Codice Civile art. 1124 - Manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori (1)

Alberto Celeste

Manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori (1)

[I]. Le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo.

[II]. Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.

(1) Articolo modificato dall'art. 8, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Il testo precedente recitava: «Manutenzione e ricostruzione delle scale - [I]. Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. [II]. Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune»

Inquadramento

Le scale di un edificio in condominio rientrano, ai sensi dell'art. 1117, n. 1), c.c. – se non risulta il contrario dal titolo – tra le cose (o parti) oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari, in quanto indispensabili strutturalmente all'esistenza stessa del fabbricato.

Mette punto rammentare che devono ritenersi comprese nella nozione di «scale» anche le murature che le delimitano, assolvendo, in tutto o in parte, anche alla funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

In base al testo dell'art. 1124, comma 1, c.c., le spese di manutenzione e sostituzione – prima della Riforma del 2013 era detto, meglio, «ricostruzione» – delle scale sono ripartite tra i proprietari degli immobili cui servono, per la metà in ragione del valore delle singole unità, e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo; tale criterio non prevede alcun onere aggiuntivo per i condomini, proprietari degli appartamenti confinanti con il vano delle scale, i quali dal rafforzamento, a seguito dell'esecuzione delle opere, delle murature delimitanti, possano ricevere un indiretto vantaggio.

Al fine di individuare «i proprietari delle unità immobiliari a cui servono» le scale, occorre far capo alla presunzione legale sancita dall'art. 1117 c.c., ovvero alla destinazione permanente delle stesse all'uso o al godimento comune, che deve risultare da elementi obiettivi, cioè dall'attitudine funzionale del bene al servizio o godimento collettivo.

Non rilevano, invece, ai fini dell'imputazione degli oneri di manutenzione e ricostruzione, la specifica e particolare ubicazione delle scale nell'àmbito dell'edificio in condominio, né l'eventuale dato esteriore e soggettivo della particolare utilizzazione della scala condominiale attuata da un condomino, in via di mero fatto, per accedere, attraversando il proprio appartamento posto nell'edificio comune, ad altra unità immobiliare, anch'essa di sua esclusiva proprietà, sita in un limitrofo ed autonomo edificio, dotato di distinta scala.

Diverso è il caso dell'intervento di manutenzione o ricostruzione diretto alle sole murature perimetrali delle unità immobiliari di proprietà esclusiva prospicienti il vano scale, da regolare attraverso un'applicazione coordinata dei criteri fissati dall'art. 1123, comma 2, e 1124, comma 1, c.c.

Tra le spese di manutenzione delle scale si comprendono propriamente i soli costi relativi alla conservazione della cosa comune, che si rendono necessari a causa della naturale deteriorabilità del bene per consentirne l'uso ed il godimento, e che attengono a lavori periodici indispensabili per mantenere la cosa in efficienza.

Novità della Riforma

Prima di analizzare l'esatta portata del disposto dell'art. 1124 c.c., e soprattutto in quale modo il legislatore ha previsto che le spese per le scale/ascensore debbano ripartirsi tra i condomini, è opportuno evidenziare che la norma è stata modificata dalla Riforma della normativa condominiale (l. n. 220/2012, entrata in vigore il 18 giugno 2013), la quale ha aggiunto il riferimento all'impianto di ascensore nella sua «rubrica» ed altri lievi ritocchi testuali nel contenuto del disposto in commento.

Nello specifico, la precedente locuzione «manutenzione e ricostruzione delle scale» è stata modificata nell'attuale «manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori», inserendo, pertanto, due cambiamenti: a) il termine «ricostruzione» è stato sostituito dal termine «sostituzione»; b) al riferimento alle «scale» è stato aggiunto anche quello agli «ascensori».

Con riferimento a questa seconda modifica (inserimento degli ascensori) può ritenersi che l'intervento del legislatore sia stato abbastanza «indolore», in quanto anche nel regime ante Riforma dell'art. 1124 c.c. – vale a dire, senza il riferimento esplicito all'ascensore – era del tutto pacifico il principio giurisprudenziale della sua applicabilità ai costi di esercizio e manutenzione di tale impianto, bene di cui, peraltro, già nel codice civile del 1942, si trovava un accenno al n. 3) dell'art. 1117 c.c., al fine di ricomprenderlo nella presunzione di condominialità.

Da tempo, quindi, si era convinti che tali ultime spese (per l'ascensore), insieme a quelle per le scale, dovevano essere ripartite tra tutti i condomini per metà in ragione della quota millesimale di proprietà, e per l'altra metà in ragione dell'altezza dei piani, il tutto in virtù di estensione analogica, in forza della medesima ratio, dell'art. 1124 c.c., previsto originariamente, appunto, per le scale (Cass. II, n. 8823/2015; Cass. II, n. 3264/2005, aggiungendo che, se il contributo finanziario apportato dai condomini nella costruzione dell'impianto, è di entità maggiore rispetto alla quota di comproprietà, può dare luogo soltanto ad un diritto di credito del singolo condomino verso il condominio; Cass. II, n. 5975/2004; Cass. II, n. 2833/1999; Cass. II, n. 5479/1991; Cass. II, n. 3514/1969; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 19 settembre 2017; Trib. Salerno 23 gennaio 2008; App. Milano 21 gennaio 2006).

Comunque, ha fatto bene il legislatore del 2012 ad introdurre suddetta precisazione, in quanto è incontestabile che, anche nel caso dell'ascensore, sussiste un maggior uso (e, quindi, un maggior logorio dell'impianto), derivante dall'utilizzazione più intensa attuata da coloro che se ne servono per accedere ai piani più alti dell'edificio (Tortorici, 690).

Criterio legale di riparto

L'art. 1124 c.c. si pone in rapporto di specialità rispetto all'art. 1123 c.c. – al cui commento si rinvia – che pone i criteri generali di ripartizione dei costi di gestione, valevoli per qualsiasi tipologia di spesa non espressamente menzionata, ed è precipuamente finalizzato a disciplinare la ripartizione degli oneri occorrenti per la manutenzione e la conservazione (ed ora, come visto, anche sostituzione) delle scale e dell'impianto di ascensore.

I principi fissati dalla norma sono quelli per cui, da un lato, le scale e l'impianto di ascensore sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono, e, dall'altro, la spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo.

Dunque, allo stesso modo dell'art. 1123 c.c., l'art. 1124 c.c. prevede un criterio «legale» che ha il medesimo valore cogente (di quelli «generali» della prima norma), e non può essere derogato con deliberazione assembleare adottata a maggioranza.

Si ripropone anche in questo caso – v., altresì, infra – la possibilità che i condomini adottino una deroga, ma a condizione che tale differente regolamentazione delle spese per le scale sia sempre approvata con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio (c.d. diversa convenzione).

A ben vedere, quanto disposto nel suo complesso dall'art. 1124 c.c. – ossia un criterio di ripartizione che tiene conto, da una parte, della quota millesimale di proprietà, e, dall'altra, delle modalità di utilizzazione/uso, espresse, quest'ultime, in termini di «altezza» – rappresenta il principio per cui, ai proprietari dei piani più alti, è attribuito un obbligo di maggiore contribuzione, fondato sul più rilevante logorio del bene, determinato dalle modalità oggettive della sua utilizzazione (Scalettaris, 2047).

Pure in questa ipotesi quello che conta non è il comportamento dei singoli condomini (e, quindi, l'uso maggiore o minore che si possa fare delle scale), ma l'utilità fornita dal bene che è oggettivamente maggiore per i piani più alti: infatti, è innegabile che, per accedere a tali piani più alti, viene utilizzata una porzione più estesa delle scale.

Dal punto di vista della «struttura» della norma, è utile evidenziare che la ripartizione prevista dall'art. 1124 c.c. ha la particolare natura di criterio «misto», in quanto applica contemporaneamente sia la ripartizione in ragione della proprietà (prevista, in via generale, dal comma 1 dell'art. 1123 c.c.), vale a dire metà in ragione del valore delle porzioni di piano, sia quella in base all'uso (di cui al comma 2 di tale norma), cioè metà in proporzione dell'altezza.

