Amministrazione di sostegno e atti di liberalità: possibili limitazioni

Rita Rossi
05 Ottobre 2018

È possibile limitare, fino a impedirla, la capacità del beneficiario di compiere atti di donazione e di fare testamento? In caso di risposta affermativa, può il giudice tutelare disporre tali limitazioni anche d'ufficio?
Massima

In presenza di situazioni di eccezionale gravità, tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volontà possa andare incontro a turbamenti per l'incidenza di fattori endogeni o di agenti esterni, l'esclusione a priori della capacità di testare o donare può rivelarsi uno strumento di tutela assai più efficace non solo dell'interesse di coloro che aspirano alla successione, ma anche della persona del beneficiario, potenzialmente esposta a pressioni e condizionamenti.

La suddetta esclusione può essere disposta dal giudice tutelare anche d'ufficio sulla base dell'art. 411 u.c. c.c..

Il caso

Alla base della decisione in commento vi è un'amministrazione di sostegno attivata su ricorso del P.M. per il compimento degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. La particolarità del ricorso sta nella domanda di imposizione di limitazioni alla capacità di porre in essere atti di liberalità e testamentari; ciò in considerazione delle condizioni del beneficiario il quale era risultato affetto da prodigalità, perdite di memoria, mancanza di senso del denaro e da una certa confusione mentale, e ciò – a parere del P.M. ricorrente - comportava il concreto rischio che eventuali disposizioni testamentarie non sarebbero state frutto di scelte consapevoli.

Il giudice tutelare di Ravenna accoglie il ricorso, disponendo le limitazioni suddette. Il beneficiario impugna il provvedimento il quale trova tuttavia conferma in sede di reclamo.

L'uomo, evidentemente non del tutto consapevole sul versante delle disposizioni patrimoniali ma ben sicuro di voler conservare intatta la propria capacità legale di agire, propone allora ricorso in Cassazione.

Uno il motivo di ricorso: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 407 e 411 c.c., dato che l'art. 411 c.c. non autorizza l'applicazione d'ufficio delle norme dettate per l'interdetto e l'inabilitato; se così fosse, infatti - sostiene il ricorrente - la funzione protettiva dell'istituto verrebbe snaturata, posto che l'Amministrazione di sostegno mira a conservare la capacità di agire del beneficiario. Quanto all'art. 407 c.c., esso consente al giudice tutelare di modificare o integrare, anche d'ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno, ma non anche la possibilità di applicare d'ufficio le limitazioni previste dal codice civile per l'interdetto.

Il motivo di censura suddetto viene, tuttavia, respinto dalla Suprema Corte con conseguente conservazione delle limitazioni alla capacità di donare e di testare fissate dal decreto istitutivo della misura di protezione.

La questione

Pur nell'unicità del motivo di ricorso, sono due le questioni affrontate dalla Cassazione.

La prima questione riguarda la possibilità di limitare, fino a impedirla, la capacità del beneficiario di compiere atti di donazione e di fare testamento.

La seconda questione, la quale presuppone risposta affermativa alla precedente, riguarda il potere del giudice tutelare di disporre tali limitazioni anche d'ufficio.

Le soluzioni giuridiche

Quella accolta dalla Cassazione è una soluzione unitaria, indicata cioè con riferimento indistinto alla capacità di disporre per testamento e alla capacità di donare.

Occorre dire, però, che il dibattito dottrinale avviatosi dopo il varo della riforma del 2006 ha considerato partitamente le due capacità, specie in considerazione della diversità degli effetti prodotti dal testamento e dalla donazione.

Mentre, infatti, le volontà testamentarie trovano attuazione necessariamente post mortem del testatore talché non possono incidere sugli interessi economico-patrimoniali del medesimo, la donazione è destinata ad operare in vita del disponente, con i possibili rischi che ne conseguono, nell'eventualità di atti dissennati, tali cioè da poter ridurre in modo significativo le sostanze del beneficiario, mettendone a repentaglio la qualità della vita o la stessa sussistenza.

La considerazione separata delle due capacità in esame si deve anche alla diversità di disciplina codicistica (cfr. in particolare gli artt. 591 e 774 c.c.).

