Codice Civile art. 1122 ter - Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni (1).

Mauro Di Marzio

Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni (1).

[I]. Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136.

(1) Articolo inserito dall'art. 7, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

Inquadramento

Il tema dell'installazione in ambito condominiale di apparecchiature per la videosorveglianza su aree comuni pone in questione due contrapposti interessi: per un verso quello alla preservazione della sicurezza delle persone (dinanzi al rischio di possibili aggressioni, scippi, rapine, ecc.) e la tutela di beni comuni (in considerazione del rischio di vandalismo, danneggiamenti, furti, effrazioni, ecc.), per altro verso l'interesse a che il trattamento effettuato a mezzo della videosorveglianza, rendendo conoscibili informazioni attinenti ai privati comportamenti di chi abita nel condominio e comunque lo frequenta, non costituisca un'intrusione nella loro vita privata.

Sulla materia, come si vedrà tra breve, già prima della riforma, era intervenuta l'Autorità garante per la Protezione dei dati personali, ponendo l'accento in particolare sul profilo della titolarità del potere di manifestare il consenso all'installazione di impianti di videosorveglianza. Difatti, nel caso in cui tali impianti, per distanza, angolo visuale e qualità degli strumenti di ripresa, consentano di rendere identificabili le persone inquadrate, le registrazioni, effettuate tramite l'uso delle telecamere a tal fine installate, contengono senz'altro dati di carattere personale, qua'è l'immagine stessa del soggetto ripreso, immagine tale da consentirne l'identificazione: il che, del resto, costituisce per l'appunto lo scopo della videosorveglianza, finalizzata ad identificare le persone che transitano entro il prisma di operatività della telecamera. L'installazione di un impianto di videosorveglianza in condominio, diretto a perseguire un obiettivo di sicurezza e serenità nel godimento delle aree comuni, richiede perciò l'individuazione del soggetto che possa qualificarsi appropriatamente come «titolare del trattamento», ai sensi dell'art. 28 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il «Codice in materia di protezione dei dati personali», o Codice dalla privacy, secondo cui: «Quando il trattamento è effettuato da una persona giuridica, da una pubblica amministrazione o da un qualsiasi altro ente, associazione od organismo, titolare del trattamento è l'entità nel suo complesso o l'unità od organismo periferico che esercita un potere decisionale del tutto autonomo sulle finalità e sulle modalità del trattamento, ivi compreso il profilo della sicurezza».

A tal riguardo, la norma in commento, introdotta nella disciplina del condominio dalla riforma del 2012, ha devoluto all'assemblea, con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., la facoltà di consentire l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni, individuando in essa il «titolare del trattamento» ed attribuendo alla medesima il potere di decidere le finalità e modalità di trattamento dei dati personali insito nel funzionamento dall'impianto di videosorveglianza. In sintesi, con la nuova norma, l'installazione di videocamere sulle parti comuni va deliberata dall'assemblea dei condomini e costituisce innovazione riconducibile alla previsione nel complesso dettata dall'art. 1120, comma 1, c.c. La deliberazione, tuttavia, richiede una maggioranza ridotta, pari a 500 millesimi, in deroga a quelle ordinarie contemplate nel comma 5 dell'art. 1136 c.c., che esigono i due terzi del valore dell'edificio, ma d'altro canto in armonia con le innovazioni c.d. incentivate elencate nel comma 2 dell'art. 1120 c.c.

Si è in proposito evidenziato che la disposizione bene avrebbe potuto essere contenuta all'interno dell'art. 1120 c.c. e che la previsione di un'apposita norma dedicata alla materia, probabilmente scaturita dal particolare rilievo degli interessi in gioco, ha ricevuto una infelice collocazione sistematica, perché posta dopo l'art. 1122 c.c., che si occupa delle «opere su parti di proprietà o uso individuale», e dopo l'art. 1122-bis c.c., che disciplina la realizzazione di «impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili», e, quindi, di iniziative pur sempre da parte del singolo, laddove qui siamo in presenza di delibere adottate dall'assemblea che interessano le parti comuni dell'edificio (Celeste, 1).

La videosorveglianza nel quadro della tutela della riservatezza

Come si diceva, la videosorveglianza dà luogo ad una vera e propria «raccolta» di informazioni, costituite dalle immagini riprese attraverso le telecamere installate allo scopo, immagini che ritraggono coloro i quali transitano nell'area condominiale, si tratti di condomini, ovvero di conduttori di unità immobiliari concesse in locazione, ovvero di estranei. La videosorveglianza realizza così un «trattamento» di dati che va sottoposto alle regole del Codice sulla privacy.

Merita allora anzitutto rammentare che la nozione di «dato» può essere ricondotta al concetto di informazione, concetto che senz'altro racchiude in sé anche le immagini in tal modo raccolte. Costituisce poi «dato personale» qualsiasi informazione concernente persone, società, enti, associazioni suscettibili di identificazione. Sono dunque dati personali non solo il nome, il cognome, la denominazione, l'indirizzo o la sede, il codice fiscale, ma, per quanto qui interessa, anche la foto o la ripresa video, e più in generale l'immagine, la quale consente l'identificazione della persona in essa rappresentata e, eventualmente, l'associazione alla medesima di ulteriori informazioni, quali quelle riguardanti il contesto spazio-temporale in cui l'acquisizione dell'immagine ha avuto luogo.

Costituisce perciò «dato personale» qualunque informazione attraverso la quale una persona è identificata o identificabile, anche indirettamente e, tra i dati personali, rientrano senz'altro anche le immagini ed i suoni, trattandosi di elementi tramite i quali è possibile identificare una persona. Sul tema, il Garante della privacy ha ribadito che si applica «la disciplina sul trattamento dei dati personali anche ai suoni e alle immagini – quali quelle registrate nei controlli video –, qualora permettano di identificare un soggetto anche in via indiretta, attraverso il collegamento con altre informazioni. La legge n. 675 del 1996 ... considera anch'essa come “dato personale” qualunque informazione che permetta l'identificazione, anche in via indiretta, dei soggetti interessati, sebbene derivante da suoni o da immagini anziché da dati alfanumerici; tale legge è, quindi, senz'altro applicabile anche ai trattamenti di immagini effettuati attraverso i sistemi di videosorveglianza, a prescindere dalla circostanza che le informazioni così ricavate siano eventualmente registrate in un archivio elettronico o comunicate a terzi, dopo il loro temporaneo monitoraggio in un circuito di controllo» (Garante 21 ottobre 1999, in Bollettino n. 10, pag. 80, doc. web n. 42288).