Tale duplicità del criterio previsto si riferisce e rappresenta la doppia funzione (oggettiva) che le scale svolgono (o meglio, la doppia utilità fornita), che è sia quella di servire all'edificio nel suo complesso – in quanto elemento strutturale del fabbricato ed anche strumentale alla fruizione degli altri beni comuni – sia quella di consentire l'accesso alle porzioni di piano esclusive.

Residua, comunque, un margine di incertezza sul rinvio selettivo all'art. 1124 c.c.: questa norma, infatti, aveva preso il posto dell'art. 562 del codice civile del 1865, che disponeva che le scale fossero costruite e mantenute dai proprietari dei diversi piani in ragione del valore di ciascun piano; con il nuovo codice civile si intendeva, in pratica, tener conto, seppur parzialmente, della «quantità di uso» delle scale (Peretti Griva 1960, 301).

Nella Relazione al Re sul progetto definitivo del codice del 1942, per giustificare l'equa proporzione di ripartizione delle spese delle scale in riferimento al doppio coefficiente dell'altezza e del valore, si osservava: «È giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano maggiormente di quelli dei piani sottostanti, perché si presume che con il maggiore uso diano luogo al maggiore consumo delle scale. Sarebbe però eccessivo che i proprietari delle soffitte, delle camere a tetto e dei palchi morti contribuissero in ragione dell'altezza, perché in questi casi viene meno la presunzione del logorio in conseguenza dell'uso, trattandosi di locali non destinati ad abitazione; perciò, ho stabilito che questi proprietari, come quelli delle cantine, concorrano soltanto alla metà delle spese che è ripartita in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano».

Il criterio legale di riparto delle spese relative alla conservazione e ricostruzione delle scale era, così, da sùbito sembrato agli studiosi adatto altresì a ripartire le spese di pulizia, che, per quanto estranee alla consistenza fisica della res, rientrano tuttavia nell'àmbito della manutenzione necessaria di godimento; come adeguato quel criterio era apparso per suddividere le spese di illuminazione delle scale, sempre che il sistema in atto consentisse di proporzionare l'uso ai rispettivi tratti di scala, lasciandosi altrimenti preferire il criterio generale basato sul valore del piano (Salis 1959, 114, nota 1).

Potrebbe allora osservarsi che il criterio dell'uso, il quale aveva ispirato il legislatore nella redazione dell'art. 1124, comma 1, c.c., sia sapientemente dosato secondo un bilanciamento che ne rende malsicura un'applicazione dimezzata; con esso, la legge mostra certamente di sapere che la scala è cosa che dà maggiore utilità ai proprietari dei piani alti, i quali sono indotti a percorrerla in tutta la sua estensione, e quindi in misura più ampia dei proprietari dei piani inferiori; perciò, in conseguenza di quanto vuole l'art. 1123, comma 2, c.c., essi devono risponderne in ragione dell'altezza, sintomo dell'uso che possono farne; tuttavia, il legislatore sa pure che il godimento delle scale non è bene perfettamente misurabile, e, dunque, è irrinunciabile tenere in considerazione paritariamente la quota millesimale; alcuna importanza assume, pertanto, il fatto che i proprietari di alcuni piani facciano in concreto un utilizzo più intensivo o, per contro, più scarso, dei proprietari di altri piani, attesa la destinazione impressa ai loro appartamenti (Branca 1982, 490).

Elementi edilizi considerati

Va partitamente evidenziato che il comma 2 dell'art. 1124 c.c. prescrive testualmente che, al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, «si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune».

Dall'esegesi di tale parte della norma, derivano i seguenti principi applicativi: per un verso, le cantine, i palchi morti, le soffitte (ecc.) nel caso in cui siano in proprietà comune non partecipano alle spese per la conservazione delle scale; per altro verso, qualora, invece, siano di proprietà esclusiva, essi vi partecipano ad una sola metà delle spese (quella che è da ripartirsi in base alla quota millesimale di proprietà).

Risulta chiaramente che l'utilizzazione delle scale quale accesso alle cantine, soffitte (ecc.), nel caso in cui siano di proprietà esclusiva, ha conseguenze assai limitate in ordine alla distribuzione dei costi per la manutenzione del bene, in base all'evidente ragione per cui il godimento di tali unità immobiliari è attuato con modalità sensibilmente più limitate rispetto alle abitazioni (l'accesso, infatti, è nella generalità dei casi, saltuario ed intermittente).

A ciò si aggiunga la sola precisazione, derivante dall'intervento della giurisprudenza, che, a differenza delle soffitte (ecc.), il lastrico solare, ovviamente, qualora sia esclusivo, è considerato come «piano», e, quindi, gli va attribuita una quota ex art. 1124 c.c. (Cass. II, n. 3087/1963); senza dimenticare, però, che la quota millesimale di proprietà attribuita al lastrico, nella relativa tabella A, è sensibilmente inferiore rispetto a quella delle abitazioni ordinarie, con conseguente rilevante riduzione dell'ammontare della quota del 50% di cui al predetto art. 1124 c.c.

In altri termini: a) il lastrico solare (a condizione che sia esclusivo) va inserito nella «tabella scale» solo nella parte (metà) rappresentante le quote di proprietà; b) la quota attribuita a tale unità immobiliare dovrà essere valutata, in sede di redazione delle tabelle, in maniera riduttiva rispetto alle normali porzioni di piano, in quanto, la prima costituita solo da una «superficie» e le seconde, invece, da «cubature» (Salciarini, in Celeste - Salciarini, 76).

Specifiche tipologie di costi

Tenendo a mente il criterio di ripartizione previsto dall'art. 1124 – ossia metà per millesimi e metà per altezza – va verificato quali siano, nel concreto, le tipologie di costi che devono essere ricomprese nella relativa attuazione.

In tale ottica, occorre innanzitutto ricordare che le scale e l'ascensore si presumono comuni, in base al disposto dell'art. 1117 c.c. (in quest'ottica, si è opportunamente puntualizzato, da parte di Cass. II, n. 4372/2015, che, negli edifici in condominio, le scale con i relativi pianerottoli, che insistano, nella specie, su un ballatoio e servano da accesso al lastrico solare comune, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, tra le parti che devono presumersi comuni, in forza dell'art. 1117, n. 1, c.c., a nulla rilevando che le suddette opere siano state materialmente realizzate da uno solo degli originari comproprietari, valendo tale circostanza solo a giustificare la pretesa dello stesso a vedersi riconoscere dagli altri condomini un contributo per le spese di installazione e manutenzione dei manufatti, e non quale titolo idoneo ad attribuirne la proprietà esclusiva al loro autore).

La loro natura condominiale, e, quindi, la necessità che le relative spese siano ripartite tra tutti i partecipanti, sussiste anche nel caso, per esempio, in cui le scale (o gli ascensori) siano più d'una e poste al servizio di parti diverse dell'edificio stesso (Cass. II, n. 1498/1998; Cass. II, n. 1357/1996; Trib. Milano 7 novembre 1991), ed anche qualora le scale siano realizzate in sede di sopraelevazione (Cass. II, n. 2436/1973; Cass. II, n. 918/1966).

Naturalmente, anche per le scale vale la regola in base alla quale un «titolo contrario» può disporre diversamente in ordine alla loro proprietà/titolarità (Cass. II, n. 5948/1998).

Peraltro, proprio per le scale, si può facilmente verificare l'ipotesi del c.d. condominio parziale in forza della quale tale bene sarà di proprietà del «gruppo ristretto» dei titolari delle porzioni di piano che risultano servite da tale bene (Cass. II, n. 14558/2004; Cass. II, n. 1255/1995; nella giurisprudenza di merito, v. App. Roma 4 marzo 2009; Trib. Bologna 12 dicembre 2007).

