Codice Civile art. 2285 - Recesso del socio.Recesso del socio. [I]. Ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci [1373]. [II]. Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa. [III]. Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi. InquadramentoIl recesso è una causa di scioglimento unilaterale del rapporto sociale conseguente ad una manifestazione di volontà del socio. Il diritto di recesso è espressione del principio, tipico dei contratti di durata (fra i quali si annovera, appunto, quello societario), secondo cui nessun soggetto può «essere perpetuamente vincolato alle obbligazioni sociali assunte»; principio che assume particolare rilievo nel caso delle società di persone, ove il trasferimento della quota, eccezion fatta che per quella facente capo ai soci accomandanti di s.a.s., necessita, in quanto modificazione del contratto sociale, del consenso unanime degli altri soci. Si ritiene inammissibile un recesso parziale, in quanto il recesso ha, come effetto, l'uscita del socio dalla società (Appio,1921). Le ipotesi tipiche di recesso previste dall'art. 2285 c.c. possono essere suddivise in due categorie, a seconda che la società (a) sia contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di un socio, ovvero (b) sia a termine atteso che, solo nel secondo caso, occorre che l'esercizio del diritto di recesso sia supportato da una giusta causa o da una delle circostanze espressamente previste dal contratto sociale; mentre, in caso di società contratta a tempo indeterminato, ogni socio può recedere liberamente. Alle ipotesi di recesso previste dall'articolo in commento vanno aggiunte quelle previste dalle altre norme del codice. Nella specie, con la riforma delle società di capitali del 2003 è stata aggiunta l'ipotesi di recesso di cui all'art. 2500-ter, comma 1, ai sensi del quale, a fronte dell'assunzione a maggioranza della decisione avente ad oggetto la trasformazione di una società di persone in società di capitali, al socio che non ha concorso a tale decisione è garantito il diritto di recesso ed un analogo diritto è riconosciuto al socio che non abbia concorso alle decisioni di fusione (art. 2502) e di scissione (art. 2506-ter, comma 5). La disciplina del recesso di cui all'art. 2285 si applica anche nella s.n.c. e nella s.a.s. (per effetto dei rinvii a catena operati dagli artt. 2293 e 2315 c.c.) sebbene una dottrina evidenzi che non sembra corretto ammettere un recesso libero al di fuori delle s.s. per il solo fatto che la durata prevista dall'atto costitutivo (eventualmente) superi la vita di uno dei soci e ciò in ragione del diverso e più intenso grado di stabilità che caratterizza il patrimonio sociale di s.n.c. e s.a.s. regolari rispetto alle società semplici (Della Tommasina, 102 ss.). Un profilo centrale in materia di recesso dalla società è quello afferente l'individuazione del momento in cui il recesso del socio deve considerarsi efficace. La determinazione del momento in cui il rapporto sociale si scioglie per il recedente assume, infatti, rilevanza sotto molteplici aspetti pratici e, soprattutto, al fine della individuazione, ai sensi dell'art. 2290 c.c., del momento in cui cessa il regime di responsabilità illimitata cui il titolare della partecipazione in una società personale è generalmente sottoposto fintanto che conserva lo status di socio. Secondo la Cassazione il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde lo status socii nonché il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota, e non sono a lui opponibili le successive vicende societarie (Cass. I, n. 21036/2017). Può, invero, considerarsi pacifico, nell'ambito delle società di persone, che, ai fini dell'efficacia del recesso, ciò che rileva è che giunga agli altri soci la comunicazione “inequivocabile” della volontà del socio di recedere dalla società, atteso che è dalla suddetta comunicazione che il recedente perde la qualità del socio (Cass. I, n. 2438/2009). Nella specie, la Suprema Corte ha affermato che il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio, e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde lo "status socii" nonché