Occorre dunque provvedere all'armonizzazione dei due valori contrapposti della protezione della proprietà e della sicurezza degli abitanti, da un lato, e della tutela della riservatezza, dall'altro, secondo quanto prescrive l'art. 2 Codice della privacy, così da contemperare detti interessi, nella misura in cui essi siano confliggenti.

I corollari dell'esigenza così rappresentata possono essere così sintetizzati (v. Garante 29 aprile 2004, Videosorveglianza. Provvedimento generale, doc. web n. 1003482):

- la raccolta di dati personali incide sulla sfera privata del cittadino, il che impone l'esclusione di qualsiasi uso superfluo od eccessivo del sistema impiegato a tal fine, ad esempio, evitando l'utilizzazione di dati che rendano possibile l'identificazione delle persone quando ciò non sia strettamente «necessario», impedendo l'ingrandimento delle immagini, e predisponendo un automatismo che cancelli periodicamente i dati eventualmente registrati

- l'impiego di strumenti di videosorveglianza può essere effettuato solo se «proporzionato» all'effettivo rischio riscontrabile in un determinato contesto, cosicché debbono ritenersi precluse le riprese in aree non soggette a reali pericoli concreti, ovvero l'installazione di telecamere ove non ne ricorra una concreta esigenza, ossia «quando altre misure siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili»;

- in ogni caso «possono essere perseguite solo finalità determinate e rese trasparenti, ossia direttamente conoscibili attraverso adeguate comunicazioni e/o cartelli di avvertimento al pubblico» (c.d. principio di finalità).

Viene al riguardo precisato che, prima di approvare, in sede assembleare, l'installazione del sistema di videosorveglianza, occorre valutare «altri idonei accorgimenti, quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione rinforzata degli ingressi, cancelli automatici, abilitazioni agli ingressi», evitando di adottare «la scelta semplicemente meno costosa, o meno complicata, o di più rapida attuazione, che potrebbe non tener conto dell'impatto sui diritti degli altri cittadini o di chi abbia diversi legittimi interessi». Si aggiunge che il rispetto del c.d. principio di proporzionalità impone di valutare se sia necessario identificare le persone o possa essere sufficiente raccogliere immagini non dettagliate; la dislocazione e l'angolo visuale delle apparecchiature; quali dati rilevare e se procedere a registrazione (o, invece, adottare il sistema meno invasivo di riprese a circuito chiuso di sola visione delle immagini); la durata dell'eventuale conservazione (che deve essere sempre temporanea); la necessità della rigorosa delimitazione della ripresa di luoghi privati o di accessi ad edifici. La ripresa delle immagini deve, poi, avvenire per scopi determinati, espliciti e legittimi, senza che il titolare del trattamento possa porsi finalità che esulano dalla sua pertinenza; ciò avviene, per esempio, quando soggetti privati intendono perseguire finalità di sicurezza pubblica o di prevenzione/accertamento dei reati, che, invece, competono solo alle forze di polizia.

La videosorveglianza nel condominio

Il fenomeno della videosorveglianza suscita anche in ambito condominiale (Carretta, 129; Bordolli 2005, 73; Natali, 419) il problema, di cui si è detto, del coordinamento dei diritti spettanti al condomino nel quadro dei rapporti di vicinato (su cui v. in generale Sesta, 1471) con l'esigenza di salvaguardia del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali delle persone videoriprese.

Prima della riforma la liceità della deliberazione di installazione di un sistema di videosorveglianza a maggioranza è stata riconosciuta, in sede di merito (Trib. Roma 30 marzo 2009), attraverso il richiamo alla giurisprudenza penale secondo cui installare una telecamera sul cortile condominiale non integra gli estremi del reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis c.p. (Cass. pen. V, n. 44156/2008). In questa prospettiva la pronuncia, inedita, ha testualmente osservato che «mutuando i principi applicabili in campo penale, può ritenersi che la ripresa di quanto avviene nelle zone di uso comune non protette, certamente svolta per motivi di sicurezza, non è effettuata né clandestinamente né fraudolentemente; non è, in altri termini, neppure idonea a cogliere di sorpresa condòmini in momenti in cui potrebbero credere dì non essere osservati, atteso che questi sono a conoscenza dell'esistenza delle telecamere. La ripresa delle aree comuni non può di conseguenza ritenersi in alcun modo invasiva della sfera privata dei condomini, giacché la indiscriminata esposizione alla vista di un'area che costituisce pertinenza condominiale (nella specie: autorimessa condominiale) e che non è deputata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in concreto realizzate e perciò riprese».

In senso opposto si è osservato che l'assemblea di condominio non potrebbe validamente perseguire con una propria deliberazione «la finalità di sicurezza e di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro»; e che «lo scopo della tutela dell'incolumità delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l'impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell'assemblea condominiale» (Trib. Salerno 14 dicembre 2010), non rientrando nei compiti di tale organo. Secondo quest'impostazione l'installazione della videosorveglianza non sarebbe diretta al servizio dei beni in comunione, sicché la finalità extracondominiale della delibera ne comporterebbe la nullità o inefficacia relativa, in quanto viziata da incompetenza assoluta (la pronuncia richiama a suffragio della propria tesi l'autorità di Cass. II, n. 4631/1993).

Il Garante della privacy, con provvedimento generale in materia di videosorveglianza dell'8 aprile 2010 (doc. n. 1712680, in garanteprivacy.it) ha posto in risalto la distinzione tra le due ipotesi di: a) trattamento di dati personali per fini esclusivamente personali; b) trattamento di dati personali per fini diversi da quelli esclusivamente personali.

