Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 69

Alberto Celeste

[I]. I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi:

1) quando risulta che sono conseguenza di un errore;

2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.

[II]. Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'articolo 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni.

[III]. Le norme di cui al presente articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali (1).

(1) Articolo sostituito dall'art. 23, l. 11 dicembre 2012, n. 220. Il testo recitava: «I valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano possono essere riveduti o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

Inquadramento

Come per la formazione ex novo, anche per la modifica successiva delle tabelle millesimali è stata molto discussa la questione se fosse o meno indispensabile il consenso unanime dei condomini.

Fino all'intervento delle Sezioni Unite del 2010, la giurisprudenza di legittimità era abbastanza costante nell'affermare – come per l'approvazione – la necessità della deliberazione unanime di tutti i partecipanti al condominio, sicché la decisione di modifica delle tabelle adottata a maggioranza, esorbitando dalle attribuzioni dell'assemblea – circoscritte, ai sensi dell'art. 1135 c.c., all'amministrazione dei beni comuni nel rispetto dei criteri fissati dalla legge o dalla volontà unanime dei condomini – era considerata invalida, sia pure con diverse sfumature (v., tra le tante, Cass. II, n. 641/2003; Cass. II, n. 13631/2001; Cass. II, n. 2301/2001; Cass. II, n. 126/2000; Cass. II, n. 5399/1999; Cass. II, n. 1511/1997; Cass. II, n. 1455/1995; Cass. II, n. 6231/1993; nella giurisprudenza di merito, si segnalano: Trib. Genova 26 settembre 2003; Trib. Chieti 16 novembre 2001; Trib. Pescara 23 ottobre 2001.

Del resto, la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio era, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che doveva ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nella deliberazione dell'assemblea approvata, però, da tutti i condomini (sul versante dottrinale, Frigerio, 84; De Tilla 1990, 1020; Ciralli, 1412; Salis 1967, 106).

Al contempo, nulla escludeva che, in tema di riparto di spese condominiali, ben potesse l'assemblea, in attesa dell'approvazione del bilancio preventivo, autorizzare l'amministratore a richiedere ai condomini pagamenti provvisori, con riserva di successivo conguaglio sulla base del bilancio approvato e tenuto conto dei valori millesimali attribuiti a ciascuna proprietà individuale (Cass. II, n. 4531/2003; nello stesso ordine di concetti, v. Cass. II, n. 8657/1996, riguardo alla modifica, in via provvisoria, delle tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento).

D'altronde, la natura delle disposizioni contenute, negli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c., non precludeva l'adozione di discipline convenzionali che differenziavano tra loro i diritti di ciascun condomino sulle parti comuni e, simmetricamente, gli oneri di gestione del condominio, attribuendoli in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà.

Lo stesso dicasi per le tabelle millesimali predisposte dal venditore-costruttore, allegate ai singoli contratti di vendita, in quanto l'accettazione dei condomini comportava una convenzione vincolante tra le parti ai sensi dell'art. 1372 c.c., non modificabile se non con il consenso unanime di tutti i condomini (v., ex multis, Cass. II, n. 1028/1995), e che conservava piena efficacia e validità, quali leggi del condominio, sino a che non intervenisse una rituale modifica delle stesse (tra le decisioni di merito, v. Trib. Catanzaro 18 novembre 2003).

Era valida, quindi, la disposizione del regolamento condominiale, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio venivano ripartite in quote uguali tra i condomini, giacché il diverso e legale criterio di ripartizione di dette spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (art. 1223 c.c.) era appunto liberamente derogabile per convenzione – quale, appunto, il regolamento contrattuale di condominio – né siffatta regola poteva avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dell'art. 1136 c.c., o su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., in quanto, seppure riguardo alla stessa materia del condominio degli edifici, queste ultime disciplinavano segnatamente i diversi temi della costituzione dell'assemblea, della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali (Cass. II, n. 3944/2002).

In quest'ordine di concetti, avevano introdotto un principio innovativo le più recenti affermazioni dei giudici di legittimità – a cominciare soprattutto da Cass. II, n. 11960/2004, seguita, tra le altre, da Cass. II, n. 4219/2007; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Milano 13 febbraio 2007 – secondo le quali, ove le tabelle millesimali avessero natura non convenzionale, ma «deliberativa» (perché approvate con deliberazione dell'assemblea dei condomini), potevano essere modificate dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal comma 2 dell'art. 1136 c.c.

Peraltro, già alcuni autori (Triola 1992, 69) avevano nutrito dubbi sull'orientamento dominante teso ad affermare la necessaria unanimità per la modifica delle tabelle; un primo pratico inconveniente sarebbe consistito nell'eventualità di una paralisi delle attività assembleari fino al passaggio in giudicato della sentenza di accertamento dei valori millesimali; la divisata natura contrattuale avrebbe implicato, poi, la deprecabile conseguenza della sistematica inefficacia nei confronti degli aventi causa a titolo particolare dei condomini originari; infine, l'allegazione delle tabelle al regolamento, postulata dall'art. 68 disp. att. c.c., avrebbe sottinteso la soggezione delle prime alla stessa maggioranza stabilita dall'art. 1138, comma 2, c.c.

Sul punto, il supremo organo di nomofilachia (Cass. S.U., n. 18477/2010) è intervenuto per affermare che – non solo per l'approvazione, ma anche – per la modifica delle tabelle millesimali fosse sufficiente il quorum di cui al combinato disposto degli artt. 1136, comma 2, e 1138, comma 3, c.c. (la metà del valore dell'edificio), e non più l'unanimità del consenso dei condomini.

Tuttavia, a distanza di soli due anni, tale tesi sembra aver trovato una smentita dalla l. n. 220 del 2012, di riforma della normativa condominiale, la quale, innovando il disposto del comma 1 dell'art. 69 disp. att. c.c., ora prevede che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui al precedente art. 68 «possono essere rettificati o modificati all'unanimità».

Modifica successiva

Appare, in tal modo, sconfessato apertamente il diktat delle Sezioni Unite – le quali, peraltro, avevano aderito all'indirizzo minoritario – riprendendo vigore, dunque, la tesi tradizionale secondo cui l'approvazione delle tabelle millesimali non rientra nella competenza dell'assemblea, costituendo oggetto di un negozio di accertamento, che richiede il consenso di tutti i condomini; difettando tale consenso unanime, alla formazione delle medesime tabelle può provvedere il giudice, su istanza degli interessati, ma in contraddittorio con tutti i condomini (v., di recente, Cass. II, n. 11387/2013, la quale, contraddittoriamente e in maniera confusa, afferma che la l. n. 220/2010 ha «sostanzialmente recepito» l'insegnamento di cui alla sentenza Cass. S.U., n. 18477/2010«modificando e profondamente innovando» l'art. 69 disp. att. c.c.; parimenti consapevole del nuovo indirizzo, ma senza alcun richiamo alla novella, Cass. II, n. 4569/2014; cui adde, di recente, sia pure in modo tralaticio, Cass. II, n. 9232/2014; Si pongono in continuità giuridica, da ultimo, Cass. II, 6735/2020 e Cass. II, n. 27159/2018, ribadendo che l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale ma meramente ricognitivo, sicché il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., mentre, viceversa, allorché la tabella abbia espressamente inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, o approvare quella “diversa convenzione”, di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., allora la stessa tabella rivela la sua natura contrattuale e necessita dell'approvazione unanime dei condomini).

Si è, tuttavia, registrata una diversa ipotesi ricostruttiva – v., funditus, il commento dell'art. 68 disp. att. c.c. – nel senso di ritenere che la situazione, anche a seguito della novella, sia sostanzialmente la stessa delineata dalle Sezioni Unite; in pratica, si è dato atto che le innegabili incertezze che suscita la norma de qua non sembrano, peraltro, tali da indurre a smentire la più recente ricostruzione giurisprudenziale, ad avviso della quale la deliberazione che approva le tabelle non si pone come fonte diretta dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, che sono previsti nella legge, ma solo come parametro di misurazione degli stessi, determinato in base ad una valutazione tecnica.

Di conseguenza, le tabelle millesimali non dovrebbero essere in origine approvate con il consenso unanime, essendo a tale scopo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., mentre rivelerebbe comunque natura contrattuale la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ossia approvare quella «diversa convenzione», di cui all'art. 1123, comma 1, c.c.; se una siffatta tabella meramente ricognitiva dei criteri di ripartizione legali sia stata approvata, e se essa non risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni – casi nei quali può rimediarvi la maggioranza dell'art. 1136, comma 2, c.c., per ripristinare la legalità violata – la modifica di quella necessita dell'unanimità, perché così si altererebbe ciò che è matematicamente corretto, e dunque si introdurrebbero inevitabilmente deroghe al regime codicistico, adottandosi una «convenzione» sulle spese.

In quest'ottica, il legislatore del 2013 sembra aver distinto due diverse tipologie di tabelle, in ordine alle quali intervenga la volontà assembleare di rettifica re/modificare i valori millesimali (sembrano mantenersi «fedeli» alla lettura nomofilattica del 2010, tra i primi commentatori, Ginesi, 73; Figini, 595).

Da un lato, le tabelle che rispettano esattamente i criteri posti a sostegno dell'accertamento dei valori millesimali delle rispettive unità immobiliari e, quindi, ossequiose dei principi di cui agli artt. 1118 e 1123, comma 1, c.c.: in questa ipotesi, per l'approvazione è sufficiente il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., e idem per la rettifica/modifica se ci si accorge che siano stati frutto di errore originario o nel tempo siano cambiate le condizioni delle unità immobiliari; dall'altro, le tabelle che si discostano dagli effettivi valori proporzionali di cui sopra: in quest'altra ipotesi, è necessaria l'approvazione con il consenso di tutti i partecipanti al condominio, unanimità richiesta, altresì, ogniqualvolta si intenda introdurre una «convenzione» derogatoria dei parametri legali (quale essa sia).

Tali tesi, indubbiamente suggestive, però, non appaiono in linea con quanto è emerso dai lavori parlamentari, in cui si è inteso volutamente superare il principio della (approvazione o) modifica con la mera maggioranza, in sintonia, d'altronde, con l'insegnamento tradizionale secondo cui a quest'ultima non è consentito interferire sulle situazioni soggettive correlate alla proprietà esclusiva, quale può ritenersi la quota di comproprietà delle cose comuni; riprendendo le critiche all'arresto del supremo organo di nomofilachia – v. il commento all'art. 68 disp. att. c.c. – va ribadita l'intangibilità, se non per effetto della volontà unanime della compagine condominiale, della tabella espressiva dei valori delle singole unità immobiliari rispetto all'intero edificio di cui all'art. 1118 c.c., mentre le tabelle determinate ai soli effetti del riparto delle spese possono essere modificate con il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. (in tal senso, sembra porsi Cass. II, n. 21716/2020, secondo cui la redazione delle tabelle millesimali, conseguente allo scioglimento della comunione ordinaria derivante dalla ricostruzione, in maniera difforme dal passato, di un edificio andato distrutto, richiede l'unanimità dei consensi, trattandosi - non già di individuare un criterio strumentale all'ordinato svolgimento della vita condominiale, quanto piuttosto - di accertare l'entità dei diritti vantati dai singoli ex condomini sul nuovo edificio, onde procedere allo scioglimento della comunione su di esso).