E infatti, l'art. 591 c.c. contempla eccezioni alla generale capacità di disporre per testamento e non include tra esse la condizione di beneficiario dell'ads, tanto che la dottrina prevalente ha affermato la generale capacità testamentaria del beneficiario dell'ads (C. Scognamiglio, La capacità di disporre per testamento, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da P. Rescigno, vol. I, 755; G. Bonilini, L'amministrazione di sostegno, Padova, 2007, 310-313).

D'altro canto, l'art. 774 c.c. ricollega l'incapacità di donare all'incapacità di disporre dei propri beni: «non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni».Tale disposizione, pertanto - secondo una parte della dottrina (E. Calò, Amministrazione di sostegno, Legge 9 gennaio 2004, n.6, Milano, 2004; G. Salito e P. Matera, Amministrazione di sostegno: il ruolo del notaio, in Notariato 2004, 666) e della giurisprudenza di merito (Trib. Vercelli, decr., 19 febbraio 2018 con il quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 774, comma I, c.c.) non consentirebbe di affermare una indiscussa capacità di donare in capo al beneficiario dell'ads. Osserva il g.t. di Vercelli nel provvedimento citato: «è discutibile partire dal presupposto che "la piena capacità di disporre dei propri beni", di cui parla la norma oggetto di rilievo (l'art. 774, comma1, c.c.) coincida in toto con la capacità di agire, normalmente intesa come la capacità di compiere atti giuridici, tali da incidere sul piano personale e patrimoniale» e che «la capacità dispositiva potrebbe non sussistere anche in presenza di una piena capacità di agire».

A tale opinione si contrappone, d'altra parte, quella che ammette in via generale la capacità di donare del beneficiario, considerando - condivisibilmente - che la ratio legis è proprio quella di salvaguardare quanto più possibile la sovranità gestionale del beneficiario, salve le limitazioni previste nel decreto di nomina per atti o categorie di atti, secondo la previsione dell'art.409 c.c. (G. Bonilini, L'amministrazione di sostegno, Padova, 2007, 314-316).

La giurisprudenza è intervenuta sulla questione della possibile limitazione alle due capacità dispositive in sporadiche occasioni.

Sul versante della capacità di donare si registra una sola decisione del Trib. La Spezia, sez. fall. 2 ottobre 2010, secondo cui «Il beneficiario di amministrazione di sostegno, il quale, se pure può venir limitato nella sua autonomia negoziale, mai diviene formalmente incapace, può liberamente fare donazione. Ciò vale sia nel caso di amministrazione di affiancamento, salvo che il giudice ritenga di dover inserire nel decreto la limitazione a tale facoltà, ex art. 411, u.c., c.c., sia nel caso di amministrazione sostitutiva, previa autorizzazione del giudice tutelare, qualora sia accertato con sicurezza l'intento liberale del beneficiario e non si ravvisi alcun pregiudizio per la tutela degli interessi personali e patrimoniali dello stesso».

Della capacità testamentaria si è occupato, qualche anno fa, il Giudice tutelare di Vercelli, il quale, pur ritenendo insussistenti, nel caso deciso, i presupposti per limitare la capacità di testare del beneficiario, ha riconosciuto in via generale la possibilità di limitarla sulla base della previsione dell'ultimo comma dell'art. 411 c.c. ritenendo che tale possibilità si inscriva nel sistema di protezione caso per caso delineato dalla normativa in materia di amministrazione di sostegno (Trib. Vercelli, 4 settembre 2015).

Il giudice piemontese si è soffermato, altresì, sul genere di verifica che il giudice tutelare deve svolgere per decidere di limitare la capacità testamentaria dell'amministrato, indicando come necessari:

(i) il vaglio della capacità cognitiva del beneficiario, senz'altro possibile in quanto da farsi in via preventiva rispetto al compimento dell'atto;

(ii) l'accertamento dell'eventuale coartazione della volontà del testatore per effetto di violenza, dolo, o errore, sebbene sia questa una verifica più difficoltosa, poichè «per sua natura, strutturata quale indagine successiva, o tutt'al più contestuale, alla redazione dell'atto, non potendosi mai, a priori (…) ritenere con certezza che siano in corso condotte abusive da parte di terze persone (...)».