Con particolare riguardo al caso di trattamento di dati personali per fini esclusivamente personali il Garante ha osservato che in tal caso la disciplina del Codice della privacy non trova applicazione qualora i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi: tale è il caso, ad es., degli strumenti di videosorveglianza idonei ad identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati (videocitofoni o altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), nonché dei sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all'interno di condòmini e loro pertinenze (quali posti auto e box). Secondo il Garante della privacy, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), vanno adottate specifiche cautele: l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione); va esclusa, a pena di illiceità del trattamento dei dati, ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini.

Nella giurisprudenza di merito si è osservato che l'installazione di telecamere non costituisce violazione di un diritto fondamentale dei condomini; deve escludersi, infatti, che vi sia violazione del diritto alla privacy nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell'area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all'uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all' art. 615 bis c.p. (App. Catania 15/02/2022, n. 317, relativa all'installazione da parte del proprietario di locali a piano terra di due telecamere a custodia e vigilanza dell'accesso al suo negozio).

Nel caso in cui trovi applicazione la disciplina del Codice della privacy, il trattamento di dati può essere in linea di principio lecitamente effettuato da privati ed enti pubblici economici solamente se vi sia il consenso preventivo dell'interessato, oppure se ricorra uno dei presupposti di liceità previsti in alternativa al consenso (artt. 23 e 24 del Codice della privacy). Nel caso di impiego di strumenti di videosorveglianza la possibilità di acquisire il consenso risulta in concreto limitata dalle caratteristiche stesse dei sistemi di rilevazione, il che rende necessario verificare la sussistenza dei requisiti equipollenti del consenso di cui all'art. 24, comma 1, del Codice della privacy, con particolare riguardo al bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g, del Codice della privacy). La videosorveglianza (con o senza registrazione delle immagini) è allora ammessa in presenza di concrete situazioni che giustifichino l'installazione, a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale; nell'uso delle apparecchiature volte a riprendere, con o senza registrazione delle immagini, aree esterne ad edifici e immobili (perimetrali, adibite a parcheggi o a carico/scarico merci, accessi, uscite di emergenza), resta fermo che il trattamento debba essere effettuato con modalità tali da limitare l'angolo visuale all'area effettivamente da proteggere, evitando, per quanto possibile, la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali, istituzioni ecc.).

Con particolare riguardo alla materia condominiale, il provvedimento del Garante ricorda, quanto alle riprese nelle aree condominiali comuni, che il caso dei trattamenti effettuati dal condominio (anche per il tramite della relativa amministrazione) è stato oggetto di segnalazione da parte del Garante al Governo ed al Parlamento, in relazione all'assenza di una puntuale disciplina che permetta di risolvere alcuni problemi applicativi evidenziati nell'esperienza recente. Il Garante ha in particolare ritenuto non chiare, fra le altre, le seguenti questioni: a) se l'installazione di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata in base alla sola volontà dei comproprietari, o se rilevi anche la qualità di conduttori; b) quale sia il numero di voti necessario per la deliberazione condominiale in materia (se occorra cioè l'unanimità ovvero una determinata maggioranza).

Con il medesimo provvedimento il Garante ha invitato tutti i titolari dei trattamenti di dati personali effettuati tramite sistemi di videosorveglianza (compreso quindi l'amministratore condominiale ma anche i singoli condòmini, data la difficoltà di inquadramento giuridico del medesimo e di riconoscere al condominio personalità giuridica e autonomia patrimoniale) ad attenersi alle prescrizioni indicate nel detto provvedimento generale. In caso contrario il trattamento dei dati, da parte del condomino, è, a seconda dei casi, illecito oppure non corretto, ed espone all'inutilizzabilità dei dati personali trattati in violazione della relativa disciplina (art. 11, comma 2, del Codice della privacy), nonché all'adozione di provvedimenti di blocco o di divieto (art. 143, comma 1, lett. c, del Codice della privacy), e di analoghe decisioni adottate dall'autorità giudiziaria civile e penale, oltre che all'applicazione delle pertinenti sanzioni amministrative o penali (artt. 161 ss. del Codice della privacy).

Gli adempimenti formali e le prescrizioni tecniche

Deliberata l'installazione delle telecamere destinate al controllo di aree comuni, nel rispetto dei principi di massima già evidenziati, occorre osservare una pluralità di adempimenti formali e tecnici:

- occorre che gli interessati siano informati che l'area in cui transitano è videosorvegliata, e dell'eventuale registrazione; in altre parole, il condominio deve somministrare alle persone che possono essere assoggettate alle riprese indicazioni chiare, anche se sintetiche, che avvertano della presenza di impianti di videosorveglianza, fornendo anche le informazioni necessarie, specie quando le relative apparecchiature non siano immediatamente visibili;

- la «informativa», nel rispetto della normativa sulla privacy, deve fornire i necessari ragguagli all'interessato, così da chiarire gli scopi e le modalità del trattamento, i termini della circolazione dei dati, le modalità per esercitare i diritti riconosciuti dalla legge; in via semplificata, al fine di segnalare l'esistenza di un sistema di videosorveglianza in ambito condominiale, è sufficiente esporre appositi cartelli recanti le necessarie indicazioni, in particolare in conformità al modello predisposto dal Garante nel citato provvedimento generale del 2004;

- qualora ricorrano rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità degli interessati, è necessario che sia effettuata una verifica preliminare (anche a seguito di istanza del titolare del trattamento); rischi specifici possono, infatti, essere rappresentati dal rilevamento di dati biometrici, dalla digitalizzazione o indicizzazione delle immagini (con possibilità di ricerca automatizzata), e dall'utilizzazione di sistemi che permettono il riconoscimento facciale;

