Codice Civile art. 1125 - Manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai.

Alberto Celeste

Manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai.

[I]. Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Inquadramento

A norma dell'art. 1125 c.c., le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai devono ripartirsi in parti eguali tra i proprietari dei due piani sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento mentre a carico del proprietario del piano inferiore restano l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Si reputa comune il solaio che divide due unità abitative sovrastanti e costituisce, così, l'inscindibile struttura divisoria tra le due strutture immobiliari, con pari utilità ed uso eguale ed inseparabile per entrambe: per questo, la manutenzione e ricostruzione di ogni sua parte – ad esempio, le travi che ne costituiscono la struttura portante –compete in proporzioni eguali ai due proprietari.

Il confine fra i due appartamenti sovrapposti è costituito non dalla linea mediana del solaio, ma dall'intera struttura di cui esso consta: ne consegue che la sostituzione del solaio non può essere effettuata in modo da restringere o limitare la cubatura delle porzioni di proprietà esclusiva, ove ciò non sia indispensabile o manchi il consenso dei rispettivi proprietari.

L'applicazione analogica dell'art. 1125 c.c. viene, da alcuni, propugnata per ripartire le spese di manutenzione del solaio di copertura delle autorimesse, o di altri locali interrati di proprietà singola, ove tale solaio svolga la funzione di cortile, su cui siano consentiti il transito o la sosta degli autoveicoli, a ciò imputandosi il degrado della pavimentazione.

Relativamente, poi, alle spese di restauro dei balconi aggettanti di un edificio condominiale – ossia di quelli sporgenti dalla facciata – si sta affermando il principio secondo cui il criterio di riparto non va desunto dall'art. 1125 c.c., essendo questi beni autonomi, dal punto di vista strutturale, rispetto ai piani sovrapposti, nel senso che possono sussistere indipendentemente dalla presenza o assenza di altro balcone nel piano sottostante o sovrastante; si spiega, in proposito, che i balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non svolgono alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell'edificio – come, invece, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo del fabbricato – non costituiscono parti comuni dell'edificio e perciò appartengono ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti.

Diverso discorso deve farsi per quanto concerne i fregi ornamentali e gli elementi decorativi inerenti ai balconi – rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, frontalini, pilastrini, ecc. – che sono condominiali se, inserendosi nel prospetto dell'edificio e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole, adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dello stesso, e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti.

Dunque, richiamando quanto già illustrato sul «sistema» di ripartizione delle spese in condominio previsto dal codice civile, che prevede una serie di parametri generali nell'art. 1123 c.c., e un gruppo di ripartizioni «speciali» negli articoli seguenti (artt. 1124, 1125 e 1126), può analizzarsi il disposto dell'art. 1125 c.c. che (all'interno di detto ultimo insieme) si occupa di regolamentare la distribuzione tra i condomini dei costi occorrenti per la manutenzione dei soffitti, delle volte e dei solai.

Anche in questo caso, si tratta di «parametri legali» che sono previsti con valore vincolante per i condomini e che possono essere derogati solo attraverso una «diversa convenzione» (art. 1123 c.c.) avente valore contrattuale (vale a dire, sottoscritta da tutti gli aventi diritto, come qualsiasi contratto).

In sintesi, la norma: a) ha ad oggetto le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai; b) di tali spese regolamenta la ripartizione tra i proprietari contrapposti (il titolare dell'unità immobiliare posta al di sopra del solaio, e il titolare di quella posta al di sotto); c) esclude da tale regolamentazione le spese che non fanno parte della struttura portante del solaio e che quindi sono riferibili, in buona sostanza, agli accessori del solaio; d) attribuisce tali ultimi costi (accessori) alla porzione immobiliare che ne fruisce,

In termini ancora più sintetici, può dirsi che la norma prevede che tali spese siano sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani sovrapposti, restando a carico rispettivamente dell'uno o dell'altro quelli relativi agli elementi non strutturali.

A ben vedere, l'art. 1125 c.c. pone una presunzione di pari uso e pari utilità di soffitti, volte e solai, stabilendo che le spese per la manutenzione e la ricostruzione si ripartiscono, in via generale, in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti

Secondo un'ottica che ha come unico riferimento il diritto di condominio, occorre subito evidenziare che la fattispecie regolata dalla norma non riguarda direttamente tale «ente di gestione», se non indirettamente nella misura in cui interessi i due proprietari esclusivi «frontisti» (che fanno parte dell'edificio); quindi, l'interesse che viene considerato non può certo dirsi comune (se con questo termine si intende ciò che riguarda tutti i condomini) ed attiene alle separate sfere giuridiche di due soggetti distinti.

In quest'ottica, si è giustamente sottolineato (Cass. II, n. 1225/2003) che nel giudizio instaurato, ai sensi dell'art. 1225 c.c., per la divisione delle spese di manutenzione o ricostruzione del solaio divisorio comune, dal proprietario del piano sovrastante nei confronti del proprietario di quello inferiore o viceversa, non sussiste la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di altri soggetti e, specificamente, del condominio, in quanto il rapporto dedotto in giudizio è afferente solo alla titolarità del diritto di proprietà dei piani divisi dal solaio.

A ben vedere, pertanto, la gestione delle attività riguardanti i «soffitti», le «volte» e i «solai», ed ancor di più la ripartizione dei relativi costi non rientra nell'amministrazione dello stabile e, di conseguenza, attiene a suddetti singoli soggetti e non all'amministratore.

La dottrina ha sottolineato che il solaio interpiano non può qualificarsi quale «cosa comune» a tutti i proprietari esclusivi, ma, esprimendo utilità ad esclusivo beneficio dei due proprietari delle unità separate, è comune soltanto a costoro; sulla problematica se il diritto sul bene, spettante ai due proprietari, rientri nell'àmbito della comunione o del condominio (parziale) negli edifici, si è risposto che ciò che più distingue le due fattispecie è il fatto che nella comunione la «cosa» possiede una propria utilità finale, mentre nel condominio l'utilità è funzionale (al godimento della proprietà esclusiva); considerato, quindi, che l'utilità del solaio è strumentale – e che beneficiari di tale utilità non sono tutti i proprietari esclusivi ma soltanto due di essi – occorre concludere che la fattispecie considerata rientra nell'ipotesi del condominio parziale, fattispecie, questa, che si fonda, sostanzialmente, sul comma 3 dell'art. 1123 c.c. (Marostica, 27).

Criterio legale di riparto

Anche nel caso dei soffitti, delle volte e dei solai, il legislatore ha ritenuto di introdurre un criterio legale di ripartizione delle relative spese di manutenzione con valore vincolante per i condomini (le considerazioni già svolte per l'art. 1124 c.c. – al cui commento si rinvia – conservano, qui, tutta la loro validità).

Basti solo ricordare che l'analisi della norma (o meglio, del complesso delle norme regolanti la ripartizione delle spese in condominio) rivela, con una certa chiarezza, che l'intenzione del legislatore è stata quella di disciplinare alcune fattispecie particolari, valutate, evidentemente, di una certa rilevanza (su altre demandate alla regolamentazione dei principi generali).

La scelta operata su talune fattispecie, tuttavia, si rivela, oggi, forse non più attuale, e la norma in questione (art. 1125 c.c.), è probabilmente quella che più di altre dimostra un certo anacronismo (Salciarini, in Celeste - Salciarini, 101).

Sul punto, però, possono svolgersi due considerazioni.