È il caso del c.d. corpo di fabbrica separato, avente un accesso separato rispetto alle altre parti dell'edificio o del complesso immobiliare (Attademo, 2076).

Per quanto riguarda gli elementi costitutivi, le scale sono comuni nel loro complesso, ricomprendendo ogni parte accessoria, quali, ad esempio, le ringhiere, i passamani, i gradini, le finestre; i lucernai, ecc., ma qualche ulteriore precisazione è utile rispetto a specifici aspetti della fattispecie.

In particolare, occorre ricordare che anche per il sottoscala si ritiene sussistere la presunzione di condominialità in virtù della sua qualità di accessorio delle scale (Cass. II, n. 5037/1008); è comunque necessario considerare anche la precipua destinazione, dalla quale potrebbe derivare una diversa qualificazione (per esempio, di accessorio ad unità immobiliare esclusiva).

Del pari, per il pianerottolo vale la qualificazione in termini di parte essenziale delle scale, in quanto elemento completamente fuso nella relativa struttura (Cass. II, n. 843/1981; Cass. II, n. 2589/1977; Cass. II, n. 4299/1974; Cass. II, n. 38/1963; tra le pronunce di merito, v. Trib. Pescara 15 settembre 2001); anche in questo caso, una sua specifica conformazione strutturale potrebbe farne pertinenza privata (Cass. II, n. 2070/1985; Trib. Milano 3 luglio 1989).

Parimenti, rientra fra le parti comuni anche il corridoio delle scale che funge da accesso alle singole unità immobiliari (Cass. II, n. 13450/2016).

Con riferimento alle scale, ma anche al pianerottolo (alla sua proprietà, e conseguentemente anche alle spese di conservazione), è utile richiamare quella giurisprudenza che ha stimato (negativamente) una possibile differenziazione tra i vari piani dell'edificio: si è, infatti, affermato che, in mancanza di un titolo idoneo, ha natura di bene condominiale la scala che permette di accedere ai piani superiori di un edificio; il fatto che le parti di tale scala destinate a raggiungere i piani superiori non siano normalmente usate dai condomini del piano inferiore non può assumere alcun significato per escludere la proprietà comune dell'intera unitaria struttura (Cass. II, n. 4419/2013).

Per quanto riguarda, infine, il criterio di ripartizione basato sull'altezza, va puntualizzato che va riferito ad una misurazione oggettiva dei diversi piani – ai quali sarà da attribuire una specifica quota – e che a parità di altezza, tra le unità immobiliari che si trovano su un medesimo livello la relativa quota (del piano), dovrà essere ulteriormente divisa per i millesimi di spettanza (Cass. II, n. 801/1970).

Pulizia e illuminazione delle scale

Come a volte succede in giurisprudenza, nella quale una particolare ipotesi riceve una più spiccata attenzione – naturalmente, anche a causa dell'interesse, e quindi anche della litigiosità sul punto dei condomini – il caso della ripartizione delle spese per la pulizia e per l'illuminazione delle scale è stato oggetto di varie pronunce dei giudici di legittimità e di merito.

La problematica ha registrato le differenti posizioni dibattere sulla questione della ricomprensione, o meno, dei costi per la pulizia o per l'illuminazione nella categoria delle spese di «manutenzione e ricostruzione» di cui all'art. 1124 c.c. e, quindi, della loro ripartizione in base al relativo criterio (metà per proprietà, metà per altezza).

Sul punto, si è evidenziato, che, nel caso della pulizia e dell'illuminazione, ci si trova di fronte ad una duplice funzione di tali servizi comuni, con conseguenti effetti sulla relativa ripartizione delle spese; a ben vedere, infatti, sia la pulizia, sia l'illuminazione non vengono certamente effettuate a scopi di manutenzione o di ricostruzione, ma attengono all'utilizzazione del bene o alla sua sicurezza (Cimatti, 22; De Tilla 2007, 16; Nucera, 255; Re, 422; Tomeo, 50).

Un'indiretta conferma di detta impostazione può essere rinvenuta in una recente pronuncia della Suprema Corte che, occupandosi del diritto al rimborso pro quota eventualmente spettante al partecipante alla comunione, ha precisato che le spese per l'illuminazione non sono finalizzate al mantenimento dell'integrità dell'immobile, in modo che duri a lungo senza deteriorarsi, ma a consentire una migliore fruizione della cosa stessa (Cass. II, n. 253/2013).

A fronte di tale corretto ragionamento, però, le pronunce non sono riuscite a sintetizzare le loro interpretazioni in un'unica soluzione, lasciando gli operatori del settore privi della concreta individuazione di un unico criterio di ripartizione di tale tipologia di spese, rimanendo sempre fermo che, ai fini della relativa ripartizione, risulta ininfluente la destinazione in atto delle singole unità immobiliari.

Si tratta, quindi, di una problematica che non riesce ancora a trovare una risposta uniforme, anche se, sotto altro aspetto, può quanto meno dirsi fondata l'affermazione per cui tale tipologia di spese si collega ad una duplice funzione: da tale aspetto, quindi, dovrebbe discendere una ripartizione altrettanto duplice, che consideri la valenza contemporaneamente condominiale ed esclusiva dell'utilità fornita.

Infatti, alcune sentenze affermano l'applicazione contemporanea e coordinata degli artt. 1123 e 1124 c.c.; altre del solo comma 2 dell'art. 1123 c.c., che prevede una ripartizione in ragione dell'utilità, e cioè dell'altezza; altre ancora del solo art. 1124 c.c. e, quindi, con pedissequa applicazione del criterio misto millesimi/altezza; il tutto, ovviamente, a meno che non vi sia una disposizione ad hoc da parte del regolamento condominiale o/e dalle tabelle millesimali (in proposito, decidendo una peculiare fattispecie, Cass. II, n. 27392/2009 ha chiarito che, qualora fra l'intitolazione delle tabelle millesimali ed una o più norme del regolamento condominiale vi sia un contrasto – nella specie, in ordine all'imposizione dell'obbligo di pagamento delle spese di pulizia e manutenzione anche ai proprietari dei negozi situati nello stabile, oltre che ai condomini residenti – la prima va considerata prevalente sulle seconde laddove l'opzione ermeneutica del regolamento condominiale fondata sul mero dato letterale palesemente non collimi con la reale intenzione delle parti).

Abbastanza di recente la Suprema Corte, superando tali richiamati orientamenti, ha affermato che, nella ripartizione di tali spese, va esclusa l'applicazione analogica del criterio di cui all'art. 1124 c.c., dovendosi utilizzare solo (cioè al 100%) il criterio proporzionale dell'altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui le scale servono (Cass. II, n. 432/2007); in altri termini, la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell'altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica, in parte qua, dell'art. 1124 c.c., il quale è espressione del principio generale posto dall'art. 1123, comma 2, c.c., e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi.

Argomenti e conclusioni simili attengono alla ripartizione delle spese per l'illuminazione delle scale.

In particolare, si è evidenziato che tali spese attengono ad un servizio del quale i condomini godono (o al quale danno causa) in misura maggiore o minore a seconda dell'altezza di piano, visto che il proprietario dell'ultimo piano utilizza l'illuminazione di tutta la tromba delle scale, mentre il proprietario del primo piano utilizza solo l'illuminazione della prima rampa: non potendosi riconoscere all'assemblea un potere discrezionale nella suddivisione dei contributi, la soluzione indicata è quella dell'applicazione analogica dell'art. 1124 c.c., utilizzando per intero l'indice dell'altezza di piano.

In passato, però, i magistrati di Piazza Cavour avevano assunto posizione diverse.

In una remota decisione, era stato affermato che le spese per la pulizia delle scale comuni dovessero dividersi per metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo e, per l'altra metà, in ragione del valore dei piani o delle porzioni di piano (Cass. II, n. 801/1970).

