Codice Civile art. 1132 - Dissenso dei condomini rispetto alle liti.Dissenso dei condomini rispetto alle liti. [I]. Qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione. [II]. Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa. [III]. Se l'esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente [1138 4]. InquadramentoIl regime condominiale poggia – com'è noto – su un principio generale di obbligatorietà delle deliberazioni assembleari per tutti i condomini, anche dissenzienti; ciò non di meno, il codice civile disciplina due specificheipotesi di dissenso, e segnatamente quella relativa alle innovazioni gravose o voluttuarie di cui all'art. 1121 c.c. (al cui commento si rinvia) e quella relativa alle liti contemplata dall'art. 1132 c.c., con norme di carattere derogatorio e, quindi, eccezionale. In particolare, quest'ultima norma – che non è stata modificata dalla Riforma introdotta con l. n. 220/2012 – attribuisce al singolo condomino il diritto, da esercitare con le forme e nei termini espressamente previsti, di separare, all'interno del gruppo, la propria responsabilità da quella dell'assemblea dei condomini in ordine alle conseguenze di una lite per il caso di soccombenza. La ratio di questo disposto va rinvenuta nel fatto che, in caso di soccombenza, tutti i condomini si trovano ad essere obbligati al pagamento delle spese, per cui si consente al condomino, il quale abbia manifestato il proprio dissenso, di non essere tenuto a sopportare le conseguenze sfavorevoli di un'iniziativa dalla quale si è dissociato. In altri termini, rimane il fatto che le deliberazioni assembleari, anche se adottate a maggioranza, assumono, in forza del dettato di cui all'art. 1137, comma 1, c.c.carattere obbligatorio per «tutti» i condomini, anche per quelli che abbiano manifestato dissenso o si siano astenuti dalla votazione, nonché per quelli che non abbiano partecipato alla relativa riunione. In pratica, le deliberazioni assembleari acquisiscono efficacia analoga a quella propria delle deliberazioni approvate all'unanimità, ma, nel caso in cui difetti il quorum costitutivo o/e deliberativo prescritto dalla legge, la minoranza ha l'onere di far valere tempestivamente le eventuali ragioni di impugnazione. Si tratta, comunque, di una norma espressamente dichiarata inderogabile dall'art. 1138, comma 4, c.c. che, contemperando l'interesse del singolo con quello del gruppo, riconosce al primo il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte con il principio maggioritario, le quali, notoriamente, vincolano anche i dissenzienti (Salis, 354; Raschi, 678; Cattedra, 407). Modalità dell'attoInnanzitutto, il «dissenso alle liti» di cui all'art. 1132 c.c. deve tenersi nettamente distinto dal diritto del dissenziente ad impugnare le deliberazioni assembleari, con cui si contesta la non conformità alla legge o al regolamento del provvedimento adottato dall'assemblea, mentre nell'ipotesi in esame il condomino effettua una valutazione di mera opportunità sua personale, potendo essere semplicemente dubbioso o addirittura convinto della bontà delle ragioni del condominio, ma ritenere il rischio troppo gravoso per le sue tasche. Al riguardo, la giurisprudenza di merito (Trib. Napoli 8 gennaio 2003) ha chiarito che il condomino dissenziente che, ai sensi dell'art. 1132 c.c., intenda separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini per il caso di soccombenza del condominio in una lite, non può efficacemente manifestare la propria volontà in tal senso nel corso dell'assemblea condominiale che ha deliberato al riguardo, ma deve provvedervi con un atto distinto ed ulteriore rispetto alle dichiarazioni rese in assemblea, da comunicare all'amministratore in una sede diversa dall'adunanza condominiale. Peraltro, le due posizioni non risultano assolutamente incompatibili, potendo il condomino manifestare il suo dissenso ed impugnare la relativa deliberazione ai sensi dell'art. 1137 c.c., come anche intervenire nel giudizio. In buona