Da una parte, l'invecchiamento delle norme è un fenomeno del tutto normale: esse, infatti, risentono del contingente momento storico e sociale nel quale vengono redatte, con la conseguenza che gli inevitabili mutamenti temporali ne possono ridurre la loro validità.

Da un'altra parte, non può tacersi che, nel momento di redazione dell'art. 1125 c.c., la conflittualità inerente al solaio, ai soffitti e alle volte, era, di gran lunga, più consistente di quella attuale: una semplice indagine sui repertori di giurisprudenza può facilmente comprovarlo; da ciò ne consegue che la scelta operata dal legislatore del 1942 di dedicare un autonomo articolo alla disciplina delle spese di manutenzione del solaio era perfettamente accordata con la situazione del tempo.

Premesso ciò, va ricordato che, in forza del disposto dell'art. 1125 c.c., le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute «in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti», aggiungendo che restano a carico del proprietario del piano superiore le spese per la copertura del pavimento mentre sono di competenza del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Il criterio legale, posto dal legislatore per tale tipo di spese, si rivela quindi di chiara interpretazione.

La norma suddivide le spese necessarie per la manutenzione di tale tipo di bene in tre distinte categorie: a) le spese che spettano – in parti uguali tra loro – ai proprietari dei due piani sovrapposti; b) le spese che spettano – interamente – al proprietario del piano superiore; c) le spese che spettano – interamente – al proprietario del piano inferiore.

In queste tre distinte categorie, poi, la norma colloca specifiche tipologie di spese; come segue: 1) spettanti, in parti uguali, ai proprietari dei due piani sovrapposti: spese relative alla struttura del solaio; 2) spettanti, interamente, al proprietario del piano superiore: spese per il pavimento (o meglio, per qualsiasi accessorio costruttivo posto superiormente alla struttura del solaio); 3) spettanti, interamente, al proprietario del piano inferiore: spese per l'intonaco, per la tinta e per la decorazione del soffitto (o meglio, per qualsiasi accessorio costruttivo posto inferiormente alla struttura del solaio).

Ratio della norma

L'art. 1125 c.c., nel porre il criterio di ripartizione delle spese di manutenzione del solaio (dei soffitti, e delle volte), presuppone una ben determinata identificazione del bene: la norma, infatti, si riferisce a tutti quei manufatti che abbiano lo scopo di dividere due piani sovrapposti.

Com'è facile evincere da un'analisi testuale, le caratteristiche costruttive dei manufatti di separazione tra piani sono indifferenti; il testo dell'articolo, infatti, utilizza i termini di «solaio», «soffitto» e di «volta» con valore di sinonimi equivalenti: ciò che rileva è che il manufatto abbia la suddetta funzione di separazione dei piani.

A maggiore specificazione, si è ulteriormente osservato che la funzione di separazione dei due piani sovrapposti fornisce due distinte utilità: a) da una parte, il solaio funge da sostegno del piano superiore; b) dall'altra parte, il solaio funge da copertura del piano inferiore (Rezzonico, 205).

Alla luce di quanto sopra, può affermarsi che l'art. 1125 c.c. si riferisce – esclusivamente – a quegli elementi i quali, inscindibilmente tra loro, facciano parte della struttura e, quindi, concorrano ad esercitare la suddetta funzione di separazione (ed anche, di sostegno e di copertura).

Ne deriva, di conseguenza, che sono escluse dalla ripartizione legale le spese inerenti agli elementi accessori (come, tra l'altro, la norma testualmente indica).

Accertato il presupposto della norma, facilmente può giungersi ad individuare la ratio giustificativa della stessa, la quale risiede nel distribuire le spese di manutenzione in maniera corrispondente alla funzione esercitata dal bene (utilitas), e, quindi, coinvolgendo i soggetti che delle suddette utilità fruiscono (tra l'altro, facendo corrispondere anche la quantità di utilità alla quota di ripartizione delle spese).

In questo modo, si spiega la prescrizione della (vincolante) ripartizione in parti uguali tra i proprietari delle porzioni di piano «separate» dal solaio delle relative spese di manutenzione.

Di tale impostazione è testimone la (sia pur remota) decisione dei magistrati del Palazzaccio (Cass. II, n. 1319/1969), ad avviso della quale l'art. 1125 c.c., nel disporre che restano a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento (mattonelle e impiantito) ed a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto, ha inteso comprendere, nella nozione di volte, solai e soffitti, tutto il complesso di opere stabilmente unite che servono a dividere orizzontalmente le due proprietà.

Proprietà del solaio

Il solaio – o meglio, qualsiasi struttura destinata alla separazione di due piani sovrapposti – si presume comune ai proprietari di tali due piani.

La comproprietà si fonda sull'identità di funzione che il bene esplica a favore delle porzioni di piano separate, e comporta le seguenti specificazioni: a) essendo la funzione identica, nonchè svolgentesi secondo la medesima quantità di utilità, le quote di comproprietà si intendono paritarie; b) in conseguenza di ciò, anche la ripartizione delle spese avviene in identica misura (in applicazione implicita del criterio di ripartizione basato sulla proprietà, di cui al comma 1 dell'art. 1123 c.c.); c) tale presunzione di comproprietà, può essere superata – in applicazione della regola generale – da un «titolo contrario» che diversamente assegni la titolarità del bene.

Un siffatto titolo potrebbe, in via astratta, attribuire l'intera proprietà ad uno dei due proprietari contrapposti, stabilire una diversa quantità delle quote di comproprietà, o, addirittura, assegnare la proprietà della struttura di separazione tra i due piani ad un soggetto diverso dai relativi titolari (De Tilla 1991, 731).

L'affermazione dell'esistenza di tale presunzione (e della conseguente comproprietà) è costante e pacifica in giurisprudenza: si afferma, infatti, che il solaio che divide due unità abitative l'una all'altra sovrastante, ed appartenenti a diversi proprietari deve ritenersi, salva prova contraria, di proprietà comune, costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due strutture immobiliari, con utilità ed uso eguale ed inseparabile per le medesime (Cass. II, n. 13606/2000).

Dal punto di vista di diritto, può affermarsi che si verifica un'ipotesi di «comunione ordinaria» avente ad oggetto la struttura di separazione tra i due piani, vale a dire una situazione giuridica nella quale, all'interno della (maggiore) fattispecie condominiale, si riscontra l'esistenza di un bene posto in relazione – invece che con tutti i partecipanti al condominio – esclusivamente con i soggetti «interessati» (o meglio, con le porzioni immobiliari interessate) all'utilità fornita dalla cosa.

La conseguenza in termini giuridici (ma, anche, in termini operativi) è che non solo la ripartizione delle spese di manutenzione va fatta esclusivamente tra i suddetti soggetti, ma anche che qualsiasi decisione in ordine alla gestione del bene riguarda (e deve riguardare) solo i due titolari, e non gli altri condomini.

Le norme di riferimento sono, quindi, costituite dagli articoli del codice civile che regolano la gestione della cosa comune, e segnatamente gli artt. 1104,1105 e 1118 c.c.

È interessante notare come la comproprietà del solaio investe il bene nella sua interezza, senza che sia possibile tracciare una linea ideale di confine tra due proprietà contrapposte (e separate); d'altronde, un tale effetto è conseguenza normale della situazione di comproprietà pro indiviso, nella quale ogni singola quota (parziale in astratto) attribuisce al titolare diritti e facoltà sull'intero bene.