Con la pronuncia qui in commento, il tema delle possibili limitazioni alla capacità del beneficiario di fare testamento e donazione è dunque salito alla ribalta di legittimità,

Va però precisato che il tema si inserisce a pieno titolo in quello degli atti cd. personalissimi, di cui la giurisprudenza di merito e di legittimità si sono ampiamente occupate.

La stessa pronuncia della Cassazione in commento contiene un esteso riferimento agli orientamenti giurisprudenziali formatisi riguardo agli atti personalissimi.

La motivazione, infatti, esordisce ricordando che la prevalente dottrina dubita della possibilità di imporre al beneficiario restrizioni alla facoltà di porre in essere gli atti cd. personalissimi; e ciò in quanto l'Amministrazione di sostegno intende valorizzare le residue capacità della persona e agevolare il pieno dispiegamento della personalità del beneficiario, attraverso il superamento degli ostacoli derivanti dall'infermità o comunque dalla menomazione.

Essa si affretta, tuttavia, ad evidenziare il contrario orientamento della stessa Cassazione, così come recentemente emerso in materia di divieto di matrimonio, in forza della decisione di legittimità Cass.,11 maggio 2017, n. 11536: «Tale orientamento non ha incontrato il favore della giurisprudenza di legittimità, la quale, in tema di matrimonio, ha recentemente riconosciuto, in presenza di circostanze di eccezionale gravità, la possibilità di estendere al beneficiario dell'amministrazione di sostegno il divieto previsto dall'art. 85 c.c., attraverso un apposito provvedimento del giudice tutelare (...)».

Della decisione del 2017, quest'ultima pronuncia riporta e recepisce il fulcro motivazionale, laddove si esclude la possibilità di una generalizzata applicazione analogica delle limitazioni previste per l'interdizione al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, data la diversità di ratio dei due istituti, ma si ammette la possibilità d'imporre un divieto attraverso l'esercizio del potere previsto dall'art. 411, comma 4, c.c., allorchè il sacrificio della libertà del beneficiario si imponga per la salvaguardia del suo interesse. È utile riportare l'esatto passaggio argomentativo di Cass. n. 11536/2017: «ritiene la Corte, secondo quanto pure sostenuto in dottrina, che il fuoco puntato sul best interest dell'amministrato non consenta a priori di escludere che, in circostanze particolarmente stringenti, diremmo eccezionalmente gravi, il divieto possa essere imposto: se, come stabilisce l'art. 411, u.c., c.c., ciò sia conforme all'interesse dell'amministrato, alla luce dell'interesse protetto dalla norma, con l'estremo sacrificio della libertà matrimoniale».

È questo l'argomento che convince la Cassazione del 2018 della sicura riferibilità di tale conclusione alla capacità di fare testamento e donazione, come si ricava dall'inciso «In termini non diversi».

La sentenza qui in esame ribadisce, dunque:

(a) in primo luogo la non estensibilità in via analogica al beneficiario dell'amministrazione di sostegno dell'incapacità prevista dall'art. 591, comma 2, n. 2, c.c., per l'interdetto;

(b) la possibilità che il giudice tutelare imponga al beneficiario, mediante il provvedimento di nomina dell'amministratore o successivamente, una limitazione della capacità di testare o di donare.

Rispetto alla capacita di disporre per testamento, la sentenza ha poi cura di indicare quali siano le ragioni atte a giustificarne l'eventuale limitazione: occorre allo scopo che «le condizioni psico-fisiche dell'interessato appaiano compromesse in misura tale da indurre a ritenere che egli non sia in grado di esprimere una libera e consapevole volontà testamentaria».

Riguardo alla limitazione della capacità di donare, similmente, la Cassazione osserva che l'esercizio di tale libertà da parte del beneficiario non può ritenersi impedito, in linea generale, dall'art. 774, comma 1, c.c., data la previsione dell'art. 411, comma 2, c.c. che estende all'amministratore l'incapacità a ricevere prevista dallo art. 779 c.c. per il tutore, ed a quella del comma 3 del medesimo articolo, che dichiara valide le "convenzioni" (ivi comprese, quindi, le donazioni) in favore dell'amministratore che sia coniuge o convivente o parente entro il quarto grado del beneficiario.

