Guida in stato di ebbrezza. Utilizzabilità del prelievo ematico anche senza il “duplicato” previsto dal protocollo ministeriale

04 Ottobre 2018

La principale questione posta alla cognizione della Corte suprema di cassazione concerne la portata applicativa del protocollo operativo per gli accertamenti richiesti ai sensi del comma 5 dell'art. 186 cod. strada e s.m.i. sui conducenti coinvolti in...
Massima

Non è inutilizzabile il campione ematico prelevato, ai sensi dell'art. 186, comma 5, cod. strada, per l'accertamento del tasso alcolemico e non conservato in seconda provetta ai fini della eventuale ripetizione successiva della prova.

Il caso

Il giudice di primo grado assolveva l'imputato dalla contestazione per il reato di cui all'articolo 186, commi 2, lett. c) e 2-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e s.m.i. (codice della strada), che prevede e punisce la condotta del guidatore che in stato di ebbrezza (con tasso alcolemico superiore a 1.5 grammi per litro) provochi un incidente stradale. Si tratta della più grave delle violazioni ivi previste, rispetto a quelle collegate dalla stessa alle altre due soglie (quella intermedia legata ad un tasso alcolemico superiore a 0.8 e no superiore a 1,5 grammi per litro; quella più lieve, che scatta qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l), è tra l'altro oggi punita con sanzione amministrativa).

La Corte di appello, adita dalla pubblica accusa, ribaltava il proscioglimento di prime cure, infliggendo al prevenuto la sanzione di mesi tre di arresto ed euro 2.000,00 di ammenda.

Ricorreva per cassazione la difesa deducendo, tra i motivi di gravame, la nullità dell'anzidetta sentenza di condanna per violazione delle disposizioni fissate nel protocollo operativo del personale di polizia per gli accertamenti richiesti ai sensi dell'art. 186, comma 5 cod. strada, stilato dal Ministero dell'Interno di concerto con quello della Salute e dei Trasporti.

L'imputato, nell'arco di 48 ore dall'incidente e dall'analisi, aveva presentato richiesta all'ospedale nel quale era stato eseguito l'accertamento, finalizzata alla conservazione del campione di sangue ed urine prelevati per poter effettuare ulteriori controlli sugli stessi, ritenendo che il risultato dell'analisi non fosse corretto. Deduceva il ricorrente che secondo l'anzidetto protocollo, difatti, il sangue prelevato deve essere contenuto in due provette: la prima destinata all'accertamento vero e proprio, la seconda alla conservazione del campione secondo una ben prestabilita catena di controllo. La conservazione – rileva la difesa – deve protrarsi per un periodo non inferiore ad un anno, al fine di consentire eventualmente di poter procedere alla rinnovazione del controllo e dunque alla formazione di una nuova prova. Nella fattispecie, non si era dato luogo alla conservazione del secondo campione, ragion per cui – stante la dedotta impossibilità di poter conseguire un quadro probatorio attendibile e comunque oltre l'ogni ragionevole dubbio richiesto dall'art. 530 c.p.p. – i giudici appello avrebbero dovuto confermare l'assoluzione.

La Corte Suprema di cassazione ha reputato manifestamente infondato il motivo di censura, osservando che la previsione in parola, nello stabilire che per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, l'accertamento del tasso alcolemico sia effettuato - su richiesta degli organi di polizia stradale di cui all'art. 12, commi 1 e 2, del codice della strada – da parte di strutture sanitarie di base o di quelle accreditate, o comunque a tali fini equiparate che rilasciano agli organi di polizia stradale la relativa certificazione, non contiene alcun rinvio al suddetto protocollo. Esso, dunque, non è pertanto suscettibile di acquisire valore integrativo della norma penale in esame. Ne deriva, pe l'effetto, la «piena correttezza della risposta offerta sul punto dalla corte territoriale che ha puntualizzato come nessuna disposizione del codice della strada o altra norma di legge, preveda la conservazione del campione ematico esaminato, né la effettuazione di analisi di controllo in assenza delle quali il risultato fornito dall'ospedale pubblico sarebbe inutilizzabile».

Per completezza, vale rilevare che i giudici di legittimità hanno reputato manifestamente infondati anche gli altri due motivi di ricorso spiegati.

Con il primo di essi, l'imputato ha dedotto la nullità della sentenza per violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p. per non essere stato avvertito, all'atto del prelievo, della facoltà di farsi assistere al compimento degli atti da un difensore di fiducia. Con il secondo motivo, il ricorrente ha eccepito la nullità della pronuncia per la ritenuta violazione degli artt. 111 Cost. e 603 c.p.p. per non avere la corte territoriale, pur pervenendo ad uno sbocco opposto a quello di prime cure, ascoltato nuovamente un teste che invece nel dibattimento del tribunale aveva reso dichiarazioni ampiamente “liberatorie”.