- tra le «misure minime di sicurezza» da adottarsi per la conservazione dei dati, in generale, vanno indicati: locali con accesso protetto da badge, armadi chiusi a chiave per la custodia dei supporti, sistemi di controllo accessi (user id, password) per visionare le registrazioni, diversi profili di autorizzazione per accedere alla visione delle immagini registrate (ad esempio, per manutentore, per responsabile del trattamento, per forze di polizia), sistemi di cifratura delle registrazioni;

- l'amministratore del condominio, in particolare, deve far sì che gli interessati siano essere sempre informati che stanno accedendo in una zona videosorvegliata; va dunque esposto il cartello informativo della presenza delle telecamere e fissato il tempo massimo di conservazione delle immagini, non oltre le 24 ore (Giuggioli-Giorgetti, 184), individuare il personale abilitato a visionare le immagini;

- qualora sussistano più telecamere, devono essere posizionati più cartelli che segnalino ciascuna presenza; il cartello con l'informativa deve essere posto prima del raggio di azione della telecamera e deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere visibile in ogni condizione di illuminazione ambientale, anche quando il sistema di videosorveglianza sia eventualmente attivo in orario notturno; il medesimo cartello può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita ed immediata comprensione, eventualmente diversificati al fine di informare se le immagini sono solo visionate o anche registrate.

Al riguardo, il Garante della privacy, nell'ambito di un vademecum predisposto il 10 ottobre 2013, rispondendo ai numerosi quesiti ha chiarito quanto segue:

i) nel caso in cui il sistema di videosorveglianza sia installato dal condominio per controllare le aree comuni, devono essere adottate in particolare tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza;

ii) tra gli obblighi, che valgono anche in àmbito condominiale, vi è quello di segnalare le telecamere con appositi cartelli, eventualmente, avvalendosi del modello predisposto dal suddetto Garante;

iii) le registrazioni possono essere conservate per un periodo limitato tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore, anche in relazione a specifiche esigenze (come alla chiusura di esercizi e uffici che hanno sede nel condominio o a periodi di festività);

iv) per tempi di conservazione superiori ai sette giorni è comunque necessario presentare una verifica preliminare al Garante;

v) le telecamere devono riprendere solo le aree comuni da controllare (accessi, garage, ecc.), possibilmente evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (strade, edifici, esercizi commerciali, ecc.);

vi) i dati raccolti (riprese, immagini) devono essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l'accesso alle sole persone autorizzate (titolare, responsabile o incaricato del trattamento).

Non occorre il consenso di chi viene ripreso, dal momento che il Garante ha escluso da tale adempimento il trattamento di ripresa delle immagini finalizzato a prevenire contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, incendi, sicurezza del lavoro.

È stato inoltre osservato (Ciccia, 1) che il sistema impiegato deve essere programmato in modo da operare al momento prefissato l'integrale cancellazione automatica delle informazioni allo scadere del termine previsto da ogni supporto, anche mediante sovra-registrazione, con modalità tali da rendere non riutilizzabili i dati cancellati. Il mancato rispetto dei tempi di conservazione delle immagini raccolte e del correlato obbligo di cancellazione di dette immagini oltre il termine previsto comporta l'applicazione della sanzione amministrativa stabilita dall'art. 162 del Codice della privacy. Può inoltre occorre la richiesta di verifica preliminare e la nomina di responsabili e incaricati del trattamento. La prima è necessaria per alcuni tipi di videosorveglianza, in particolare per i sistemi di raccolta delle immagini associate a dati biometrici, per i sistemi di videosorveglianza dotati di software che permetta il riconoscimento della persona tramite collegamento o incrocio o confronto delle immagini rilevate (ad esempio morfologia del volto) con altri specifici dati personali e, infine, per i sistemi cosiddetti intelligenti, che non si limitano a riprendere e registrare le immagini, ma sono in grado di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli, ed eventualmente registrarli (ad esempio sistemi di motion detection). Gli incaricati del trattamento vanno mantenuti in numero ristretto.

I poteri dell'assemblea

All'installazione di videocamere sulle parti comuni dell'edificio va senz'altro riconosciuta natura di innovazione, cui si applica dell'art. 1120, comma 1, c.c. L'innovazione è deliberata dall'assemblea dei condomini, secondo la norma in commento, trattandosi di impianto prima non esistente, tanto più in considerazione della sua rilevanza giuridica e delle implicazioni che essa comporta, secondo quanto si è già visto.

Va subito precisato che, sebbene la norma discorra di installazione sulle parti comuni dell'edificio, nulla esclude che essa abbia luogo, per iniziativa della compagine condominiale, su porzioni di proprietà esclusiva, sempre che oggetto della ripresa siano le parti comuni: ciò che rileva è insomma l'oggetto del controllo a distanza e non il posizionamento del dispositivo. Rimane dunque fuori dall'ambito di applicazione della disposizione in esame l'iniziativa intrapresa dal singolo condomino per controllare l'accesso alla propria unità immobiliare, anche se la telecamera venga apposta sulle parti comuni, come ad esempio un muro perimetrale: argomento di cui si parlerà più avanti.

La devoluzione all'assemblea della deliberazione sull'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio si giustifica d'altronde in ragione del fatto che l'installazione di detti impianti persegue uno scopo di tutela di sicurezza delle persone e delle cose in ambito condominiale, scopo il cui perseguimento rientra tra le prerogative dell'assemblea, alla quale spetta anche la conservazione dell'integrità della situazione condominiale, da ambo i versanti.

Ciò detto, la previsione contenuta nella disposizione in esame, laddove devolve la deliberazione sugli impianti di videoregistrazione all'assemblea condominiale, fuga i possibili dubbi sull'individuazione dei soggetti deputati ad interloquire in proposito. La deliberazione, cioè, non coinvolge soggetti diversi dai condomini, ossia dai proprietari di unità immobiliari facenti parte il condominio interessato, quali in particolare i conduttori, pur interessati alle riprese da parte dell'impianto di videosorveglianza. Non possono pertanto condividersi le censure rivolte alla norma perché non chiarirebbe se alla deliberazione possa partecipare il conduttore (Viterbo, 258).