Secondo una successiva pronuncia della Suprema Corte, invece, la disposizione dell'art. 1124 c.c., concernente la ripartizione fra i condomini delle spese di manutenzione delle scale, così come la norma di regolamento condominiale che vi si conformi, riguarderebbe unicamente le spese relative alla conservazione della cosa comune, che si rendono necessarie a causa della naturale deteriorabilità della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili per mantenere il bene in efficienza (Cass. II, n. 2018/1993).

Per converso, l'art. 1124 c.c. non sarebbe riferibile alle spese di pulizia delle scale – invero, attinenti più semplicemente all'organizzazione e al funzionamento della cosa comune – alle quali i condomini dovrebbero piuttosto contribuire in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare a ciascuno e che l'assemblea può legittimamente ripartire in virtù delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c.

Di seguito, ancora gli ermellini avevano sul punto in premessa evidenziato il fondamento e la funzione degli oneri per l'illuminazione e la pulizia delle scale, non raffigurando essi spese per la conservazione, vale a dire spese per preservare l'integrità e mantenere il valore capitale delle cose, secondo quanto previsto dagli artt. 1123, comma 1, e 1124, comma 1, c.c.; sebbene spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e delle cose proprie: pulizia ed illuminazione, infatti, configurano dei servizi istituiti dai condomini, al fine di migliorare, il godimento delle cose comuni, che produce un deciso miglioramento anche all'uso delle cose proprie; pertanto, le spese per la illuminazione e per la pulizia delle scale dovrebbero dirsi necessarie per il migliore godimento delle cose comuni; «le scale buie o sporche possono essere utilizzate per accedere al piano o alla porzione di piano, ma la luce e la pulizia secondo l'attuale sensibilità raffigurano condizioni indispensabili per l'uso» (così Cass. II, n. 8657/1996).

In quanto spese per l'uso, dovrebbe ulteriormente considerarsi come le scale siano parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, giacché i proprietari dei piani inferiori normalmente non usano il tratto, che conduce ai piani superiori; perciò, al fine di suddividere le spese per la pulizia e per l'illuminazione delle scale, si rivelerebbe adeguato il criterio fissato dall'art. 1123, comma 2, c.c., nel senso che i condomini vi dovrebbero contribuire non in base ai valori millesimali di comproprietà, ma all'uso che ciascuno può farne.

Ancora di seguito, il massimo consesso decidente ha avuto occasione di ribadire che, alle spese per la pulizia delle scale, i condomini sono tenuti a contribuire non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in relazione all'uso che ciascuno di essi possa fare della stessa parte comune, secondo il criterio fissato dal comma 2 dell'art. 1123 c.c. (Cass. II, n. 971/2001; nella giurisprudenza di merito, per la legittimità della ripartizione delle spese di pulizia delle scale effettuata ai sensi dell'art. 1124 c.c., v. Trib. Trieste 18 dicembre 2000).

La più avvertita dottrina si è posta nettamente in contrasto nei confronti di detta ultima interpretazione, affermando che, mentre risulta ineccepibile e condivisibile la premessa giuridica dell'ammissibilità dell'applicazione analogica dell'art. 1124 c.c., tale non risulta, invece, il successivo chiarimento circa la parziale e diversa applicazione integrale del criterio dell'altezza di piano che costituisce una statuizione manipolativa e creativa che non pare consona alla funzione nomofilattica e che determina esiti irragionevoli perché non aderenti alla realtà e che appaiono sintomatici di una lettura non costituzionalmente orientata dell'art. 1124 c.c. (Izzo, 1111).

Secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, infatti, occorre operare un'applicazione analogica del criterio dell'altezza di piano contenuto nell'art. 1124 c.c., depurato, però, del correttivo legato al valore della quota, sull'assunto di un'identità di ratio ravvisabile nell'empirica constatazione che i proprietari dei piani alti logorano e sporcano di più le scale rispetto ai proprietari dei piani inferiori.

Tale applicazione analogica dell'art. 1124 c.c., cui la Suprema Corte perviene per individuare il criterio di ripartizione delle spese di pulizia ed illuminazione delle scale, è, innegabilmente, un'applicazione autoritativamente dimidiata; la lacuna normativa del sistema codicistico viene, in sostanza, così colmata mediante il ricorso alla regola positiva che suddivide i costi di manutenzione e sostituzione delle scale, ma la similitudine fra fattispecie non regolata e fattispecie richiamata, ovvero la eadem ratio, non sarebbe tale da giustificare l'utilizzo integrale dell'art. 1124 c.c., dovendosi, ad avviso della più recente interpretazione, escludere il coefficiente proporzionato al valore millesimale della porzione.

Il procedimento sembra, quindi, non quello della analogia legis, ma quello della analogia iuris: dall'art. 1123, comma 2, c.c. e dell'art. 1124, comma 1, c.c., si ricava un principio generale, che eleva l'altezza di piano ad elemento discriminante dell'uso potenziale delle scale, e dà così luogo alla creazione di una norma sostanzialmente nuova e diversa rispetto a quelle su cui si regge; il risultato raggiunto delinea allora un «regime transtipico», che taglia orizzontalmente e supera i comparti corrispondenti agli artt. 1123 e 1124 c.c., sancendo sul piano della forma giuridica quanto, in realtà, appare dai giudici propugnato, e poi acquisito, soltanto a livello operazionale; un rimedio integrativo che la Corte di Cassazione allestisce, supplendo all'auspicabile convenzione dei condomini; la conclusione appare, cioè, più che la regula iuris scovata nel sistema, la formula consigliata per un'equa disciplina convenzionale delle spese di uso delle scale (Scarpa 2008, 44).

Ascensore

Impianto comune

Com'è noto, l'impianto dell'ascensore è il mezzo più diffusamente utilizzato per raggiungere i piani alti di un edificio, il quale, negli anni, è stato oggetto di un notevole sviluppo tecnologico; al contempo, il legislatore si è spesso interessato di questo «impianto» emanando un'articolata serie di reiterate disposizioni, prevalentemente finalizzate a garantire il massimo di sicurezza nell'installazione e nel funzionamento; per di più, l'ascensore si collega alla finalità sociale, largamente riconosciuta e garantita costituzionalmente, di consentire il c.d. abbattimento delle barriere architettoniche (Accordino, 479; Landolfi, 91).

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese – ferma rimanendo l'applicazione analogica dell'art. 1124 c.c. a tale impianto in epoca anteriore alla l. n. 220/2012, e diretta successivamente a seguito dell'integrazione testuale di detto art. 1124 c.c. – il riferimento principale è, come per le scale, al maggior logorio che l'impianto subisce in forza dell'uso che i condomini dei piani superiori inevitabilmente (e, quindi, oggettivamente) ne fanno.

I costi della relativa manutenzione vanno collegati, però, non solo a quanto occorrente per la conservazione del motore, della cabina, delle porte di piano e delle funi, ma anche al volume tecnico contenente gli ingranaggi.

Singoli costi

Generalmente, si ritiene applicabile il criterio di ripartizione previsto dall'art. 1124 c.c., vale a dire secondo una tabella millesimale comprendente quote millesimali per metà rapportate alla proprietà e per l'altra metà rapportate all'altezza.

Con riferimento all'obbligo di contribuzione, una risalente pronuncia della Suprema Corte ha ritenuto ammissibile (nonché approvabile con una deliberazione a maggioranza) l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, i cui proventi erano destinati al pagamento delle spese relative all'ascensore stesso (Cass. II, n. 864/1976).