In altri termini, la titolarità della capacità di donare da parte del beneficiario di ads si ricava per implicito dalle norme suddette, le quali contemplano eccezioni alla regola generale. Ne consegue, allora, la possibilità di una limitazione della capacità di donare, alla stessa stregua di quanto ritenuto per la capacità di testare.

Risolta la questione nei termini sopra riportati, la sentenza Cass. n. 12460/2018 si preoccupa di rintuzzare le obiezioni già anticipatamente sollevate in dottrina riguardo alla soluzione annunciata.

Tra le obiezioni di maggior rilievo vi è la seguente: ammettere tali possibili limitazioni ripropone la rigida dicotomia tra capacità e incapacità che caratterizzava gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, nonchè la logica patrimonialistica cui gli stessi risultavano improntati, ed il cui superamento costituiva il principale obiettivo perseguito attraverso l'introduzione della nuova disciplina.

A tale obiezione, la Corte di legittimità risponde, condivisibilmente, che -all'opposto- detta alternativa secca tra capacità e incapacità si porrebbe proprio nel caso in cui si escludesse la possibilità delle limitazioni in parola. In tal caso, infatti, la necessità di salvaguardare gli interessi della persona condurrebbe necessariamente all'interdizione.

Secondo un'altra obiezione, non servirebbe limitare la capacità del beneficiario di disporre dei propri beni, dato che - riguardo al testamento - non si pongono ragioni di salvaguardia dell'interesse del beneficiario, trattandosi di volontà da valere post mortem del medesimo, mentre -riguardo sia al testamento sia alle donazioni -le ragioni di tutela dei familiari sono presidiate dagli strumenti di impugnazione predisposti dall'ordinamento.

Ciò è senz'altro vero - rispondono i giudici di legittimità - ma occorre tener conto altresì dei rischi per la persona del beneficiario, potenzialmente esposta a pressioni e condizionamenti; ecco, allora, che «in presenza di situazioni di eccezionale gravità, tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volontà possa andare incontro a turbamenti per l'incidenza di fattori endogeni o di agenti esterni, l'esclusione a priori della capacità di testare o donare può dunque rivelarsi uno strumento di tutela assai più efficace».

La Suprema Corte affronta, infine, la seconda questione, se cioè il giudice tutelare possa disporre d'ufficio le limitazioni alla capacità del beneficiario di donare o di fare testamento.

La risposta è affermativa e viene ricavata dai seguenti indici normativi:

- l'art. 405, comma 5, nn. 3 e 4, c.c., che rimette al giudice la specifica conformazione dei compiti dell'amministratore di sostegno, sulla base delle esigenze di protezione che emergano dall'istruttoria del caso concreto;

- l'art. 407, comma 4, c.c., il quale attribuisce al giudice il potere di modificare o integrare, anche d'ufficio, le determinazioni assunte con il decreto di nomina.

Osservazioni

È la prima volta che la Corte di legittimità affronta nei termini riferiti la questione della capacità di donare e di testare del beneficiario e delle possibili limitazioni ad essa.

Invero, fin dall'entrata in vigore della l. n. 6/2004 è apparso chiaro che l'amministrazione di sostegno tende a non privare l'interessato della capacità legale di agire; e ciò si coglie in modo inequivocabile dall'art. 1 l. n. 6/2004, il quale proclama appunto la «finalità di tutelare ... le persone prive in tutto o in parte di autonomia, con la minore limitazione possibile della capacità di agire».

L'amministrazione di sostegno, dunque, non è misura formalmente incapacitante; il beneficiario dell'amministrazione di sostegno, in altri termini, non diviene in quanto tale legalmente incapace di agire. Ed è questa la caratteristica di sostanziale differenziazione tra la nuova misura di protezione e le vecchie misure incapacitanti.

Tali concetti cardine vengono riproposti dalla sentenza Cass. n. 12460/2018 in apertura della motivazione, ove viene rimarcata altresì la flessibilità dell'ads, tale che il giudice tutelare è chiamato a conformare l'ampiezza dei poteri d'intervento dell'amministratore di sostegno e l'ampiezza delle facoltà gestionali del beneficiario alle esigenze di protezione di questi.