Peraltro, lo stesso art. 69 disp. att. c.c. sembra tenere ben presente i passaggi motivazionali di Cass.  S.U., n. 18477/2010, laddove, all'ultimo comma – aggiunto dalla Camera rispetto al testo approvato dal Senato – stabilisce che le norme di cui al suddetto articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle «tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali», non operando, quindi, alcuna distinzione all'interno di quest'ultime tabelle, siano esse ossequiose dei criteri legali di riparto, siano esse volutamente derogatorie.

In altri termini, il legislatore – dimenticandosi dell'approvazione ex novo – ha voluto semplicemente dire che, per cambiare le tabelle millesimali, la regola è nel senso che sia necessaria l'unanimità, e l'eccezione è che basti la maggioranza qualificata solo in determinate tassative ipotesi, in cui si tratta semplicemente di adeguare le tabelle vigenti, frutto di un errore, per così dire, genetico o funzionale, al reale valore proporzionale unità immobiliare/edificio.

D'altronde, che il patrio legislatore non sia un vero e proprio «tecnico del diritto» lo si evince agevolmente dalla terminologia utilizzata in tutto il corpo dell'art. 69 disp. att. c.c., laddove ad esempio: a) accomuna, nel comma 1, la «rettifica» e la «modifica» che sono concetti sostanzialmente analoghi, entrambi appannaggio dell'assemblea (la differenza appare meramente nominalistica, a meno che si correli il primo termine all'errore, ossia facendo riferimento a qualcosa di sbagliato, ed il secondo alle sopravvenienze edilizie, che provocano un mutamento dei rapporti di valore); b) richiama, riguardo alla rettifica/modifica, «l'interesse anche di solo condomino», che è, invece, riferito più propriamente all'azione giudiziaria che non alla deliberazione assembleare; c) non disciplina i casi di «revisione» (inteso come riesame o/e controllo) davanti al magistrato, se non, all'interno del comma 2, sotto il profilo della legittimazione passiva nel relativo giudizio; d) accoppia, nel comma 3, la «rettifica» e la «revisione», dimenticandosi della «modifica».

Facta concludentia

Altrettanto discussa è la possibilità di modificare le tabelle millesimali per facta concludentia (per i contributi dottrinari in argomento, Cimatti, 21; De Tilla 1998, 388; Triola 1995, 529).

Alla stregua della qualificazione della tabella millesimale in termini di negozio di accertamento dei valori delle quote condominiali, con funzione puramente valutativa del patrimonio agli effetti della distribuzione del carico delle spese e della misura del diritto di partecipazione all'espressione della volontà assembleare – non incidendo sui diritti reali spettanti a ciascun condomino – si è affermato che la medesima tabella non richieda necessariamente la forma scritta ad substantiam ai sensi dell'art. 1350 c.c. (v., tra le pronunce di legittimità, Cass. II, n. 5686/1988, mentre, tra quelle di merito, Trib. Milano 23 giugno 1986).

Tale tesi presuppone che le tabelle di ripartizione delle spese condominiali, anche se connesse al diritto di proprietà dei partecipanti al condominio, non diano luogo a situazioni di diritto reale, e, quindi, non postulino il rispetto di particolari requisiti formali; trattasi di atti come tali inidonei a modificare gli effetti traslativi derivanti dai contratti di acquisto ed inefficienti di per sé al fine di incidere sulla consistenza dei diritti reali spettanti ai singoli condomini (Cass. II, n. 3251/1998, secondo cui, nel regime ante Riforma che ha ora innovato l'art. 67, comma 1, disp. att. c.c., la procura non doveva rivestire necessariamente la forma scritta).

Si tratta, ovviamente, di individuare caso per caso quando possa configurarsi il suddetto consenso tacito, da rapportarsi ad un comportamento univoco, dal quale sia desumibile, per il comune modo di intendere, un determinato volere con un preciso contenuto sostanziale.

Le condotte più ricorrenti e significative di un comportamento concludente hanno riguardato soprattutto il pagamento dei contributi per diversi anni da parte dei condomini in base alla tabella di fatto applicata, la prolungata accettazione dei bilanci, la partecipazione con voto favorevole a reiterate deliberazioni di ripartizione delle spese condominiali straordinarie, l'acquiescenza alla concreta attuazione di tali deliberazioni: a seconda delle fattispecie concrete, la giurisprudenza ha ritenuto che le predette condotte costituissero o meno circostanze induttive dell'esatta conoscenza, della piena consapevolezza e dell'inequivoca accettazione della modifica de qua (v., ex multis, Cass. II, n. 20318/2004; Cass. II, n. 1314/2004; Cass. II, n. 13592/2000).

Peraltro, l'applicazione nel tempo delle tabelle millesimali, modificate a mera maggioranza, potrebbe rappresentare una convalida della validità delle stesse, con la conseguente preclusione a farne valere l'illegittimità – da parte del condomino, inizialmente, assente, astenuto o dissenziente – per l'appunto sanata in sede di approvazione tacita di successive deliberazioni; non si nasconde, però, la fragilità di tale ricostruzione, laddove il giudizio sulla predetta coscienza e volontà della successiva approvazione ed accettazione costituisce un accertamento di fatto, basato su una serie di indici presuntivi, e, come tale, soggetto a diverse valutazioni in ordine alla sussistenza in concreto delle circostanze certe ed univoche.

Tale orientamento, però, deve attualmente fare i conti con la nota affermazione del Supremo Collegio che, nella sua massima composizione (Cass. S.U., n. 943/1999), sulla base del rilievo secondo cui la modifica – come del resto la formazione – del regolamento è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam, incidendo le sue clausole sui diritti che i condomini hanno sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva o comune, ha escluso la possibilità che le modificazioni del regolamento di condominio possano avvenire tramite di comportamenti dei condomini.

D'altronde, gli stessi giudici di legittimità (v., ex plurimis, Cass. II, n. 1510/1999; Cass. II, n. 1208/1999; Cass. II, n. 4225/1985) ritengono inammissibile la manifestazione di voto che preceda o segua l'adunanza, con relativa trattazione e discussione, le quali sono destinate appunto a consentire ad ogni partecipante di orientarsi consapevolmente in ordine alle decisioni da adottare, anche alla luce delle opinioni già espresse dagli altri, in quanto la deliberazione assembleare costituisce una sintesi, e non una somma algebrica delle volontà dei singoli partecipanti al condominio; ammettendo, invece, la modificabilità delle tabelle per fatti concludenti, si dà ingresso ad una prova, sempre espressa in forma ipotetica ed astratta, della volontarietà e consapevolezza dell'accettazione, successiva alla medesima modifica, in capo al soggetto che si stima abbia accettato tacitamente le suddette tabelle.

Resta inteso, però, che e modifiche apportate alle tabelle millesimali dal costruttore venditore in forza di un mandato irrevocabile conferito dai condomini allo scopo, genericamente enunciato, di correggere “eventuali errori” o di soddisfare l'esigenza di un “miglior uso delle cose comuni”, sono inefficaci se non approvate dall'assemblea del condominio secondo le prescrizioni dell'art. 69 disp. att. c.c. (Cass. II, n. 791/2022).

Errore rilevante.

 

Vizio del contratto

Un acceso dibattito, giurisprudenziale e dottrinale, si è registrato in ordine al significato da attribuire alla nozione di «errore» adoperata dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c.; al riguardo, la Camera, nella seduta del 27 settembre 2012, ha eliminato l'aggiunta «di calcolo materiale», riproponendo, quindi, la problematica relativa all'esatta individuazione di tale concetto.

Sul punto, il giudice della nomofilachia non era ancora giunto ad una conclusione unitaria per quel che riguardava i presupposti per la revisione delle tabelle millesimali – ora valevoli per la modifica/rettifica da parte dell'assemblea dei condomini con deliberazione a maggioranza – o meglio, la Cassazione sembrava avere imboccato una ben delineata linea interpretativa, con l'avallo delle Sezioni Unite, ma evidentemente quel dettato tuttora trova resistenze e tarda ad affermarsi (per una dettagliata ricostruzione, Scarpa 2000, 25).

Passando in rassegna la giurisprudenza che si era occupata dell'argomento, si rileva che l'istituto della revisione per errore della tabella millesimale è stato posto per la prima volta al vaglio dei giudici di legittimità nella metà degli anni sessanta (Cass. II, n. 1801/1964),

Anche i primi commenti si sono rivelati alquanto critici per la soluzione adottata (Salis 1965, 687; Lorenzi, 387; Basile, 40).

In quell'occasione, la Suprema Corte è partita dalla premessa che, per la formazione delle tabelle, occorresse l'accordo di tutti i condomini, trattandosi di negozio avente natura contrattuale, sprovvisto «normalmente» di carattere dispositivo, e da inquadrare nella categoria dei negozi di accertamento (in senso conforme, v., peraltro, anche le successive Cass. II, n. 5593/1980, e Cass. II, n. 7040/1983), o la statuizione giudiziale, ad istanza degli interessati, con sentenza di accertamento).

In ordine alla natura dell'errore che potesse dar luogo alla revisione delle tabelle, sulla base del suaccennato carattere negoziale delle stesse, era esclusa l'assimilazione dottrinale con l'errore di calcolo disciplinato dall'art. 1430 c.c., giacché – osservavano i giudici di legittimità – un'interpretazione così restrittiva renderebbe l'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. un'inutile ripetizione della norma sulla rettifica del contratto; si precisava così che, con l'istituto della revisione, non si era inteso introdurre una grave deroga ai principi sull'azione di annullamento, ma solo apprestare un rimedio che, alla luce della funzione necessaria esplicata dalla tabella, comprendesse in un unico procedimento l'eliminazione della tabella viziata da errore e la contestuale determinazione della nuova tabella.

Tra le critiche alla natura negoziale dell'atto determinativo delle tabelle, alcuni (Terzago 1996, 473) offrono anche un elemento letterale, nel senso che il ricorso dell'art. 68 disp. att. c.c. alla dizione «precisare» – il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare – connoterebbe le tabelle millesimali come una mera «precisazione», ovvero un'espressione, in esatti termini aritmetici, di valori preesistenti che le tabelle stesse non creano né possono mutare, ossia uno strumento aritmetico preciso per procedere alla ripartizione delle spese comuni ed all'accertamento del quorum delle assemblee.

Ciò premesso, la prima sentenza della Cassazione affermava che la revisione dovesse applicarsi, oltre quando vi fosse l'errore di calcolo, in ogni caso di errore rilevante come vizio del contratto ex art. 1428 c.c., e perciò allorché l'errore fosse essenziale (e riconoscibile dall'altro contraente) secondo la nozione contenuta nell'art. 1429 c.c.; restava escluso il semplice errore sul valore, il che, oltre che rispondente all'invocato criterio di essenzialità, appariva opportuno stante l'inevitabile soggettività delle valutazioni compiute nelle tabelle; né la natura di negozio di accertamento, riconosciuta al contratto determinativo delle tabelle, avrebbe comportato la rinuncia ad alcuni degli errori essenziali indicati dall'art. 1429 c.c., atteso che l'art. 69 disp. att. c.c., in mancanza di diversa specificazione, doveva riferirsi ad ogni tipo di errore.

Dovevano trascorrere quasi venti anni perché il Supremo Collegio (Cass. II, n. 116/1982; tra le decisioni di merito in linea con tale orientamento, si segnala Trib. Torino 20 maggio 1989) ritornasse sull'interpretazione dell'errore contemplato dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c.: si ribadiva la ponderazione in termini di essenzialità, ex art. 1429 c.c., degli errori che dovessero condurre alla revisione delle tabelle millesimali, e si privava così di rilievo le discordanze imputabili ai criteri di valutazione; diversamente, si stimavano essenziali gli errori, di fatto o di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti.