Con riguardo al quorum applicabile, il legislatore, mediante il richiamo alla maggioranza di cui al comma 2, dell'art. 1136 c.c., ha reputato sufficiente la maggioranza di 500 millesimi, escludendo la necessità di fare applicazione del quorum ordinariamente richiesto per le innovazioni, e tantomeno di esigere l'unanimità del consenso di tutti i partecipanti al condominio.

E cioè, le deliberazioni concernenti l'installazione su parti comuni di impianti volti a consentire la videosorveglianza di essi sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui all' art. 1136, comma 2, c.c. , ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (Cass. II, n. 14969/2022).

L'art. 1122-ter c.c. riconosce infatti espressamente la facoltà dell'assemblea di deliberare l'installazione di «impianti di videosorveglianza sulle parti comuni» con la maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136, ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (Viterbo, 262). È stato affermato che il quorum andrebbe osservato tanto in prima quando in seconda convocazione, attesa la delicatezza della deliberazione (Viterbo, 262). Viceversa, nel silenzio del dato normativo, il rinvio della norma in commento all'art. 1136 c.c. deve ritenersi riferito anche alla misura del quorum in seconda convocazione. La norma è stata sottoposta ad esame critico per avere rimesso alla decisione della maggioranza una deliberazione che potrebbe mettere in dubbio «la coerenza del meccanismo prescelto con il sistema di garanzie di tutela dei diritti fondamentali della persona» (Viterbo, 250). L'esigenza di verificare il bilanciamento della deliberazione assembleare sotto il profilo della ragionevolezza renderebbe consentirebbe di sottoporre la deliberazione medesima allo scrutinio del giudice qualora l'installazione del sistema di videosorveglianza risulti eccessiva o sproporzionata rispetto alle finalità perseguite e, nel concreto bilanciamento delle contrapposte stanze, sia da ritenere prevalente l'interesse al rispetto della riservatezza, della libertà o della dignità anche di un solo condomino. Di guisa che la delibera dovrebbe essere necessariamente motivata (Viterbo, 257).

Sul piano del riparto delle spese, una volta riconosciuto che l'installazione dell'impianto di videosorveglianza ha natura di innovazione, quantunque agevolata nel quorum, troveranno applicazione i normali criteri di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., a meno che non ricorra l'esistenza del c.d. condominio parziale, e, cioè, non si tratti di impianto destinato ad operare con riguardo ad una limitata ed individuata parte dell'edificio.

In tema di condominio degli edifici, merita da ultimo rammentare, per il collegamento al tema, che la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela dell'incolumità dei partecipanti, è rivolta a perseguire finalità estranee alla conservazione e gestione delle cose comuni, e, quindi, non è riconducibile nell'attribuzione dell'assemblea (art. 1135 c.c.), sicché tale delibera, ancorché presa a maggioranza, non opera nei confronti dei condomini assenti all'assemblea e non può essere fatta valere per una ripartizione della relativa spesa anche a loro carico (Cass. II, n. 4631/1993).

Installazione di impianti di videosorveglianza ad iniziativa del singolo condomino

Come si accennava poc'anzi, la nuova disposizione non regola l'installazione di impianti di videosorveglianza da parte del singolo condomino a protezione del proprio appartamento e delle sue pertinenze, in particolare il box. Si discute, allora, se i sistemi di videosorveglianza possano essere installati per iniziativa dei singoli condòmini.

Parte della dottrina propende per la soluzione negativa, e cioè dubita che la videosorveglianza in ambito condominiale costituisca esercizio del diritto di ciascun condomino di fare uso delle cose comuni, dal momento che essa inciderebbe sul diritto di uso degli altri (Cerri, 22).

Il Garante della privacy, con un suo intervento del 10 ottobre 2013, nel dettare il vademecum in materia, ha precisato che, «quando l'installazione di sistemi di videosorveglianza viene effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali – e le immagini non vengono né comunicate sistematicamente a terzi, né diffuse (ad esempio attraverso apparati tipo web cam) – non si applicano le norme previste dal Codice della privacy, sicché non è necessario segnalare l'eventuale presenza del sistema di videosorveglianza con un apposito cartello», rimanendo comunque valide le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati. Tuttavia, anche per non rischiare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata si prescrive che il sistema di videosorveglianza sia installato in maniera tale che l'obiettivo della telecamera posta di fronte alla porta di casa riprenda esclusivamente lo spazio privato e non tutto il pianerottolo o la strada, oppure il proprio posto auto e non tutto il garage.

In generale, nella giurisprudenza, è stato ritenuto che detta installazione richieda le medesime cautele di cui si è in precedenza riferito. E così, è da credere in generale che: i) l'angolo visuale delle riprese debba essere circoscritto agli spazi di propria ristretta pertinenza, e cioè quelli antistanti l'accesso all'abitazione o al box, con esclusione di ogni controllo indirizzato verso aree comuni di pertinenza di altri condomini; ii) debbano sussistere concrete situazioni di pericolo, valutate alla luce di un parametro di ragionevolezza, costituendo esse il necessario presupposto di liceità dell'installazione; iii) le immagini raccolte possano essere rese note a terze persone.

In senso favorevole sembra essersi pronunciato un giudice di merito (così in motivazione Trib. Milano 5 dicembre 2012). In tale occasione si è detto che con riferimento alle norme preposte dal codice civile, la possibilità astratta di installare le telecamere con annessi impianti di videoregistrazione a favore dei singoli condomini o dell'assemblea dei condomini deriva da una serie di norme.

Analogamente è stato detto che è lecita l'installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta osservazione del portone di ingresso e dell'area antistante la porta di ingresso alla singola unità immobiliare, mentre non è ammissibile l'installazione di apparecchiature che consentano di osservare le scale, gli anditi ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò comporta una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla riservatezza (Trib. Milano 6 aprile 1992).