il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota (Cass. n. 5836/2013). In sostanza, Secondo la Cassazione, la liquidazione della quota costituisce un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota, perde immediatamente la qualità di socio e non saranno a lui opponibili le successive vicende societarie. Inoltre, proprio perché la comunicazione di recesso del socio è atto ricettizio che si perfeziona con la ricezione della dichiarazione da parte del destinatario, divenendo poi efficace alla scadenza del termine di preavviso ex art. 2285 c.c., se dopo l'invio di tale comunicazione da parte del socio recedente, sopravvenga una delibera di trasformazione dalla società, il recesso continua ad essere efficace e sarà regolato dalla disciplina prevista per lo schema societario adottato quando il diritto di recesso è stato validamente esercitato (Trib. Milano 17 giugno 2019). Il profilo dell'efficacia della dichiarazione del recesso e della posizione del socio receduto fino alla liquidazione della quota si rivela particolarmente complesso nell'ambito delle società di capitali (sul punto cfr. sub artt. 2437 bis e 2473 in questo codice). FormaSecondo la giurisprudenza la dichiarazione di recesso non richiede forme particolari (Cass. I, n. 2899/1963). Essa, pertanto, può essere anche «orale» (Cass. n. 2/1962) e può risultare implicitamente da manifestazioni incompatibili con quella di rimanere nella società, purché realmente diretta al recesso, cioè allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio recedente e non al diverso evento dello scioglimento della società (Cass. I, n. 2899/1963). L'accertamento della manifestazione della volontà di recedere dalla società è rimesso al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. I, n. 4683/1981). Si ritiene, poi, che la dichiarazione di recesso può essere contenuta anche nell'atto di citazione con il quale viene instaurata la lite diretta ad ottenere la liquidazione, in sede giudiziale, della quota sociale (Cass. I, n. 5732/1999). Ma, in quest'ultimo caso, deve essere fatta personalmente dal socio o dal suo procuratore speciale, non rientrando nei normali poteri del procuratore ad litem (Cass. I, n. 680/1971). Il recesso da società contratta a tempo indeterminatoNell’ipotesi di società senza un termine di scadenza, il legislatore prevede che il diritto di recesso possa essere esercitato senza un motivo espresso con preavviso di almeno tre mesi. Il preavviso ha, infatti, lo scopo di tutelare l’interesse degli altri soci a non subire gli effetti che scaturiscono dal suo esercizio senza la possibilità di organizzare per tempo i rimedi e gli adattamenti che dovessero rivelarsi necessari (Appio, 1925). Proprio al fine di tutelare la posizione degli altri soci la dottrina ritiene valida la previsione nel contratto sociale di un termine più lungo o di forme particolari per la comunicazione da parte del recedente mentre esclude che il contratto sociale possa prevedere un termine più breve per il preavviso (Nigro, 954). Ai sensi del primo comma dell’art. 2285, inoltre, il recesso senza giustificato motivo è consentito qualora la società sia contratta per tutta la vita di uno dei soci, con la precisazione che il diritto di recesso, anche qualora sia collegato alla durata della vita di un determinato socio, è esercitabile da tutti gli altri, trattandosi di ipotesi in cui il termine di scadenza della società, ancorché certo nell’an, è incerto nel quando. Secondo la dottrina, all’ipotesi di società a tempo indeterminato sono equiparabili i casi in cui la durata, pur essendo inizialmente prevista, diventi in seguito incerta, come ad esempio nelle ipotesi di proroga senza l’indicazione di un nuovo termine (Patriarca, 396) o di proroga tacita (Appio, 1926). Nell’ambito delle società di persone si ritiene, poi, ammissibile il recesso del socio in qualsiasi momento senza necessità di una giusta causa anche laddove si tratti di società a tempo determinato (in quanto la scadenza della stessa è stata fissata dallo statuto) con durata superiore alla normale vita umana o alle prospettive lavorative, poiché tale scadenza comporterebbe per i soci un'eccessiva restrizione, restando legati a vita alla società, (Donativi, 124). Anche la giurisprudenza, con specifico riferimento alle società di persone, ha ritenuto ammissibile il recesso ad nutum nel caso in cui il termine di durata, ancorché determinato, sia largamente superiore alle aspettative di vita di un socio (Trib. Savona n.7/2022). La Cassazione, in fattispecie in materia di s.r.l. ha, invero, osservato, in termini generali, che “la previsione di una data oltremodo lontana nel tempo ha, almeno di norma, l'effetto di far perdere qualsiasi possibilità di ricostruire l'effettiva volontà delle parti circa l'opzione fra una durata a tempo determinato o indeterminato della società. Cosicché tale indicazione si risolve o in un mero esercizio delimitativo che equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato. Evidente in quest'ultimo caso la necessità di un intervento correttivo dell'interprete che garantisca il riconoscimento della tutela accordata dal legislatore al socio in una società che non preveda una determinazione del tempo della sua durata” (Cass. n. 9662/2013). Sul punto, peraltro, è necessario evidenziare che la giurisprudenza di legittimità più recente, ha ritenuto che non sia possibile assimilare, con riferimento all’istituto del recesso del socio da società di capitali, e per azioni in particolare, la società contratta per un tempo lungo ad una società contratta a tempo indeterminato, anche in considerazione della eccessiva aleatorietà dell'opposta impostazione. Secondo la Cassazione, infatti, nell’ambito delle s.p.a., è necessaria un’interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriuscita del socio dalla società non essendo possibile estendere alla società di persone la disciplina prevista dall'art. 2285 per le società di persone, ove prevale l'intuitus personae, ostandovi esigenze di certezza e di tutela dell'interesse dei creditori delle società per azioni al mantenimento dell'integrità del patrimonio sociale, potendo essi fare affidamento solo sulla garanzia generica da quest'ultimo offerta, a differenza dei creditori delle società di persone, che invece possono contare anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili (Cass. n. 4716/2020) (in tema cfr. sub artt. 2437 e 2437 in questo codice). Riguardo agli effetti della dichiarazione di recesso la Suprema Corte ha precisato che, nelle società di persone a tempo indeterminato, la dichiarazione di recesso del socio è un negozio giuridico unilaterale recettizio, che produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società, a differenza del caso in cui la società abbia una scadenza prefissata, ove l’uscita di uno dei soci dalla compagine sociale determina una modifica del contratto sociale che necessita del consenso di tutti i soci (Cass. I, n. 20544/2009). In quest’ultima pronuncia, peraltro la Cassazione si è occupata anche della revoca del recesso evidenziando che, nei casi di società a tempo indeterminato, la revoca non è esclusa, in quanto la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo fra i soci comporta che una diversa comune volontà possa essere espressa, almeno fino a che non si sia proceduto alla liquidazione della quota del socio uscente mediante la revoca della precedente volontà di scioglimento del singolo rapporto sociale, sempre che sussista la concorde volontà di tutti i soci in tal senso. Recesso per giusta causaNell'ipotesi di società a tempo determinato, la disposizione in commento condiziona l'esercizio del diritto di recesso alla sussistenza di una giusta causa, rimettendo in ogni caso alla autonomia contrattuale dei soci la facoltà di prevedere anche ipotesi specifiche di recesso. Quanto al requisito della giusta causa, trattandosi di clausola generale, è demandato al giudice il compito di valutare in concreto la sussistenza del suddetto presupposto. La dichiarazione di recesso per giusta causa è immediatamente operativa, non appena comunicata agli altri soci; la sentenza che accerta l'esistenza della giusta causa è dichiarativa con effetto ex tunc (Cass. I, n. 186/1965). Nel relativo giudizio legittimati passivamente sono gli altri soci (Cass. I, n. 1577/1972). Sui presupposti del recesso per giusta causa si registra un contrasto fra la dottrina e la giurisprudenza. Mentre la dottrina è propensa a configurare come giusta causa di recesso non solo gli inadempimenti e le scorrettezze degli altri soci, ma anche fatti oggettivi riguardanti la persona del recedente, come ad es. malattia, età avanzata, trasferimento in altra sede etc. (Campobasso, 213; Jaeger, Denozza, 185; Grippo, 188), l'orientamento della giurisprudenza è più restrittivo. Secondo la dottrina, infatti, fermo restando che possono costituire giusta causa di recesso soltanto circostanze sopravvenute rispetto al momento in cui la società si è costituita o all'ingresso del socio e sul presupposto che essa non sia riconducibile al concetto di inadempimento su cui si fonda l'azione di risoluzione del contratto ex art. 1453, è da ritenersi legittimo il recesso esercitato in presenza di ragioni che, sia pure di carattere oggettivo, afferiscano alla persona del socio, fra le quali si annoverano una sopraggiunta malattia del socio d'opera, l'età avanzata, la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'impresa o l'eccessiva onerosità della prestazione oggetto del conferimento (Appio, 1928; Patriarca, 405). Di converso si afferma, in giurisprudenza, che il concetto di giusta causa si ricollega sempre all'altrui violazione di obblighi contrattuali, o alla violazione dei doveri di fedeltà, di lealtà, di diligenza o di correttezza, che ineriscono alla natura fiduciaria del rapporto e lo assoggettano ad una speciale disciplina . Secondo la giurisprudenza, pertanto, il recesso del socio può ritenersi determinato da giusta causa solo quando esso costituisca una reazione, legittima al comportamento degli altri soci, che obiettivamente e ragionevolmente sia tale da scuotere la fiducia in essi riposta (Cass. I, n. 5732/1999). Muovendo da queste premesse, si è deciso: - che non è sufficiente a determinare una giusta causa di recesso né il disaccordo su una qualsiasi pretesa, anche se fondata, né un qualsiasi pretestuoso motivo di dissenso (Cass. I, n. 2454/1966); - che la stessa discordia tra i soci, come giusta causa di recesso di uno di essi, deve trarre origine dal comportamento degli altri soci che faccia ragionevolmente venir meno nel recedente la fiducia in essi riposta e non dal disaccordo su qualsiasi pretesa, anche se infondata e in contrasto con i doveri di socio del recedente stesso (Cass. I, n. 2212/1957); - che costituisce – invece – giusta causa di recesso l'estromissione di alcuni soci da ogni partecipazione ed effettivo controllo sull'amministrazione della società, nonostante che lo statuto avesse attribuito a tutti i soci indistintamente la gestione e l'amministrazione della società come pure la mancata restituzione di somme mutuate da un socio, l'inerzia degli altri soci a fronte delle dichiarazioni di questi di voler cedere la quota e, poi, di recedere, la sua esclusione da ogni controllo della gestione societaria e dalla partecipazione all'attività sociale nonché il fatto che uno dei due soci, dopo aver dato le dimissioni dalla carica di amministratore, abbia continuato ad amministrare la società (Cass. I, n. 1602/2002). Qualora non sussista una giusta causa, non può considerarsi valido ed operante un recesso dichiarato in un'ipotesi non consentita dalla legge (nella specie: società a tempo determinato) (Cass. I, n. 158/1955). Peraltro la Suprema Corte, da ultimo, ha chiarito che il giudizio sulla ricorrenza della giusta causa di recesso va effettuato nel rispetto del principio di correttezza e buona fede e, pertanto, la legittimità del suo esercizio deve essere valutata nel complessivo contesto dei rapporti intercorsi tra le parti, dovendosi escludere che, in una società in nome collettivo composta da due soli soci, a fronte dell'inadempimento dell'altro socio ai propri obblighi gestori, seguito da un periodo di tolleranza, il socio uscente debba necessariamente mettere in mora il primo e richiedere il detto adempimento prima di poter validamente esercitare il proprio diritto di recesso (Cass. I, n. 21731/2022). Il disposto dell'art. 2285 consente ai soci, al pari di quanto si verifica