Rompendo lo schema della ripartizione ex art. 1124 c.c. (metà per valore e metà per altezza), una pronuncia di merito ha avuto modo di precisare che le spese che ineriscono al mantenimento e all'uso dell'ascensore (ossia della comodità) vanno ripartite proporzionalmente fra i condomini in ragione dei diversi piani cui lo stesso è posto al servizio, mentre quelle che attengono all'impianto come tale, per modificazioni e migliorie, vanno sopportate dai comproprietari in ragione dei rispettivi millesimi; ne deriva che la spesa per la sostituzione dell'argano e del motore dell'ascensore deve essere ripartita tra i condomini in ragione delle rispettive proprietà millesimali, e non, quindi, in base alla c.d. tabella scale/ascensore (Trib. Bologna 27 febbraio 1986).

Rientrano tra le parti comuni innanzitutto i c.d. volumi tecnici, e quindi pure i vani destinati a contenere gli impianti di ascensore (Cass. II, n. 4528/2003), ovvero l'area di base del vano di corsa (Trib. Napoli 15 novembre 1989); quindi, ancora, tutte le cose mobili costituenti l'impianto di ascensore.

Possono farsi rientrare tra le spese di manutenzione dell'ascensore tutte quelle dirette a sostituire le linee ed i dispositivi elettrici dell'impianto, la cabina, le porte di cabina o di piano, le funi di impianto, il limitatore di velocità; attengono al funzionamento dell'ascensore, e quindi alla sua manutenzione, sebbene possano comportare l'esecuzione di opere nuove, altresì l'aggiunta di nuovi dispositivi, o l'introduzione di nuovi elementi strutturali.

Adeguamento normativo

Ad avviso della dottrina, alla tipologia generale di spese occorrenti per la manutenzione e/o per l'esercizio dell'impianto, fanno eccezione quelle che, essendo finalizzate a rispettare le prescrizioni di normative sopraggiunte successivamente all'installazione dell'impianto, non possono essere ripartite ex art. 1124 c.c. (cioè in base all'uso), bensì in ragione della proprietà ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c. (Balzani, 31; Colli, 832; Grassi, 145).

Dello stesso avviso sono stati i giudici di legittimità (Cass. II, n. 17880/2014; Cass. II, n. 12737/2001), secondo i quali l'art. 1123, comma 2, c.c. si applica per le spese attinenti alle parti e ai servizi che, per loro natura, sono destinati a fornire utilità diverse ai singoli condomini, sicché esso non trova applicazione per la spesa di messa a norma dell'impianto elettrico condominiale, il quale, ai sensi dell'art. 1117, n. 3), c.c., in mancanza di titolo contrario, è comune a tutti i condomini.

In particolare, sul punto, alcune pronunce di merito hanno precisato che le spese per l'adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE non rientrano tra quelle previste dall'art. 1124 c.c. poiché non dipendono da interventi correlati con l'intensità dell'uso, con la vetustà, con guasti accidentali: ne discende che esse vanno ripartite in base ai valori di proprietà delle unità immobiliari (Trib. Taranto 23 maggio 1996).

E ancora, le spese straordinarie relative agli ascensori, necessarie per l'adeguamento degli impianti alle norme di sicurezza, attengono al profilo della proprietà del bene e vanno sostenute da tutti i condomini in proporzione dei rispettivi millesimi di proprietà esclusiva (Trib. Bologna 2 maggio 1995).

Infine, gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bensì alla straordinaria manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unità strutturale; le relative spese devono, quindi, essere sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà, compresi i proprietari degli appartamenti siti al piano terra (Trib. Parma 29 settembre 1994).

Installazione

Non sembra porre particolari problematiche di ripartizione delle spese la questione dell'installazione ex novo dell'impianto per i cui costi non può applicarsi l'art. 1124 c.c. (che riguarda le spese di esercizio e di conservazione), ma il criterio generale di ripartizione a millesimi di proprietà (art. 1123, comma 1, c.c.), in quanto si tratta di «innovazione» deliberata dall'assemblea (Cass. II, n. 5975/2004; tra le pronunce di merito, v. Trib. Genova 27 marzo 1998).

A prescindere dal richiamo testuale contenuto nel predetto comma 1 dell'art. 1123 c.c. – nel quale le spese necessarie alla realizzazione di «opere nuove» sono da ripartirsi a millesimi – a giustificare tale differente disciplina soccorre, da una parte, la circostanza che qualunque «installazione» determina un incremento patrimoniale da attribuirsi ai condomini in ragione della loro quota di comproprietà (cioè dei loro millesimi), e dall'altra parte, che non si tratta certo di costi derivanti dall'uso o dalle necessità di conservare la funzionalità di un impianto (il cui deterioramento dipende, anch'esso, dall'utilizzazione).

Sempre con riferimento a quest'ultima ipotesi, tuttavia, va precisato che l'installazione può ben essere effettuata da una parte dei condomini, con conseguente ripartizione separata solo tra costoro (Cass. II, n. 20713/2017; Cass. II, n. 2696/1975), fatta sempre salva la possibilità di subentro successivo, a condizione che il subentrante partecipi ai costi secondo i dettami dell'art. 1121 c.c. (Cass. II, n. 1529/2000; Cass. II, n. 8746/1993; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Napoli 18 aprile 2001).

Ipotesi analoga è quella dell'impianto di ascensore installato con la finalità di ottenere un abbattimento delle barriere architettoniche (ai sensi della l. n. 13/1989), che può riguardare, alternativamente, una decisione dell'assemblea (a maggioranza agevolata ex art. 1120, comma 2, n. 2, c.c. e conseguente ripartizione tra tutti), o, in difetto, l'iniziativa autonoma del singolo, possibile stante le facoltà concesse sia dall'art. 1102 c.c. sia dalla predetta l. n. 13/1989, e comportante, ovviamente, l'addebito esclusivo di ogni costo (Cass. II, n. 24006/2004).

Pertanto, l'impianto di ascensore eseguito all'epoca della costruzione dell'edificio, o comunque in un momento precedente al sorgere della comunione (ovvero prima dell'alienazione delle singole unità immobiliari), è oggetto di proprietà comune presunta a norma dell'art. 1117 c.c. (in tal senso, si vedano gli artt. 1117, n. 3, e 1124, comma 1, c.c., come risultanti in seguito alla Riforma del 2013); laddove poi l'edificio condominiale sia fornito di più scale, e quindi di più ascensori, ciascuno dei quali serva in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, ogni ascensore può considerarsi comune non già alla totalità dei condomini, bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso sia funzionalmente e strutturalmente destinato (Scarpa 2005, 36).

La proprietà dell'ascensore realizzato, invece, successivamente alla costituzione del condominio, è regolata dalla disciplina delle innovazioni ex artt. 1120 e 1121 c.c. ed ha, quindi, titolo nell'apposita deliberazione assembleare di approvazione dell'opera e di ripartizione delle relative spese, in favore soltanto di coloro che abbiano voluto l'impianto e sopportato integralmente il suo costo: in pratica, l'ascensore che, pur essendo utilizzabile da tutti, sia stato però costruito a spese di uno soltanto dei condomini, rimane di proprietà esclusiva di questo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai suoi vantaggi, contribuendo ai relativi costi di costruzione e manutenzione (Visco - Terzago, 440).

Nel caso, invece, di ascensore installato successivamente alla costruzione dell'edificio, ma con il consenso di tutti i condomini, l'impianto si intende di proprietà comune fra tutti i partecipanti, in proporzione al valore della superficie di proprietà esclusiva (Cass. II, n. 20902/2010; Cass. II, n. 3264/2005; Cass. II, n. 3840/1995; Cass. II, n. 3314/1971).

Sostituzione

Con riferimento, invece, alla versione «riformata» dell'art. 1124 c.c., la l. n. 220/2012 ha cambiato il concetto di «ricostruzione» con quello di «sostituzione» – evidentemente riferibile più all'impianto di ascensore che alle scale – con intervento sia nel testo, sia nella rubrica dell'articolo.