La pronuncia concerne un caso in cui la telecamera era collocata in modo tale da permettere al condomino non solo il controllo dell'area immediatamente antistante il portone di ingresso comune e di quella antistante la porta di ingresso alla propria unità immobiliare, ma anche dell'andito, della rampa delle scale e del pianerottolo comuni. In tale contesto è stato perciò ritenuto l'impianto fosse lecito laddove permetteva la diretta osservazione del portone di ingresso e dell'area antistante la porta di ingresso alla singola unità immobiliare, essendo d'altronde abitudine diffusissima quella di collocare sulle porte di ingresso spioncini che consentono di osservare l'area del pianerottolo dall'interno dell'appartamento, al fine di riconoscere le persone che si presentano. Illecita è stata invece giudicata l'installazione dell'apparecchiatura tale da consentire di osservare le scale, gli anditi ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò non rispondeva ad un comprensibile interesse del singolo condomino, le cui esigenze di sicurezza erano sufficientemente garantite da accorgimenti di altro tipo, e comportava una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla riservatezza che, se era comprensibile in locali pubblici o in certi particolari pubblici esercizi (si pensi alle banche) in vista della necessità di garantire peculiari esigenze di sicurezza, non si giustificava, al contrario, in un edificio privato nelle cui parti comuni doveva essere assicurata la riservatezza dei condomini e delle persone che frequentano le loro unità immobiliari. Inoltre, il medesimo condomino non aveva in alcun modo indicato alcuna specifica ragione di sicurezza che giustificasse l'installazione dell'apparecchiatura di avvistamento e di registrazione, onde non era stato possibile per il giudice nemmeno procedere ad una ponderata valutazione delle contrapposte esigenze di tutela della privacy e di sicurezza, al fine di realizzare quell'equo contemperamento fra interessi collettivi ed individuali che rappresentava l'elemento saliente dell'assetto dei diritti nel condominio degli edifici.

Altre volte è stato detto che, se il singolo condomino dichiara di aver installato l'impianto di videosorveglianza per l'utilità del proprio studio professionale, per ciò stesso il trattamento di dati personali si considera effettuato per fini diversi da quelli esclusivamente personali e soggiace alla disciplina del codice (Trib. Nola 3 febbraio 2009).

Nel senso della liceità dell'installazione è stata risolta la questione dell'utilizzo da parte di un proprietario confinante di un sistema di videosorveglianza orientato a riprendere anche beni di proprietà esclusiva degli altri suoi confinanti: l'installazione delle telecamere, nel caso considerato, era avvenuta con modalità tali da evitare indebite interferenze nella vita dei ricorrenti, ossia mediante l'adozione di misure idonee ad evitare riprese nella loro proprietà, onde preservarne il diritto alla riservatezza (Trib. Nola 26 aprile 2012).

Una controversia sulla medesima questione, decisa dal Tribunale di Milano (Trib. Milano 15 maggio 2012) è sorta in un caso in cui un condomino aveva installato, a proprie cure e spese, ma contro la volontà della maggioranza degli altri partecipanti, due telecamere, con annesso impianto di videoregistrazione: una era posizionata sotto la finestra di un suo appartamento al fine di videosorvegliare un box contenente le sue autovetture, e l'altra era situata sopra la porta di ingresso del proprio studio professionale di avvocato ed a presidio di quest'ultimo. Alcuni condomini avevano chiesto la condanna del suddetto condomino alla rimozione di tali manufatti, sostenendo l'illegittimità della condotta serbata da quest'ultimo che aveva posizionato le telecamere all'interno degli spazi comuni, in assenza di un'apposita autorizzazione assembleare e, anzi, nonostante l'opinione contraria manifestata sul punto. I ricorrenti, in particolare, avevano lamentato la lesione della propria privacy, atteso, da un lato, che la telecamera installata sulla parete interna dello stabile che affacciava sul cortile comune, posta al di sopra della finestra della proprietà del condomino, aveva un campo d'azione assai invasivo della sfera privata dei condomini e dei terzi passanti, stante l'ubicazione e la potenziale ampiezza del raggio visivo che si espandeva a tutto il cortile comune, e, dall'altro, che la telecamera posta al primo piano sopra la porta di ingresso dello studio professionale del condomino riprendeva il pianerottolo ove era posizionato lo sbarco dell'ascensore comune nonché la porta di ingresso dell'unità abitativa del dirimpettaio, con grave compromissione della privacy di quest'ultimo. Viceversa, secondo il condomino autore dell'installazione, quest'ultima non necessitava del consenso della compagine condominiale ed era perfettamente lecita giacché: i) era stata tempestivamente resa nota mediante appositi cartelli che ne attestavano la presenza ai passanti; ii) si era resa necessaria per tutelare le sue proprietà private – di cui una adibita a studio professionale di avvocato, ove si trovavano documenti assai importanti e denaro contante anticipato dai clienti – ubicate all'interno dello stabile condominiale da furti e/o danneggiamenti.