In questa prospettiva, non potevano, invece, qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto dai criteri, più o meno soggettivi, con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima fosse stata compiuta, poiché l'errore di valutazione, in sé considerato, non poteva mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore sulla qualità della cosa a norma dell'art. 1429, n. 2, c.c.

Divergenza tra valore considerato e reale

Dopo sei anni, però, la Corte di Cassazione operava un drastico revirement.

In aperto contrasto con la tesi sostenuta nelle prime decisioni, attribuendo all'approvazione delle tabelle valore negoziale, o non piuttosto quello di riconoscimento dell'esattezza di un'operazione puramente tecnica – di calcolo di valori proporzionali dei piani o porzioni di piano dell'edificio condominiale – si concludeva nel senso che l'errore postulato dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. per motivare la revisione delle tabelle millesimali non coincidesse con l'errore vizio del consenso disciplinato dagli artt. 1428 ss. c.c., e consistesse, invece, nell'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle (Cass. II, n. 4734/1988).

A sostegno del mutato intendimento, si evidenziava che: a) se l'art. 69 disp. att. c.c. avesse inteso ribadire la rilevanza dell'errore nei limiti fissati dagli artt. 1428 ss. c.c., tale norma sarebbe stata superflua; b) nell'art. 69 citato, l'errore veniva riferito non al consenso del condomino, che aveva approvato la tabella millesimale, ma obiettivamente ai valori proporzionali in essa contenuti; c) in base al medesimo art. 69, l'errore delle tabelle comportava la revisione delle stesse e non l'annullamento del negozio di approvazione, come, invece, sarebbe stato logico in base agli artt. 1428 ss. c.c.

In tal modo, i giudici di legittimità si dimostravano persuasi dell'ammonimento secondo cui la natura ed i requisiti dell'errore dovessero desumersi dall'espressa sanzione ricollegata al suo verificarsi, disponendosi la revisione delle tabelle e non l'annullamento delle stesse; alle considerazioni di carattere pratico poste a base della superata impostazione, veniva opposto che adducere inconveniens non est solvere argumentum; nondimeno, ci si preoccupava che, esclusa la revisione in ipotesi di errore non rilevante quale vizio del consenso, pur non essendo le tabelle conformi ai valori reali delle singole unità immobiliari, dalla validità (o, comunque, dall'acquisita inoppugnabilità) dell'atto sarebbe discesa la conseguenza iniqua dell'obbligo in perpetuo dei condomini di contribuire alle spese in misura maggiore di quanto ad essi effettivamente dovuto.

Successivamente, nella stessa linea interpretativa, la Cassazione (Cass. II, n. 5942/1998; Cass. II, n. 5722/1991) ha ritenuto di negare l'effetto dell'incontestabilità – proprio sotto il profilo dell'errore ex art. 69, n. 1), disp. att. c.c. – della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai contratti di vendita degli alloggi, e perciò accettata dai condomini; per pervenire a questo risultato, veniva ancora una volta argomentato che la causa petendi dell'azione di revisione non consisteva in un vizio del volere che inficiasse la formulazione della volontà contrattuale, ma solo in un errore oggettivo delle tabelle ed il relativo petitum si sostanziava nella sola revisione delle stesse.

Il nuovo orientamento sopra delineato ha ricevuto il supporto di una parte della dottrina (Terzago 1985, 197; De Tilla 1994, 963; Balzani 1982, 94).

Anche altre decisioni della giurisprudenza (di legittimità e di merito) hanno aderito a tale tesi: in pratica, l'accettazione delle tabelle millesimali non ne precludeva l'impugnabilità per obiettiva divergenza del valore considerato rispetto a quello reale, imputabile ad errori di fatto, in ordine alle caratteristiche degli elementi necessari per la valutazione ai sensi dell'art. 68 disp. att. c.c., o ad errori di diritto riguardanti l'identificazione di tali elementi (Cass. II, n. 1367/1994; nella giurisprudenza di merito, in senso conforme, v. Trib. Piacenza 9 giugno 1998; Trib. Milano 29 maggio 1989; App. Milano 9 settembre 1988).

Si escludeva, in altri termini, che l'accettazione delle tabelle millesimali impedisse al condomino la possibilità di contestarle giudizialmente per l'obiettiva divergenza tra valore considerato e valore reale dei singoli appartamenti, ma, al tempo stesso, si affermava che non poteva considerarsi errore rilevante ex art. 69, n. 1), disp. att. c.c., l'avere attribuito, ad esempio, alle unità immobiliari site al piano terreno dell'edificio, obiettivamente destinate – in ragione della loro conformazione strutturale – ad attività commerciali, un valore più elevato rispetto a quello risultante dal mero calcolo della superficie e della cubatura.

L'affermazione, secondo cui l'errore in grado di inficiare le tabelle millesimali è quello essenziale che, a norma degli artt. 1427 ss. c.c., poteva determinare l'invalidità del contratto, peraltro, era respinta da quella parte della summenzionata dottrina, che non condivideva il suddetto presupposto della natura negoziale dell'atto di determinazione delle tabelle; essa aveva, infatti, posto in evidenza l'estrema genericità della formulazione dell'art. 69, n. 1), disp. att. c.c., che sembrava alludere ad una nozione più «familiare» che tecnica dell'errore, nonché la diversità delle sanzioni che l'ordinamento ricollegava ai due tipi di errore, quello previsto dagli artt. 1427 ss. c.c., cui conseguiva l'annullamento, o, nell'ipotesi dell'art. 1430 c.c., la rettifica, e quello contemplato al suddetto art. 69, cui conseguiva la mera revisione della tabella.

Di qui la conclusione che l'errore, che poteva inficiare le tabelle millesimali, non era quello essenziale di cui agli artt. 1427 ss. c.c., ma qualunque errore e, quindi, anche quello direttamente incidente sulla valutazione degli elementi di stima.

Risoluzione del contrasto

Su queste premesse, si è innestata la sentenza delle Sezioni Unite intervenuta verso la fine del secolo scorso, che sostanzialmente ha fatto propri i rilievi argomentativi posti a fondamento dell'ultimo orientamento (Cass. S.U., n. 6222/1997).

La dottrina non ha mancato di offrire sul punto il suo contributo (Scarpa 1997, 451; Barbieri, 451).

Dunque, gli errori rilevanti agli effetti della revisione giudiziale prevista dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. (vecchio testo) dovevano intendersi – non quei vizi del consenso contemplati dall'art. 1428 c.c. come causa di annullamento del contratto, ma – tutti quelli obiettivamente verificabili, causa di apprezzabile discrasia tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari ed il valore effettivo delle stesse.

La soluzione del problema – si è sottolineato – non dipendeva, peraltro, dal carattere negoziale, o meno, della determinazione delle tabelle millesimali; invero, anche riconoscendo carattere negoziale all'approvazione delle tabelle, e non piuttosto quello di riconoscimento dell'esattezza di un'operazione puramente tecnica – di calcolo dei valori proporzionali dei piani o delle porzioni di piano dell'edificio condominiale – della revisione prevista dall'art. 69 citato non faceva da presupposto l'annullamento, non essendo ciò desumibile dalla formulazione della norma in esame, che accennava semplicemente ai valori da rettificare in quanto conseguenza di un errore, con riferimento, quindi, non già all'errore quale vizio del consenso, ma all'oggettiva presenza di difformità tra i valori di cui sopra.

Pertanto, gli errori rilevanti ai fini della revisione risultavano quelli obiettivamente verificabili, restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza, ai fini dell'errore, dei criteri soggettivi – ad esempio, di ordine estetico – nella stima degli elementi necessari per la valutazione ex art. 68 disp. att. c.c.

In altri termini, davano luogo alla revisione giudiziale delle tabelle solo gli errori che attenessero alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l'estensione, l'altezza, l'ubicazione, l'esposizione, ecc.), sia errori di fatto – si pensi all'erronea convinzione che un singolo appartamento avesse un'estensione diversa da quella effettiva – sia errori di diritto – ad esempio, l'erronea convinzione che, nell'accertamento dei valori, dovesse tenersi conto di alcuni degli elementi che, ex art. 68, comma 2, disp. att. c.c., erano irrilevanti a tale effetto – in quanto l'errore contemplato nel successivo art. 69 non si riferiva al consenso dato all'approvazione delle tabelle, bensì obiettivamente ai valori in esso contenuti, comportando la revisione e non l'annullamento dell'atto di approvazione.

Oscillazioni interpretative

Purtroppo, l'intervento del supremo organo della nomofilachia non è stato risolutivo.

Infatti, la questione sembrava risolta, ma alle soglie del nuovo millennio, la seconda Sezione civile della Corte di Cassazione si è posta consapevolmente contro il decisum delle Sezioni Unite (da ricordare che, solo a seguito del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il comma 3 dell'art. 374 c.p.c., è stato modificato nel senso che, «se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso»).

Si è così affermato (Cass. II, n. 2253/2000) che i criteri legali di determinazione della caratura millesimale dell'edificio condominiale indicati dall'art. 68 disp. att. c.c. sono «sicuramente» derogabili dalla volontà di tutti i condomini – argomentando dal disposto dell'art. 1123, comma 1, c.c. – perché attengono a diritti dei quali essi possono liberamente disporre.

Ne consegue che, se questi ultimi, nell'esercizio della loro autonomia privata, possono stipulare – o accedere alla stipulazione in tal senso posta in essere dai loro danti causa – una tabella millesimale diversa da quella che conseguirebbe all'applicazione dei predetti criteri, deve ritenersi che tale diversità essi abbiano voluto e che hanno voluto derogarvi, sicché non può certo parlarsi di errori emendabili ai sensi del successivo art. 69, bensì di criteri convenzionali differenti da quelli legali.

Diversamente ritenere, e cioè affermare che i condomini stipulanti una tabella che preveda una caratura millesimale delle singole parti dell'edificio non corrispondenti al valore reale, possono ottenere la revisione ai sensi di tale norma, dando rilievo esclusivamente all'oggettività dell'errore, significherebbe condizionare la permanenza degli obblighi contrattualmente assunti al mero arbitrio di ciascuno di essi, e così non riconoscere valore alla loro autonomia negoziale, pur essendo coinvolti soltanto diritti disponibili, e ciò in contrasto con quanto sancito dall'art. 1123, comma 1, c.c., che consente espressamente – seppure ce ne fosse stato bisogno – deroghe convenzionali ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali.

Pertanto – secondo il Supremo Collegio – ne deriva che la revisione della tabella ai sensi dell'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. sia possibile solo se la tabella non è contrattuale, mentre quando invece la tabella ha matrice contrattuale gli errori non rilevano nella loro oggettività – intesi cioè quale oggettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito – ma solo se abbiano determinato un vizio nel consenso (tra le pronunce di merito, v. Trib. Verona 31 ottobre 2002).

Il contrasto interpretativo, concernente l'errore di cui all'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. ed il correlativo àmbito di utilizzabilità del rimedio contemplato da tale disposto, è emerso ancora più netto nel 2001.

Invero, nel mese di marzo, due quasi coeve decisioni hanno ribadito – pur con diversa composizione collegiale – quanto affermato dalle Sezioni Unite del 1997, e cioè che l'errore che giustifica, ai sensi del citato art. 69, la revisione delle tabelle, non coincide con l'errore vizio del consenso di cui agli artt. 1428 ss. c.c., ma consiste nell'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell'edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle tabelle medesime (Cass. II, n. 4528/2001; Cass. II, n. 4421/2001).