sostanza, l'art. 1132 c.c. è essenzialmente volto a tutelare il diritto della maggioranza a difendere gli interessi della collettività, nella gestione delle cose comuni, anche promuovendo o resistendo ad una lite, e, al contempo, il diritto del singolo di manifestare il proprio dissenso rispetto alla medesima lite, separando, in determinati casi, la sua responsabilità. La dichiarazione del condomino dissenziente è atto giuridico recettizio di natura sostanziale, da portare perciò a tempestiva conoscenza dell'amministratore entro trenta giorni dalla notizia della deliberazione, senza, peraltro, richiedere forme solenni, né notificazioni secondo le regole della legge processuale (Cass. II, n. 2967/1978, ad esempio, ha considerato valida la dichiarazione di dissenso comunicata mediante anche la raccomandata con avviso di ricevimento). Il termine di trenta giorni, cui è sottoposto l'atto di estraniazione, è di decadenza, presidiando l'esigenza di certezza e rapidità dei rapporti condominiali, sicché esso non può essere rilevato d'ufficio dal giudice (Cass. II, n. 2453/1994). Il dissenso di cui all'art. 1132 c.c. è, quindi, atto successivo alla deliberazione assembleare, non rilevando, a tali effetti, l'eventuale contraria manifestazione di volontà espressa nel corso dell'assemblea: il dissenso del condomino rispetto alla medesima deliberazione, esternato prima che essa venga adottata, incide, come voto contrario – e, quindi, come condizione di legittimazione all'impugnazione ex art. 1137 c.c. – sulla sua formazione ed approvazione, e va tenuto distinto da quello con il quale il condomino dichiara di non voler subire le conseguenze della deliberazione già presa (Colonna, 467). La decisione assembleare di promuovere il giudizio o di costituirsi in esso non è, del resto, altrimenti sindacabile tramite il rimedio dell'impugnazione di cui all'art. 1137 c.c., e pertanto la separazione della responsabilità consentita dall'art. 1132 c.c. rappresenta l'unico strumento di tutela della minoranza condominiale dissenziente (Trib. Milano 25 maggio 1992). Presupposti dell'istitutoD'altronde, risultano diversi i presupposti di ammissibilità delle tutele contemplate negli artt. 1132 e 1137 c.c.: dissentendo dalla lite, il singolo condomino porta a compimento una sua valutazione di opportunità, laddove l'impugnazione della deliberazione suppone un sindacato sulla volontà maggioritaria assembleare per contrarietà alla legge o al regolamento di condominio. Peraltro, non si è mancato chi ha sostenuto che le due forme di reazioni possano essere esperite pure in forma concorrente (App. Napoli 11 ottobre 1962). Presupposto di attribuzione al singolo partecipante del diritto di dissenso è, dunque, la sussistenza di una deliberazione dell'assemblea di promuovere la lite o di resistere in giudizio: intanto è ravvisabile la facoltà individuale di estraniarsi dalla responsabilità per soccombenza in quanto si verta, però, in àmbito di controversie non rientranti nella sfera di autonoma attribuzione della legittimazione processuale all'amministratore (Stendardi, 255). Come infatti precisato dal supremo organo di nomofilachia (Cass.S.U., n. 18331/2010), la rappresentanza giudiziale riservata all'amministratore nei primi due commi dell'art. 1131 c.c. va interpretata, appunto, anche in base al diritto di dissenso dei condomini rispetto alle liti: la giurisprudenza ha inteso, quindi, che il potere decisionale in materia di azioni processuali spetti, di regola non all'amministratore, ma all'assemblea, che deve valutare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Ove si riconoscesse all'amministratore, in forza della generale legittimazione passiva contemplata dall'art. 1132, comma 2, c.c. un indistinto potere al riguardo delle scelte sulle azioni giudiziarie, questi potrebbe sempre non soltanto costituirsi nel processo, quanto anche impugnare un provvedimento senza il consenso dell'assemblea e così, in caso di ulteriore soccombenza, far sì che i condomini