Stante la lacuna normativa sul punto, il giudice ambrosiano ha fatto richiamato in motivazione sia il diritto alla riservatezza ed all'integrità del domicilio privato, sia i principi generali in tema di condominio, sia i provvedimenti del Garante ai quali si è fatto cenno. Il tribunale, in particolare, ha nuovamente riconosciuto in astratto il potere in capo al singolo condomino di installare impianti di videoregistrazione a presidio di porzioni di proprietà esclusiva. Al di là della tutela costituzionale riservata al diritto di proprietà, l'installazione di un impianto di videosorveglianza a tutela delle singole unità immobiliari trova fondamento anzitutto nell'art. 1102, comma 1, c.c., in forza del quale non è impedito che un singolo faccia uso delle parti comuni dell'edificio installando delle telecamere a tutela delle proprietà esclusive. Per altro verso la pronuncia ha evidenziato che la collocazione delle telecamere deve essere giustificata da concrete esigenze di tutela di diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà, la libertà personale ed il domicilio, quindi, a presidio delle proprietà dei condomini o delle parti comuni quando, per la peculiarità delle attività ivi svolte o per la presenza all'interno dei predetti spazi di beni di un certo valore, sussista la concreta necessità di allestire un coacervo di deterrenti ai fini della prevenzione di eventi delittuosi. L'installazione delle telecamere deve, inoltre, avvenire con l'adozione, da parte del soggetto che ne ha deciso la posa, delle cautele a tutela dei terzi nel rispetto dei principi di necessità, proporzionalità ed adeguatezza: in pratica, occorre che, qualora le telecamere vengano installate ad iniziativa dei singoli condomini, l'angolo visuale delle riprese debba essere rigorosamente limitato ai soli spazi di esclusiva pertinenza del soggetto che ha deciso la posa delle telecamere, ad esempio agli spazi antistanti l'accesso alla propria abitazione, con esclusione di ogni forma di ripresa – anche senza registrazione di immagini – relative ad aree comuni o ad aree antistanti l'abitazione di altri condomini. Applicando le summenzionate considerazioni al caso di specie, si è affermato che al condomino spettasse, in astratto, il potere di installare le due telecamere di cui sopra anche in assenza del consenso del consesso assembleare, ma – sulla base della documentazione fotografica versata in atti – si è evidenziato che la posa di entrambe non rispettava il principio di proporzionalità e di adeguatezza al fine del perseguimento della minore invasività delle riprese audiovisive nei riguardi degli altri condomini e dei soggetti terzi.

Soluzione in parte differente è stata, invece, adottata in una ulteriore pronuncia (Trib. Varese 16 giugno 2011). Questo il caso. Un condomino, avendo subìto alcuni tentativi di effrazione e degli atti vandalici, aveva deciso di installare un impianto di videosorveglianza cui erano collegate tre telecamere: una montata sul pianerottolo del primo piano che inquadrava parzialmente la porta di ingresso, un'altra che riprendeva il portone ed il garage, un'ultima che riprendeva la piccola porzione della vecchia serra; a fronte di tale iniziativa, il dirimpettaio aveva invocato, in via cautelare, la rimozione dell'impianto di videosorveglianza, in quanto destinato a riprendere e prelevare immagini degli spazi comuni e pure dello spazio antistante il suo portone di proprietà esclusiva. La risposta è stata nel senso che il condomino non avesse alcun potere di installare, per sua sola decisione, le telecamere in àmbito condominiale, idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini: si è osservato, in particolare, che «il condominio è un luogo di incontri e di vite in cui i singoli condomini non possono giammai sopportare, senza il loro consenso, un'ingerenza nella loro riservatezza seppur per il fine di sicurezza di chi videoriprende». D'altronde, si è aggiunto, la videoripresa di sorveglianza può ben essere sostituita da altri sistemi di protezione e tutela che non compromettono i diritti degli altri condomini.

Da ultimo, per la liceità dell'installazione di un impianto di videosorveglianza a servizio del singolo condomino si è espressa una pronuncia secondo cui l'installazione di telecamera di videosorveglianza è lecita laddove risulti proporzionata a quanto necessario per la tutela dell'incolumità fisica personale e famigliare, purché non violi, nell'ambito del necessario bilanciamento da operare tra diritti aventi entrambi fondamento costituzionale, il diritto alla riservatezza di soggetti terzi (Trib. Avellino 30 ottobre 2017, secondo cui la telecamera è puntata sul vialetto, facente parte di area comune, che consente di accedere alle abitazioni rispettivamente di proprietà dei ricorrenti e del resistente, ma non è in alcun modo provato che tramite la stessa si possa riuscire a vedere anche solo in parte all'interno della villetta dei ricorrenti, dunque non risulta violato il diritto alla riservatezza degli stessi e deve essere rigettata la domanda di tutela cautelare da questi proposta al fine di ottenere la disinstallazione di detta telecamera).

È opportuno ancora soffermarsi su una decisione della Suprema Corte (Cass. I, n. 14346/2012), che offre utili elementi per l'analisi della fattispecie. Con una domanda presentata al tribunale, un'assegnataria di un immobile di proprietà del suocero esponeva che costui aveva installato, sia sul cancello, sia sul portone di ingresso del fabbricato, dei dispositivi di videocontrollo, da lei ritenuti lesivi del proprio diritto alla riservatezza, chiedendo, pertanto, che ne fosse ordinata la rimozione; il resistente si era difeso, deducendo di essere ricorso ai sistemi di videosorveglianza per aver subìto intimidazioni e minacce. Il giudice adìto aveva ritenuto pretestuose le affermazioni di quest'ultimo, ritenendo che il controllo della zona antistante l'abitazione della ricorrente non fosse giustificato da esigenze di tutela tali da consentire una violazione della sua riservatezza, consistente nella possibilità di controllare, essendo prevista la conservazione dei dati registrati, ogni suo movimento in entrata o in uscita. È stato in proposito osservato che: a) l'impianto era costituito da telecamere collocate sul cancello che consentiva l'accesso al giardinetto e sul portoncino di ingresso; b) il sistema non era dotato di bobine a nastro per la registrazione, ma di un hard disc, che registrava e salvava, per soli tre giorni, le immagini, le quali avrebbero potuto essere esaminate unicamente dall'autorità giudiziaria a seguito della denuncia di un fatto illecito penalmente rilevante. Ad ogni buon conto, si è rilevato che la verifica, sotto il profilo meramente diacronico, del nesso fra l'installazione dell'impianto di videocontrollo da parte del suocero e gli atti di vandalismo subiti e denunciati, per come operata dal giudice del merito, non resisteva al vaglio logico-giuridico, non potendosi dubitare della concorrente funzione preventiva del ricorso ad un sistema di videosorveglianza; in altri termini, la collocazione cronologica degli episodi di furto e di danneggiamento confermava la fondatezza del ricorso ad un impianto che, oltre a consentire l'eventuale individuazione dei responsabili di ulteriori atti di vandalismo, era intrinsecamente dotato di efficacia dissuasiva. In definitiva la Suprema Corte ha affermato che, in materia di protezione dei dati personali, non costituisce violazione dell'art. 134 del d.lgs. 30 giugno 2006, n. 196 l'installazione di un impianto di videosorveglianza sul fabbricato di un unico proprietario, occupato in parte da una terza persona (nella specie, la nuora assegnataria di porzione dell'immobile, in quanto madre affidataria dei figli minori), con telecamere collocate sul cancello e sul portone d'ingresso, non potendosi assimilare la figura dell'unico proprietario di fabbricato comprendente più unità abitative, concesse in locazione o in comodato, al condominio, in considerazione del tenore letterale dell'art. 5, comma 3, del d.lgs. cit. (quanto ai limiti al trattamento dei dati personali, ove destinati ad una comunicazione sistematica o diffusa) e non essendo consentito il ricorso all'analogia in materie in cui si dispongono restrizioni o sanzioni.