Quanto al primo, la Corte Suprema – ricordato che la nullità in argomento possa/debba essere tempestivamente dedotta ai sensi degli artt. 180 e 182, secondo periodo, c.p.p., fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado – rileva l'intempestività di una eccezione sollevata, come nella specie, solo all'interno di una memoria difensiva depositata successivamente alla formulazione delle conclusioni, affermando che in tal caso l'omessa valutazione della memoria non determina la nullità della pronuncia, né rileva ai fini della correttezza della motivazione del decisum.

In ordine al secondo motivo (mancata rinnovazione della prova testimoniale), i giudici di legittimità sottolineano che nel caso in disamina il sovvertimento dell'esito assolutorio di primo grado non è stato conseguenza di una diversa valutazione delle prove dichiarative assunte nel giudizio di prime cure, ma di un difforme apprezzamento di ordine logico-giuridico dei fatti: la corte territoriale è cioè – secondo i giudici di legittimità – intervenuta a correggere l'errore di diritto in cui era incorso il tribunale, il quale aveva ritenuto significativa la circostanza della mancata conservazione dei campioni ematici. Tale evenienza non potrebbe imporre un nuovo esame dei testi in precedenza escussi, atteso che la rinnovazione è imposta solo qualora alla riforma della sentenza assolutoria si addivenga sulla base di un diverso apprezzamento della attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva.

La questione

La principale questione posta alla cognizione della Corte suprema di cassazione concerne la portata applicativa del protocollo operativo per gli accertamenti richiesti ai sensi del comma 5 dell'art. 186 cod. strada e s.m.i. sui conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche presso le strutture sanitarie di base ovvero presso quelle accreditate o comunque equiparate, presentato il 25 febbraio 2005 ed elaborato da un tavolo tecnico interministeriale composto dall'Istituto Superiore di Sanità e dai Ministeri di Salute, Interno e Trasporti.

Il documento in parola prescrive che nel contesto di tali verifiche il sangue prelevato debba essere contenuto in una seconda provetta, diversa da quella utilizzata per eseguire l'accertamento, finalizzata a conservare il reperto de quo per periodo di tempo quantomeno pari a un anno, allo scopo di poter consentire – ove del caso richiesta – la ripetizione della verifica.

Ciò posto, la questione nodale è se possa ritenersi la prova costituita dall'accertamento ematico previsto dalla norma del codice della strada come acquisita in violazione di un divieto stabilito dalla legge ai sensi dell'art. 191, comma 1, c.p.p. e, come tale, affetta da vizio di inutilizzabilità, sollevabile innanzi alla Corte di cassazione – e del resto, a termini della norma processuale surrichiamata, in ogni stato e grado del giudizio - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. (inosservanza di norma processuale stabilita, per l'appunto, a pena di inutilizzabilità).

Le soluzioni giuridiche

La Corte Suprema esclude che possa ricorrere nella specie una violazione di norma processuale fissata sotto la comminatoria della non utilizzabilità.

Aderendo ai precedenti in termini, che costituiscono a oggi orientamento decisamente granitico, si esclude che il protocollo ministeriale di cui si discute assurga a previsione integrativa della previsione penale recata dall'art. 186 del codice della strada.

Anzi, tale disposizione e, più in generale, il d.lgs. 285 del 1992 e s.m.i. non solo non operano alcun rinvio o rimando a tale corpus di pur autorevole prassi amministrativa, ma non recano comunque alcuna disposizione che imponga, o anche semplicemente preveda, una procedura di conservazione del campione ematico o un suo “sdoppiamento” al fine di consentire la libera ripetibilità dell'accertamento.

Il protocollo, in altri termini, pur atteggiandosi a virtuosa pratica operativa finalizzata evidentemente a garantire la massima puntualità e attendibilità del prelievo di sangue ai fini della finale verifica della precisa consistenza dell'eventuale alterazione alcolica, non entra a far parte della norma penale incriminatrice, né insiste nel contesto normativo più ampio in cui la stessa è immersa; pertanto, esso non è in grado di per sé di condizionare il procedimento che conduce alla rituale acquisizione della prova dello stato di ebbrezza.

La prova in argomento, dunque, una volta scaturita dalla corretta applicazione dell'articolo in esame, può dirsi legittimamente acquisita in conformità a esso e, per conseguenza, pienamente utilizzabile ai fini della decisione giudiziale.

Osservazioni

Per completezza di riferimento, può rilevarsi che la pronuncia in commento, oltre a soffermarsi sul profilo critico appena delineato, puntualizza – in linea di continuità con orientamento consolidato sul punto, a esito di pronuncia delle Sezioni unite (n. 5396/2015) che aveva composto un precorso conflitto emerso proprio sulla natura della relativa nullità, se cioè cd a regime intermedio oppure relativa – come la nullità che consegue al mancato avvertimento da fornirsi al conducente del veicolo da sottoporre ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, prevista dall'art. 114 disp. att. c.p.p., si configuri come una nullità c.d. a regime intermedio, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c) e 180, comma 1, c.p.p., da farsi pertanto valere fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado.

