Legge sul consenso informato: quali conseguenze in caso di contrasto tra ads e beneficiario sulle scelte terapeutiche?

Roberto Masoni
28 Settembre 2018

Il Tribunale di Vercelli ha fornito innovativa interpretazione dell'art. 3, comma 5, l. n. 219/2017, ravvisando una lacuna ordinamentale, laddove la neofita disciplina non prevede anche l'ipotesi dell'insorgenza di contrasto tra paziente e amministratore di sostegno, da sottoporre al vaglio del giudice tutelare.
Massima

L'art. 3, comma 5, l. n. 219/2017 limita il proprio campo di applicazione, e la conseguente possibilità di rivolgersi al giudice, all'ipotesi di rifiuto (da parte dell'ads investito di poteri di rappresentanza esclusiva) delle cure proposte dal sanitario; pertanto, si deve ritenere che il legislatore sia incorso in un'emendabile svista, laddove non ha previsto analogo meccanismo al ricorrere dei casi di adesione del rappresentante alle cure proposte, per l'evenienza che il rappresentato-paziente intenda contestare la scelta terapeutica. Tale possibilità, in capo al beneficiario può essere prevista in via pretoria, sulla scorta di una interpretazione costituzionalmente conforme della legge, oltre che dell'applicazione estensiva dell'art. 410 c.c..

Il caso

Il caso riguarda un procedimento volto alla nomina di amministrazione di sostegno a favore di persona affetta da psicosi schizofrenica di tipo schizoaffettivo cronica con esacerbazione acuta. Dato che la paziente aveva ingiustificatamente rifiutato di proseguire le cure emodialitiche che la stessa effettuava da trent'anni, il marito aveva avanzato il ricorso per la nomina di ads dotato di poteri sostitutivi ex art. 3, comma 4, l. n. 219/2017, in tema di consenso informato per accertamenti e trattamenti sanitari necessari per la persona. In quest'ambito il g.t. ha provveduto in conformità.

La questione

Il decreto in commento ha fornito innovativa interpretazione dell'art. 3, comma 5, l. n. 219/2017, ivi ravvisando una lacuna ordinamentale, laddove la neofita disciplina non prevede, anche l'ipotesi dell'insorgenza di contrasto tra paziente e amministratore di sostegno, da sottoporre al vaglio del giudice tutelare.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice tutelare di Vercelli ravvisa la sussistenza di una lacuna ordinamentale in materia; lacuna che sarebbe colmabile mediante una lettura costituzionalmente orientata della legge, in presenza di un'evidente svista normativa laddove si omette di disciplinare tale ipotesi di contrasto, diversamente da quanto dispone il comma 5 in presenza di conflitto tra scelta compiuta dall'ads nell'interesse del beneficiario e rifiuto del medico di attuarla.

Osservazioni

L'art. 3 legge n. 219/2017, dettata in tema di consenso informato medico sanitario e DAT, disciplina la manifestazione del consenso informato in capo a minori e incapaci.

In particolare, in presenza di minori di anni 18, per quanto la legge valorizzi eventuali spazi di autonoma volontà nei congrui casi prospettabili in capo al minore capace di discernimento, la stessa rimette ogni decisione in materia di trattamenti sanitari ai genitori (comma 2). In caso di contrasto tra i genitori, con riguardo alle scelte sanitarie riguardanti il figlio minore, per sciogliere il conflitto, potranno trovare applicazione gli istituti generale previsti in materia, in presenza di «contrasto su questioni di particolare importanza» (art. 316, comma 2, c.c.) , ovvero, a seguito di separazione, divorzio, annullamento o nullità del matrimonio o per i figli nati fuori dal matrimonio, il disposto affidato all'art. 337-ter c.c..

Per l'interdetto (giudiziale), il consenso informato è espresso dal tutore (art. 3, comma 3, l. n. 219/2017), in piena sintonia a quanto dispone l'art. 357 c.c. (richiamato dall'art. 424 c.c.), che, in termini generali, gli affida «la cura della persona».

In quanto soggetto capace di compiere gli atti che non eccedono l'ordinaria amministrazione l'inabilitato (art. 394 c.c., richiamato dall'art. 424 c.c.) può esprimere personalmente il consenso informato ai trattamenti sanitari (art. 3, comma 4, l. cit.).

Per l'ipotesi nella pratica maggiormente ricorrente, del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, la legge dispone che l'amministratore di sostegno, investito di poteri di rappresentanza esclusiva, sia legittimato ad esprimere il consenso informato medico-sanitario per conto e nell'interesse del beneficiario (art, 3, comma 4, in fine).

La novella ha trasfuso nel composito testo dell'art. 3 l. n. 219/2017 la previsione affidata all'art. 6 della Convezione di Oviedo del 1997 (ratificata dall'Italia con l. 28 marzo 2001, n. 145, ma il cui strumento di ratifica non è stato ancora depositato), che rimette al rappresentante legale dell'incapace le decisioni in materia sanitaria.

Sulla scorta degli enunciati contenuti nella pronunzia cd. Englaro, il principio era già stato seguito da una parte maggioritaria della giurisprudenza che, sin dall'entrata in vigore della l. n. 6/2004, riteneva di demandare all'ads i poteri in materia sanitaria, senza dovere ricorrere alla pronunzia di interdizione. Ci riferiamo all'orientamento inaugurato sin dal 2004 dal Tribunale di Modena (Trib. Modena 28 giugno 2004), secondo cui, quando l'interessato non fosse in grado di esprimere consenso consapevole relativamente a decisioni di natura sanitaria, all'amministratore di sostegno potevano essere attribuiti poteri di rappresentanza al fine di esprimere il consenso informato in nome e per conto del beneficiario.

La novella ha così inteso “giuridificare” questo lungimirante e largamente condiviso orientamento.

Il comma 5 dell'art. 3 ha poi previsto una modalità di risoluzione dell'ipotizzabile insorgendo contrasto, in assenza di DAT, tra rappresentante legale dell'incapace che intenda rifiutare le cure e medico curante che ritenga di non dare corso a tale decisione. In tal caso è previsto l'intervento risolutivo del g.t., il quale provvede con decreto motivato (art. 43, comma 1, disp. att. c.c.), previa istruzione della causa. Nell'istruzione dell'incidente, il giudice è tenuto a ricostruire la «presunta volontà del soggetto» dallo stesso espressa quando lo stesso era ancora capace all'autodeterminazione (v. art. 5, comma 1, lett. a), d.lgs. 9 agosto 2003, n. 184, in tema di sperimentazione clinica dei medicinali per uso clinico). Tale volontà può essere ricostruita tramite assunzione di sommari informatori (art. 738, comma 3, c.p.c.), quali parenti, familiari e amici dell'incapace, in grado di ricostruire le convinzioni etiche, religiose, filosofiche, culturali espresse o inespresse (sotto forma di comportamenti significativi) dalla persona prima della perdita della coscienza (come aveva chiarito la pronunzia cd. Englaro).

In particolare, Cass. n. 21748/2007 aveva condizionato il potere del tutore dell'interdetta in materia di trattamenti sanitari ad un duplice limite. Affermando che il rappresentante dell'incapace deve agire decidendo non al posto, né per l'incapace, ma con l'incapace, in quanto interprete della sua volontà, della sua identità, del suo modo di intendere la dignità, la vita, la salute, la malattia e, alfine, la morte, in particolare, «ricostruendone la presunta volontà»; e, in ogni caso, operando «nell'esclusivo interesse» dello stesso.

Premesso questo quadro di carattere generale della materia, la parte maggiormente innovativa del pregevole decreto in rassegna, una volta delineate le ipotesi sancite positivamente di contrasto tra ads e sanitari con riguardo alle scelte terapeutiche da attuare a beneficio del paziente-beneficiario, concerne l'ipotesi ricostruttiva che si avanza. Laddove si ipotizza un contrasto tra ads (il quale aderisca alla cura proposta dai sanitari) nell'evenienza in cui il rappresentato-paziente, a sua volta, «intenda contestare le scelte terapeutiche» (espresse in precedenza dall'ads al medico). Tale ipotesi di contrasto, secondo il decreto in epigrafe, «per una piuttosto evidente svista del legislatore», non avrebbe ricevuto analoga disciplina normativa rispetto a quanto dispone l'art. 3, comma 5, l. n. 219/2017, con previsione per il beneficiario (sempre che sia dotato di un minimo discernimento) di sollevare tale contrasto innanzi al g.t., organo deputato anche in tal caso a risolverlo. Secondo l'ufficio tutelare di Vercelli tale scelta si imporrebbe sulla base di «una interpretazione costituzionalmente conforme della legge».

In realtà, il comma 5 disciplina unicamente la situazione di contrasto tra scelta terapeutica compiuta dall'ads, nel senso del rifiuto della terapia, rispetto a quella sanitaria, di tenore antitetico. Tale contrasto, laddove non risolto determina una situazione di grave empasse clinica, rischiando di ripercuotersi assai negativamente sulla salute e sulla vita del paziente. Proprio per questo la novella esige che tale contrasto sia risolto e celermente.

Si consideri ancora che, come precisa il medesimo comma 5 della norma di nuovo conio, prima di manifestare consenso ovvero dissenso al trattamento medico sanitario, l'ads è obbligato (e anzi è gravato di uno specifico dovere al riguardo) a «tenere conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e volere». Ciò significa che, prima di assumere ogni decisione in materia di trattamenti sanitari, l'ads è tenuto a coinvolgere il paziente nel processo decisionale, «proporzionalmente alla sua consapevolezza» (L. D'Avack, Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una analisi della recente legge approvata dal Senato, in Dir. Fam. Pers., 2018, 179), in forza di una regola di civiltà ormai affermatasi nel nostro ordinamento.

La norma novellata si colloca in una linea di piena continuità rispetto a disposto affidato all'art. 410, comma 1, c.c., che, in termini generali, impone all'ads, di «tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario».

Questo ulteriormente significa che, in presenza di beneficiario dotato di un minimo di capacità di discernimento, l'ads deve cercare di attuare la sua volontà, tenendo conto dei suoi bisogni ed aspirazioni, in attuazione al suo preminente ed esclusivo interesse.

Cosicché, non pare tanto ipotizzabile un contrasto (di natura esterna) insorto tra ads e beneficiario in materia di scelte terapeutiche e trattamenti sanitari, dato che in materia quest'ultimo è sostituito dal vicario e, comunque, in presenza di dissenso quest'ultimo è tenuto ad astenersi dal compimento dell'atto; quanto piuttosto un contrasto, eventualmente, insorto nella fase interna, quando viene a formarsi l'atto che l'ads manifesta nel mondo del diritto (ai sanitari). Tuttavia, tale ipotetica situazione di contrasto trova adeguata regolamentazione positiva nell'art. 410 c.c..

Al più (ma sarà la pratica giudiziaria a focalizzarne l'attenzione) potrebbe insorgere un contrasto di segno antitetico rispetto alla (unica) situazione disciplinata del comma 5; laddove l'ads chieda che si proceda alle cure necessarie del beneficiario ed il medico opponga un rifiuto, ritenendole, ad es., inutili o dannose.

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