La conseguenza è che il criterio di ripartizione previsto dall'art. 1124 c.c. viene ad essere applicato anche nell'ipotesi di «sostituzione integrale» dell'impianto di ascensore già esistente, ipotesi, questa, giuridicamente più complessa rispetto a quella della riparazione parziale, o dell'installazione/costruzione ex novo, e nel concreto, solitamente disposta a causa dell'antieconomicità delle continue riparazioni.

Considerata l'assenza, nella precedente giurisprudenza, di un chiaro orientamento sul punto in virtù del quale fissare un criterio definitivo di ripartizione – tra quello del comma 1 dell'art. 1123 c.c., a millesimi, e quello dell'art. 1124 c.c., in base all'uso – e stante che tale ipotesi si trova un po' a metà tra la manutenzione e l'installazione ex novo, risulta ben intellegibile la scelta del legislatore il quale ha ritenuto di adottare una ripartizione che certamente penalizza (e non poco) i proprietari dei piani più alti.

La prescrizione dell'applicazione (vincolante, ed inderogabile a maggioranza) del secondo criterio costituisce una chiara presa di posizione, certamente in grado di dare un contributo alla deflazione del contenzioso, anche se a costo della suddetta «penalizzazione», e con una certa forzatura, in quanto vengono ricomprese componenti di spesa che, pur facendo parte della sostituzione integrale, non dipendono certo dall'utilizzo dell'impianto e, quindi, dal suo logorio.

Pertanto, per l'espressa riformulazione operata dalla l. n. 220/2012, alle spese relative alla manutenzione o alla sostituzione dell'ascensore già esistente (su cui incide il logorio dell'impianto, proporzionale all'altezza dei piani) deve applicarsi il medesimo criterio di ripartizione delle spese relative alle scale; in tal modo, è stata estesa con la Riforma la disciplina dettata per una parte dell'edificio necessaria all'uso comune, come la scala (che serve irrinunciabilmente per accedere ai vari piani dell'edificio), ad un bene, come l'ascensore, che non è affatto altrettanto indispensabile all'uso dell'edificio.

Gli oneri dell'installazione ex novo dell'ascensore sono, per contro, da disciplinare alla stregua dell'art. 1123 c.c., ovvero secondo il criterio della proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino, utilizzabile per la ripartizione delle spese derivanti dalle innovazioni deliberate dalla maggioranza; dovrebbero, inoltre, assimilarsi all'installazione di un nuovo ascensore, quanto alle spese, gli interventi diretti ad aumentare considerevolmente la corsa dell'impianto già esistente, o a spostare il locale del macchinario.

Vale la pena ricordare che, in forza dell'art. 9 della l. 27 luglio 1978, n. 392, i costi correlati al funzionamento ed alla manutenzione ordinaria dell'ascensore sono addossati al conduttore: peraltro, l'amministratore del condominio ha facoltà di riscuotere pro quota, in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, i contributi e le spese necessarie per la manutenzione dell'ascensore, direttamente ed esclusivamente dai condomini, restando preclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari.

Partecipazione dei locali con accesso autonomo

Riguardo alla ripartizione dei costi per la manutenzione delle scale e dell'ascensore, si pone il problema della partecipazione dei locali aventi accesso autonomo (solitamente siti al piano terra); la problematica sorge in quanto i relativi titolari non devono utilizzare le scale per l'accesso ai locali medesimi (e ciò oggettivamente, cioè in maniera indipendente rispetto al loro comportamento).

Al riguardo, si è evidenziato che le scale non forniscono (sempre in maniera «oggettiva») utilità solo in quanto «accesso» alle proprietà esclusive, ma costituiscono anche il tramite affinché i condomini possano godere di altri beni comuni (si pensi alla fruizione del tetto, del lastrico solare, di altri locali comuni, ecc.); per di più, le scale sono utilizzate dagli incaricati del condominio al fine dell'effettuazione della manutenzione dei beni e degli impianti comuni allocati nel fabbricato.

In altri termini, le scale e l'ascensore forniscono un'utilità diretta, quando vengono utilizzate quale accesso alle proprietà esclusive, ed un'utilità indiretta, quando vengono utilizzare per la fruizione delle parti comuni (Ditta, 499).

Da tali considerazioni, discende l'affermazione giurisprudenziale in base alla quale i locali siti al piano terra, ed aventi accesso autonomo direttamente dalla strada, sono comunque tenuti a contribuire ai costi di manutenzione delle scale e ne possono essere esonerati solo nel caso in cui non abbiano nessuna relazione con gli altri beni comuni che compongono l'edificio (ovvero, generalmente, siano esclusi in base ad una «diversa convenzione»).

Per fornire un catalogo di tali pronunciamenti, assai utile relativamente a questa problematica, è possibile compendiarsi quanto segue:

– sussistendo una presunzione di condominialità dell'ascensore, riguardo alla ripartizione delle relative spese di manutenzione (ex art. 1124 c.c.), nulla vale la considerazione che i proprietari dei locali al piano terra non ne usufruiscano in concreto (Trib. Salerno 3 novembre 2009);

– essendo le scale, come i pianerottoli quali componenti essenziali di esse, elementi necessari alla configurazione di un edificio diviso per piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva e mezzo indispensabile per accedere al tetto o alla terrazza di copertura, anche al fine di provvedere alla loro conservazione, tali beni hanno natura di beni comuni ex art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari dei negozi con accesso dalla strada, essendo anch'essi interessati ad usufruire delle scale, e quindi dei pianerottoli, perché interessati alla conservazione (e manutenzione) della copertura dell'edificio della quale anch'essi godono (Cass. II, n. 15444/2007: nella specie, si era confermata la sentenza che aveva ritenuto nullo l'accordo avente ad oggetto la cessione del diritto reale d'uso del pianerottolo del quarto piano di un edificio e della sovrastante scala a chiocciola, in quanto privo del necessario consenso di tutti i condomini ed in particolare di quello dei proprietari dei negozi siti al piano terreno e con accesso alla strada; in senso conforme, più di recente, Cass. II, n. 9986/2017, secondo cui le scale e l'androne, essendo elementi strutturali necessari all'edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in assenza di titolo contrario, la qualità di parti comuni, come indicato nell'art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio, conseguendone l'applicabilità della tabella millesimale generale ai fini del computo dei quorum per la ripartizione delle spese dei lavori di manutenzione straordinaria, ed eventualmente ricostruzione, dell'androne e delle scale, cui anche detti condomini sono tenuti a concorrere, in rapporto ed in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne);

- stante l'identità di ratio delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale ex art. 1124 c.c. e delle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell'ascensore già esistente, deve affermarsi che, al pari delle scale, l'impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell'ascensore, in rapporto ed in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne (Cass. II, n. 22157/2018);

– il criterio stabilito dall'art. 1124 c.c. per la ripartizione delle spese relative alle scale comporta un contributo anche per i condomini proprietari di unità ubicate al piano terra (App. Milano 21 febbraio 2006);

– anche i proprietari di unità aventi accesso autonomo dalla strada debbono concorrere alle spese di manutenzione inerenti all'androne ed alle scale – nella specie, portone, moquette e passatoia dell'ingresso, nonché illuminazione dei servizi comuni – in quanto costituiscono elementi necessari per la configurazione stessa del fabbricato ed in quanto rappresentano strumenti indispensabili per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, cui tutti i condomini sono tenuti per la salvaguardia della proprietà individuale e per la sicurezza dei terzi (App. Milano 3 luglio 1992);

– non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole proprietà individuali, l'ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poiché occorre far riferimento non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialità del medesimo (App. Bologna 1 aprile 1989);

– l'ascensore è una parte comune anche per i proprietari delle unità condominiali site al piano terra poiché essi possono trarre utilità dall'impianto, che è idoneo a valorizzare l'intero immobile e normalmente permette di raggiungere più comodamente parti superiori che sono comuni a tutti (Trib. Milano 16 marzo 1989);

– con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve ritenersi valida ed operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive proprietà (Cass. II, n. 6499/1986);