nelle società di capitali, di introdurre anche eventuali cause convenzionali di recesso. Nell'ambito del c.d. recesso pattizio possono, quindi, rientrare circostanze che afferiscono alla sfera personale del socio, ivi comprese quelle che, secondo un'interpretazione restrittiva, proprio in quanto aventi carattere soggettivo, non costituirebbero una giusta causa di recesso sia condizioni di carattere oggettivo, relative cioè a situazioni verificatesi all'interno della società. In tali casi, al pari del recesso per giusta causa l'esercizio del diritto di recesso non richiederà alcun preavviso e produrrà effetti una volta comunicato agli altri soci. È discusso in dottrina se sia legittima una clausola che preveda il recesso ad nutum anche nell'ipotesi in cui la società sia a tempo determinato. Secondo un'impostazione interpretativa detta clausola sarebbe ammissibile a condizione che sia previsto un congruo termine di preavviso (Cottino-Weigmann, 266 ss.). Concorrenza di più cause di scioglimentoL'esclusione giudiziale, nell'ipotesi prevista dall'art. 2287, comma 3, c.c., operaex nunc (v., subart. 2287, n. 11, c.c.) e non ha quindi effetto retroattivo. Da ciò si è dedotto che durante il giudizio instaurato per ottenere la declaratoria di esclusione il socio verso il quale la domanda di esclusione è proposta può validamente ed efficacemente recedere dalla società, in base alla considerazione che tra due cause di scioglimento del rapporto sociale rispetto a un socio è operante quella che diviene efficace per prima (Cass. I, n. 134/1987). Si è ribadito che nelle società di persone, il principio, secondo il quale, nel concorso di più cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, deve ritenersi oeprante quella che si verifichi per prima, trova applicazione anche nel caso di concorso fra recesso ed esclusione (Cass. I, n. 2438/2009). Società di due sociÈ pacifico che il recesso da una società composta di due sole persone non determina lo scioglimento della società, essendo a tal fine necessario che si verifichi l'ulteriore condizione prevista dall'art. 2272 n. 4 (Cass. I, n. 6156/1978). La Cassazione ha tuttavia precisato che, qualora al socio receduto non sia stata, nel termine di sei mesi previsto dall'art. 2289 c.c., liquidata e pagata la somma corrispondente al valore della sua quota, egli possa chiedere lo scioglimento della società, se nel frattempo non si sia ricostituita la pluralità dei soci ai sensi dell'art. 2272 c.c., non perché abbia conservato la qualità di socio nei rapporti interni nonostante il recesso, ma in base alla sua qualità di creditore della società per detta liquidazione della quota (Cass. I, n. 8001/1990). Il recesso del socio da una società di persone composta da due soli soci (nella specie, una società in nome collettivo) e la mancata ricostituzione della pluralità della compagine sociale da parte del socio superstite determinano lo scioglimento della società,exart. 2272, n. 4, c.c., non già la sua estinzione, con conseguente possibilità della stessa di essere sottoposta a fallimento entro l'anno dall'intervenuta cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell'art. 10 l.fall. (Cass. I, n. 501/2016). BibliografiaAppio, Scioglimento parziale del rapporto sociale, in Trattato delle società a cura di Donativi, 1899 ss., G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Cottino-Weigmann, Le società di persone, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, III, Padova, 2004; Della Tommasina, La nozione di società contratta a tempo indeterminato: il regime del disinvestimento tra società di capitali e società di persone, in Riv. Soc. 2020, 102 ss.; Donativi, Scioglimento parziale del rapporto sociale, in Società, a cura di Donativi, Milano, 2019; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Grippo, in Aa.Vv., Diritto commerciale, Bologna, 1993; Jaeger, Denozza, Appunti di diritto commerciale, I, Milano, 1994; Nigro, Il recesso del socio, in Tratt. soc. pers., diretto da Preite, a cura di Preite-Busi, vol. I, Milano, 2015; Patriarca, sub art. 2285, in Patriarca-Capelli, Società semplice, in Comm. Scialoja Branca-Galgano, Bologna, 2021 |