siano tenuti a pagare le spese di lite, senza aver in alcun modo assunto decisioni al riguardo. Al contempo – ad avviso di Cass. II, n. 7095/2017 – l'amministratore di condominio, tenuto conto delle attribuzioni demandategli dall'art. 1131 c.c., può resistere all'impugnazione della deliberazione assembleare ed impugnare la relativa decisione giudiziale senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, atteso che, in dette ipotesi, non è consentito al singolo condomino dissenziente separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in ordine alle conseguenze della lite, ai sensi dell'art. 1132 c.c., ma solo ricorrere all'assemblea avverso i provvedimenti dell'amministratore, ex art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell'assemblea stessa. La mancata convocazione dell'assemblea per l'autorizzazione o per la ratifica dell'operato dell'amministratore vanificherebbe, allora, ogni possibilità di esercizio del diritto al dissenso alla lite che l'art. 1132 c.c. espressamente riconosce ai condomini (Carbone, 1137; Natali, 16). Si sottolinea, peraltro, che proprio l'aumento delle ipotesi in cui viene imposta la necessaria autorizzazione o ratifica assembleare dell'attività processuale dell'amministratore implichi il correlativo ampliamento dell'àmbito di esercitabilità della facoltà di dissenso dei condomini rispetto alle liti, con la conseguenza che ogni partecipante potrà far mancare la propria contribuzione alle spese di difesa in giudizio, a scapito delle esigenze di solidarietà su cui pure poggia il condominio (Poli, 504). In buona sostanza, l'esercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi dalla lite presuppone che si debba promuovere dal condominio una lite contro altro partecipante o contro terzi, la quale non riguardi l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari, la cura dell'osservanza del regolamento, la riscossione dei contributi, il compimento di atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni di un edificio, ovvero che sia stata notificata all'amministratore una citazione contenente una domanda diversa da quelle elencate. D'altronde, è pacifico (v., tra le altre, Cass. II, n. 2259/1998) che l'amministratore convenuto in giudizio da un terzo o da un condomino è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini solo quando la citazione abbia un contenuto che esorbita dalle sue attribuzioni così come delineate dall'art. 1130 c.c.; pertanto, poiché in base a detto articolo deve ritenersi spettante all'amministratore nell'àmbito dei compiti di conservazione delle cose comuni (ossia di preservazione della loro integrità e di reazione ad attentati o pretese di terzi) il potere discrezionale, autonomamente esercitabile, di impartire le disposizioni necessarie ad eseguire lavori di manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e di erogare le relative spese, non può considerarsi esorbitante dalle dette attribuzione la decisione autonoma dell'amministratore rispetto ad un lite quando con la domanda proposta contro il condominio si facciano valere pretese risarcitorie (in forma specifica, oltreché per equivalente) correlate a difetto di manutenzione ordinaria di una parte comune, quale il tetto di copertura dell'edificio; ne deriva, ulteriormente, la mancanza, in siffatta ipotesi, della condizione essenziale per l'esercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi dalla lite scindendo la propria responsabilità in ordine alle sue conseguenze per il caso di soccombenza, non potendo tale potere esercitarsi ove legittimamente manchi intorno alla lite promossa contro il condominio una specifica decisione dell'assemblea. In tali ipotesi, che sono poi quelle coincidenti con le attribuzioni ex art. 1130 c.c., i condomini sono altrimenti tenuti a sopportare gli effetti degli atti e delle scelte dell'amministratore, per il solo fatto del mandato che gli è stato a suo tempo attribuito e della fiducia sottesa al conferimento dell'incarico gestorio, non