A ben guardare, in tale fattispecie, si riscontra la presenza e la contiguità di ben tre diversi beni/titolarità, ovvero: 1) nella parte superiore: piano sovrastante, in proprietà esclusiva al suo relativo titolare; 2) nella parte inferiore: piano sottostante, in proprietà esclusiva al suo relativo titolare; 3) nella parte mediana: struttura di separazione (solaio), in comproprietà pro indiviso e per quote uguali, ai relativi comproprietari.

In quest'ordine di concetti, gli ermellini (Cass. II, n. 3178/1991) hanno affermato espressamente l'inesistenza di un confine intermedio: invero, il solaio che separa il piano sottostante da quello sovrastante di un edificio, appartenenti a diversi proprietari, deve ritenersi, salvo prova del contrario, di proprietà comune dei proprietari dei due piani costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due proprietà con utilità ed uso uguale e inseparabile per le medesime e correlativa inutilità per gli altri condomini; ne consegue che il confine tra le due proprietà esclusive sovrapposte è costituito non dalla linea mediana del solaio ma dall'intera struttura di cui esso consta.

Sul punto, infine, vale la pena di precisare che il rapporto di comproprietà può riguardare anche l'intero condominio qualora il solaio si trovi a dividere un piano in proprietà esclusiva ed un piano di proprietà comune (ad esempio, l'alloggio del portiere), e che, nel caso in cui il proprietario di uno dei due piani contrapposti si trovi ad essere anche comproprietario dell'altra porzione di piano, costui dovrà partecipare in tale duplice veste alla contribuzione alle spese (Pret. Monza 29 luglio 1992).

Identificazione del solaio

Al fine di effettuare una valida ripartizione delle spese di manutenzione occorre, altresì, che la struttura di separazione tra le due porzioni di piano sovrapposte (vale a dire, il solaio, ecc.) sia esattamente individuata; di converso, occorre anche che, dalla nozione di solaio, siano esclusi quei manufatti che, seppur simili, non possano essere a questo assimilati.

A tale proposito, non va dimenticato che le analogie tra le diverse situazioni di fatto vanno considerate esclusivamente dal punto di vista giuridico, e non fisico/materiale o architettonico: nell'edificio in condominio, infatti, accade sovente che beni con caratteristiche architettoniche quasi identiche subiscano un differente trattamento giuridico.

La circostanza si spiega con il fatto che il diritto valuta aspetti diversi (e, a volte, anche opposti) da quelli considerati dalle altre discipline (si pensi ai diritti/doveri collegati esclusivamente alla persona del titolare, e non alla natura o qualità del bene); da ciò deriva la necessità, per l'interprete e l'operatore, di tener sempre presente il precipuo punto di vista giuridico e le conseguenze che da esso derivano.

Detto ciò, occorre a questo punto ben individuare quali sono le fattispecie contemplate dall'art. 1125 c.c., e quali, invece, quelle alle quali non si applica la relativa disciplina.

In primo luogo, la ripartizione prevista dall'art. 1125 c.c. si applica alla struttura di separazione tra due porzioni di piano sovrapposte, intendendosi, in particolare, tutti quegli elementi costruttivi che, inscindibilmente fusi tra loro, la compongono (De Tilla 1999, 593; Maglia, 88).

Come abbiamo visto, la Suprema Corte (Cass. II, n. 1319/1969, cit.) ha descritto con efficacia la natura e qualità di tale bene, nel senso che l'art. 1125 c.c., nel disporre che restano a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento (si pensi alle mattonelle) ed a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto, ha inteso comprendere nella nozione di volte, solai e soffitti tutto il complesso di opere stabilmente unite che servono a dividere orizzontalmente le due proprietà.

La struttura di separazione considerata dalla norma, inoltre, è quella che è «compresa» da due piani sovrapposti: in altri termini, perché sia ravvisabile un «solaio», occorre che, al di sopra e al di sotto, di esso esistano due porzioni di piano.

A diversi esiti si perviene in riferimento al solaio dell'ultimo piano dell'edificio qualora, sovrastante ad esso, non vi sia una porzione di piano, bensì il lastrico solare.

Il solaio del lastrico solare, infatti, non svolge la funzione di separazione di due piani contrapposti, ritenuta – come già detto – presupposto necessaria per l'applicazione della ripartizione prevista dall'art. 1125 c.c.

Tale impostazione è, con chiari accenti, ribadita dalla Suprema Corte (Cass. II, n. 1694/1959), secondo la quale la disposizione dell'art. 1125 c.c., secondo la quale la spesa per la manutenzione e ricostruzione dei solai è sostenuta in parti uguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastante, riguarda soltanto i solai che si trovano fra un piano e l'altro dell'edificio e non può quindi, trovare applicazione nei riguardi dei lastrici solari, poichè questi ultimi non costituiscono dei piani.

Identico ragionamento può essere fatto per il solaio posto tra una porzione di piano esclusiva (sottostante) e una (sovrastante) terrazza a livello; la mancanza di due piani sovrapposti, nonchè la funzione di copertura della terrazza a livello, escludono che a tale fattispecie sia applicabile l'art. 1125 c.c.

In altri termini, l'orizzontale struttura architettonica di separazione tra una terrazza a livello ed una sottostante porzione di piano in proprietà esclusiva non può essere assimilata al solaio divisorio.

In tal senso, si sono espressi i giudici di legittimità (Cass. II, n. 11029/2003), a parere dei quali le spese di manutenzione e di riparazione del lastrico solare di un edificio, cui va assimilata la terrazza a livello, devono essere sopportate a norma dell'art. 1126 c.c., in ragione di un terzo dal condomino che ne abbia l'uso esclusivo e per i restanti due terzi a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve di copertura; diversamente, l'art. 1125 c.c. – che prevede la ripartizione in parti uguali delle spese tra i proprietari dei piani l'uno all'altro sovrastanti – è applicabile solo alla manutenzione dei solai e delle volte e non della terrazza a livello, pure se ad essa sia sottoposto un solo locale, non venendo meno la funzione di copertura della terrazza medesima.

Sono parimenti esclusi dall'applicazione dell'art. 1125 c.c., il solaio del piano terra, posto alla base di tale porzione di piano, nonché a livello del piano di campagna dove poggia l'intero edificio, e, inoltre, il solaio di locali interrati, i quali locali sono situati al di sotto della superficie di un'area scoperta.

Può affermarsi che le ragioni di tale esclusione rispettivamente consistano: a) per il solaio del piano terra, nel fatto che lo stesso non abbia la funzione di separazione tra due diverse proprietà, ma faccia parte integrante e sostanziale dell'unità esclusiva; b) per il solaio di locali interrati, nel fatto che il medesimo svolga la sola funzione di copertura per detti locali (e non di separazione degli stessi da un piano sovrastante, che, stante l'area scoperta superiore, non esiste).

La giurisprudenza ha avuto modo di confermare tale impostazione: negli edifici in condominio, a differenza del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in proprietà comune ai due rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in proprietà esclusiva al proprietario del piano, alla stessa stregua del pavimento (Cass. II, n. 3642/1993); la manutenzione e la riparazione del solaio di copertura di un locale interrato costituendone parte integrante compete unicamente, salvo diversa pattuizione, al suo proprietario, anche se l'area soprastante appartenente ad altro soggetto riceva da tale copertura un qualche vantaggio o utilità (Cass. II, n. 1477/1999).

Diverso, invece, ove si debba procedere alla riparazione del locale a piano terra di proprietà esclusiva di un singolo condomino che funga anche da copertura per i vani scantinati sotterranei di proprietà condominiale, perché in questo caso le spese relative alla manutenzione della parte della struttura costituita dal pavimento del piano superiore sono a carico del proprietario esclusivo del locale ex art. 1125 c.c. e, pertanto, non rientrano tra le attribuzioni dell'assemblea condominiale, competente a deliberare sugli interventi relativi alle sole parti comuni del fabbricato condominiale (Cass. II, n. 16760/2024, la quale ha ritenuto, quindi, nulla la delibera assembleare che avesse ad oggetto il riparto inerente a manutenzione straordinaria, riparazioni o ricostruzione delle parti di proprietà esclusiva).

Una peculiare fattispecie è stata, di recente, decisa dagli ermellini (Cass. VI/II, n. 21340/2017): si trattava di una controversia fra due aventi causa dall'unico originario proprietario di un complesso immobiliare, poi suddiviso in due distinti condominii, laddove si è affermato che la proprietà della terrazza a livello, svolgente funzione di copertura dei sottostanti piani di uno dei due edifici ed attigua ad un'unità immobiliare ricompresa nell'altro edificio condominiale, è da ritenersi oggetto di proprietà comune dei proprietari delle unità immobiliari da essa coperte, a norma dell'art. 1117, n. 1), c.c., quale parte necessaria all'esistenza del fabbricato, salvo che non risulti dal titolo l'espressa disposizione o destinazione della proprietà superficiaria della terrazza in favore del proprietario del contiguo appartamento estraneo al condominio.

Balconi

Le condizioni di operatività del disposto dell'art. 1125 c.c. sono state ritenute sussistenti anche se le due porzioni di piano sovrapposte siano costituite dalla superficie/area di due balconi sovrapposti: anche in questo caso – a ben vedere – sono ravvisabili due proprietà distinte, anche se costituite dal mero «prolungamento» dei locali interni.

Il principio è pacifico, e può confrontarsi nelle decisioni che seguono.

La presunzione assoluta di comunione (ex art. 1125 c. c.) del solaio divisorio di due piani di edificio condominiale tra i proprietari dei medesimi vale pure per la piattaforma o soletta del balcone dell'appartamento del piano superiore, la quale, avendo gli stessi caratteri per struttura e funzione (separazione in senso orizzontale, sostegno, copertura), del solaio, di cui costituisce prolungamento, è attratta nel regime giuridico dello stesso; consegue che, per tale piattaforma o soletta, si configura un compossesso degli indicati proprietari, esercitato dal proprietario del piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi per l'altro proprietario, oltre che nella fruizione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni ulteriore attingibile utilità, cui non ostino ragioni di statica ed estetica, sicché quest'ultimo può ancorare a detta soletta le strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda ed altresì utilizzare la faccia inferiore (prolungamento del proprio soffitto) per installarvi apparecchi di illuminazione, per farvi vegetare piante rampicanti, ecc. (Cass. II, n. 283/1987).

La presunzione assoluta di comunione del solaio divisorio di due piani di edificio condominiale vale anche per la piattaforma del balcone, onde su di essa si configura un compossesso esercitato dal proprietario del piano superiore per il calpestio e dal proprietario del piano inferiore per la fruizione della copertura e per l'acquisizione di ogni ulteriore utilità, cui non ostino ragioni di statica o di estetica (Cass. II, n. 4821/1983; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Napoli 11 aprile 1994).

Per la verità, l'ammissibilità di un compossesso tra i proprietari dei due piani, da regolare a norma dell'art. 1102 c.c., risulta soluzione più appagante rispetto alle consuete modalità di sfruttamento dei balconi: si pensi all'ancoraggio alla sovrastante soletta delle strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda, oppure all'aggancio di tendaggi; o all'installazione sulla faccia inferiore del balcone di apparecchi di illuminazione; o ancora alla vegetazione di piante rampicanti (quanto all'impossibilità, per il proprietario dell'appartamento sito al piano inferiore, di agganciare le tende alla soletta del balcone «aggettante» sovrastante, se non con il consenso del proprietario del corrispondente appartamento, v., più di recente, Cass. II, n. 15913/2007).

In base ai medesimi principi, tuttavia, si giunge ad opposte conclusioni qualora si consideri il solaio del c.d. «balcone aggettante».

Con tale denominazione, ci si riferisce a quel balcone che sussiste autonomamente, in quanto si protende solitario oltre il muro perimetrale dell'edificio, senza che – nella parte sottostante ad esso – vi sia un ulteriore balcone, del quale il primo costituisce struttura di copertura.

Nel caso del balcone aggettante, non esiste, quindi, alcuna proprietà esclusiva sottostante, e viene meno, conseguentemente, la condizione perché si applichi l'art. 1125 c.c.: vale a dire, la presenza di due porzioni di piano sovrapposte divise da un solaio.

Anche in questo caso, si tratta di un principio pacifico in giurisprudenza: invero, i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole (Cass. II, n. 6624/2012, la quale ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto appartenenti al condominio, con le dovute conseguenze sulla ripartizione delle relative spese, alcune fioriere in cemento armato poste all'esterno delle ringhiere delimitanti i balconi con funzione di parapetto, senza che le stesse rivelassero un qualche pregio artistico, né costituissero parte integrante della struttura dello stabile; in senso conforme, Cass. II, n. 587/2011; Cass. II, n. 218/2011; Cass. II, n. 14576/2004; Cass. II, n. 8159/1996; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 14 gennaio 1991, del quale si fornisce conferma mediante le seguenti distinte pronunce: il criterio di ripartizione delle spese di restauro dei balconi di un edificio condominiale aggettanti non va desunto dall'art. 1125 c.c., in quanto questi balconi, dal punto di vista strutturale, sono autonomi rispetto ai piani sovrapposti, nel senso che ben possono sussistere indipendentemente dalla presenza o assenza di altro balcone nel piano sottostante o sovrastante (Cass. II, n. 11155/1994); in un edificio condominiale, a differenza del solaio divisorio di due piani, che funziona da sostegno del piano soprastante e da copertura di quello sottostante, l'aggetto costituito da un balcone (o terrazzo) appartiene esclusivamente al proprietario dell'unità immobiliare corrispondente, il quale, pertanto, è esclusivo responsabile del danno cagionato a terzi da un pezzo di muratura staccatosi dal balcone (Cass. II, n. 5541/1986).

Singole ipotesi da ripartire

In parti uguali

Come già detto in precedenza, le categorie di spese ripartite dall'art. 1125 c.c. sono tre, e segnatamente: 1) spese da ripartirsi in parti uguali tra il titolare del piano superiore ed il titolare del piano inferiore; 2) spese spettanti al titolare della porzione di piano superiore; 3) spese spettanti al titolare della porzione di piano inferiore (v., funditus,Salciarini, in Celeste - Salciarini, 112).

Tuttavia, solo la prima categoria può dirsi sottoposta alla disciplina condominiale, perché le spese spettanti singolarmente ai due proprietari sono spese personali, e si collegano al relativo (e separato) diritto di proprietà sulla porzione esclusiva, e non alla gestione della cosa comune.

Ciò nondimeno, anche l'individuazione delle singole componenti delle spese spettanti in via autonoma è utile ed opportuna in quanto ci conduce, a contrario e di conseguenza, ad una migliore identificazione delle spese comuni (v., da ultimo, Cass. II, n. 24266/2018, secondo la quale il solaio che separa due unità abitative, l'una sovrastante all'altra ed appartenenti a diversi proprietari, deve ritenersi, salvo prova contraria, di proprietà comune ai due piani, specificando che tale presunzione iuris tantum vale per tutte le strutture che hanno una funzione di sostegno e copertura, in quanto svolgono una inscindibile funzione divisoria tra i due piani, con utilità ed uso uguale per entrambi e correlativa inutilità per gli altri condomini, sicché le spese per la loro manutenzione e ricostruzione competono in parti eguali ai rispettivi proprietari, come previsto dall'art. 1125 c.c.).

Secondo un orientamento ormai consolidato, nell'insieme delle spese da ripartirsi in parti uguali tra i due proprietari dei piani contrapposti rientrano tutti quegli elementi del solaio che ne costituiscono la struttura e sono inscindibilmente fusi tra di loro.

Per fare qualche esempio, tali elementi possono indicarsi in: struttura portante del solaio, travi portanti poste all'interno della struttura del solaio, travi portanti poste all'esterno della struttura del solaio, elementi di riempimento tra le travi portanti (c.d. tavelloni o mattoni forati), elementi per il livellamento (specialmente nel caso delle volte), elementi per l'isolamento (acustico e/o termico).

In merito alla comproprietà delle travi portanti, si riporta una decisione della Suprema Corte, la quale, espressamente, le qualifica comuni e, di conseguenza, attribuisce il carico economico della loro manutenzione ad entrambi i condomini: in proposito, si è rilevato che il solaio che divide due unità abitative l'una all'altra sovrastante, ed appartenenti a diversi proprietari deve ritenersi, salva prova contraria, di proprietà comune, costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due strutture immobiliari, con utilità ed uso eguale ed inseparabile per le medesime, sicché la manutenzione e ricostruzione di tutte le sue parti – e, quindi, anche delle travi che ne costituiscono la struttura portante, e non siano meramente decorative del soffitto dell'appartamento sottostante – compete in parti eguali ai due proprietari (Cass. II, n. 13606/2000).

Per una conferma della necessaria compartecipazione dei due condomini (proprietari delle porzioni di piano sovrapposte) alle spese di rifacimento del materiale antiacustico posto all'interno del solaio, una pronuncia di merito ha affermato che tale materiale, posto tra il soffitto ed il pavimento, è di proprietà comune dei due condomini, l'uno all'altro soprastante, in quanto è destinato a vantaggio di entrambi i proprietari, e, conseguentemente, non può essere rimosso da uno dei condomini senza il consenso dell'altro (App. Napoli 31 maggio 1965).

Al proprietario del piano superiore

L'art. 1125 c.c. indica, espressamente, come dovute dal proprietario del piano superiore le spese relative alla copertura del pavimento.

La norma si spiega, agevolmente, con la circostanza che, ancora una volta, il legislatore ha ripartito le spese secondo l'utilitas fornita dal bene: il pavimento, infatti, è destinato (strutturalmente) a consentire l'utilizzazione della porzione esclusiva e, in particolare, il relativo calpestio.

In altri termini, il pavimento non svolge nessuna funzione per la separazione dei due piani sovrapposti, tanto che la sua presenza – o meno – è assolutamente indifferente: le unità immobiliari restano perfettamente separate e sorrette dalla semplice struttura portante del solaio.

Le spese indicate dalla norma comprendono, di conseguenza, tutti gli accessori del pavimento (i quali, parimenti, non svolgono funzione di separazione/sostegno dei piani).

In particolare, competono al proprietario del piano superiore le spese per il sottofondo, che è costituito da quello strato di conglomerato necessario al fissaggio del pavimento stesso.

In applicazione di tale principio, pertanto, il proprietario del piano superiore può intervenire sul pavimento – a sue complete spese ed in piena autonomia – modificandolo o sostituendolo senza alcuna interferenza del proprietario del piano sottostante.

Tale impostazione può ritenersi pacifica in giurisprudenza, la quale ha statuito che le sovrastrutture murarie della volta, atte a sorreggere necessariamente il piano di calpestio, costituiscono un'opera indispensabile per l'uso del piano stesso e, pertanto, vanno comprese tra le parti comuni dell'edificio (Cass. II, n. 1038/1943); e ancora, gli spazi vuoti o pieni che accedano al soffitto o al pavimento e non siano essenziali alla struttura, come il conglomerato cementizio per sottofondo di pavimentazione, restano esclusi dalla comunione e sono utilizzabili da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale (Cass. II, n. 2868/1978).

Dal solaio che divide due unità abitative, l'una all'altra sovrapposta, formando una struttura comune che i proprietari delle due unità possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la copertura (o pavimento) del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e che può essere, quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilità e convenienza (Cass. II, n. 7464/1994).

Al proprietario del piano inferiore

Per quanto riguarda le spese gravanti sul proprietario del piano inferiore, la norma codicistica, testualmente, elenca quelle relative ad interventi sul soffitto riguardanti: l'intonaco, la tinta, la decorazione.

L'impostazione della suddetta norma appare chiara: sono considerate esclusivamente le spese inerenti ad interventi non strutturali, ma aventi valore meramente estetico o igienico.

Sulla scorta di tale considerazione, il suddetto elenco può, a buon diritto, essere integrato con gli interventi relativi alle travi decorative, agli stucchi decorativi, e agli elementi decorativi di qualunque genere.

La casistica, dal punto di vista architettonico, potrebbe ampiamente integrarsi, ma quello che in sede giuridica rileva è che il codice civile attribuisce al proprietario del piano sottostante, con estrema chiarezza, le spese riguardanti interventi su parti o elementi il quali non sono inscindibilmente fusi con la struttura di separazione tra i piani.

Sul punto, si trova ampio riscontro presso la Suprema Corte, ad avviso della quale il solaio divisorio tra un piano e quello sottostante di un edificio è da ritenere di proprietà comune fra i proprietari dei due piani, aggiungendo, però, che tale presunzione, di carattere assoluto, vale per le strutture che hanno una funzione di sostegno e di copertura, contribuendo a costituire il solaio, e non pure per quelle parti – come le coperture applicate al di sotto del soffitto – che adempiono a funzioni meramente estetiche ed indipendentemente dalle dette strutture, dovendosi esse ritenere appartenenti esclusivamente al proprietario del piano sottostante (Cass. II, n. 1868/1967).

Nella stessa ottica, va escluso che possa ritenersi bene di proprietà comune una intercapedine costruita per aereare un locale dell'appartamento sottostante e nascondere un tubo di scarico passante sotto il pavimento dell'appartamento sovrastante (Cass. II, n. 3715/1976).

Un'importante precisazione, tuttavia, va svolta in merito agli elementi decorativi presenti sul solaio del balcone.

Si è detto in precedenza che la disciplina prevista per il solaio interno, dall'art. 1125 c.c., si applica anche al solaio del balcone (non «aggettante»); nel caso, tuttavia, degli elementi decorativi situati su tale solaio – e quindi all'esterno del fabbricato – la disciplina delle relative spese si ispira ad un diverso principio, in base al quale il relativo obbligo di contribuzione si ritiene debba essere posto, interamente, a carico della collettività dei condomini (e non, quindi, del proprietario del piano sottostante).

In quest'ordine di concetti, si è, di recente, statuito (Cass. II, n. 30071/2017) che, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole; ne consegue che l'azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto di tali elementi deve essere proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari.

La differenziazione è giustificata dal fatto che tali elementi decorativi, essendo percepibili dall'esterno, fanno parte della facciata dell'edificio (della quale contribuiscono a formare le «linee architettoniche»), fornendo, quindi, una utilitas (estetica) a favore di tutto il condominio (Carrato, 286).

Tale ripartizione, inoltre, sarà effettuata in base al criterio generale di cui al comma 1 dell'art. 1123 c.c. (in proporzione al valore della proprietà); in tal senso, si pone l'orientamento prevalente del Supremo Collegio, il quale ha avuto modo ripetutamente di precisare che i balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti comuni dell'edificio e appartengono ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti, che sono gli unici responsabili dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati, mentre i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano (quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti (v., tra le altre, Cass. II, n. 568/2000; Cass. II, n. 8159/1996).

Il principio vale anche per il semplice rivestimento inferiore del solaio del balcone: si ritiene, infatti, che i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, nè essendo destinati all'uso o al servizio di esso; tuttavia, il rivestimento del parapetto e della soletta possono essere beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata (Cass. II, n. 637/2000).

Su tale particolare aspetto, inoltre, la disciplina del solaio dei balconi c.d. aggettanti – vale a dire, di quei balconi che costituiscono struttura autonoma, senza svolgere alcuna funzione di copertura a favore del balcone sottostante – perde i suoi aspetti di eccezione e si accorda alle regole generali.

Anche in questo caso, gli elementi decorativi posti sul solaio svolgono una funzione estetica a favore di tutto il condominio, il quale, conseguentemente, è tenuto al pagamento delle spese per la relativa conservazione.

Sulla specifica fattispecie, la giurisprudenza di merito (Trib. Salerno 16 febbraio 2001) ha statuito che i balconi aggettanti, non avendo una funzione portante, non costituiscono parti comuni anche se siano inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento cui accedono; per contro, il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte (parapetto) o della parte sottostante della soletta debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini laddove essi assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l'edificio.

In ordine alla disciplina del solaio dei balconi – e considerando quanto appena sopra esposto – è possibile, quindi, compendiare le regole applicative della relativa ripartizione delle spese, come segue: 1) balcone non aggettante (copertura del piano inferiore): a) pavimento: spese spettanti al proprietario del piano superiore; b) struttura del solaio: spese spettanti, in parti uguali, al proprietario del piano superiore e al proprietario del piano inferiore; c) elementi decorativi del solaio: spese spettanti al condominio (art. 1123, comma 1, c.c.); 2) balcone aggettante (struttura autonoma): a) pavimento: spese spettanti al proprietario del piano superiore; b) struttura del solaio: spese spettanti al proprietario del piano superiore; c) elementi decorativi del solaio: spese spettanti al condominio (art. 1123, comma 1, c.c.).

Applicazione al cortile/lastrico

Una fattispecie assai particolare interessa l'applicazione dell'art. 1125 c.c., in quanto il disposto di tale norma riguarda non solo il solaio che divide due porzioni di piano (allocate all'interno dell'edificio), ma anche il cortile (di proprietà comune, ed in quanto tale utilizzato da tutti i condomini) che, oltre a poter essere utilizzato direttamente (sulla sua area superficiale), svolge contemporaneamente la funzione di costituire la struttura di copertura a favore di ulteriori unità immobiliari poste nell'interrato sottostante, e spesso destinate ad autorimesse (Bordolli, 27).

Per lungo tempo, la Suprema Corte (Cass. II, n. 1477/1999; Cass. II, n. 11283/1998; Cass. II, n. 1362/1989) aveva regolamentato questa situazione richiamando il disposto dell'art. 1126 c.c. (riguardante il lastrico solare esclusivo avente, al contempo, anche una funzione di copertura (cioè di tetto) alle porzioni di piano sottostanti) ed aveva conseguentemente statuito che gli oneri di manutenzione di tale superficie/copertura dovevano essere ripartiti attribuendo una parte (un terzo) ai proprietari sovrastante, e la rimanente parte (due terzi) ai proprietari sottostanti (vale a dire, ai titolari delle autorimesse).

Successivamente, si è verificato un drastico mutamento di impostazione secondo cui non era più l'art. 1126 c.c. a doversi applicare a tale fattispecie, bensì l'art. 1125 c.c. (v., da ultimo, Cass. VI/II, n. 12177/2017; Cass. II, n. 15841/2011).

In particolare, si è affermato che qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all'edificio condominiale, che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà di alcuni condomini, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere al criterio previsto dall'art. 1126 c.c. (sul presupposto dell'equiparazione del bene fuori dalla proiezione dell'immobile condominiale, ma al servizio di questo, ad una terrazza a livello), ma si deve, invece, procedere ad un'applicazione analogica dell'art. 1125 c.c., il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore a chi, con l'uso esclusivo della stessa, determina la necessità dell'inerente manutenzione, in tal senso verificandosi un'applicazione particolare del principio generale dettato dall'art. 1123, comma 2, c.c. (Cass. VI/II, n. 21337/2017).

Tale ultima pronuncia ha ulteriormente precisato che anche nelle ipotesi in cui ad una terrazza a livello sia sottoposto un solo locale, ove le relative spese di manutenzione vengano regolate alla stregua dell'art. 1126 c.c., e non dell'art. 1125 c.c., si finisce per porre a carico dell'unico condomino «coperto» i due terzi della spesa di rifacimento, ovvero il doppio di quanto dovuto dall'utilizzatore esclusivo della terrazza, così vanificandosi la ratio dell'art. 1126: tale norma, infatti, intende dare maggiore rilievo alla utilitas ricavabile dal bene ulteriore a quella insita nella generale funzione di copertura, sicchè essa mira non soltanto a compensare il più rapido deterioramento del lastrico dovuto al diuturno calpestio sullo stesso, quanto soprattutto a non far gravare iniquamente sui soli condomini, ai quali il lastrico serve da copertura, la spesa medesima.

In senso conforme, si sono espressi gli ermellini, secondo i quali, qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all'edificio condominiale, che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condomino, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall'art. 1126 c.c., ma si deve, invece, procedere ad un'applicazione analogica dell'art. 1125 c.c., il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore a chi con l'uso esclusivo della stessa determina la necessità della inerente manutenzione, in tal senso verificandosi un'applicazione particolare del principio generale dettato dall'art. 1123, comma 2, c.c. (Cass. II, n. 10858/2010: in applicazione di tale principio, si era cassata la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, si era accolta l'opposizione di un condominio avverso la delibera con la quale le spese di riparazione del cortile comune erano state poste a carico per un terzo del condominio e per due terzi del proprietario esclusivo di un sottostante locale, ritenendosi che l'usura della pavimentazione del cortile era stata determinata dall'utilizzazione esclusiva che della stessa veniva fatta dalla collettività dei condomini); v., altresì, (Cass. II, n. 18194/2005: nella specie, cassando sul punto la sentenza impugnata, si era ritenuto che, nel caso sottoposto all'esame, si era venuta a verificare una situazione sostanzialmente analoga a quella disciplinata dall'art. 1125 c.c., perchè l'usura della pavimentazione del cortile era stata determinata dall'utilizzazione esclusiva che della stessa veniva fatta dalla collettività dei condomini, per cui doveva trovare applicazione il principio ubi eadem ratio, ibi eadem legis dispositio; in senso conforme, v., da ultimo, Cass. II, n. 30935/2018; cui adde, da ultimo, Cass. II, n. 23250/2023, la quale, nella specie, aveva confermato la sentenza impugnata, che aveva posto a carico esclusivo dei condomini le spese di riparazione del cortile di accesso agli edifici condominiali ed utilizzato per il parcheggio dei veicoli, che fungeva anche da copertura di un locale interrato adibito a palestra).

Resta inteso - come chiarito di recente (Cass. II, n. 16625/2019) – che Il condominio di edifici risponde, quale custode, dei danni derivanti dalle parti comuni, mentre non ha nessuna responsabilità per quanto riguarda le parti private.

Spese escluse dalla ripartizione

Dalla fattispecie regolata dall'art. 1125 c.c., esulano tutte quelle spese che non sono collegate con la conservazione della funzione di separazione e sostegno del solaio; l'effettiva ripartizione di tali spese dovrà essere effettuata, in applicazione dei principi più volte esposti, in considerazione ed in proporzione dell'utilità fornita dal singolo intervento manutentivo, ovvero dall'opera che lo richiede.

In conseguenza di ciò, non si applica la disciplina di tale norme a quelle spese che hanno il solo scopo di realizzare abbellimenti o migliorie delle porzioni di piano in proprietà esclusiva.

In tal senso, una giurisprudenza di merito (App. Roma 1 aprile 1957), la quale ha avuto modo di precisare che l'applicazione dell'art. 1125 c.c., secondo cui le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastante, ha per presupposto l'indispensabilità dei lavori ai fini della conservazione e della normale utilizzazione dell'edificio; detta norma, quindi, non è invocabile quando l'opera intrapresa non trovi la sua origine in necessità impellenti relative all'uso stesso dell'immobile, ma sia dipendente dal desiderio del proprietario di un singolo appartamento di abbellire e migliorare lo stato della sua abitazione.

Particolarmente interessante è il ragionamento svolto nella pronuncia, secondo la quale, nel caso in cui si effettuino lavori di più ampia portata – aventi ad oggetto strutture murarie pacificamente comuni (quali, ad esempio, la manutenzione dei muri maestri o dei pannelli perimetrali) – e tali interventi comportino, parallelamente, anche opere (ed utilità) a favore dei solai, la ripartizione secondo il criterio applicabile per i lavori principali coinvolge ed esaurisce l'intero ammontare dei costi.

A ben vedere, in siffatta circostanza si verifica un fenomeno di «attrazione» del fenomeno minore da parte di quello maggiore, con indubbi vantaggi di semplificazione.

Dal punto di vista giuridico, può affermarsi che vi è un interesse prevalente che assorbe e compensa gli aspetti di minore portata; l'affermazione non è isolata, ma si riscontra anche in ambiti parzialmente differenti come quello relativo alla ripartizione delle spese per interventi sui muri della c.d. cassa delle scale, nonchè delle spese per interventi sui parapetti posti sul lastrico solare.

Su tale particolare fattispecie, si veda l'impostazione data dalla Corte territoriale, ad avviso della quale le spese per la manutenzione e la ricostruzione dei solai, inerenti ad interventi che concernano il corpo di fabbrica interessato nelle sue strutture comuni, non si ripartiscono in parti uguali fra i proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti (App. Milano 13 dicembre 1988).

Parimenti escluse dall'applicabilità del criterio di ripartizione previsto dall'art. 1125 c.c., sono tutte quelle spese resesi necessarie per riparare le conseguenze di un evento dannoso.

Tale affermazione deriva direttamente dall'applicazione delle regole generali sulla c.d. responsabilità civile, in base alle quali le negative conseguenze patrimoniali di un danno devono essere integralmente sopportate dal soggetto che lo ha cagionato (Meo).

In tal senso, infatti, si è affermato che, allorquando la manutenzione o la ricostruzione delle volte o dei solai è determinata dal fatto del condomino che ha danneggiato l'opera, il criterio di ripartizione delle spese dettato dalla norma non vige ed è colui che ha dato causa alla necessità dell'opera a dover pagare la spesa relativa (v., ex multis, Cass. II, n. 1300/1977).

In quest'ottica, pertanto, non riguardano l'applicazione dell'art. 1125 c.c., i danni derivanti dalle infiltrazioni provocate dal proprietario del piano superiore; in proposito, si è statuito che la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 c.c., riguarda le ipotesi in cui la necessità delle riparazioni non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha cagionati (Cass. II, n. 3568/1999: nella specie, il danno era stato cagionato da infiltrazioni di acqua verificatesi dal piano soprastante per rottura di una tubazione di proprietà esclusiva.

Per un'ulteriore pronuncia sul punto, riguardante le infiltrazioni attraverso la soletta del balcone, si veda quanto puntualizzato dal Supremo Collegio (Cass. II, n. 283/1987), secondo il quale l'art. 1125 c.c., che impone ad entrambi i proprietari dei due piani, l'uno all'altro sovrastante, di un edificio condominiale le spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, si applica anche alla piattaforma o soletta dei balconi, onde, provata l'infiltrazione d'acqua dal piano superiore ed i conseguenti danni alla faccia inferiore del balcone, ben può il proprietario del piano sottostante pretendere il risarcimento dal proprietario del piano sovrastante.

La responsabilità di uno dei due proprietari può generarsi anche a causa dell'omissione di lavori necessari.

La giurisprudenza di merito ha avuto, esattamente, modo di precisare che è responsabile il proprietario del piano superiore dei danni che derivano dal mancato assolvimento del suo obbligo di compiere, anche se non intende ripristinare l'abitabilità del suo appartamento, le opere urgenti necessarie ad evitare i danni ai locali sottostanti (App. Milano 3 gennaio 1950).

In base alle suddette regole generali, tuttavia, per aversi obbligo di risarcimento, occorre la prova dell'imputabilità del fatto: in tal senso, pacificamente, la giurisprudenza di legittimità, per la quale il condomino del piano sottostante che agisce nei confronti del condomino del piano di sopra per il risarcimento dei danni al suo solaio deve dimostrare, ai sensi dell'art. 2043 c.c., che essi dipendono da fatti imputabili a quest'ultimo (v., tra le altre, Cass. II, n. 6398/1999).

Particolarmente interessante appare, infine, l'affermazione effettuata dalla Suprema Corte in una risalente sentenza, in base alla quale le spese occorrenti per la riparazione dei danni cagionati dall'inquilino devono essere ripartite in parti uguali tra i proprietari contrapposti, in considerazione della natura personale della responsabilità, sempre salva facendo l'eventuale corresponsabilità personale del proprietario/locatore; l'assunto si basa sulla considerazione che il conduttore di un appartamento non può ritenersi compreso tra le persone la cui attività sia imputabile al proprietario locatore (artt. 2043,2048,2049,2050,2051,2053 c.c.).

Negli esatti termini, si è rilevato che l'equa riparazione tra i proprietari del piano sovrastante e del piano sottostante avviene anche se le opere siano state necessarie per riparare i danni imputabili all'inquilino di uno dei piani, sempre che non sussista responsabilità del proprietario (Cass. II, n. 2836/1966).

Crollo del solaio

Può accadere, anche se si tratta di un'ipotesi facilmente scongiurabile attraverso l'attuazione di un minimo di manutenzione periodica, che il solaio subisca un crollo, totale e parziale, e determini un inevitabile danno alle unità immobiliari sottostanti e alle persone e/o cose in esse presenti (Foffa, 397).

Si pone, quindi, il problema della regolamentazione delle relative spese (di risarcimento e/o ripristino), in ordine al quale la giurisprudenza ha adottato l'orientamento, che può dirsi ormai consolidato, secondo cui il relativo riparto deve seguire i criteri dell'art. 1125 c.c. anche nel caso in cui la responsabilità dell'evento che rende necessarie le riparazioni non possa essere attribuita ad alcuno dei condomini; in una siffatta ipotesi, il carico economico dovrà essere necessariamente sostenuto da tutti gli interessati, secondo il particolare criterio indicato dalla citata disposizione.