– le scale e l'androne di un edificio sono oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c. anche dei proprietari dei locali terreni che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato diviso in piani e porzioni di piano di proprietà individuale e rappresentano, inoltre, tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, sicché tali proprietari rientrano tra gli obbligati al contributo per la sistemazione dell'androne (App. Milano 9 ottobre 1987);

– il proprietario di unità immobiliari site al piano terreno o aventi accesso separato mediante scala in proprietà esclusiva, è tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale o degli ascensori comuni, limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell'art. 1124 c.c., in ragione del valore del piano o della porzione di piano, mentre non è, invece, dovuta alcuna quota di quella parte di spese ripartite, in base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo (Trib. Monza 12 novembre 1985);

– ove nell'edificio condominiale siano compresi locali forniti di un accesso diverso dall'androne e dal vano scale, anche i proprietari di detti locali sono tenuti, in difetto di difformi clausole del regolamento di condominio, a concorrere alle spese di manutenzione (ed, eventualmente, di ricostruzione) dell'androne e delle scale, in rapporto e proporzione all'utilità che anche essi possono, in ipotesi, trarne quali condomini, e ciò sia avuto riguardo all'uso, ancorché ridotto, che possono fare dell'androne e delle scale per accedere, come è loro diritto, nei locali della portineria e al tetto o lastrico solare, sia avuto riguardo all'obbligo e alle connesse responsabilità che anch'essi hanno, quali condomini, di prevenire e rimuovere ogni possibile situazione di pericolo che possa derivare alla incolumità degli utenti dall'inefficiente manutenzione dei suddetti beni comuni (Cass. II, n. 2328/1977).

Tuttavia, di recente, sono riscontrabili in senso contrario pronunce di segno opposto, per cui:

– in ordine alla ripartizione delle spese di manutenzione delle scale e dell'androne, i proprietari dei locali con ingresso autonomo, presumendosi non abbiano ragione di usufruire delle dette parti condominiali per accedere al proprio box, sono esentati dal pagamento delle relative spese di manutenzione (App. Roma 13 giugno 2012);

– non è tenuto a contribuire alle spese per i lavori di rifacimento dell'ascensore il condomino proprietario di unità immobiliari adibite a negozi, con accesso diretto ed indipendente esclusivamente dall'esterno, prive di cantina e con nessuna possibilità di utilizzare l'androne e le scale comuni (Trib. Parma 10 maggio 2011: fattispecie nella quale è anche risultato che, per espressa previsione del regolamento condominiale, i suddetti locali non partecipavano alle spese di manutenzione ordinaria e/o straordinaria dell'impianto);

– è illegittima la deliberazione assembleare con la quale si disponga l'automatica estensione della tabella generale di proprietà anche per le spese del servizio di portineria, laddove in essa non si tenga opportunamente conto della diversa utilità che tale servizio fornisca ai condomini in conformità al criterio dell'utilità proporzionale emergente dall'art. 1123 c.c. (Trib. Roma 6 agosto 2009: nella fattispecie, l'unità immobiliare della ricorrente, avendo l'ingresso principale da altro civico e solo un'uscita di sicurezza in corrispondenza dell'androne con il portiere, avrebbe ricevuto un'utilità residuale con evidente sproporzione degli oneri posti a suo carico dal condominio);

– in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione delle parti comuni dell'edificio, l'applicazione del principio della prevalenza della funzionalità diretta rispetto a quello della proprietà, impone di considerare come validamente e legittimamente formata la tabella millesimale, la quale escluda dalla contribuzione per le spese di manutenzione dell'androne delle scale i proprietari dei locali aventi accesso autonomo alla pubblica strada, laddove la marginale e del tutto episodica fruizione delle scale vale a giustificare appieno l'esclusione contributiva (App. Napoli 3 gennaio 2008).

Dunque, dal fondamento delle spese di pulizia delle scale, se attinente all'uso o alla conservazione della parte comune, dipende pure la risposta al quesito circa l'obbligo di contribuzione gravante sui c.d. condomini esterni (ovvero sui proprietari di negozi, laboratori, garage), che di regola non utilizzano le scale (Terzago, 351; De Tilla 2008, 27).

Sussistendo una presunzione di condominialità dell'ascensore, le spese di manutenzione dello stesso, sia ordinarie che straordinarie, da ripartire tra tutti i condomini con il criterio della proporzionalità dettato dagli artt. 1123 e 1124 c.c., prescindono dalla considerazione che i proprietari dei locali al piano terra non ne usufruiscano in concreto; anche i proprietari di unità aventi accesso autonomo dalla strada devono, infatti, concorrere alle spese generali inerenti impianti e servizi condominiali, purché si tratti di utilità costituenti elementi necessari per la configurazione stessa del fabbricato, ovvero strumenti indispensabili per il godimento e la conservazione delle strutture, cui tutti i condomini siano tenuti per la salvaguardia della proprietà individuale e per la sicurezza dei terzi.

Il problema è comune, ovviamente, a quello delle scale: alcuni ritengono, infatti, che il proprietario del pianterreno non debba concorrere alle spese relative alle stesse, riferendosi, del resto, l'art. 1124 c.c. ai soli proprietari dei piani «a cui servono» (Branca, 491).

Non si traduce, altrettanto, in motivo di esonero del singolo condomino dalla spesa per l'ascensore la circostanza che il rispettivo appartamento sia rimasto per lungo tempo disabitato (Visco, 402), atteso che il prolungato mancato uso dell'impianto da parte di un condomino non determina affatto una concreta riduzione proporzionale delle spese di esercizio, e che l'art. 1118, comma 2, c.c., smentisce che il singolo partecipante sia titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni.

Utilizzo modificativo del singolo

Per esigenze di completezza, seppur piuttosto «trasversale», anche in tema di spese è opportuno il richiamo al disposto dell'art. 1102 c.c. che disciplina l'uso della cosa comune, vale a dire dei beni e degli impianti contenuti nell'art. 1117 c.c. e che si presumono (iuris tantum) condominiali.

Dalla complessiva regolamentazione della fattispecie, non solo dall'art. 1102 c.c., ma anche, per esempio, dall'art. 1138 c.c., emergono – con riferimento all'utilizzazione delle «parti comuni» – i seguenti steps normativi (Salciarini, in Celeste-Salciarini, 78).

– i beni e gli impianti comuni, individuati in applicazione del meccanismo previsto dall'art. 1117 c.c., possono e devono essere utilizzati dai condomini;

– le relative regole sono poste principalmente dall'art. 1102 c.c. (applicabile in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c.), ma possono essere previste anche dal regolamento condominiale;

– un regolamento condominiale di natura contrattuale può limitare e/o escludere le facoltà di godimento dei beni/impianti comuni spettanti ai singoli condomini;

– il godimento delle cose comuni è del tutto indipendente dalla quota millesimale di comproprietà su di esse;

– nell'utilizzazione della cosa, l'art. 1102 c.c. pone il divieto di alterazione della relativa destinazione oggettiva e strutturale;

– per destinazione strutturale, si intende l'utilità fornita oggettivamente dalla cosa, anche secondo quanto concretamente attuato nel tempo dai condomini;

– in tale ottica, è comunque consentito un «uso particolare» della cosa, intendendo una modalità diversa da quella generalmente attuata, fatto salvo il predetto rispetto della destinazione oggettiva e strutturale;

– sempre per l'art. 1102 c.c., il godimento deve essere attuato in maniera «paritaria», senza pregiudicare gli eguali diritti degli altri partecipante, non escludendo, però, la possibilità di consentire al singolo partecipante modalità più intense di utilizzazione;

– secondo l'impostazione prevista dalla disciplina condominiale, uso «paritario» non vuol dire uso «identico»;

– l'assemblea può stabilire specifiche modalità di godimento, quali l'uso promiscuo, o quello frazionato (nel tempo o nello spazio: turnario, a rotazione, ecc.);

– è consentito fare un «uso indiretto» dei beni/impianti condominiali (per es., concederli a terzi in locazione), nel solo caso in cui, tuttavia, non ne sia possibile un uso diretto da parte di tutti i condomini.