Sul piano del riparto delle spese occorre ancora accennare ad una pronuncia di legittimità (Cass. II, n. 71/2013), resa in un caso in cui un condomino, a fronte di azioni di danneggiamento, regolarmente denunciate, e per scoraggiare ulteriori simili atti, aveva provveduto ad installare un sistema di videosorveglianza dell'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso e, a fronte delle spese sostenute, ciascun condomino aveva provveduto a rimborsare quanto dovuto, ad eccezione di uno che si era opposto a tale pagamento. Quest'ultimo sosteneva che, alla luce della disposizione di cui all'art. 1134 c.c., vige il principio che, in tema di condominio, le spese relative alle parti comuni devono essere autorizzate dall'assemblea o dall'amministratore e, in mancanza di dette autorizzazioni, la spesa sostenuta dal singolo condomino non può essere rimborsata, salvo si tratti di spesa urgente, presupposto non sussistente nel caso specifico. Secondo i giudici di legittimità, invece, nel caso in esame, sussisteva la necessità e l'urgenza di procedere all'installazione della videocamera, e ciò era confortato anche dal fatto che tutti i restanti condomini avevano provveduto al pagamento della propria quota.

Il reato di interferenze illecite nella vita privata

Un cenno va fatto al profilo penalistico, considerando la fattispecie di reato prevista dall'art. 615-bis c.p., il quale sanziona «chiunque mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614», vale a dire nel domicilio – nozione che, secondo la giurisprudenza, è suscettibile di comprendere anche le parti comuni dell'edificio – il che comporterebbe, nel contesto condominiale, la necessaria acquisizione preventiva del consenso di un numero assai ampio di soggetti, non sempre peraltro di agevole identificazione, sì da rendere arduo il legittimo impiego dei sistemi di videosorveglianza.

Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che non sussistono gli estremi atti ad integrare il suddetto delitto di interferenze illecite nella vita privata qualora il soggetto attivo effettui, attraverso l'uso di telecamere installate all'interno della propria abitazione, riprese dell'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all'uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all'art. 615-bis c.p., la quale concerne, sia che si tratti di «domicilio», di «privata dimora» o «appartenenze di essi», una particolare relazione del soggetto con l'ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza (Cass. pen. V, n. 44701/2008).

In una pressoché coeva pronuncia dei giudici di legittimità, è stato affermato che il reato di cui al citato art. 615-bis c.p. non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, quando tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur se di pertinenza di una privata abitazione, siano però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei (Cass. pen. V, n. 44156/2008: nella specie, trattavasi di riprese effettuate su spazi condominiali, con telecamere visibili a tutti, da uno dei condomini, in contrasto con la volontà degli altri).

In particolare, si è sottolineato che non commette il reato di sopra il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall'intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell'edificio (come un vialetto e l'ingresso comune dell'edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini, specie questi ultimi siano «a conoscenza dell'esistenza delle telecamere» e possano «visionarne in ogni momento le riprese» – motivo per cui queste ultime non siano neppure idonee a cogliere di sorpresa gli altri condomini in momenti in cui possano credere di non essere osservati – precisando che «la ripresa con una telecamera delle parti comuni non può, pertanto, in alcun modo ritenersi indebitamente invasiva della sfera privata dei condomini, poiché l'esposizione alla vista di terzi di un'area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in concreto, inaspettatamente, realizzate e perciò riprese».

Per sola completezza espositiva, mette punto rammentare che la condotta di un condomino che riprenda con le telecamere (o fotografi) l'abitazione di un altro condomino – ad esempio, nell'atto di compiere abusi edilizi – non costituisce reato, poiché il condomino «ripreso» non può invocare la privacy se non ha adeguatamente «protetto» la sua abitazione dalla possibilità di «vedere» (o riprendere o fotografare) dall'esterno (Cass. pen. V, n. 18035/2012).

Videocitofono

Un cenno va fatto infine al quesito se il singolo condomino installare un videocitofono all'ingresso dello stabile. Orbene, l'utilizzazione del videocitofono può essere ammessa al solo fine di identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati, alla condizione, tuttavia, che non avvenga la registrazione delle immagini. L'esistenza di tali apparecchiature – di norma, collocate all'ingresso degli edifici ed in corrispondenza di campanelli – deve essere conosciuta attraverso un'informativa agevolmente rilevabile, a meno che non siano utilizzate per fini esclusivamente personali (art. 5, comma 3 del Codice della privacy e, in particolare, par. 6.2.4. del provvedimento generale del Garante del 29 aprile 2004).

In proposito, il recente vademecum emanato dal Garante della privacy in data 10 ottobre 2013, ha precisato che «i moderni videocitofoni, così come le altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione, possono talvolta essere equiparati ai sistemi di videosorveglianza (per cui) in questo caso valgono le stesse regole previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza». Si è aggiunto, però, che «tali disposizioni non si applicano quando il sistema è installato da persone fisiche per fini esclusivamente personali e le immagini non sono destinate alla comunicazione sistematica o alla diffusione» (ad esempio su internet); per le stesse ragioni, «se il videocitofono è installato da un singolo o da una famiglia per finalità esclusivamente personali, la presenza dell'apparecchio di ripresa non deve essere segnalata con un apposito cartello».

Bibliografia

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