A distanza di nemmeno tre mesi, è intervenuta, però, un'altra decisione (Cass. II, n. 7908/2001), che, sulla base del principio condiviso dall'arresto dell'anno precedente, rilevato che, se un condomino agisca per la formazione di una nuova tabella, contestando quella allegata al regolamento di natura contrattuale, non per un vizio della volontà, ma per l'oggettiva violazione dei principi stabiliti dagli artt. 1123 c.c. in tema di ripartizione delle spese comuni, l'azione così proposta è correttamente qualificata come revisione della tabella ex art. 69 citato, azione peraltro non esperibile nel caso concreto attesa la natura contrattuale della tabella stessa, essendo esperibile soltanto l'ordinaria azione di annullamento del contratto, previa allegazione di un vizio della volontà.

Si attende, pertanto, che la vexata quaestio sia nuovamente posta al vaglio delle Sezioni Unite affinché queste ultime tornino – si spera definitivamente per tutti gli operatori del settore – a comporre il contrasto interpretativo (per ulteriori approfondimenti delle problematiche sottese, Celeste 2002, 131; tra i più recenti contributi dottrinali sull'argomento, sia pure ante Riforma, Calevi, 1579; Nasini, 774; Tortorici, 621; Coscetti, 792; Gallucci, 196; Papa, 16; D'Aloe, 13; Triola 2005, 2728).

Sembra, però, che, più di recente, l'orientamento della II Sezione si stia conformando al  diktat  del supremo organo di nomofilachia (nel senso di errore come oggettiva discrepanza, v. Cass. II, n. 7300/2010, secondo cui, in tema di revisione delle tabelle millesimali, ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c.., al fine di accertare se, nella valutazione dei piani o delle porzioni di piano, si sia attribuito ad essi un valore diverso da quello effettivo, il giudice può limitarsi a considerare l'estensione della superficie piana soltanto nel caso in cui tutti i piani o le porzioni di piano siano della stessa altezza; ove, invece, si tratti di piani di diversa altezza – come nella specie, concernente un sottotetto, non effettivamente godibile, causa la ridotta altezza del medesimo, in tutti i suoi metri quadrati di superficie piana – egli deve valutare, all'anzidetto fine, anche la cubatura reale; Cass. II, n. 3001/2010, ad avviso della quale i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell'edificio vanno individuati con riferimento al momento dell'adozione del regolamento e la tabella che li esprime é soggetta ad emenda solo in relazione ad errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell'edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull'originaria proporzione dei valori, sicché, in ragione dell'esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, nè i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell'edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l'edificio; nella giurisprudenza di merito, si segnalano: Trib. Civitavecchia 3 novembre 2009; Trib. Monza 14 settembre 2004; Trib. Milano 15 maggio 2003).

Di recente, gli ermellini (Cass. II, n. 1848/2018) hanno delineato un interessante distinguo in tema di revisione delle tabelle millesimali: invero, qualora i condomini, nell'esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all'art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., che attribuisce rilievo esclusivamente all'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell'edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle; ove, invece, tramite l'approvazione della tabella, anche in forma contrattuale – mediante la sua predisposizione da parte dell'unico originario proprietario e l'accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l'accordo unanime di tutti i condomini – i condomini stessi intendano (come, del resto, avviene nella normalità dei casi) non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima), la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l'errore il quale, in forza dell'art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l'errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 ss. c.c., ma consiste, per l'appunto, nell'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito.

Comunque, il termine «rettifica», utilizzato dalla Riforma del 2013, accomunandolo a quello di «modifica», sia pure contemplando incombenti di prerogativa più prettamente assembleare, appare richiamare, anche ai diversi fini della revisione giudiziale, il concetto di «errore di calcolo» previsto dall'art. 1430 c.c.

Per completezza, sul versante probatorio, si è puntualizzato che la parte, la quale chiede la revisione delle tabelle millesimali, non ha, tuttavia, l'onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo limitarsi a fornire la dimostrazione, anche implicita, di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l'esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio; a sua volta, il giudice, per revisionare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi – quali la superficie, l'altezza di piano, la luminosità, l'esposizione – incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. II, n. 21950/2013; il principio è stato, altresì, confermato da Cass. II, n. 25790/2016, la quale, sul presupposto che il diritto di chiedere la revisione delle tabelle millesimali è condizionato dall'esistenza di uno o entrambi i presupposti indicati dall'art. 69 disp. att. c.c. – che, nella formulazione, applicabile ratione temporis, anteriore alla l. n. 220 del 2012, richiede un errore ovvero un'alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano – ha ribadito che relativa ricorrenza va dimostrata, in base alla regola generale del riparto dell'onere probatorio e quantomeno con riferimento agli errori obiettivamente verificabili, da chi intende modificare le tabelle).

Sopravvenienze edilizie.

 

Singole ipotesi

Lo sforzo interpretativo si era incentrato, non solo sulle modalità da adottare – consenso espresso o fatti concludenti, maggioranza o unanimità – per modificare le tabelle millesimali, ma anche sulla verifica della sussistenza dei presupposti per la relativa «revisione» ad opera dell'autorità giudiziaria.

Al riguardo, la Riforma del 2013 non prevede più ex professo un intervento da parte del magistrato in tal senso – salvo contemplare una semplificazione a livello processuale sul versante della legittimazione passiva – disciplinando soltanto la «rettifica» e la «modifica», che appaiono piuttosto prerogative dell'assemblea dei condomini; tuttavia, la medesima terminologia mutuata dalla precedente versione agevola la ricostruzione interpretativa delle ipotesi contemplate dalla legge, restando ferma l'impostazione secondo cui le tabelle costituiscono uno strumento sostanzialmente stabile, visto l'evidente disfavore per un loro frequente cambiamento alla luce dei «paletti» posti alla loro correzione.

Nello specifico, il nuovo testo dell'art. 69, comma 1, disp. att. c.c., dopo aver prescritto che le tabelle millesimali possono essere rettificate o modificate «all'unanimità», stabilisce che tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., nei seguenti casi – oltre quando risulta che sono conseguenza di un errore, analizzata supra – quando, «per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino», specificando che, in tal caso, il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.

La seconda ipotesi prevista dalla predetta norma non ha creato significativi problemi applicativi.

Si tratta, in buona sostanza, di individuare con esattezza le tipologie delle sopravvenienze edilizie che giustificavano la revisione, e ora la modifica, sempre che sussista la suddetta alterazione del valore della singola unità immobiliare (De Paola, 471).

In quest'ottica, non è condivisibile, invece, l'opinione di chi (Salis 1967, 1064) riteneva necessaria la revisione della tabella anche nel caso in cui venga ad accrescersi il numero dei condomini con la vendita di un piano a più soggetti in modo distinto per appartamenti monolocali.

In precedenza, si consentiva l'azione giudiziaria «quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata», fosse «notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano»; confrontando tale testo con la versione attuale, ci si accorge che le mutate condizioni di una parte dell'edificio vengono correlate soltanto alla sopraelevazione, all'incremento di superfici (e non stranamente al decremento) oppure all'incremento o diminuzione delle unità immobiliari, scomparendo, quindi, le «espropriazioni parziali» e le «innovazioni di vasta portata», che ora ragionevolmente dovrebbero rientrare nel concetto di incremento/diminuzione di superficie – purché rilevante, v. infra – rimanendo confermata la correlazione alle variazioni «volumetriche», ossia alla consistenza, delle unità immobiliari (si pensi alla trasformazione in locale abitabile del sottotetto, della veranda del balcone e della tavernetta della cantina).

Possono richiamarsi, in proposito, i principi elaborati dalla giurisprudenza in precedenza, rammentando che l'eventuale divergenza tra i valori delle singole unità immobiliari di un edificio condominiale, rapportati al medesimo, e le tabelle millesimali, derivata dalle suddette sopravvenienze edilizie, non determina né la nullità di tali tabelle, né delle deliberazioni fondate sulle medesime, bensì ne giustifica la modifica da parte dei condomini o la revisione ad opera dell'autorità giudiziaria (Cass. II, n. 15094/2000), sicché, nonostante le intervenute variazioni di consistenza delle singole unità immobiliari, le vecchie tabelle rimangono efficaci fino a quando non siano state ritualmente mutate con le predette modalità (Cass. II, n. 5399/1999; Cass. II, n. 3701/1988; v., da ultimo, Cass. II, n. 15109/2019, secondo la quale, in ipotesi di divisione orizzontale in due parti di un appartamento in condominio, non si determina alcuna automatica incidenza dell'opera sulle tabelle millesimali ai fini della revisione dei valori delle unità immobiliari, non sussistendo nella fattispecie il presupposto della notevole alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano, così come richiesto dall'art. 69 disp. att. c.c., nel testo antecedente alla riforma attuata con la l. n. 220/2012 applicabile ratione temporis).

Circa la sopraelevazione, era evidente che questa venisse a mutare lo stato dei luoghi mediante un accrescimento reale, cui si poteva assimilare anche l'ipotesi di una sottocostruzione di notevole entità; la modifica delle tabelle si imponeva, altresì, in caso di sopralzo, quando chi aveva realizzato tale manufatto fosse il costruttore-venditore che si era riservato l'esercizio del diritto senza corrispondere alcuna indennità ai condomini (Trib. Milano 14 marzo 1960; v., però, Cass. II, n. 9579/1991, sulla non sufficienza di per sé, al fine della predetta revisione, della realizzazione di una sopraelevazione di un edificio condominiale; Cass. II, n. 2943/1967, secondo cui, nel caso di suddivisione orizzontale di un appartamento di notevole altezza, tale da ricavarne due parti, l'una sopra all'altra, collegate da una scala interna, tale modificazione non comportava un'automatica incidenza dell'opera sulle tabelle millesimali; resta inteso, ad avviso di Cass. II, n. 13184/2016, che il condomino può dividere il suo appartamento in più unità ove da ciò non derivi concreto pregiudizio agli altri condomini, salva eventuale revisione delle tabelle millesimali, non ostando che il regolamento contrattuale del condominio preveda un certo numero di unità immobiliari, qualora esso non ne vieti la suddivisione).

Parimenti, l'espropriazione (di un'ala, di un piano, ecc.) dello stabile comportava un mutamento dei valori reciproci delle singole proprietà, salvo che l'ente espropriante non partecipasse come condomino, in quanto la fattispecie contemplata dal vecchio testo del citato art. 69 riguardava un atto ablativo che comportasse la riduzione del condominio, potendosi annoverare in tale fenomeno anche il perimento parziale quando non si procedesse alla ricostruzione.

Relativamente alle innovazioni, si osservava che queste assumevano un significato diverso da quello indicato dall'art. 1120 c.c., riferendosi a quelle variazioni ingenti e cospicue, intervenute nei singoli appartamenti – si pensi alla realizzazione di locali abitabili da cantine site nel sottosuolo, con dotazione di impianti e servizi prima non esistenti – che arrecassero un'alterazione notevole negli elementi di valutazione delle proprietà esclusive, nel senso che vi fosse uno scarto ragguardevole nel raffronto tra i millesimi in atto e quelli che avrebbero dovuto scaturire dalla realizzazione (tale divario considerava, quindi, il danno che gli altri condomini avrebbero subìto qualora le carature millesimali fossero rimaste inalterate).