Quanto sopra in via generale, per quanto riguarda le «scale», l'applicazione dei predetti principi porta ad affermare che le medesime, avendo la funzione di consentire l'accesso alle proprietà esclusive, nonché, in via accessoria, il trasporto dei materiali, e dovendosi presumere comuni ex art. 1117 c.c., con tutti i relativi elementi costitutivi ed accessori (gradini, ringhiere, parapetti, struttura portante, piani di collegamento, pianerottoli, ecc.), sono liberamente utilizzabili da tutti, per l'intera loro estensione (e il fatto che le parti destinate a raggiungere i piani superiori non siano normalmente usate dai condomini del piano inferiore non può assumere alcun significato per escludere la proprietà comune dell'intera unitaria struttura: v. Cass. II, n. 441/2013).

Il relativo godimento, pertanto, va attuato secondo i parametri dell'art. 1102 c.c. e, in considerazione della loro particolare struttura e delle possibili modalità di fruizione, deve anche essere evitato l'aggravamento del c.d. «rischio generico» connesso al loro utilizzo (Cass. II, n. 3376/1988).

Considerando l'àmbito della ripartizione delle relative spese, si mostra rilevante la seconda parte del comma 1 dell'art. 1102 c.c. che, richiamando l'attribuzione della «facoltà» di godimento delle parti comuni («a tal fine») avvenuta nella prima, precisa che il singolo condomino «può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa».

Da ciò deriva che esiste (o può esistere) tutta una serie di interventi (rectius, opere, modificazioni) che, da una parte, costituiscono «migliorie» delle scale (o dell'ascensore), e dall'altra, sono effettuate a tutta cura e spese del singolo interessato, a condizione, ovviamente, che vengano rispettate le «condizioni» poste dalla norma, ossia il rispetto della destinazione e del c.d. pari uso spettante agli altri partecipanti.

Secondo quelle che sono le modalità di esplicazione di tale facoltà di uso spettante ai singoli riconosciute dalla giurisprudenza, il singolo condomino può, ad esempio, realizzare un secondo ingresso, una controporta, oppure collocare sulla parete elementi decorativi (Cass. II, n. 1076/2005; Cass. II, n. 843/1981); installare un servoscala (Trib. Torre Annunziata 5 maggio 2000); collocare davanti alle porte di ingresso alla sua proprietà esclusiva zerbini, tappeti e piante o altri oggetti ornamentali, con usuale vantaggio igienico-estetico per le stesse parti comuni dell'edificio (Cass. II, n. 3376/1988).

Come detto, si tratta di «operazioni» effettuate dal singolo, prive di qualsiasi preventivo passaggio assembleare (cioè, di deliberazione autorizzativa) e che rimangono a suo totale carico economico (Cass. II, n. 3508/1999; Cass. II, n. 1781/1993).

Possibilità derogatorie

L'analisi del disposto dell'art. 1124 c.c. (nonché dei successivi artt. 1125 e 1126 c.c.) che costituisce regolamentazione specifica di una particolare fattispecie di «costi» (quelli per le scale e per l'impianto di ascensore) deve necessariamente presupporre un sintetico compendio dell'intero «sistema» di regolamentazione delle spese.

Va tenuto ben presente anche in questa sede che, nel conformare la disciplina sul condominio, il legislatore ha, a volte, attribuito ai condomini (rectius, all'assemblea) un certo margine discrezionale, altre volte ha di molto limitato il loro margine di operatività; questa seconda impostazione è adottata in tema di ripartizione dei costi di amministrazione/conservazione dell'edificio, le cui regole incidono sensibilmente sulle prerogative dei privati, prevedendo un «meccanismo complesso» che si sovrappone alla loro volontà e che può essere derogato solo all'unanimità dei consensi degli aventi diritto.

In tema di ripartizione, l'art. 1123 c.c. contiene i c.d. «criteri generali» di distribuzione dei costi tra i condomini, espressi in termini generali ed astratti, perciò in grado di regolamentare qualsiasi ipotesi di spesa; gli artt. 1124,1125 e 1126 c.c. contengono, invece, i criteri (sempre vincolanti) per la regolamentazione di tre specifiche ripartizione di spesa; in ogni caso, le spese di gestione/conservazione devono essere ripartite in base alle quote millesimali corrispondenti alla proprietà, oppure in base all'utilità fruita dalle unità immobiliari che compongono l'edificio.

Costituisce principio acquisito in giurisprudenza che eventuali deroghe a tale «sistema» non possono essere approvate con una deliberazione assembleare «a maggioranza» (nemmeno se «qualificata»), ma occorre la totalità dei consensi dei partecipanti, come nel caso dell'adozione della distribuzione «capitaria», ossia per quote identiche (Cass. II, n. 1511/1997; Cass. II, n. 1455/1995; Cass. II, n. 1213/1993; Cass. II, n. 12281/1992; Cass. II, n. 13160/1991; Cass. II, n. 5081/1990; tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Bari, 16 ottobre 2007; Trib. Monza 26 marzo 2001; Trib. Genova 8 maggio 1992; Trib. Massa 19 ottobre 1982; App. Napoli 13 maggio 1965), o come nel caso di maggiorazione e/o riduzione di spesa, anche queste decisioni assembleari valide solo se assentite da tutti i condomini (Cass. II, n. 22824/2013; Cass. II, n. 6714/2010; Cass. II, n. 3944/2002; Cass. II, n. 2301/2001; Cass. II, n. 1033/2000; Cass. II, n. 126/2000).

Si recente, si è puntualizzato (Cass. II, n. 20888/2023) che è nulla la deliberazione dell'assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell'impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall'art. 1124 c.c. - il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all'altezza dei piani - richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell'ascensore il criterio di riparto in base all'uso differenziato previsto dal secondo comma dell'art. 1123 c.c.

In quest'ordine di concetti, poi precluso all'assemblea di deliberare a maggioranza l'adozione di un onere di contribuzione delle spese di gestione dell'impianto di ascensore maggiore a carico di alcuni soltanto dei condomini, sul presupposto della loro più intensa utilizzazione del bene comune, ove si tratti, ad esempio, di porzione adibita ad ufficio, o studio professionale, o luogo di contatti diretti con la propria clientela commerciale, in quanto la modifica dei criteri legali di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, mentre la suddivisione in base all'uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, come previsto dal comma 2 dell'art. 1123 c.c., non torna mai applicabile alle spese generali (Trib. Salerno 9 aprile 2010).

La regolamentazione posta dall'art. 1124 c.c. è, dunque, suscettibile di deroga con patto negoziale intervenuto tra i condomini (De Tilla 1989, 1140; Meo 2002, 1047).

In questa prospettiva, il regolamento condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia perciò vincolante per tutti i partecipanti, può, ad esempio, esonerare una determinata categoria di condomini dal pagamento delle spese di manutenzione dell'ascensore, oppure farvi concorrere tutti i condomini, inclusi quelli che non usufruiscono del relativo servizio, in base ai millesimi delle rispettive proprietà (Cass. II, n. 28679/2011; Cass. II, n. 6499/1986; Cass. II, n. 4646/1981; più di recente, v. Cass. II, n. 14697/2015, secondo cui tutti i condomini devono partecipare alla deliberazione che concerne la sostituzione dell'impianto di ascensore, trattandosi di bene di cui si presume, agli effetti dell'art. 1117, n. 3, c.c., la proprietà comune in assenza di una diversa previsione contrattuale idonea a superare tale presunzione, quale, nella specie, la clausola del regolamento condominiale integralmente esonerativa di alcuni partecipanti dall'onere di contribuire alle relative spese).

Bibliografia

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