In tal senso, il Supremo Collegio ha avuto modo di puntualizzare che, allorchè il crollo del soffitto, di una volta o di solaio, trovi causa esclusiva nel difetto di manutenzione, l'onere della ricostruzione grava, in applicazione dell'art. 1125 c.c., in parti uguali sui proprietari dei due piani, l'uno sovrastante all'altro (Cass. II, n. 2569/1956).

Assai diversamente nel caso in cui l'eventuale danno sia ascrivibile a singoli condomini, àmbito in cui trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento del danno è a carico di colui che l'ha determinato, secondo le ordinarie regole della responsabilità aquiliana o ai sensi dell'art. 2051 c.c., se applicabile (v., tra le altre, Cass. II, n. 6398/1999; Cass. II, n. 3568/1999).

Il principio affermato è conforme al costante orientamento relativo a tale fattispecie; invero, si sostiene che, se la manutenzione non viene effettuata e da tale lacuna derivano danni maggiori, i soggetti tenuti a sopportare il peso economico di tali danni sono gli stessi tenuti ad effettuare (e pagare) la manutenzione del bene: nel caso del solaio, appunto, i proprietari delle proprietà esclusive sovrapposte.

Rimborso delle spese anticipate da uno dei proprietari

Ad ulteriore corollario delle summenzionate molteplici implicazioni inerenti alla ripartizione delle spese di conservazione del solaio, può precisarsi che, nella nostra fattispecie, trova applicazione il disposto dell'art. 1134 c.c. – al cui commento si rinvia – in base al quale, nel caso di spese di manutenzione, anticipate dal singolo condomino (in via autonoma e in presenza del requisito dell'«urgenza»), quest'ultimo ha diritto al rimborso.

In particolare, nel regime anteriore ante Riforma, si stabiliva che il condomino, il quale aveva fatto «spese per le cose comuni» senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, non aveva diritto al rimborso, salvo che si trattasse di spesa urgente, mentre la l. n. 220/2012 parla (in modo equivoco) di «gestione delle parti comuni».

Nel caso del solaio, inoltre, deve precisarsi che il rimborso non riguarderà, ovviamente, l'intero ammontare ma la residua quota-parte (del 50%) di spese dovuta dall'altro comproprietario.

In tali termini, si sono espressi i giudici di Piazza Cavour (Cass. II, n. 4601/1981), nel senso che l'art. 1125 c.c., secondo il quale, negli edifici condominiali, le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, costituisce norma derogabile dall'autonomia privata, sicché i condomini interessati ben possono addivenire ad un accordo sul loro rispettivo diritto e determinare convenzionalmente, oltre ai lavori da eseguire, chi debba sostenerne la spesa; conseguentemente, solo in caso di mancanza di tale accordo trova applicazione il criterio ripartitivo ex art. 1125 c.c., restando, d'altro canto, il diritto di rimborso del condomino, che abbia provveduto a tali opere, subordinato, oltre alla richiesta in tal senso, anche alla duplice condizione delle necessità della spesa e della sua urgenza, cioè dell'indifferibilità, secondo il criterio del buon padre di famiglia, per evitare un possibile nocumento.

Diversa convenzione

Anche nel caso dell'art. 1125 c.c. il criterio legale è vincolante per i condomini e, di conseguenza, non derogabile da una deliberazione a maggioranza.

Le motivazioni di tale meccanismo sono le medesime individuate per l'art. 1124 c.c.: la norma di legge, regolando obbligatoriamente la fattispecie, attribuisce, inevitabilmente, diritti e doveri, per la cui derogabilità occorre il consenso unanime degli aventi diritto.

È necessario precisare, però, che, nel caso della ripartizione delle spese di manutenzione del solaio, gli aventi diritto (e, quindi, coloro il cui consenso è necessario per la stipula della «diversa convenzione») sono esclusivamente i proprietari dei due piani tra loro sovrapposti, ovvero separati dal solaio.

In altri termini, la diversa convenzione potrà (e dovrà) essere stipulata esclusivamente tra detti due soggetti (o, meglio, tra detti due centri di interesse).

Va detto, tuttavia, che la prassi riscontra assai raramente pattuizioni che stabiliscano, per il solaio, criteri di ripartizione delle spese diversi da quello legale: solitamente, l'interesse dei condomini si rivolge verso fattispecie ritenute più importanti, o di più probabile accadimento.

Invero, se è difficile rinvenire una convenzione (contrattuale) che, preventivamente, regoli il riparto delle spese tra i proprietari dei piani divisi dal solaio in maniera diversa da quella legale, ben può, tale strumento, essere posto in essere, successivamente, al momento dell'effettiva ripartizione, quando cioè si è di fronte alla necessità attuale di far fronte alla spesa; tra l'altro, una tale soluzione potrebbe fornire – com'è facile immaginare – svariate utilità pratiche.

La derogabilità del criterio legale, infatti, non è condizionata da alcun fattore temporale, e può essere perseguita sia prima, sia dopo che la necessità di effettuare la spesa (e, quindi anche, l'obbligo di pagamento) siano sorti.

Invero, i risultati ottenibili dai condomini mediante la stipula di una diversa convenzione sono stati oggetto di precisazione, nel senso che l'art. 1125 c.c., secondo il quale, negli edifici condominiali, le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, costituisce norma derogabile dall'autonomia privata, sicché i condomini interessati ben possono addivenire ad un accordo sul loro rispettivo diritto e determinare convenzionalmente, oltre ai lavori da eseguire, chi debba sostenerne la spesa; conseguentemente, solo in caso di mancanza di tale accordo trova applicazione il criterio ripartitivo ex art. 1125 c.c. (Cass. II, n. 4601/1981).

Bibliografia

Bordolli, Manutenzione del cortile condominiale che funge da copertura di box sottostanti: il criterio riparto delle spese, in Il Civilista 2012, fasc. 6, 27; Carrato, Brevi appunti sulla disciplina relativa alle spese per la riparazione dei balconi e degli inerenti elementi decorativi, in Rass. loc. 2002, 286; Celeste-Salciarini, Le spese in condominio. Disciplina e ripartizione: aspetti tecnici e casi pratici, Torino, 2006; De Tilla, Manutenzione e ricostruzione del solaio divisorio comune, in Arch. loc. 2003, fasc. 5, 649; De Tilla, Sulla ripartizione delle spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, in Arch. loc. 1999, 593; De Tilla, Nel condominio il solaio è bene comune o esclusivo?, in Giust. civ. 1994, I, 1656; De Tilla, Il regime condominiale dei solai e le questioni controverse, in Riv. giur. edil. 1991, I, 731; Foffa, Responsabilità da crollo del solaio, in Danno e resp. 2012, fasc. 4, 397; Maglia, Considerazioni in tema di solai, in Arch. loc. 1995, 88; Marostica, Il regime giuridico del solaio interpiano, in Immobili & proprietà 2017, fasc. 1, 27; Meo, Infiltrazioni d'acqua e ripartizione spese per la copertura dei box: un rompicapo interpretativo, in dirittoegiustizia.it 29 luglio 2011; Rezzonico, La disciplina condominiale di soffitte, mansarde e sottotetti, in Arch. loc. 1986, 205.

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