Ci si era chiesti se il mero mutamento di destinazione in concreto della singola unità immobiliare (con conseguente valorizzazione della stessa) potesse o meno comportare la revisione delle tabelle.

La risposta è stata negativa, in quanto la determinazione dei valori proporzionali avveniva tenendo conto delle caratteristiche proprie degli immobili, e non da valutazioni puramente soggettive, cioè dalle personali necessità e dalla convenienza economica, salvo che l'eventuale uso più intenso della stessa comportasse una maggiorazione delle spese di esercizio, che poteva decidere la stessa assemblea a maggioranza, ad esempio, nel caso adibizione dell'appartamento ad uso ufficio, con conseguente alto afflusso di persone (nella giurisprudenza di merito, v. App. Milano 19 febbraio 2005; Trib. Parma 14 gennaio 1998; Trib. Milano 14 luglio 1988).

In altri termini, la trasformazione richiesta ai fini della revisione delle tabelle doveva consistere non già in un semplice miglioramento dell'appartamento, ma nella creazione di un quid novi che alterasse il rapporto vigente tra le rispettive quote proporzionali (Salciarini 2011, 285; Rezzonico, 257).

In quest'ottica, è significativo il precedente art. 68, comma 2, disp. att. c.c., che priva di rilevanza, nell'accertamento dei valori, i miglioramenti e lo stato di manutenzione di ciascun appartamento, e, di converso, legittima la revisione se la tabella abbia erroneamente tenuto conto di tali circostanze (Terzago 1998, 421).

Il «mutamento della destinazione», come elemento giustificante la modifica tabellare, era stato inserito durante i lavori parlamentari della Riforma, ma poi è stato espunto in seconda lettura dalla Camera (nel senso dell'irrilevanza dei mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, v. Cass. II, n. 3001/2010).

Consistenza dell'alterazione

Rimaneva, però, la valutazione della «notevole entità dell'alterazione», che era stata intesa in senso relativo, ossia con riferimento alle dimensioni del condominio interessato, in quanto la stessa innovazione – si pensi alla trasformazione di un sottotetto in mansarda – avrebbe potuto determinare un rilevante squilibrio dei millesimi in uno stabile di piccole dimensioni e risultare insignificante in un palazzone di molti piani; il concetto di notevole entità avrebbe potuto, altresì, correlarsi non tanto al quantum speso, quanto alla posizione in cui veniva a trovarsi il bene iniziale in relazione allo stato attuale – ad esempio, nella trasformazione di locali terranei interni in botteghe esterne – purché tale modificazione accrescesse considerevolmente il valore di tali vani, specie sotto il profilo dell'utilizzabilità (rivelandosi, invece, ininfluente l'eventuale aggiornamento dei coefficienti catastali o/e concessione in sanatoria delle opere realizzate).

A seguito della l. n. 220 del 2012, l'alterazione delle condizioni di parte dell'edificio non deve essere più «notevole», ma è quantificata oggettivamente con riferimento ad una soglia discrezionale adottata dal legislatore, ossia un quinto del valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino: in effetti, l'aggettivo utilizzato in precedenza – pur volto a scoraggiare la litigiosità di quei condomini, i quali avrebbero invocato la revisione tabellare anche per modestissime variazioni dei valori – in assenza di sicuri parametri di riferimento, aveva dato àdito ad incertezze interpretative.

Attualmente, si fissa la soglia del 20% – nella legislazione francese è già, da tempo, quella del 25% – oltre la quale la sopravvenienza edilizia si presume che muti considerevolmente una parte dell'edificio, alterando i valori proporzionali espressi nella tabella millesimale, e legittimando la modifica da parte dell'assemblea con il quorum qualificato oppure l'intervento revisionale del magistrato (in ciò supportato, con tutta probabilità, da una consulenza tecnica d'ufficio); in questa nuova ottica, pertanto, non necessariamente tutti i cambiamenti denunciati ed accertati comportano la modifica delle tabelle millesimali, ma soltanto quelli di una certa consistenza (si pensi al caso di un'unità immobiliare, con una terrazza a livello di 15 mq. che, a seguito della trasformazione in veranda abitabile, comporti una variazione millesimale di solo il 5%).

Costi della variazione

Molto opportuna, infine, si rivela l'aggiunta – introdotta nella seduta di Montecitorio del 27 settembre 2012 – secondo la quale il relativo costo è «sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione».

Invero, l'aver addossato al condomino responsabile, il quale ha provocato la suddetta variazione dell'edificio, le spese dell'eventuale perizia (stragiudiziale o giudiziale) necessaria al fine della redazione delle nuove tabelle, si giustifica per il fatto che, in caso di ampliamenti, spesso arbitrari – si pensi al classico balcone tamponato con una veranda – era proprio il condomino «furbetto» che non dava il suo consenso alla revisione alle tabelle millesimali, meglio rispecchiante il reale valore millesimale attribuito alla sua unità abitativa rispetto all'articolazione dell'intero fabbricato, costringendo i condomini «onesti» a sobbarcarsi l'onere di un lungo e costoso giudizio per far accertare l'effettiva situazione, salvo talvolta rinunciare all'azione considerando i tempi e le spese legali da affrontare.

Senza contare, poi, che la giurisprudenza – v. infra – è concorde nel ritenere che l'efficacia esecutiva della sentenza costitutiva (e non dichiarativa) di revisione delle tabelle millesimali operi soltanto a decorrere dal suo passaggio in giudicato (e non dalla domanda, né dalla realizzazione delle opere innovatrici dello stabile).

Ne consegue che l'efficacia ex nunc (e non ex tunc) di tale decisione, peraltro giunta a notevole distanza di tempo dall'incardinazione dell'azione – sovente proprio a causa della condotta ostruzionistica o dilatoria del soggetto controinteressato alla stessa revisione – comportava, nel frattempo, in capo ai condomini un'ingiusta partecipazione economica alle spese superiore al dovuto, a fronte del vantaggio medio tempore lucrato dal soggetto che aveva alterato abusivamente la consistenza dell'edificio.

Derogabilità della previsione

Un'altra questione che si era posta riguardava se la tabella millesimale approvata dai condomini potesse o meno essere riveduta nei soli casi «tassativamente» indicati dall'art. 69 disp. att. c.c., atteso che tale norma era prevista come inderogabile ai sensi del successivo ex art. 72.

Analogo problema si ripresenta oggi riguardo alle ipotesi eccezionali in cui è ammessa la modifica della stessa tabella con la mera maggioranza assembleare (per la non tassatività, Salis 1959, 357, secondo il quale tale elencazione era semplicemente esemplificativa, poiché una notevole alterazione dei valori avrebbe potuto conseguire da demolizioni o gravi danni a determinate parti dell'edificio, dall'imposizione di servitù che impedivano o limitavano gravemente il godimento di talune parti, ecc.).

Si era discusso, ad esempio, se configurassero un presupposto per la revisione prevista dall'art. 69, n. 2), disp. att. c.c. (vecchio testo), l'installazione di un ascensore (rendendo i piani superiori più appetibili), la costruzione su fondo contiguo all'edificio condominiale (togliendo aria, luce e panorama ad una parte degli appartamenti), l'utilizzazione del sottosuolo per la realizzazione di parcheggi (rivalutando alcune zone dell'edificio o imponendo servitù che limitano il godimento), le modificazioni amministrative legate alla viabilità o all'urbanistica (rendendo inagibili determinati manufatti o conferendo maggior pregio ad alcune unità immobiliari realizzando zone verdi).

Per completezza, va sottolineato che non può, invece, parlarsi tecnicamente di modifica o revisione delle tabelle millesimali, ma di mere operazioni aritmetiche di adeguamento alla nuova realtà edilizia, nelle ipotesi di condominio parziale e di scioglimento del condominio.

Nel primo caso, il fatto che le predette tabelle esprimano il valore dei singoli appartamenti ragguagliandolo a quello dell'intero stabile, non impedisce che le stesse siano utilizzate, ai fini della ripartizione delle spese, anche qualora queste ultime debbano essere suddivise ex art. 1123, comma 3, c.c. fra i soli condomini che abbiano tratto utilità dalle opere eseguite (Cass. II, n. 1435/1966).

Nel secondo caso, costituendosi condominii separati per le parti aventi caratteristiche di edifici autonomi, restando in comune alcune cose indicate nell'art. 1117 c.c., si può sempre fare riferimento alle tabelle a suo tempo predisposte per il condominio unitario, con le dovute correzioni, stante la conseguente alterazione delle proporzioni originarie tra i valori delle porzioni individuali (Cass. II, n. 3079/1974).

Profili processuali.

 

Peculiarità del procedimento

Ci si è chiesti, sul versante più strettamente processuale, se potesse svolgersi il giudizio di revisione delle tabelle millesimali nella sede camerale propria del procedimento per volontaria giurisdizione.

La risposta è stata negativa, in quanto l'azione con cui si chiede la determinazione giudiziale delle tabelle millesimali – perché l'assemblea non vi abbia provveduto in via convenzionale o si invochi la revisione ex art. 69 disp. att. c.c. – riveste natura contenziosa: invero, l'oggetto della controversia è appunto la definizione o la modifica, con efficacia di giudicato, dei diritti e degli obblighi dei condomini rispetto alla misura del concorso nelle spese comuni ed alla rappresentanza degli stessi in sede assembleare.

In altri termini, la determinazione dei valori delle singole unità immobiliari ragguagliati in millesimi a quello dell'intero edificio, si riflette sulle cose comuni, costituendo essi il parametro su cui devono misurarsi il godimento delle cose stesse, la ripartizione delle spese, nonché l'entità della partecipazione e dell'espressione del voto dei condomini nella costituzione delle assemblee e nelle deliberazioni da prendere in esse.

In linea con tali rilievi, è stata dichiarata improponibile l'istanza proposta da alcuni condomini, in sede di volontaria giurisdizione a norma dell'art. 1105, ultimo comma, c.c., poiché non attinente all'amministrazione della cosa comune, bensì rivolta ad ottenere l'approvazione e la declaratoria di validità di un regolamento condominiale con le relative tabelle millesimali, proponibile in sede contenziosa (Cass. II, n. 4038/1994, che ha ritenuto l'inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. del relativo provvedimento camerale).

In pratica, trattandosi di valutazione tecnica, la determinazione delle tabelle dovrà essere fatta nei modi prescritti dalla legge, salvo il caso in cui tutti gli interessati decidano d'accordo di farla in modo diverso; se, però, anche un solo condomino rifiuta il suo consenso alla valutazione fatta dagli altri, il ricorso al magistrato diventa indispensabile, ma il giudice, in questo caso, non sostituisce un suo consenso a quello che uno o più partecipanti rifiutano di dare, ma si limiterà a determinare, con i mezzi che il processo gli consente – in generale, mediante CTU – l'ammontare della quota di ciascun partecipante, operando il calcolo proporzionale di valore indicato dalla legge; l'accertamento così determinato, in contraddittorio tra tutti gli interessati, contenuto in una sentenza invece che in una tabella da allegarsi al regolamento, diventerà obbligatorio per tutti e, in base ad esso, saranno regolati la vita ed il funzionamento del condominio.

Si è, altresì, precisato che la domanda di determinazione con effetti di giudicato della tabella millesimale involge una pretesa concernente un bene immobile, il cui valore va determinato ai sensi dell'art. 14 c.p.c. (Cass. II, n. 3308/1972), e che, ai fini dell'individuazione del predetto valore, deve tenersi conto dell'intero immobile interessato dall'opera interessata, e non della sola frazione sulla quale essa materialmente insista, salvo che trattasi di porzione avente propria individualità e conseguente autonoma valutabilità (Cass. II, n. 4392/1978).

Legittimazione attiva

La legittimazione attiva alla formazione/revisione delle tabelle millesimali non crea particolari problemi, spettando, ovviamente, ad ogni condomino.

Il riferimento all'interesse «anche di un solo condomino» è disposto dal novellato art. 69, comma 1, disp. att. c.c. riguardo alla sola ipotesi della «modifica» e «rettifica» ad opera della maggioranza assembleare, nel senso che la sollecitazione di tale delibera può avvenire pure da parte del singolo che sia titolare di una ridotta caratura millesimale, restando inteso che il consenso favorevole dovrà raggiungere almeno la metà del valore dell'edificio.

Se la domanda viene proposta come impugnazione della deliberazione che ha approvato, a mera maggioranza, le tabelle laddove non sia consentito dalle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 69, comma 1, nn. 1) e 2), disp. att. c.c., trattandosi di delibera nulla, in quando si è in presenza di una materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea, legittimato dal lato attivo è ciascun condomino, ivi compreso quello che abbia espresso voto favorevole, non operando al riguardo la regola, propria della materia processuale (art. 157 c.p.c.), secondo cui la nullità non può essere fatta valere dalla parte che vi ha dato causa, purché abbia un interesse in concreto ad impugnare la deliberazione assembleare di modifica delle tabelle (Cass. II, n. 15377/2000, che ha escluso l'interesse del condomino ad impugnare in base al rilievo che da tale modifica non derivava alcun pregiudizio al ricorrente).

Sotto il profilo probatorio, si è, da ultimo, puntualizzato (Cass. II, n. 11290/2018) che la parte che chiede la formazione o la revisione delle tabelle millesimali, benché non abbia l'onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella – spettando al giudice di verificare i valori di ciascuna delle porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi, quali la superficie, l'altezza di piano, la luminosità, l'esposizione, incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, di adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati – deve, comunque, fornire la prova anche implicita di siffatta difformità.

In proposito, una remota pronuncia (Cass. II, n. 623/1976) aveva ammesso la legittimazione attiva anche in capo all'amministratore – senza bisogno di preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea – nel caso in cui, impugnata da un condomino la deliberazione assembleare di ripartizione delle spese di manutenzione dell'edificio condominiale, il regolamento di condominio non precisasse il valore proporzionale delle singole quote di proprietà esclusiva in base al quale farsi tale ripartizione.

Al riguardo, è stato opportunamente sottolineato (Cass. II, n. 16982/2005) che, anche se, ai sensi dell'art. 1123 c.c., la ripartizione delle spese fra i condomini va compiuta in proporzione della proprietà di ciascuno, l'amministratore deve attenersi alle tabelle millesimali esistenti – che, pur avendo natura valutativa e non attributiva della proprietà, vanno applicate, in quanto approvate ed accettate e finchè non siano state modificate – e, pertanto, non è tenuto ad esaminare i titoli di acquisto dei singoli condomini ed a valutarli, di sua iniziativa, come (eventualmente) difformi dalle tabelle, adeguando conseguentemente il riparto delle spese a tale valutazione coinvolgente la posizione di tutti gli altri condomini, conseguendone che, qualora il condomino intenda denunciare la violazione dell'art. 1123 c.c., è tenuto ad impugnare le tabelle, chiedendone la modica giudiziale, e non il piano di riparto redatto in base alle tabelle medesime.

Risulta, pertanto, pienamente condivisibile che non rientra tra i compiti dell'amministratore di condominio la modifica delle tabelle millesimali già esistenti, o la creazione di nuove tabelle, essendo tale facoltà riservata all'assemblea dei condomini, organo cui deve, conseguentemente, ritenersi demandato anche il potere di disporre le spese necessarie ad assumere obbligazioni onde provvedere alla suddetta modifica, nel rispetto delle maggioranze qualificate prescritte dall'art. 1136 c.c. (Cass. II, n. 1520/2000: nella specie, l'amministratore aveva dato incarico di modificare le tabelle millesimali ad un professionista, in assenza di un'apposita deliberazione dell'assemblea dei condomini, e la Suprema Corte., nel sancire l'invalidità di tale atto, ha affermato, altresì, che la deliberazione adottata in una successiva riunione assembleare cui aveva partecipato lo stesso professionista per illustrare il suo operato non poteva considerarsi ratifica tacita dell'incarico conferito dall'amministratore, nè ratifica tacita poteva altresì considerarsi la circostanza che tutti i condomini avessero consentito al professionista l'accesso nei loro appartamenti).

Legittimazione passiva

Quanto al contraddittorio, nelle controversie attinenti alla revisione – come, del resto, anche per quelle concernenti la formazione ex novo – delle tabelle ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., la giurisprudenza prevalente era concorde nel ritenere che trattavasi di questioni che esplicavano un'immediata incidenza sulle situazioni giuridiche soggettive facenti direttamente capo ai singoli comproprietari, per cui si doveva procedere alla citazione in giudizio di tutti i condomini, poiché la loro legittimazione risultava preordinata alla tutela del diritto di proprietà della porzione di edificio di cui si lamentasse l'illegittima determinazione del valore compiuta mediante un'inesatta valutazione in millesimi (tra le tante, v. Cass. II, n. 1846/1978, cit.; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Roma 4 marzo 1997; Trib. Roma 11 aprile 1995).

Qualche dubbio poteva sussistere in ordine alla legittimazione passiva dell'amministratore.

In un primo momento, la stessa era stata affermata in aggiunta a quella dei singoli condomini, essendo la domanda preordinata anche alla tutela di cose ed interessi comuni, stante che la precisazione, nel regolamento condominiale, dei valori di piani o porzioni di piano, ragguagliati in millesimi a quello dell'intero edificio, si rifletteva sulle cose comuni, costituendo essi il parametro su cui dovevano commisurarsi il godimento delle cose stesse e dei servizi comuni, la partecipazione delle spese relative e l'entità della partecipazione, nonché l'espressione del voto dei condomini nella costituzione delle assemblee e nelle deliberazioni da prendere in esame (Cass. II, n. 1307/1966).

In un secondo momento, al contrario, si era esclusa la legittimazione passiva dell'amministratore, poiché risultava sempre limitata alle sole azioni relative alle parti comuni dell'edificio, ossia ai rapporti giuridici scaturenti dall'esistenza delle medesime parti comuni (Branca 1978, 1368; Branca 1974, 120).

Invece, quando la domanda giudiziale di un condomino era volta all'accertamento dell'invalidità ed inefficacia della tabella millesimale, la relativa azione doveva essere necessariamente proposta esclusivamente nei confronti di tutti i condomini, in quanto si era presenza di questioni attinenti all'accertamento dei valori millesimali delle quote di proprietà singola, che incidono su obblighi esclusivi dei singoli condomini (Cass. II, n. 3967/1984; tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Milano 30 gennaio 1997; Trib. Sanremo 28 luglio 1993).

Più di recente, la Corte di Cassazione – specie a partire da Cass. II, n. 3542/1994, passando da Cass. II, n. 14951/2008, per arrivare, più di recente, a Cass. II, n. 11757/2012, e Cass. II, n. 22464/2014 sembra aver recepito tali ultime considerazioni, in quanto ha precisato che occorre operare una distinzione tra impugnazione della deliberazione che, a maggioranza, approva/modifica le tabelle millesimali, ed impugnazioni delle tabelle medesime.

In ordine alla prima, che costituisce un'azione di accertamento dell'impossibilità dell'oggetto per difetto di competenza dell'assemblea, è legittimato passivamente soltanto l'amministratore (inizialmente, la giurisprudenza aveva ritenuto, invece, che la domanda volta all'accertamento dell'invalidità della deliberazione doveva essere proposta nei confronti di coloro che avevano deliberato l'atto impugnato, e cioè nei confronti di tutti gli altri condomini dell'edificio, v. Cass. II, n. 4405/1992; Cass. II, n. 3920/1989; Cass. II, n. 1846/1978, cit.).

In ordine alla seconda – come in tutte le azioni dirette ad ottenere una modificazione in sede giudiziale delle tabelle – sono legittimati passivi tutti i condomini, stante la natura contrattuale dell'atto di approvazione delle tabelle millesimali (nella giurisprudenza di merito, si segnala Trib. Bergamo 25 giugno 1998; in senso contrario, sembra porsi Cass. II, n. 19651/2017, secondo la quale l'amministratore di condominio è passivamente legittimato, ex art. 1131, comma 2, c.c., rispetto ad ogni azione volta alla determinazione giudiziale di tabelle millesimali che ripartiscano le spese in applicazione aritmetica dei criteri legali giacché, rientrando l'approvazione di tali tabelle nella competenza gestoria dell'assemblea, si versa in presenza di controversia riconducibile alle attribuzioni riconosciute allo stesso amministratore dall'art. 1130 c.c. ed ai correlati poteri rappresentativi processuali, senza alcuna necessità di litisconsorzio di tutti i condomini).

In sostanza, le tabelle de quibus possono essere impugnate quando ricorrono i presupposti di cui all'art. 69 disp. att. c.c., mentre, invece, l'impugnazione della deliberazione che ha modificato tali tabelle non trae fondamento dalle inesattezze originarie o sopravvenute delle stesse, ma dai vizi concernenti l'atto e la sua formazione.

Invero, la deliberazione implica la riunione in assemblea e l'osservanza delle disposizioni procedimentali, riassunte dal metodo collegiale e dal principio maggioritario, sicché la stessa può essere impugnata – oltre che per la violazione delle disposizioni di legge o del regolamento condominiale – anche per le nullità derivanti dai vizi di contenuto, concernenti (l'illiceità e) l'impossibilità dell'oggetto, tra i quali – per quel che qui interessa – rientra il difetto di competenza dell'assemblea, nel caso di materie non assegnate al collegio e riservate all'autonomia dei singoli partecipanti (De Tilla 2000, 596).

Stando così le cose, e precisato che la domanda giudiziale diretta ad impugnare la tabella millesimale configura un'azione diversa rispetto alla domanda, concernente l'impugnazione della deliberazione condominiale, che modifica la tabella, ne consegue che deve essere diversa nelle due ipotesi anche la legittimazione passiva: la prima deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, posto che la determinazione dei valori millesimali viene ad incidere sui diritti e sugli obblighi dei singoli partecipanti al condominio, per contro l'amministratore è sempre legittimato a resistere contro le impugnazioni delle deliberazioni assunte dall'assemblea, senza la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, in quanto l'impugnazione costituisce un'azione di accertamento dell'impossibilità dell'oggetto per difetto di competenza dell'assemblea, poiché rientra nell'àmbito dei poteri rappresentativi demandati all'amministratore la tutela del condominio in relazione alla difesa della legittimità di una deliberazione assembleare, qualunque ne sia il contenuto, restando inteso che la dichiarazione di invalidità della deliberazione emessa nei confronti dell'amministratore produrrà i suoi effetti direttamente in capo ad ogni singolo partecipante al condominio, determinando l'inapplicabilità delle tabelle approvate.

Sul punto, in senso fortemente innovativo, è intervenuta la Riforma del 2013, che, al comma 2, dell'art. 69 disp. att. c.c., precisa che, «ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale» allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'art. 68 disp. att. c.c., può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore, aggiungendo che quest'ultimo è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini, stabilendo che, se non adempie a quest'obbligo, «può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni».

Secondo alcuni (Scarpa, in Celeste-Scarpa 2014, 159), questa conseguenza di natura processuale è apparsa coerente con la prescelta sistemazione dell'istituto, nel senso che, esclusa la normale natura contrattuale delle tabelle e negato, al contempo, il loro fondamento unanimistico e non assembleare, alcuna limitazione può del pari sussistere in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell'amministratore per qualsiasi azione, ai sensi dell'art. 1131, comma 2, c.c., pure volta all'accertamento dell'invalidità o dell'inefficacia delle stesse tabelle, trattandosi comunque di controversia concernente gli interessi comuni dell'edificio e, quindi, rientrante nei poteri rappresentativi processuali dell'amministratore, la cui presenza in giudizio vale a smentire la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini.

Anche la giurisprudenza (v., da ultimo, Cass. II, n. 2635/2021) si è allineata a tale tesi, statuendo che la legittimazione passiva rispetto alla domanda, proposta in un giudizio pendente anteriormente alla l. n. 220/2012, volta alla determinazione o, come nella specie, alla revisione, ex art. 69 disp. att. c.c., della tabella millesimale, in applicazione aritmetica dei criteri legali, spetta all'amministratore, senza alcuna necessità di litisconsorzio tra tutti i condomini, trattandosi di controversia rientrante tra le attribuzioni allo stesso riconosciute dall'art. 1130 c.c. e nei correlati poteri rappresentativi processuali.

In altri termini, riconosciuta la competenza gestoria dell'assemblea circa l'approvazione delle tabelle, viene meno ogni resistenza a ravvisare la rappresentanza giudiziale dell'amministratore; l'approvazione delle tabelle, ove non rivesta eccezionalmente carattere contrattuale, rimane frutto di una

deliberazione, fattispecie cui l'art. 1136 c.c. guarda come portato del principio maggioritario che, consentendo di superare i voti di dissenso, contraddice il principio di unanimità, coessenziale ai canoni dell'autonomia privata, laddove la regola della maggioranza, a base della vita dell'assemblea, è, per contro, ispirata dal bisogno di funzionalità nella gestione delle cose comuni; in sede assembleare, ai fini della predisposizione delle tabelle, le posizioni dei singoli condomini confliggono, e perciò, rispetto agli interessi di questi ultimi, l'amministratore rimane estraneo, in una condizione di imparzialità; una volta, invece, che le tabelle siano state approvate dall'assemblea con la necessaria maggioranza, l'amministratore dovrà darvi esecuzione, come ad ogni altra deliberazione, ed agirà quale rappresentante dei condomini, i quali sono ormai portatori di interessi convergenti verso l'unico scopo della gestione delle parti comuni: l'applicazione delle tabelle approvate rientrerebbe, dunque, nell'àmbito delle inderogabili attribuzioni dell'amministratore, alle quali si riconduce, altresì, quella della correlata rappresentanza processuale passiva.

Di contro, una volta inquadrata la natura delle tabelle millesimali nell'àmbito negoziale, sarebbe dovuta conseguire de plano l'individuazione dei legittimi contendenti nel processo volto alla loro formazione/revisione, ossia tutti i proprietari delle unità immobiliari dello stabile interessato (questione, peraltro, non affrontata ex professo dal supremo organo di nomofilachia nella pronuncia del 2010, anche se poteva trarsi dalla stessa il logico corollario sul versante processuale).

Invece, l'aver individuato, al riguardo, la legittimazione passiva dell'amministratore «ai soli fini» della revisione delle medesime tabelle (quali esse siano) sembra configurare di un mero escamotage compromissorio, perché, da un lato, si ribadisce la necessità del consenso unanime per l'approvazione/revisione delle tabelle millesimali – salve le ipotesi eccezionali sopra delineate – dall'altro, si opta per tale semplificazione processuale considerando le difficoltà conseguenti all'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., nei confronti di tutti i partecipanti al condominio (situazione processuale, peraltro, non agevole da mantenere anche nei successivi gradi di giudizio). – ossia aver omesso di informare l'assemblea di un giudizio concernente la revisione delle tabelle – ha un rilievo esclusivamente interno, in quanto l'amministratore inadempiente, al massimo, potrà essere destituito (dall'assemblea o dal magistrato) e potrà anche essere tenuto al risarcimento dei danni provocati ai condomini, ma rispetto a colui che ha promosso il giudizio (il condomino) resta ferma la legittimazione passiva dell'amministratore e, parimenti, rimane intatta l'opponibilità della sentenza (quale essa sia) nei confronti del condominio (Celeste, in Celeste-Scarpa 2012, 238); in fondo, trattasi di adempimenti, e correlate sanzioni, molto simili al meccanismo delineato dai commi 3 e 4 dell'art. 1131 c.c., quasi a sottolineare che siamo in presenza di una controversia che esula dalle attribuzioni dell'amministratore, trattandosi di azione preordinata alla tutela del diritto di proprietà dell'unità immobiliare di cui si lamenta l'illegittima determinazione del valore in termini millesimali.

Quanto sopra vale anche per il caso del c.d. supercondominio di cui all'art. 1117-bis c.c., salvo precisare che vanno convenuti in giudizio solo gli amministratori dei singoli condominii, e non i rappresentanti dei singoli condominii nominati ai sensi dell'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. (Del Chicca, 24).

Efficacia della sentenza

Un'altra rilevante questione processuale riguarda gli effetti ex nunc o ex tunc della sentenza conclusiva del giudizio di revisione delle tabelle millesimali (tra i contributi sull'argomento, Frittelli, 1056; Cirotti, 11).

Tuttavia, sembra oramai ius receptum nella giurisprudenza di legittimità che la revisione giudiziale delle tabelle millesimali spieghi i suoi effetti solo dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.) e, pertanto, operi – non ex tunc, ossia dal momento della domanda introduttiva del giudizio oppure dal momento della commissione dell'errore originario o dalla sopravvenuta opera edilizia, bensì – ex nunc, ossia per quanto concerne la successiva gestione del condominio.

Tale efficacia solo per il futuro viene giustificata dalla natura «costitutiva» della pronuncia, in quanto volta ad assolvere «la stessa funzione dell'accertamento raggiunto all'unanimità dei condomini» (così Cass. II, n. 7696/1994), con la conseguenza che le tabelle pregresse, benché oggetto di revisione da parte del magistrato, conservano efficacia, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, sino alla formazione del giudicato, pienamente fondando la validità delle deliberazioni assembleari medio tempore adottate (Cass. II, n. 15094/2000; Cass. II, n. 5399/1999; in ordine all'irretroattività della sentenza in oggetto, v., altresì, nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 9 dicembre 1997; in argomento, Cass. II, n. 495/2006 ha rilevato che la sentenza la quale, nel determinare le tabelle millesimali, consideri di proprietà comune un certo bene facente parte dell'edificio condominiale ha efficacia di giudicato implicito – fra le parti che hanno partecipato al relativo giudizio – in ordine all'accertamento della proprietà comune di detto bene, costituendo quest'ultimo l'antecedente logico-giuridico indispensabile della relativa decisione, con la conseguenza che il relativo accertamento determina il superamento della previsione, in un atto di acquisto di una proprietà singolare, dell'esclusione della comunione di quel bene).

Ad ogni buon conto, sull'imprescrittibilità del diritto del condomino alla revisione giudiziale, la dottrina è concorde (Salis 1959, 436; Branca 1982, 357; Peretti Griva, 135).

Tale conclusione ha trovato, sia pure incidentalmente, anche l'avallo del supremo organo di nomofilachia (Cass.  S.U., n. 16794/2007), il quale, in tema di sopraelevazione, ha sottolineato che la modifica delle tabelle, ai sensi dell'art. 69, n. 2), disp. att. c.c. (vecchio testo), non costituisce una conseguenza naturale ed immediata della trasformazione edilizia sopravvenuta, bensì l'effetto di un accertamento, negoziale o giudiziale, che ha natura costitutiva ex art. 2908 c.c. e, quindi, effetto esclusivamente ex nunc, senza possibilità di operatività retroattiva (in senso analogo, si era espressa Cass. II, n. 3860/1986).

È stato, in proposito, rilevato che le sentenze volte – non all'attribuzione di un bene dovuto, ma – alla modificazione di rapporti giuridici preesistenti producono effetti solo dal definitivo accertamento del diritto a tale modificazione, e che un'eventuale deroga a tale principio, con eventuale anticipazione degli effetti alla proposizione della domanda, sarebbe in contrasto con l'esigenza di non paralizzare la gestione dei beni e servizi comuni durante il tempo occorrente alla maturazione del giudicato.

In tal modo, si tenta di trovare un congruo contemperamento tra contrapposti interessi, essenzialmente riconducibili, da un lato, alla speditezza che deve caratterizzare la gestione di un condominio e, dall'altro, alla corrispondenza dei valori millesimali al reale assetto dell'edificio.

Sotto il primo profilo, la speditezza implica che il concorso di ciascun condomino alla formazione delle deliberazioni ed alla provvista dei mezzi per fronteggiare le spese sia agevolmente determinabile mediante il riferimento a parametri certi, non suscettibili di continua revisione a posteriori.

Sotto il secondo profilo, la conformità tra i valori millesimali e l'articolazione effettiva dell'edificio importa, invece, che si dia rilievo all'errore in cui si sia incorsi nella stima ab origine, così come alle trasformazioni sopravvenute che abbiano notevolmente alterato i rapporti tra i valori originari.

In quest'ordine di principi, è apparso, quindi, ragionevole qualificare la sentenza di revisione delle tabelle millesimali come pronuncia costitutiva (e non dichiarativa), poiché volta a produrre le modificazioni dei rapporti sostanziali solo al momento della maturazione del giudicato, al fine di evitare che, da ogni grado di giudizio, possa derivare una diversa ricostruzione delle vicende condominiali.

Si tratterebbe, in buona sostanza, di una scelta meditata perché la gestione del complesso delle attività condominiali – non riconducibili esclusivamente alla ripartizione delle spese, ma coinvolgendo anche l'utilizzazione delle parti comuni, la disposizione dei diritti, la partecipazione alle liti, ecc. – non può rimanere paralizzata per il tempo necessario all'accertamento giudiziale del valore millesimale delle quote dei singoli partecipanti, né direttamente, per l'impossibilità di deliberare validamente, né indirettamente, per il rischio della caducazione successiva delle decisioni adottate medio tempore.

Ci si è chiesti, altresì, se, in quest'ordine di concetti, possa trovare spazio l'azione di arricchimento senza causa.