restando al singolo condomino che far ricorso all'assemblea a norma dell'art. 1133 c.c. – al cui commento si rinvia – in maniera da provocare una deliberazione, dalla quale, se confermativa dell'operato dell'amministratore, potrebbe poi dissentire (Peretti Griva, 573; Salis, 532; Branca, 611; Visco, 650). Si contesta da alcuni, peraltro, la ragionevolezza di tale interpretazione, che subordina, in effetti, il diritto del singolo condomino ad estraniarsi dalla lite in base all'inerenza della stessa alla competenza funzionale dell'amministratore (Cattedra, 407). In dottrina, si reputa che l'art. 1132 c.c. si applichi non solo alle controversie tra il condominio e i terzi, ma anche a quelle tra il condominio e un singolo condomino (Colonna, 464). Per la giurisprudenza, invece, in ipotesi di lite tra condominio e condomino, non opera, nemmeno in via analogica, la disposizione dell'art. 1132 c.c., come neppure l'art. 1101 c.c., richiamato dall'art. 1139 c.c. (Cass. II, n. 801/1970). Al riguardo, si è opportunamente precisato (Cass. II, n. 5163/1997) che l'esonero del condomino dissenziente dalle spese, a seguito della separazione della propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite, trova il suo fondamento giuridico nella norma di cui all'art. 1132, comma 1, c.c., sul duplice presupposto che la lite riguardi le parti comuni dell'edificio e che la proposizione della controversia in sede civile sia stata deliberata dall'assemblea; detto esonero non riguarda, pertanto, i processi penali, così che l'eventuale decisione di autorizzare l'amministratore a nominarsi un difensore nel procedimento penale che lo vede imputato in relazione a comportamenti afferenti il suo incarico (con relativa spesa a carico del condominio) non può formare legittimo oggetto di deliberazioni assembleari (per il perfezionamento delle quali è prevista l'applicazione del principio maggioritario), bensì essere adottata dai singoli condomini – anche in costanza di una riunione assembleare, che costituisca, peraltro, una mera occasio negotii – con una decisione con la quale venga manifestata l'espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti. Ambito applicativoSi pone, a questo punto, il problema relativo all'àmbito di applicazione del dissenso del singolo condomino, in quanto la norma si riferisce solo al caso in cui la decisione circa l'instaurazione del giudizio o la costituzione in una causa promossa da altri (siano essi terzi o condomini) nei confronti del condominio sia adottata in sede assembleare, lasciando intendere l'esclusione di quelle ipotesi – peraltro, statisticamente le più frequenti – in cui l'iniziativa processuale sia assunta direttamente dall'amministratore in quanto correlata alle sue attribuzioni in forza del combinato disposto degli artt. 1130 e 1131, comma 1, c.c. Fermandosi al dato letterale, sembrerebbe, quindi, che, in questi ultimi casi, il condominio sia obbligatoriamente vincolato alle determinazioni (promuovimento dell'azione o costituzione in giudizio) dell'amministratore, senza che i singoli possano separare la propria responsabilità, salva la facoltà di agire, nei confronti del primo, per il risarcimento dei danni eventualmente sofferti; peraltro, argomentando dal disposto del successivo art. 1133 c.c. – che consente al singolo condomino di ricorrere all'assemblea contro i provvedimenti adottati dall'amministratore nella sfera delle sue competenze – si potrebbe riconoscere allo stesso condomino la facoltà di manifestare, poi, il proprio dissenso riguardo all'eventuale deliberazione assembleare che, da lui sollecitata, abbia ratificato le decisioni dell'amministratore. Appare, invece, coerente escludere in tali ipotesi l'operatività dell'art. 1132 c.c.: invero, è noto che i poteri di iniziativa processuale dell'amministratore, sempre se circoscritti nella sfera delle attribuzioni demandategli dalla legge, non possano subire limitazioni ad opera dei condomini, sia pure attraverso il meccanismo del deliberato assembleare. Stante l'irrilevanza di un'eventuale decisione contraria da parte dell'assemblea in ordine all'esplicazione dei poteri di azione e di costituzione dell'amministratore per conto del condominio, si rivela illogico configurare una situazione in cui il singolo invochi un sindacato dell'assemblea sulla condotta processuale dell'amministratore che nemmeno l'assemblea possiede. In altri termini, si è dell'avviso che il dissenso possa manifestarsi unicamente in relazione a quelle controversie che eccedano le attribuzioni dell'amministratore, la cui legittimazione è subordinata all'autorizzazione da parte dell'assemblea, salva sempre la facoltà del singolo di sollecitare il controllo dell'assemblea o/e dell'autorità giudiziaria ai fini di un accertamento delle relative responsabilità e di un'eventuale revoca del medesimo amministratore. Riguardo alla rilevanza dell'esonero dalle spese del condomino dissenziente con riguardo ai rapporti esterni, in passato si è spesso affermato che l'operatività dell'art. 1132 c.c. fosse limitata al solo rapporto tra condominio e condomino dissenziente, nell'àmbito del quale rapporto la stessa disposizione si esaurirebbe nell'effetto di esonerare il dissenziente dall'onere di partecipare alla rifusione delle spese del giudizio in favore della controparte nel caso di esito della lite sfavorevole per il condominio, lasciando, tuttavia, immutato l'onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa, ove risultino irripetibili dalla controparte nell'inverso caso d'esito della lite favorevole per il condominio (Baldacci, 17). Si aggiungeva, invece, che rimanesse regolato dalla normativa generale sulle obbligazioni solidali il rapporto tra la controparte del condominio e ciascun singolo condomino, compreso il dissenziente, cui soltanto si riconoscerebbe il diritto di rivalsa; ne consegue la generale considerazione che l'esonero dalle spese del singolo condomino dovrebbe risultare inefficace almeno nei rapporti esterni, posto che, deducendo la solidarietà delle obbligazioni dei condomini, che sino a Cass.S.U., n. 9148/2008 si reputava maggioritariamente sussistere, il terzo avrebbe potuto richiedere il pagamento dell'intero al condomino dissenziente (Cass. II, 13560/2001). Così ancora, ad avviso dei magistrati di Piazza Cavour (Cass. II, n. 12459/2012), l'art. 1132 c.c. regolerebbe la posizione del condomino dissenziente verso i terzi implicitamente secondo un principio che rende indifferenti i terzi creditori del condominio rispetto alla manifestazione di dissenso, per cui quegli resterebbe esposto verso i terzi come gli altri condomini; siffatta regola implicita si desumerebbe dalla previsione del meccanismo di rivalsa a favore del condomino dissenziente, di cui al comma 2 del medesimo art. 1132 c.c.; tale previsione implica, infatti, che il condomino dissenziente sia esposto verso i terzi e possa subire le conseguenze negative della responsabilità del condominio nei loro confronti e, dunque, nei limiti della sua quota di partecipazione. A ciò consegue che il terzo, che abbia conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio, non può pretendere di utilizzare il titolo contro i condomini non dissenzienti, provvedendo di sua iniziativa ad addebitare la quota del condomino dissenziente, in proporzione, a ciascuno dei condomini non dissenzienti, perché il diritto di far valere la posizione di dissenso è attribuito al condomino dissenziente soltanto in via di rivalsa. Al più, potrebbe ipotizzarsi che il terzo ottenga dal condomino dissenziente, sulla base di un accordo convenzionale, di essere surrogato nelle ragioni che egli avrebbe verso gli altri condomini e, quindi, nella pretesa di rivalsa verso gli altri condomini, occorrendogli, tuttavia, per poter agire in executivis verso di essi, la previa formazione di un titolo esecutivo. Si dovrebbe, invece, escludere che, sulla sola base dell'accordo convenzionale di surrogazione nella rivalsa, il terzo, che abbia ottenuto il titolo esecutivo verso il condominio, possa utilizzarlo verso ciascun condomino non dissenziente, addebitando ad esso quanto di pertinenza del condomino dissenziente, sia pure proporzionatamente ad un riparto fra tutti i condomini non dissenzienti. In tal caso, infatti, si pretenderebbe di utilizzare il titolo verso il condomino non dissenziente – non in dipendenza della posizione di responsabile parziario dell'obbligo consacrato nel titolo, bensì – sulla base di un negozio del tutto estraneo al titolo (in quest'ordine di concetti, si è perciò cassata la sentenza di merito, concludendo che il giudice avrebbe dovuto ritenere fondata l'opposizione all'esecuzione per la parte del credito precettato corrispondente alla quota dei condomini dissenzienti, proprio perché il titolo esecutivo non prevedeva come situazione tutelata la pretesa di riversare sul ricorrente la quota dei condomini dissenzienti, sia pure proporzionalmente alla quota di partecipazione del condomino esecutato, considerata in coacervo con le quote degli altri condomini non dissenzienti) Ora, la tesi della rilevanza dei criteri codicistici di ripartizione delle spese condominiali nell'àmbito dei soli rapporti interni al condominio, o dei rapporti tra condomini, e giammai nei rapporti tra condomini e terzi, era un caposaldo della ripudiata tesi della attuazione solidale dei debiti di gestione condominiale: tale distinzione tra rapporti interni al condominio e rapporti esterni con i terzi è tuttavia apparsa «espediente elegante, ma aprioristico e non ancorato al dato positivo» (così Corona 2001, 224). Il conclamato riconoscimento della rilevanza anche esterna dei criteri di suddivisione delle spese condominiali non può, d'altro canto, restringersi al solo più elementare ed intuitivo criterio della «quota di proprietà», di cui al primo comma dell'art. 1123 c.c. Si era da sempre avvertito, da chi osteggiava un simile approdo, che al rilievo esterno dell'art. 1123 c.c., nei rapporti tra condomini e terzi, avrebbe dovuto far seguito altresì il riconoscimento di un equivalente rilievo a norme quali, ad esempio, l'art. 1124 c.c. per la manutenzione delle scale, e l'art. 1126 c.c. per la riparazione dei lastrici solari; «se l'art. 1123 c.c. valesse anche per i rapporti fra condomini e terzi, altrettanto dovrebbe dirsi delle norme che lo seguono: di modo ché si arriverebbe all'assurdo che, ad esempio, il muratore, al quale è dovuta una somma per riparazione della scala, non saprebbe con certezza quanto chiedere a ogni condomino e dovrebbe sobbarcarsi al calcolo complicato che, fra condomini, è imposto dall'art. 1124 c.c.» (così Branca 1961, 1211). In tal senso, l'obbligo di partecipazione alle spese di lite del condomino dissenziente andrebbe limitato a quello esigibile dalla «parte vittoriosa», cui fa espresso riferimento il comma 2 dell'art. 1132 c.c., mentre non andrebbe esteso a garanzia di qualsiasi altro terzo che si vanti creditore del condominio; dunque, l'insensibilità verso il dissenso del condomino è predicabile unicamente con riguardo alla controparte processuale del condominio e per le spese giudiziali liquidate nella sentenza che abbia visto soccombente il condominio (Izzo, 806). Una più ampia conclusione, secondo cui, all'atto di gestione proveniente dall'assemblea o dall'amministratore, debba corrispondere inevitabilmente l'obbligo immediato di ciascun condomino per la spesa nei confronti del terzo – sul presupposto del comune ed inscindibile interesse che tutti i partecipanti avrebbero per le obbligazioni riguardanti l'edificio, nonché del rilievo meramente interno dei criteri di ripartizione delle spese – vanificherebbe le finalità dell'apposita disciplina regolante, ad esempio, le ipotesi di c.d. condominio parziale, come pure gli scopi delle regole di partecipazione agli esborsi dettate dagli artt. 1121, comma 1, e 1126 c.c. e, appunto, dall'art. 1132 c.c., volgendosi esse ad esonerare dalle spese quei condomini che, di volta in volta, non ne abbiano interesse o ne ritraggano utilità. Il dissenso espresso dal condomino, ai sensi dell'art. 1132 c.c. smentisce anche l'eadem causa obligandi che vincolerebbe tutti i condomini allo stesso debito, ovvero la comunione dell'interesse a conseguire la controprestazione del terzo; perciò l'esonero del dissenziente dalla responsabilità per le obbligazioni di spesa deve essere destinata ad avere incidenza anche nei rapporti esterni del condominio, pur non determinando l'esautoramento dei poteri rappresentativi dell'amministratore del condominio. Si rivelerebbe, così, manifestamente iniquo ed incongruente riconoscere, a garanzia del professionista incaricato del patrocinio legale del condominio, il vincolo obbligatorio, seppure pro quota, tra tutti i condomini per il debito costituito dal compenso di quello, coinvolgendo così nel pagamento – sul presupposto dell'indifferenza dei criteri di riparto delle spese nei rapporti correnti con i terzi – pure quei singoli che avessero ritualmente manifestato il loro dissenso rispetto alla lite deliberata dall'assemblea (Scarpa, in Celeste – Scarpa, 12). Contro la ravvisabilità dell'eadem causa obligandi, inclusiva della posizione debitoria del condominio dissenziente, si staglia l'art. 1132 c.c., il quale intende proprio – come visto – contemperare l'interesse del gruppo con quello del singolo titolare di interessi contrastanti, riconoscendo a quest'ultimo il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte sul punto. Conseguenze processualiIn quest'ordine di concetti, è stata dichiarata nulla la deliberazione assembleare che aveva posto le spese processuali, in proporzione della rispettiva quota, a carico del condomino che avesse ritualmente manifestato il proprio dissenso rispetto alla lite (Cass. II, n. 11126/2006, in quanto l'art. 1132, comma 1, c.c., contemperando l'interesse del gruppo con quello del singolo titolare di interessi contrastanti, riconosce a quest'ultimo il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte sul punto; Cass. II, n. 16092/2005, puntualizzando che non si tratta di mera annullabilità, poiché solo l'unanimità dei condomini può modificare il criterio legale di ripartizione delle spese; Cass. II, n. 5334/1996). Nello specifico, si è affermato (Cass. II, n. 13885/2014) che va considerata invalida la deliberazione dell'assemblea che, all'esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest'ultimo, pro quota, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo. Tali principi risultano confermati, da ultimo, dagli ermellini (Cass. II, n. 1629/2018), ad avviso dei quali è nulla la deliberazione dell'assemblea condominiale che, all'esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest'ultimo, pro quota, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo; in tal caso, infatti, non può farsi applicazione, neanche in via analogica, degli artt. 1132 e 1101 c.c., trattandosi di spese per prestazioni rese a tutela di un interesse comunque opposto alle specifiche ragioni personali del singolo condomino. In una fattispecie analoga, anche se non riguardante tecnicamente il dissenso di cui all'art. 1132 c.c., un giudice di merito campano (Trib. Avellino 10 gennaio 2018) ha ritenuto che, in caso di lite fra il condominio e un singolo condomino, il quale sia titolare di più unità immobiliari poste nell'edificio, quest'ultimo rappresenta un unico centro di imputazione soggettivo contrapposto al condominio, sicché va considerata nulla la deliberazione che imputi al singolo, risultato vittorioso nella lite, importi per danni (e spese di lite) liquidati dal giudice e poste a carico del condominio soccombente ai sensi dell'art. 91 c.p.c., nel giudizio che registrava il condomino danneggiato sia pure con riferimento ad un solo degli appartamenti di proprietà sito nello stabile. Relativamente, poi, agli effetti del suddetto atto di estraniazione, va ribadito che il dissenso ha efficacia meramente interna, ossia circoscritta alla sfera condominiale, non esplicando alcuna rilevanza nei confronti della controparte, che potrà, in caso di soccombenza del condominio, agire anche verso il dissenziente. Ciò emerge dal comma 2 dell'art. 1132 c.c., che attribuisce al singolo solo un diritto di rivalsa nei confronti degli altri condomini «per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa», limitando tale esborso – non alla prestazione principale, a cui il condomino sarebbe comunque tenuto, ma – alle sole spese processuali versate alla controparte ed agli eventuali danni correlati al comportamento processuale del condominio (in proposito, v. Trib. Bologna 12 ottobre 2007, secondo cui l'operatività dell'art. 1132 c.c. non va oltre l'esonero del condomino dissenziente dall'onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte, nell'ipotesi di esito della lite sfavorevole per il condominio, ma lascia immutato l'onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa). Per completezza, si è, di recente, puntualizzato (Cass. II, n. 11670/2018) che il rimborso delle spese processuali sostenute da colui che sia legittimamente intervenutoad adiuvandumè posto, senza che occorra che la sua presenza sia stata determinante ai fini dell'esito favorevole della lite per l'adiuvato, a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, abbia determinato l'interesse all'intervento (nella specie, la Suprema Corte ha condannato la parte soccombente al pagamento delle spese anche in favore dei condomini intervenuti in un giudizio instaurato dal condominio del quale erano parte per la difesa di diritti connessi alla loro partecipazione al condominio stesso). Dal comma 3 del predetto disposto si evince, poi, che ulteriore effetto del dissenso sia l'inesigibilità, nei confronti del dissenziente, delle spese processuali che il condominio abbia anticipato nel corso della controversia (un'eventuale delibera che ponga a carico del condomino dissenziente le spese di lite pro quota è da considerarsi nulla, v. Cass. II, n. 1485/1996). Qualora, invece, la causa abbia esito favorevole al condominio, quest'ultimo potrà esigere dal dissenziente, che abbia tratto un qualche vantaggio patrimoniale dalla causa – quindi, occorre un certo beneficio positivo o una data utilità, in termini, ad esempio, di conservazione o miglior uso del bene comune, non essendo sufficiente il mero rigetto della domanda proposta dalla controparte – il contributo nelle spese del giudizio che non sia stato possibile recuperare dalla parte soccombente (per insolvenza del soccombente, liquidazione delle spese in misura inferiore a quella effettivamente sostenuta, ecc.). Un'interessante precisazione ci proviene da una sentenza di merito (Trib. Firenze 4 dicembre 2006), la quale, in tema di dissenso alle liti, ha puntualizzato che l'art. 1132 c.c. – che è norma derogatoria al regime ordinario ricavabile dagli artt. 1137 e 1123 c.c., secondo cui le delibere assembleari sono vincolanti per tutti i condomini e le spese di interesse comune vanno ripartite tra tutti i compartecipi – subordina gli effetti dell'estraneazione del condomino dalla lite, al fatto che vi sia stata soccombenza e, quindi, che la lite abbia avuto esito giudiziale sfavorevole per il condominio – salvi i casi assimilabili di mancata pronuncia per fatto imputabile alla parte, rinuncia agli atti, rinuncia alla domanda, ecc. – fatto, questo, che non può verificarsi fino a quando la lite non sia stata introdotta avanti l'autorità giudiziaria (la fattispecie era relativa ad oneri per parere stragiudiziale reso da un avvocato in favore del condominio, in relazione ai quali si è esclusa l'operatività del dissenso alle liti manifestato dai ricorrenti, trattandosi non di spese defensionali per lo svolgimento delle difese in giudizio, bensì propedeutiche ad esso). BibliografiaBaldacci, Il dissenso alle liti condominiali: modalità e conseguenze, in Ventiquattrore avvocato 2008, fasc. 3, 17; Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. 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