Da queste premesse, che riprendono principi oggigiorno assodati, la pronuncia di maggio ricava la conclusione dell'utilità di procedere all'incapacitazione del beneficiario allorquando ciò sia necessario per proteggerlo, così recependo l'orientamento della pronuncia Cass. 11 maggio 2017, n. 11536, in materia di divieto matrimoniale.

Le due sentenze, madre e figlia, ci confortano dunque riguardo al fatto che non può più stabilirsi, oggigiorno, una dicotomia netta tra divieto di matrimonio per l'interdetto e libertà matrimoniale per il beneficiario dell'ads, come pure tra divieto di testamento e donazione per il primo e libertà piena di disporre dei propri beni per il secondo. Il mondo non è sempre in bianco e nero: è questa, in due parole, la sintesi che si trae dalle due decisioni.

Tale orientamento è da accogliere con favore, poiché evita risposte precostituite che, in quanto tali, rischierebbero di non salvaguardare gli interessi del beneficiario e contrasterebbero con il DNA stesso dell'Amministrazione di sostegno; più precisamente, evita l'interdizione in tutti quei casi in cui appaia evidente che quel matrimonio o quel testamento o quella donazione "non s'ha da fare" nell'interesse del beneficiario; e suggerisce una risposta ritagliata su misura.

Riguardo a quest'ultimo aspetto, deve tuttavia evidenziarsi un rischio interpretativo insito nell'espressione "esclusione a priori" della capacità di testare o donare utilizzato dalla sentenza in esame.

L'espressione "a priori" potrebbe voler dire che la limitazione alla capacità di agire del beneficiario potrebbe essere disposta fin dal decreto istitutivo, come una sorta di cautela preventiva, di default, per tutti i casi o comunque per un gran numero di casi?

La risposta non può che essere negativa, e lo si ricava dalla stessa motivazione della pronuncia in esame.

In primo luogo, la sentenza precisa doverosamente che tale incapacitazione funzionale si giustifica «in presenza di situazioni di eccezionale gravità»; e precisa ulteriormente che tali situazioni sono quelle che si presentano «tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volontà possa andare incontro a turbamenti per l'incidenza di fattori endogeni o di agenti esterni».

Inoltre, la pronuncia sottolinea in modo fermo la necessità di evitare l'alternativa secca tra capacità ed incapacità cui era improntata la precedente disciplina, laddove appunto la risposta affermativa al quesito che ci siamo posti determinerebbe un sensibile accostamento dell'incapacitazione funzionale di cui all'art. 411, u.c., c.c. all'interdizione.

La Suprema Corte, poi, puntualizza che l'incapacitazione del beneficiario trova ragione «ove le condizioni psico-fisiche dell'interessato appaiano compromesse in misura tale da indurre a ritenere che egli non sia in grado di esprimere una libera e consapevole volontà testamentaria».

La limitazione alla capacità di donare o di testare può disporsi, dunque, da parte del g.t., soltanto dopo la verifica della condizione cognitiva dell'interessato; e ciò in concreto potrà essere ritenuto dal giudice sulla base di un esame diretto della persona, qualora il deficit cognitivo risulti evidente, oppure all'esito di una consulenza tecnica nei casi incerti.

Rimane ancora un interrogativo, tuttavia.

La Cassazione indica, quale presupposto legittimante l'incapacitazione del beneficiario, in alternativa rispetto ai "fattori endogeni" (leggi, deficit cognitivo rilevante, come visto sopra) il possibile turbamento del processo di formazione e manifestazione della volontà per effetto dell' “incidenza di agenti esterni". Iniziative condizionanti provenienti dall'esterno potrebbero, allora, giustificare di per sé la limitazione alla capacità di testare o di donare? Caso esemplare potrebbero essere le lusinghe esercitate sull'anziano, psichicamente lucido ma magari indebolito dall'età, dalla badante o da qualche parente volte a ottenere una donazione o un testamento pro domo propria.