Al riguardo giova rimarcare che l'accertamento del tasso alcolemico può essere effettuato, alternativamente a) in via diretta dalla polizia giudiziaria, mediante esame spirometrico, avvalendosi cioè di apposito apparecchio di misurazione in dotazione (c.d. etilometro), oppure b) mediante le procedure cliniche e analitiche in uso alla struttura sanitaria o l'esame dei liquidi biologici.

Anche con specifico riferimento a tale seconda ipotesi, sussiste l'obbligo di previo avviso alla persona sottoposta a indagini preliminari coinvolta in un incidente stradale di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi degli artt. 356 c.p.p. e 114 disp. att. c.p.p. in relazione al prelievo ematico, presso una struttura sanitaria, finalizzato all'accertamento del tasso alcolemico, qualora l'esecuzione di tale prelievo non avvenga nell'ambito degli ordinari protocolli sanitari, ma sia autonomamente richiesta dalla polizia giudiziaria (cfr., tra le altre, Cass. pen., Sez. VI, 20 marzo 2018, n. 24096; Cass. pen., Sez. IV, 22 dicembre 2016,n. 3340).

Ove, in altri termini – come nel caso di specie – l'esecuzione del prelievo da parte del personale medico non avvenga nell'ambito degli ordinari protocolli sanitari ma sia espressamente richiesta dalla polizia giudiziaria al fine di acquisire la prova del reato nei confronti di soggetto già indiziato, il personale richiesto agisce come longa manus della polizia giudiziaria, ragion per cui anche rispetto a tale accertamento scatteranno le garanzie difensive sottese all'avviso di cui all'114 cit.

In tale ipotesi, la polizia giudiziaria si avvale null'altro che di una facoltà espressamente attribuita dalla legge: l'art. 348, comma 4, c.p.p. prevede infatti che «la polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera», precisandosi che il ricorso alla collaborazione di tali ausiliari non richiede che costoro siano individuati con l'osservanza delle forme e delle modalità previste per la nomina del consulente tecnico del pubblico ministero.

Ebbene, in ipotesi di sinistro stradale, la polizia giudiziaria, allorché la persona sulla quale si siano già addensati indizi di reità con riferimento alle condotte descritte dall'art. 186 cod. strada, sia trasferita in ospedale ma non sia stata sottoposta ad autonomo intervento di soccorso e cura, può anche decidere, anche solo per ragioni organizzative, di non procedere con l'esame spirometrico ma di delegare l'accertamento del tasso alcolemico al personale sanitario che ha ricevuto il soggetto.

L'avviso, obbligatorio in tal caso, potrà essere dato anche dal personale sanitario richiesto, atteso che esso non necessita di formule sacramentali ma deve essere idoneo a raggiungere lo scopo che è quello di avvisare colui che non possiede conoscenze tecnico-processuali che tra i suoi diritti vi è la facoltà di nominare un difensore che lo assista durante l'atto.

In definitiva, l'obbligo di dare l'avviso ai sensi dell'art. 114 disp. att. c.p.p. sussisterà, pertanto, non solo nel caso – del tutto pacifico – in cui la polizia giudiziaria proceda all'accertamento del tasso alcolemico mediante etilometro, ai sensi dell'art. 186, comma 4, cod. strada ma anche in quello in cui essa opti per la delega di tale verifica al personale sanitario, ex art. 186, comma 5, cod. strada allorché il conducente di un veicolo coinvolto in un incidente stradale sia sottoposto a cure mediche. In tale ipotesi, ove l'esame clinico sia stato condotto su richiesta della polizia nei confronti di soggetto già indiziato di una condotta rilevante ai sensi dell'art. 186 cod. strada, l'accertamento dovrà essere considerato alla stregua di un vero e proprio atto d'indagine, per il quale, quindi, opereranno le garanzie processuali proprie di tale categoria di atti e, tra queste, l'obbligo dell'avviso di cui all'art. 114 disp. att. (Cass. pen., Sez. IV, 10 ottobre 2017, n. 51284).

Tanto rammentato, nella specie il difensore aveva eccepito tale nullità non nel corso del giudizio di primo, ma soltanto in una memoria difensiva depositata al termine della discussione e successivamente quindi alla rassegna delle rispettive conclusioni.

Tale allegazione è da ritenersi, come tale, tardiva (sul punto, tra le altre, Cass. pen., 22 giugno 2016, n. 38757), in quanto non idonea a determinare la nullità della sentenza o comunque travolgere la motivazione del decisum, non potendo il giudice prendere in considerazione tutto quanto dedotto od eccepito successivamente al momento finale dell'attività dibattimentale.

Guida all'approfondimento

BALSAMO, La guida in stato di ebbrezza e l'omicidio stradale, Padova, 2012;

BENINI-DI BIASE, La guida in stato di ebbrezza e sotto l'effetto di stupefacenti, Piacenza, 2015;

MARANI, Guida in stato di ebbrezza e di alterazione psico-fisica. Analisi dei reati, Milano, 2013;

TRAMONTANO, Guida in stato di ebbrezza, Milano, 2011;

TRAPELLA, Guida in stato di ebbrezza e lavori di pubblica utilità, in Processo penale e giustizia, 2013, 98 ss.

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