modo un conflitto tra il diritto di antenna e il decoro dell'edificio. Il legislatore, nella disciplina in precedenza richiamata, ha effettuato un duplice intervento: per un verso disponendo che gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazione generale si dotino di antenne satellitari collettive; per altro verso demandando alla regolamentazione comunale l'individuazione di criteri tecnici sull'installazione delle apparecchiature in questione nei centri storici. Tuttavia, la locuzione del testo di legge «gli immobili... si avvalgono di norma di antenne collettive» (art. 3, comma 13, legge 31 luglio 1997, n. 249), da un lato non obbliga all'installazione dell'antenna collettiva, dall'altro lato non incide sulla situazione esistente, eccezione fatta per l'ipotesi della ristrutturazione generale. In questo quadro, l'installazione di una antenna, in particolare parabolica, nell'unità immobiliare di proprietà privata può incontrare limiti derivanti dalla disciplina del condominio. Vale in particolare ricordare che il regolamento condominiale, secondo l'art. 1138 c.c., può dettare norme «per la tutela del decoro dell'edificio». Una norma regolamentare potrebbe dunque in linea di principio vietare quegli interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, possano determinare un pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio, il che pone il problema della legittimità della prescrizione del regolamento che imponga divieti circa gli interventi sui balconi e sulle finestre aperte nella facciata (bene comune) del fabbricato idonei ad incidere sull'estetica di questo. È stato al riguardo affermato che il regolamento di condominio non può vietare ai singoli condòmini l'installazione di antenne sul tetto comune, poiché un simile divieto atterrebbe non alla disciplina delle modalità d'uso della cosa comune, ma costituirebbe menomazione del diritto del condomino all'uso della cosa comune, risolvendosi in una lesione del diritto di proprietà (Cass. II, n. 7825/1990). Altre volte si è detto che costituirebbe legittima previsione assembleare quella relativa al divieto di installazione di un'antenna autonoma di notevoli dimensioni sul lastrico solare, la quale rappresenterebbe un'innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c. (Trib. Roma 9 giugno 1986). Comunicazione all'amministratore e deliberazione assembleareL'art. 1122-bis c.c. persegue l'intento di regolamentare le modalità di esecuzione degli impianti di antenna ed altresì di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, al fine di favorirne lo sviluppo, consentendo modifiche alle parti comuni ed accessi agli appartamenti di proprietà esclusiva. È in particolare riconosciuto il diritto alla installazioni di impianti non centralizzati, cioè singoli, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, ma si aggiunge, come si diceva, che i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze devono essere realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio. D'altro canto, anche l'installazione di impianti energetici destinati al soddisfacimento del bisogno energetico del singolo appartamento può interferire con i diritti degli altri condomini. L'esigenza di verificare che l'installazione dell'antenna ovvero di impianti energetici non sia lesiva dei diritti di questi ultimi è alla base del successivo comma 3 dell'art. 1122-bis c.c., diretto a regolamentare le ipotesi in cui le installazioni di impianti di ricezione radiotelevisiva e per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da parte dei singoli, possano creare interferenze in ordine al godimento delle parti comuni dell'edificio ad opera degli altri partecipanti. In particolare, si stabilisce che, «qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi». Tale onere di informativa appare più penetrante rispetto a quello contemplato nel precedente art. 1122, comma 2, c.c. il quale, riguardo alle generiche opere realizzate sulle parti di proprietà esclusiva, richiede che «sia data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea». D'altro canto, trattandosi dell'installazione di impianti e non di vere e proprie opere, è da credere che il precetto relativo al preventivo obbligo di informativa di cui al citato art. 1122 c.c., anche in mancanza della previsione in commento, non avrebbe potuto trovare diretta applicazione. Dopo di che, al fine di contemperare i contrapposti interessi, l'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al comma 5 dell'art. 1136 c.c., ossia con il quorum previsto per le innovazioni, dunque con la «maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi dell'edificio», «adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio». È stata sottolineata, in dottrina, l'incompletezza della previsione normativa, per il fatto che il comma 3, prima parte, dell'art. 1122-bis c.c. impone al condomino di comunicare il proprio intento all'amministratore, mentre la seconda parte dello stesso comma contempla le possibili decisioni spettanti all'assemblea, senza che sia espressamente previsto un obbligo dell'amministratore di provvedere alla sua convocazione, ovvero di sottoporre la comunicazione all'assemblea alla prima occasione utile, attraverso l'inserimento nell'ordine del giorno. È dunque apparso ragionevole ritenere che l'amministratore debba convocare un'assemblea ad hoc, considerando che l'intervento del singolo interessa le parti comuni dell'edificio, e che queste ultime potenzialmente potrebbero subire una modifica (talvolta, rilevante) in ragione del progetto di realizzazione dell'interessato, sicché è estremamente opportuno informare gli altri partecipanti dei termini dell'iniziativa affinché ciascuno si faccia promotore indicando, se del caso, alcune modalità alternative di esecuzione o/e peculiari cautele per la realizzazione dell'intervento (Celeste, 4). Si è aggiunto che, al fine di consentire all'assemblea di dettare le modalità o cautele previste dalla legge, sarebbe preferibile che la riunione si svolga prima dell'inizio dei lavori, tuttavia, trattasi di incombenti che non costituiscono, per così dire, condizioni di procedibilità dell'installazione da parte del singolo, nel senso che se l'amministratore non convoca l'assemblea o se quest'ultima, convocata, non adotta alcuna decisione, l'interessato può comunque realizzare il suo intento; lo stesso dicasi qualora l'assemblea non raggiunga la maggioranza qualificata prescritta, nel senso che si tratta di una delibera c.d. negativa, dove l'argomento, pur posto all'ordine del giorno, non è stato deciso in alcun modo quanto ai voti espressi (né favorevoli, né contrari), sicché il singolo potrà installare l'impianto secondo le modalità da lui indicate – nella comunicazione e nella relativa perizia – all'amministratore (Celeste, 4). In altre parole, l'inerzia o il silenzio degli organi gestori abiliterà il singolo al massimo sfruttamento delle parti comuni dell'edificio; se sussistono situazioni confliggenti, spetta ai primi risolverli in concreto, altrimenti il secondo può approfittare delle possibilità concessegli dal nuovo disposto. In definitiva, l'iter delineato dall'art. 1122-bis, comma 3, c.c., dovrebbe essere il seguente: -) l'interessato dà comunicazione all'amministratore degli interventi che intende eseguire, tali da comportare modificazioni delle parti comuni, allegando, di regola, una relazione peritale redatta, da un professionista del ramo, che esponga il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi, altresì riportando nella stessa comunicazione il contenuto della stessa perizia; -) l'amministratore, ricevuta questa documentazione, convoca l'assemblea, evidenziando che i lavori saranno eseguiti come da perizia – o da comunicazione contenente quest'ultima – liberamente consultabile e visionabile da tutti i condomini presso il suo ufficio in vista dell'indetta riunione; -) l'assemblea adotta le statuizioni opportune con i quorum previsti per le innovazioni c.d. ordinarie. A tal riguardo, sorge il quesito sulla ragione di una maggioranza così elevata, vista la necessità di tutela dell'interesse della collettività a fronte dell'interesse di un singolo interessato (il quorum è maggiore di quello contemplato per approvare le stesse opere ai sensi di cui all'art. 1120, comma 2, n. 2, c.c., come di quello per approvare il regolamento che disponga sull'uso delle parti comuni ex art. 1138, comma 1, c.c.). È stato ritenuto che probabilmente il legislatore abbia ha inteso dare prevalenza l'interesse del condomino rispetto a quello del condominio, specie per quel che concerne gli impianti di energia di fonti rinnovabili, stante il risparmio energetico ed il rispetto del diritto alla salute a cui questi servizi tendono (Celeste, 4). È certo, in ogni caso, che la norma prevede il coinvolgimento dell'assemblea, per il tramite dell'amministratore, nella sola ipotesi in cui si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni. Da ciò si desume, cioè, che l'interessato non è tenuto a dare notizia del suo intervento, se questo consista soltanto nell'occupazione delle medesime parti comuni (ad esempio, mediante la collocazione del pannello fotovoltaico). In altri termini, qualora l'iniziativa in oggetto non comporti modificazioni alle parti comuni, l'intervento è liberamente eseguibile (v., per esempio, Trib. Milano 7 ottobre 2014, secondo il quale, in caso di volontà di un condomino di voler utilizzare parti comuni del condominio – nella specie, una falda del tetto – al fine dell'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità immobiliari ex art. 1122-bis, comma 2, c.c., non è consentito al consesso assembleare denegare l'autorizzazione all'esecuzione dell'impianto, salva piuttosto la possibilità dell'esercizio di un controllo, peraltro limitato alle attività di cui al comma 3 del medesimo articolo, nel caso in cui l'installazione comporti modificazioni delle parti comuni). Risulta così evidente l'intento del legislatore di bilanciare le contrapposte esigenze, da un lato, permettendo al singolo di utilizzare spazi comuni al fine di ricevere il segnale televisivo o produrre energia attraverso fonti rinnovabili e, dall'altro, mantenendo un certo controllo da parte della collettività sull'operato dell'interessato. Peraltro, nel caso di inconciliabilità tra le due posizioni, dovrebbe essere quella assembleare a prevalere, visto che l'articolo in esame riconosce in capo all'assemblea il potere di prescrivere le modalità alternative di esecuzione, contemplando così l'adozione di una deliberazione obbligatoria per il singolo, fatte salve le eventuali impugnazione. Né, in senso contrario, può invocarsi il precetto normativo laddove stabilisce che l'assemblea «può» prescrivere adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele, in quanto tale possibilità va intesa come necessaria autorizzazione assembleare: l'intervento del massimo organo gestorio non deve essere inquadrato come semplice presa d'atto, altrimenti si verificherebbe un'eventuale illecita invasione dei beni comuni da parte del singolo (in buona sostanza, qualora si tratti di tutelare i beni comuni dal rischio di essere modificati a causa di un interesse di un singolo, comparando le esigenze di quest'ultimo e quelle della collettività condominiale, è ragionevole che debbano prevalere gli interessi dei più). In particolare, la comunicazione del soggetto interessato deve indicare il contenuto specifico dell'iniziativa che vuole realizzare, nel senso che deve precisare i termini concreti dell'intervento, inclusa l'estensione dei lavori sui beni comuni; presumendo che, nella quasi totalità dei casi, l'interessato non sia un tecnico professionista, tale comunicazione dovrebbe essere accompagnata, secondo quanto si è già accennato, da una relazione tecnica che evidenzi quanto prescritto dalla norma. La suddetta «comunicazione» ha, infatti, il fine di consentire all'amministratore, prima, e all'assemblea, poi, di segnalare all'interessato un eventuale intervento sostitutivo rispetto a quello da lui preventivato e presentato, ragionevolmente di contenuto meno invasivo per le parti comuni coinvolte (ad esempio, l'indicazione di un diverso luogo dove collocare l'impianto). La Suprema Corte ha avuto modo di osservare che, in caso di interventi e modificazioni temporanei o permanenti di parti comuni, il condomino interessato deve comunicarli all'amministratore, indicando specificamente il contenuto e le modalità di esecuzione degli interventi. L'assemblea, tempestivamente convocata dall'amministratore, potrà indicare ragionevoli modalità alternative di esecuzione dell'opera o richiedere l'adozione di cautele o accorgimenti a tutela della stabilità, della sicurezza o del decoro dell'edificio con una delibera da adottare con la maggioranza qualificata (Cass. II, n. 28628/2017, concernente fattispecie in cui il condominio aveva negato la chiesta autorizzazione per l'installazione di un impianto fotovoltaico ad uso personale da collocarsi su una porzione del tetto dell'edificio). Venendo al contenuto della (eventuale) delibera, le modalità alternative che possono essere autorizzate dall'assemblea devono essere «adeguate». Tuttavia, non è agevole comprendere pienamente il reale significato di tale aggettivo, in quanto in concetto di adeguatezza può essere letto sia a tutela dell'interesse della collettività sia dell'interesse del singolo che intende realizzare l'installazione dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia; del resto, non si nasconde che, in tal modo, le «adeguate modalità alternative di esecuzione», suggerite dall'assemblea, potrebbero implicare un costo maggiore a carico del singolo che intenda installare l'impianto non centralizzato. La norma prosegue stabilendo che la stessa assemblea possa «imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio»: in parole povere, la realizzazione dell'impianto di cui sopra, da parte del singolo, non deve recare creare pregiudizio al fabbricato sotto il triplice consueto profilo della stabilità/sicurezza/decoro. Con particolare riferimento all'impianto per la produzione di energia vengono maggiormente in rilievo il primo (stabilità) ed il terzo (decoro) di tali profili, avendo riguardo, rispettivamente, all'incidenza del «peso» del manufatto sulla superficie in cui è collocato nonché il «posizionamento» dello stesso rispetto alla facciata dell'edificio, mentre, in ordine al secondo (sicurezza), si può ricordare, in particolare, che l'installazione dell'impianto fotovoltaico deve essere eseguita in modo da evitare la propagazione di un incendio dal relativo generatore, curandone, tra l'altro, la posa su strutture di copertura incombustibili (v., in proposito, il d.P.R. 1° agosto 2011, n. 151 circa i controlli di prevenzione incendi). Per quanto concerne i soli impianti fotovoltaici destinati al servizio di singole unità, la stessa assemblea «provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto». Si presenta, però, di non agevole lettura la parte del suddetto disposto normativo dove attribuisce all'assemblea il potere di provvedere, «a richiesta degli interessati», a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. Orbene, è pacifico che l'eventuale ripartizione dell'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni spetti all'assemblea, mentre è criticabile il fatto di aver sollecitato tale intervento necessariamente alla richiesta degli interessati, poiché l'amministratore, ove ne ravvisi la necessità, è sempre legittimato a porre la questione all'esame ed alla conseguente decisione dell'assemblea anche in assenza di una formale istanza da parte di qualche soggetto. Neppure è agevolmente comprensibile la previsione che fa salve «le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio»: qualora una disposizione «contrattuale» del regolamento disponga una particolare forma di utilizzo di un bene comune – ad esempio, destinando il lastrico solare unicamente allo stendimento dei panni o ad uso esclusivo di un condomino – un eventuale uso diverso da parte di un condomino che così facendo lo sottragga, ancorché parzialmente, alla disponibilità pure di un solo altro partecipante, dovrebbe necessariamente essere deliberata con il voto favorevole della totalità dei condomini, sicché la fattispecie contemplata dall'art. 1122-bis, comma 3, c.c. dovrebbe riferirsi alla sola ipotesi di una norma «assembleare» del regolamento condominiale (senza contare il potenziale contrasto con il precedente art. 1117-ter c.c., che ora richiede la maggioranza di quattro quinti per le modificazioni delle destinazioni d'uso delle parti comuni). In definitiva, secondo la riforma del 2012, la decisione dell'assemblea, circa l'installazione, da parte del singolo, dell'impianto per la produzione di energia sui beni condominiali, deve comunque tener conto delle eventuali clausole del regolamento che hanno come oggetto le «diverse forme di utilizzo» delle superfici comuni coinvolte dagli interventi in esame (per lo più, il tetto o il lastrico solare, oppure ogni altro luogo idoneo). Del resto, anche in precedenza, lo spazio di qualsiasi bene comune avrebbe dovuto consentire l'installazione di tanti impianti quanti sono i singoli condomini, alla luce del principio sancito dall'invariato art. 1102 c.c., anche se inevitabilmente l'installazione, da parte di un condomino, di un impianto fotovoltaico o di un pannello solare sul tetto o sul lastrico solare è idonea a compromettere il «pari uso» della cosa comune da parte di un altro comproprietario. In quest'ottica, non si comprende facilmente nemmeno la locuzione finale, che prescrive che debbano rispettarsi le diverse forme di utilizzazione del bene comune «comunque in atto», a meno che non si voglia sancire una sorta di riconoscimento di una situazione di fatto di un certo uso dei condomini (tutti o alcuni di essi d'impero) del bene comune in cui viene posizionato l'impianto per la produzione di energia; non sembra che il legislatore abbia inteso derogare a quel rispetto della «destinazione», anche potenziale, del bene comune prescritta nel citato art. 1102 c.c., nel senso che il singolo impianto non può ostacolare o limitare l'altrui uso del bene comune, secondo la sua specifica destinazione, anche se al momento della realizzazione dell'impianto gli altri condomini non lo stanno materialmente usando o godendo. L'ultima parte del comma 3 dell'art. 1122-bis c.c. dispone che «l'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali». La prestazione della garanzia per gli eventuali danni sembra richiamare l'idea di una sorta di deposito cauzionale di una somma di denaro, nel senso che, qualora i danni paventati non si verifichino, la stessa garanzia viene meno ed il condominio ha l'obbligo di restituirne l'importo (l'uso del termine fa pensare non ad un mero impegno, ma a qualcosa di più concreto, sul tipo di una fideiussione o di un'assicurazione); comunque, tale garanzia sembra avere natura aggiuntiva, e non alternativa, alle altre misure che l'assemblea può indicare, come delineate nel corpo del suddetto comma 3, atteso che la norma sancisce «altresì» la sua eventuale prescrizione da parte dell'assemblea a carico del singolo. La norma sancisce, anche per questa parte, che la delibera debba essere adottata «con la medesima maggioranza» del comma 5 dell'art. 1136 c.c. – ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti alla riunione ed almeno i due terzi del valore dell'edificio – e, quindi, negli stessi termini delle indicazioni delle modalità alternative o delle imposizioni delle cautele di cui sopra; anche per questa previsione, lascia perplessi la prescrizione di un quorum così elevato, visto che, in fondo, si tratta pur sempre di tutelare l'interesse della collettività a fronte dell'iniziativa di un singolo, tanto più che, concretandosi nell'adozione di una mera garanzia per eventuali danni all'edificio, sarebbero bastate le ordinarie maggioranze assembleari di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 1136 c.c. (Celeste, 5). Occorre altresì domandarsi cosa succede se l'assemblea, convocata allo scopo dall'amministratore per discutere e decidere circa l'installazione, da parte del singolo, dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia sulle cose comuni, con possibili interferenze negative su queste ultime, non ritiene, nella sua discrezionalità, di dover richiedere al soggetto interessato le cautele previste dalla norma, non avendo da prescrivere alcunché al riguardo; atteso che la delibera sembra avere natura di«autorizzazione», sembra necessario che il verbale riporti che l'assemblea è stata convocata in ragione della comunicazione ricevuta dall'amministratore con cui il singolo ha esposto (allegando o meno la perizia tecnica) le modalità di installazione del suddetto impianto, puntualizzando che la compagine condominiale non ha nulla da evidenziare in proposito, «autorizzando» la realizzazione del singolo impianto come da comunicazione e documentazione prodotta dall'interessato (se l'assemblea non prescriva alcuna diversa modalità di realizzazione dell'impianto, la delibera si può ritenere implicitamente come un'autorizzazione tout court di quanto indicato a titolo informativo dal singolo). La verbalizzazione è importante perché l'assemblea è stata appositamente convocata affinché la stessa prenda atto o, meglio, autorizzi l'impianto, oppure indichi le modalità alternative a cui il singolo è obbligato ad attenersi se vuole realizzare l'impianto medesimo, richiedendo, se del caso, la prestazione della garanzia per gli eventuali danni; in difetto di tale verbalizzazione, gli interventi del singolo sarebbero sempre esposti al possibile rischio di azioni giudiziarie, non avendo ottenuto alcun riscontro dall'assemblea, stante l'assenza di traccia nel verbale della relativa riunione. L'accesso nelle unità immobiliari altruiIl comma 4, che parrebbe modellato sulla falsariga dell'art. 843 c.c. (Trib. Milano 26 febbraio 2015), dispone infine che l'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere. Non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative. La norma prevede dunque l'eventualità che l'installazione degli impianti contemplati dalla norma, o, prima ancora, la loro progettazione, possa richiedere l'accesso alla proprietà solitaria di altri condomini. Come si accennava, lo stesso risultato previsto dalla nuova disposizione avrebbe potuto essere ottenuto attraverso l'applicazione analogica dell'art. 843, comma 1, c.c. – la cui applicabilità in ambito condominiale è stata già più volte riconosciuta – secondo il quale «il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera del vicino oppure comune». In caso di diniego di accesso, si ritiene che l'interessato possa anzitutto richiedere l'intervento dell'amministratore e, successivamente, in caso di esito negativo, adire il magistrato; si segnala, sul punto, che il precedente testo approvato al Senato nel gennaio 2011 prescriveva che, «in caso di impedimento all'accesso o di richiesta di garanzia eccessivamente onerosa, l'autorità giudiziaria provvede anche in via d'urgenza», ma la mancanza di tale previsione nella versione definitiva non preclude la possibilità del ricorso all'autorità giudiziaria, potendosi invocare, qualora ricorrano i presupposti, l'emissione di provvedimenti cautelari (spettando, pur sempre, al magistrato ponderare, da un lato, l'interesse del singolo ad installare il proprio impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia e, dall'altro, l'interesse del vicino al godimento del suo appartamento senza dover subire turbative se non strettamente necessarie). Rimangono ferme, dunque, le condizioni di operatività della previsione in oggetto, ben delineate dalla giurisprudenza, la quale, nell'applicare in via analogica il disposto del summenzionato art. 843 c.c., ha ammesso il passaggio attraverso la proprietà altrui finalizzato alla manutenzione ed alla riparazione dell'antenna, posta sul tetto dell'edificio, ma solo per il tempo strettamente necessario ai lavori, specie se mancava una via di accesso alternativa praticabile (Cass. II, n. 28234/2008). L'art. 1122-bis, comma 4, c.c. puntualizza, in fondo, che, comunque, «non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative», nel senso che il singolo può provvedere alla loro realizzazione, a sue spese, senza il nulla osta assembleare, purché rispetti i limiti stabiliti nei capoversi precedenti. Anche in questa ipotesi, la previsione appare null'altro che un'applicazione delle norme generali di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c., nel senso che, per quanto concerne le opere eseguite all'interno delle proprie unità abitative, nel previgente sistema, il singolo non doveva invocare alcuna autorizzazione, a meno che non si volesse far riferimento a quelle clausole regolamentari in forza delle quali l'esecuzione delle opere de quibus doveva ottenere il previo placet dell'assemblea o dell'amministratore, così ribadendo l'inefficacia sopravvenuta di queste limitazioni. A ben vedere, se gli impianti di cui sopra vengono realizzati esclusivamente all'interno dell'unità immobiliare di chi è titolare dell'appartamento al cui servizio sono rivolti questi impianti, non occorre alcuna autorizzazione assembleare, poiché, non essendovi alcuna invasione delle parti comuni, il diritto di proprietà di tale appartamento consente al singolo di eseguire i lavori in piena libertà (salvi i limiti generali di cui al novellato art. 1122 c.c., soprattutto correlati al pregiudizio alla stabilità/sicurezza/decoro dell'edificio condominiale). A contrariis, dall'ultimo capoverso dell'art. 1122-bis c.c., si evince che il placet assembleare è necessario se l'intervento del singolo vada a toccare le parti comuni, nel senso che c'è bisogno di tale «autorizzazione» specie se l'impianto comporti una modificazione delle parti condominiali come delineata nel comma precedente; per offrire un significato logico a tale disposto (altrimenti oscuro), si può opinare che l'assemblea come prescrive le modalità alternative dell'intervento, così autorizza la realizzazione dell'impianto nei termini con cui la stessa assemblea indica che i lavori debbano essere eseguiti. In questa prospettiva, il termine «destinati», usato dal legislatore per identificare gli impianti soggetti ad eventuale autorizzazione non sembra corretto, perché l'intero disposto dell'art. 1122-bis c.c. si preoccupa di disciplinare gli impianti che sono sì a servizio di un singolo appartamento ma che invadono altre parti non di proprietà esclusiva dell'interessato, sicché è ragionevole ritenere che il termine «destinazione» debba sostituirsi con quello di «collocazione». Resta, comunque, incomprensibile il riferimento alle sole unità «abitative», lasciando intendere possibile, invece, l'autorizzazione per quelle destinate ad uso commerciale, ufficio, ecc. L'ultimo comma dell'art. 1122-bis c.c. prevede l'eventualità che le suddette realizzazioni possano comportare invadenze nella proprietà privata altrui, sancendo che «l'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere». In realtà, tale risultato poteva ottenersi mediante un'applicazione analogica dell'art. 843, comma 1, c.c. – sia pure concepito nell'àmbito di fondi finitimi – secondo il quale «il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera del vicino oppure comune» (comunque, anche la mera «progettazione» dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia potrebbe comportare l'obbligo per gli altri condomini di aprire le porte del proprio alloggio al vicino che intenda realizzare tale iniziativa). In caso di diniego di accesso, si ritiene che l'interessato possa, in prima battuta, far intervenire l'amministratore e, successivamente, in caso di esito negativo, adire il magistrato. Sembra debbano trovare applicazione, in tal caso, ove compatibili, i principi già elaborati dalla giurisprudenza con riguardo all'art. 843 c.c., ivi compresa la regola secondo cui il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune; ove, però, nel relativo giudizio insorgano contestazioni, il giudice è tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti che legittimano il vicino ad esercitare tale potere di accesso ovvero la liceità dell'opera (Cass. II, n. 7768/2011). Ricorrente, in tale frangente, è l'impiego della tutela cautelare. È stato, ad esempio, osservato che va ordinato, in via cautelare ed urgente ex art. 700 c.p.c, al proprietario di un'unità immobiliare sita in un condominio di consentire l'accesso al vicino, per effettuare la riparazione della conduttura destinata al servizio esclusivo dell'immobile di quest'ultimo, valutandosi la necessità di detto accesso nel doveroso bilanciamento degli opposti interessi, considerati nel caso la lesione del decoro architettonico della proprietà comune ed i costi della possibile soluzione alternativa (Trib. Padova 29 gennaio 2007). Rimangono ferme, dunque, le condizioni di operatività della tutela cautelare, ben delineate dalla giurisprudenza, la quale, nell'applicare in via analogica il disposto del summenzionato art. 843 c.c., ha ammesso il passaggio attraverso la proprietà altrui finalizzato alla manutenzione ed alla riparazione dell'antenna, posta sul tetto dell'edificio, ma solo per il tempo strettamente necessario ai lavori, specie se mancava una via di accesso alternativa praticabile (Cass. II, n. 28234/2008). Occorre soffermarsi, infine, sulla norma transitoria dettata nell'art. 155-bis disp. att. c.c., introdotto in sede di riforma del 2012, secondo il quale «l'assemblea, ai fini dell'adeguamento degli impianti non centralizzati di cui all'articolo 1122-bis, primo comma, del codice, già esistenti alla data di entrata in vigore del predetto articolo, adotta le necessarie prescrizioni con le maggioranze di cui all'articolo 1136, commi primo, secondo e terzo, del codice civile». Tale previsione sembra stabilire che, in tema di impianti individuali per la ricezione radiotelevisiva o per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, già esistenti, che incidano negativamente sulle parti comuni, la possibilità della relativa regolarizzazione possa avvenire con una delibera assembleare assunta con le maggioranze ordinariamente stabilite per le sedute di prima o di seconda convocazione – e ciò in alternativa al quorum qualificato correlato alla maggioranza degli intervenuti e dei due terzi del valore dell'edificio, dettato dal combinato disposto degli artt. 1122-bis, comma 3, e 1136, comma 5, c.c. – che individui le condizioni ritenute idonee a contemperare le summenzionate contrapposte esigenze dominicali (individuali e condominiali). BibliografiaCeccherini, Il diritto d'antenna tra libertà di informazione e inviolabilità del domicilio, in Giust.civ. 1995, I, 2525; Celeste, Antenne e fotovoltaici singoli, in condominioelocazione.it., 26 Aprile 2018. |