In proposito, lascia perplessi quella recente affermazione dei giudici di legittimità, secondo i quali, a fronte dell'efficacia non retroattiva della sentenza di revisione delle tabelle di ripartizione delle spese, «l'unica azione esperibile, da parte dei condomini e, per essi, dell'amministratore, è quella di indebito arricchimento» (così Cass. II, n. 5690/2011, precisando che la semplice inerzia del condomino, asseritamente impoverito, ancorché riconducibile a difetto di diligenza nel ridurre la portata della subita diminuzione patrimoniale, non esonera i condomini, eventualmente arricchitisi, dall'obbligo di indennizzare la controparte, né diminuisce l'entità dell'indennizzo dovuto, non trovando applicazione in materia di arricchimento senza causa, per la diversità dei rispettivi presupposti, la norma dettata, in tema di risarcimento del danno, dall'art. 1227 c.c., che impone al danneggiato di attivarsi per evitare le conseguenze ulteriori del fatto dannoso; cui adde Cass. II, n. 16643/2007, che distingue la domanda di revisione delle tabelle, volta ad una pronuncia costitutiva, a valere dalla data di definizione del giudizio, dalla domanda di restituzione dell'indebito, diretta ad ottenere la condanna al pagamento di ciò che si è corrisposto in più del dovuto a partire dalla stessa introduzione del giudizio di revisione; sulla medesima scia, sembra porsi, più di recente, Cass. II, n. 4844/2017, ad avviso della quale la sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall'art. 69 disp. att. c.c., avendo natura costitutiva, non ha efficacia retroattiva e non consente, pertanto, di ricalcolare la ripartizione delle spese pregresse tra i condomini, ai quali, invece, va riconosciuta la possibilità di esperire l'azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c.) ; così, da ultimo, anche Cass. II, n. 23739/2024, puntualizzando che solo l'amministratore, e non il singolo condomino, è legittimato ad agire per l'indennizzo, ai sensi dell'art. 2041 c.c., nei confronti del singolo che abbia versato, prima della modifica, quote condominiali calcolate sulla base di valori millesimali inferiori e non rispondenti al reale valore dell'unità, perché in tal modo si è realizzato un arricchimento indebito cui corrisponde un depauperamento della cassa comune relativamente a somme altrimenti destinate a far fronte ad esigenze dell'intero condominio, e non dei singoli condomini).

Sembra, quindi, che le utilità economiche eventualmente derivanti a taluni condomini dalle nuove tabelle possano essere conseguite, per il tempo antecedente alla formazione del giudicato, mediante le azioni di cui agli artt. 2036 e 2041 c.c., suscettibili di essere esperite, però, dopo il definitivo accertamento giudiziale (Palombella, 91).

In altri termini, la revisione delle tabelle continuerebbe a spiegare pienezza di effetti solo ex nunc ma non esclude che si realizzi aliunde anche una sorta di efficacia retroattiva, limitata alle conseguenze patrimoniali tra i condomini, attraverso i rimedi generali apprestati dal sistema codicistico (facendo intendere che la decorrenza della maturazione dell'indebito è motivata con l'assunto che, solo dalla domanda di revisione, il condomino ha manifestato una volontà contraria all'accettazione delle originarie tabelle).

Tuttavia, tale conclusione appare fortemente contraddittoria, in quanto, per un verso, si ribadisce che, fino alla formazione del giudicato sulla sentenza di revisione, le pregresse tabelle continuano ad essere applicate, in quanto vigenti a tutti gli effetti – riguardo sia al riparto delle spese (artt. 1123, 1124 e 1126 c.c.) sia ai quorum assembleari (art. 1136 c.c.) – per altro verso, si prospetta che, per il medesimo periodo (anteriore al giudicato), talune attribuzioni patrimoniali possano essere ritenute, in tutto o in parte, indebite benché conseguite in conformità alle tabelle all'epoca operative e pienamente legittime.

Si è correttamente evidenziata (Triola 2013, 154) l'erroneità del riferimento alla ripetizione dell'indebito: infatti, se si parte dalla premessa secondo la quale la sentenza di revisione delle tabelle millesimali ha natura costitutiva, il condomino che ha pagato in più di quanto avrebbe dovuto, se le medesime tabelle avessero rispecchiato l'effettivo valore dell'unità immobiliare di cui è proprietario esclusivo, in realtà, fino al passaggio in giudicato di tale sentenza, ha pagato quanto dovuto.

Analoghe considerazioni valgono per l'indebito arricchimento, configurato nel risparmio di spesa da parte di quei condomini che si sono avvantaggiati delle tabelle risultate, poi, errate: in tal caso, è difficile individuare l'assenza di giusta causa, atteso che, qualificando la sentenza di revisione come costitutiva, fino al passaggio in giudicato di quest'ultima l'eventuale «arricchimento» dei suddetti condomini (ed il consequenziale depauperamento dei restanti partecipanti) trova, in realtà, una giustificazione giuridicamente valida, intendendo per tale un titolo «legale» – nella specie, le precedenti tabelle – idoneo a sorreggere tale incremento, o diminuzione, patrimoniale.

In senso critico, anche altri autori (Scarpa 2011, 27), i quali sottolineano, peraltro, il venir meno del presupposto della sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c., potendo l'amministratore riscuotere pure dal condomino erroneamente ignorato dalle tabelle millesimali i contributi condominiali, in quanto adempimento di obbligazioni propter rem.

Comunque, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale come sopra delineato, il condomino, che pur sia risultato vittorioso nel giudizio promosso per affermare il proprio diritto ad una determinata modificazione delle tabelle millesimali, potrà trarre le utilità derivanti dalla revisione – ad esempio, una diversa ripartizione delle spese – solo con riguardo alla gestione successiva alla formazione del giudicato, mentre, per il tempo antecedente, gli atti di gestione restano governati dalle tabelle pregresse, con conseguente soccombenza nell'eventuale giudizio di impugnazione di una deliberazione assembleare imperniato sulla presunta inidoneità delle tabelle stesse.

Sul punto, un'attenta dottrina (Petrolati, 90) ha vagliato la compatibilità dell'efficacia differita della revisione giudiziale delle tabelle millesimali alla luce dei principi informatori del giusto processo, consacrati nell'art. 111, comma 1, Cost., segnatamente avuto riguardo alla direttiva per la quale la durata del giudizio non deve ridondare a detrimento della parte vittoriosa o, detto in altri termini, nuocere al soggetto che abbia ottenuto ragione contro resistenze ingiustificate.

Dunque, atteso che l'art. 69 disp. att. c.c. fonda il diritto di ciascun condomino, nella ricorrenza di determinati presupposti, alla revisione delle tabelle millesimali, si è suggerito di ritenere che il tempo necessario alla formazione del giudicato sia imprescindibile solo ai fini dell'applicazione delle nuove tabelle – nel senso che occorre attendere la definitività della determinazione giudiziale – senza escludere, tuttavia, la decorrenza delle modificazioni sostanziali a partire dal momento in cui il diritto è stato fatto utilmente valere, vale a dire dalla domanda.

Adottando tale soluzione si dovrebbe, inoltre, superare l'ingiustificata resistenza in giudizio dei controinteressati alla revisione, poiché spesso sono proprio i condomini autori delle trasformazioni edilizie poste a fondamento della modificazione delle tabelle ad avere interesse a differire nel tempo la vigenza delle nuove carature millesimali, confidando nell'efficacia della sentenza solo per il periodo successivo alla maturazione del giudicato, il quale interviene sovente a distanza di anni dall'instaurazione del giudizio.

Si puntualizza, però, che tale retroattività della revisione non debba risalire addirittura fino al tempo in cui si è verificato il presupposto che ha dato origine alla modificazione delle tabelle, vale a dire l'errore di stima originario o le sopravvenute trasformazioni nell'assetto dell'edificio: invero, l'esigenza che ogni atto di gestione trovi – come si è detto – ragione giustificatrice nei valori relativi delle singole proprietà immobiliari deve, almeno in parte, cedere rispetto alla concorrente esigenza di certezza e speditezza nella formazione dei quorum e nella ripartizione delle spese, con conseguente decorrenza della revisione alla data univoca dell'introduzione del giudizio piuttosto che a quella, di non agevole accertamento, relativa ad un presupposto storico di ordine sostanziale, spesso complesso e diversamente articolato nel tempo.

Posizione del conduttore

Un'ultima considerazione – per esigenze di completezza – merita la posizione del conduttore riguardo alla revisione delle tabelle millesimali.

Sul punto, si è giustamente osservato (De Renzis–Ferrari–Nicoletti–Redivo, 913) che l'enorme recente incremento dei costi di gestione dei servizi condominiali e l'entrata in vigore della l. n. 392/1978, che, all'art. 9, ha posto a carico degli inquilini la quasi totalità delle spese ordinarie – ad esempio, per il servizio di portierato o di riscaldamento – hanno fatto sorgere un contenzioso tra locatori e conduttori incentrato non solo sulle formali contestazioni puramente contabili o sull'effettività della spesa, ma anche sulla validità ed esattezza delle tabelle millesimali allegate ai regolamenti, in base alle quali la ripartizione viene effettuata.

Per quel che qui rileva, si tratta di verificare se il medesimo conduttore – il quale, nelle materie indicate nell'art. 10 della suddetta legge, ha il diritto di partecipare alle assemblee e di votare in luogo del proprietario – abbia o meno strumenti «diretti» a cui possa ricorrere ove si ritenga leso nell'attribuzione della quota per le spese comuni, dovendosi ovviamente escludere ogni forma di autotutela, quale la sospensione di rimborsi al proprietario, che lo esporrebbero ad un'azione di risoluzione per inadempimento.

Si ritiene che il conduttore non sia legittimato ad impugnare le tabelle millesimali, non potendo ingerirsi nel diritto di proprietà del condomino-locatore: invero, anche dopo la c.d. legge sull'equo canone, il primo rimane estraneo al condominio, nel senso che è generalmente escluso qualsiasi rapporto diretto in ordine al pagamento degli oneri condominiali, come è preclusa, di regola, l'impugnabilità delle deliberazioni assembleari da parte dell'inquilino, che può agire unicamente nei confronti del proprio locatore, opponendo, alle richieste di ripetizione da parte di questi, quelle eccezioni che avrebbero potuto essere dallo stesso sollevate nei confronti del condominio – al riguardo, v. Cass. II, n. 3701/1988 – tra le quali la contestazione del criterio di suddivisione delle spese condominiali recepito nel regolamento nelle sole ipotesi di cui all'art. 69 disp. att. c.c., e non adducendo la mancata corrispondenza della ripartizione a criteri di proporzionalità, al fine di effettuare il rimborso nei limiti della tabella eventualmente corretta.

Peraltro, il conduttore, nello stipulare il contratto di locazione, si è assunto (implicitamente) l'obbligo di rimborsare gli oneri accessori previsti dalla legge nella misura e nei limiti della quota millesimale attribuita alla specifica unità immobiliare concessagli in godimento, in ordine alla quale aveva un onere di preventivo accertamento.

Tuttavia, qualora la tabella sia modificata «negozialmente» dopo il sorgere del rapporto locatizio con il consenso del locatore, può essere contestata (ai soli fini del rapporto inter partes) dall'inquilino, nel senso che, stante la facoltatività del predetto consenso da parte del locatore – che avrebbe potuto eccepire l'immutabilità dei valori per motivi diversi dal sopravvenuto cambiamento della situazione di fatto – l'obbligo contributivo del conduttore non dovrebbe essere maggiore quantomeno fino alla scadenza del contratto; diverso è, invece, il caso in cui la modifica in peius della posizione contributiva del conduttore sia stata causata da una revisione «giudiziale» delle tabelle – ad esempio, richiesta da altro condomino diverso dal proprietario dell'appartamento locatogli – perché, in tale ipotesi, il giudicato della relativa sentenza farà incontrovertibilmente stato nei confronti di tutti i partecipanti al condominio e, quindi, anche nei confronti del suddetto inquilino, che riveste al riguardo una situazione necessariamente derivata.

Tale situazione non appare mutata a seguito della Riforma del 2013, anche se va registrato un maggiore coinvolgimento dell'inquilino nella vita condominiale rispetto al passato, anche alla luce del nuovo disposto dell'art. 1130-bis, comma 1, c.c., secondo il quale, non solo i condomini, ma anche «i titolari di diritti di godimento sulle unità immobiliari» e, dunque, i conduttori, possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copie a proprie spese.

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