Ebbene, la congiunzione disgiuntiva "o",utilizzata nella sentenza, imporrebbe la risposta affermativa. Ma, siffatta risposta contrasterebbe apertamente con la volontà del legislatore del 2006, realizzando un'intrusione immotivata nella sfera dell'autodeterminazione della persona, tutelata dalla Costituzione (art. 13) come libertà fondamentale.

Quand'anche le disposizioni del beneficiario vadano in direzione diversa dalle aspettative dei familiari e dei parenti, la volontà del diretto interessato che sia consapevole degli effetti dell'atto che intende compiere dovrebbe rimanere sovrana; fatta eccezione per il caso in cui si accerti che l'atto che il beneficiario intende compiere determini la riduzione del patrimonio dello stesso ad una consistenza insufficiente a garantirgli il soddisfacimento delle esigenze di vita.

Un rischio del genere, peraltro, potrebbe porsi soltanto in caso di atto di donazione, mentre esso non potrebbe verificarsi in caso di testamento, i cui effetti sono destinati a prodursi soltanto dopo la morte del testatore.

Si ritiene, dunque, che soltanto l'accertata condizione di incapacità di intendere e di volere del beneficiario in conseguenza della quale questi pretenda di porre in essere un atto dispositivo del proprio patrimonio dissennato e per sè rovinoso, giustifichi e imponga l'intervento limitativo di cui all'art. 411, u.c., c.c..

In altri termini e come già si è avuto modo di evidenziare a proposito del divieto di matrimonio, «la linea incapacitante potrà avere corso allorchè risulti probabile - sulla base di riscontri sufficientemente oggettivi - che il disabile psichico assuma iniziative rovinose (per sè o per il proprio patrimonio)» (sia consentito rinviare a P. Cendon, P. Rossi, Amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, Torino, 2009, t. II, 775-778, in merito a decr. G.T. Trieste, 28 settembre 2007).

Resta il problema, ad oggi mai affrontato in via risolutiva, sull'opportunità che il g.t. si preoccupi – nell'ambito della procedura di ads – di salvaguardare altresì le aspettative ereditarie (che diritti ancora non sono in vita del beneficiario) seppure non in quanto tali, ma in quanto aspettative di attuazione futura delle disposizioni di ultima volontà del disponente.

Vertendosi nell'ambito di esercizio di diritti fondamentali della persona, quale è appunto la libertà di decidere della destinazione dei propri beni per il momento successivo alla propria esistenza, l'esercizio di essi deve essere favorito in concreto quanto più possibile; e ciò può essere realizzato mediante il conferimento - là dove occorra - di compiti di assistenza o di rappresentanza all'amministratore di sostegno.

È ben noto il positivo percorso evolutivo della giurisprudenza in materia di prestazione del consenso sanitario informato da parte dell'amministratore di sostegno, infine recepito dal legislatore nell' art. 3, comma 4,l. n. 219/2017, e in materia altresì di altri atti di natura personale, come la separazione e il divorzio (v. le paradigmatiche decisioni Trib. Bologna, 2 gennaio 2006; Trib. Modena, 26 ottobre 2007; Trib. Cagliari, decr., 15 giugno 2010), l'impugnazione del matrimonio (v. Trib. Roma, sez. I, 4 marzo 2016)e via dicendo.

La questione fa capolino nella sentenza esaminata, ma non viene affrontata fino in fondo. Non viene indicata cioè la via d'uscita per consentire, in ogni caso, al beneficiario di donare i propri beni o di fare testamento. Trattandosi, peraltro, di atti personalissimi, dovrà senz'altro ammettersi la possibilità del loro compimento con l'ausilio dell'amministratore di sostegno e la supervisione del giudice.

Guida all'approfondimento

- D. Achille, Autonomia privata e amministrazione di sostegno, ovvero il testamento del beneficiario dell'amministrazione di sostegno (affetto da SLA), in Giust. civ., fasc.7-8, 2012, 1868;

- G. Maniglio, La capacità di donare del soggetto beneficiario dell'amministrazione di sostegno (nota a Trib. La Spezia, sez. fall. 2 ottobre 2010), in Riv. Notariato, 2011, fasc. 6, 1452.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario