Codice Civile art. 2287 - Procedimento di esclusione.Procedimento di esclusione. [I]. L'esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione al socio escluso. [II]. Entro questo termine il socio escluso può fare opposizione davanti al tribunale, il quale può sospendere l'esecuzione. [III]. Se la società si compone di due soci, l'esclusione di uno di essi è pronunciata dal tribunale, su domanda dell'altro. InquadramentoÈ assolutamente prevalente, in giurisprudenza, il convincimento che l'esclusione, motivata a pena di invalidità, possa essere deliberata senza la preventiva convocazione del socio da escludere (Cass. I, n. 4284/1984) in quanto nella disciplina legale delle società di persone manca la previsione del metodo assembleare e manca quel particolare organo sociale che è l'assemblea, sicché, allorquando si debba adottare la deliberazione di esclusione di un socio, non è necessaria la consultazione di tutti i soci, compreso quello da escludere né la convocazione di essi in adunanza, per ottenere una deliberazione unitaria in senso formale, ma è sufficiente raccogliere le singole volontà idonee a formare la maggioranza, anche separatamente, salvo, poi, comunicare la deliberazione di esclusione al socio escluso, affinché questi sia posto in condizione di esercitare la facoltà di opposizione dinanzi al tribunale (Cass. I, n. 1977/1973). In tema di amministrazione nella società in accomandita semplice, per effetto della regola per cui l'amministratore non può che essere un socio accomandatario, l'eventuale esclusione di questi dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, ne comporta ipso iure anche la cessazione dalla carica di amministratore, mentre non è predicabile il contrario, ben potendo sussistere, in tale compagine, anche soci accomandatari che non siano amministratori, come desumibile dall'art. 2318 c.c.; ne consegue che le questioni dell'esclusione del socio e della revoca dell'amministratore per giusta causa restano distinte e non sovrapponibili, per disciplina legale e presupposti differenti, essendo l'eventuale revoca dalla carica di amministratore non incidente sulla qualità di socio dello stesso; inoltre, il ricorso all'autorità giudiziaria per ottenere una pronuncia di esclusione del socio è ammissibile, ex art. 2287, comma 3, c.c., esclusivamente ove la società sia composta soltanto da due soci, trovando altrimenti applicazione l'art. 2287, comma 1, c.c., ai sensi del quale detta esclusione può essere deliberata a maggioranza, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che all'interno della compagine sociale siano eventualmente configurabili due gruppi di interesse omogenei e tra loro contrapposti e che il socio da escludere, in virtù del conflitto d'interessi nel quale versa, non possa esercitare il diritto di voto, dovendosi, in tal caso, la maggioranza necessaria computarsi non già sull'intero capitale sociale, bensì sulla sola parte che fa capo all'avente diritto al voto (Cass. I, n. 18844/2016). L'annullamento della deliberazione di esclusione di un socio in esito ad opposizione proposta a norma dell'art. 2287, secondo comma, c.c. opera ex tunc e comporta la reintegrazione del socio stesso nella sua posizione anteriore e nella pienezza dei diritti da essa derivati (Cass. I, n. 6829/2014). Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2252 e 2259 c.c., la revoca dell'amministratore di società di persone, la cui nomina sia contenuta nell'atto costitutivo, postula l'esistenza congiunta dei presupposti dell'unanimità dei consensi e della giusta causa, mentre questi possono sussistere in via alternativa, ove la nomina sia avvenuta con atto separato. Peraltro, allorché l'amministratore sia socio, non è richiesto il consenso del medesimo al fine della sua revoca, avendo portata generale il principio del divieto di voto in conflitto di interessi con la società, ai sensi dell'art. 2373 c.c., del quale costituisce applicazione anche l'art. 2287 c.c., che impone di non considerare il socio da escludere nel computo della maggioranza necessaria per l'esclusione (Cass. I, n. 13761/2009). ComunicazioneLa comunicazione al socio escluso della deliberazione di esclusione dalla società (artt. 2287 e 2527 c.c.) non richiede la adozione di specifiche formalità o mezzi di trasmissione, essendo sufficiente un qualsiasi atto o fatto idoneo a portare a conoscenza dell'interessato la deliberazione medesima: la sua eventuale incompletezza non incide sulla validità ed operatività del provvedimento, ma può spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un'opposizione tardiva o non specifica, ove giustificata da detta incompletezza (Cass. I, n. 4254/1982). La presenza del socio escluso alla assemblea che ha emesso la delibera di esclusione, in condizioni tali da assicurargli la percezione della volontà maggioritaria degli altri soci, integra gli estremi della comunicazione prevista dalla legge, e fa iniziare il decorso del termine per l'opposizione (Cass. I, n. 1781/1977). Ma, ad avviso della stessa Corte, non potrebbe a tal fine ritenersi sufficiente un mero avviso orale circa il tenore della deliberazione, essendo necessario che il destinatario sia informato con precisione ed in dettaglio del contenuto della decisione che lo riguarda, in tutti i capi in cui eventualmente si articola e nei motivi che la sorreggono (Cass. I, n. 143/1988). La comunicazione, in altre parole, deve contenere un resoconto puntuale, preciso e circostanziato del provvedimento di esclusione, in modo da porre il socio escluso nella condizione di approntare le linee di difesa (Cass. I, n. 6298/1987): sotto questo aspetto si è affermato che può valere come atto di comunicazione al socio dell'avvenuta esclusione l'atto introduttivo del giudizio nel quale si chiede l'accertamento della legittimità dell'esclusione del socio stesso, precisando che in tal caso al termine di trenta giorni dalla comunicazione si sostituisce quello processuale stabilito per le deduzioni del convenuto (Cass. I, n. 1204/1958). Non è invece necessaria la trasmissione di copia del verbale di esclusione (Cass. I, n. 6298/1987). Opposizione: a) legittimazione passiva e attivaL'orientamento della giurisprudenza, per quanto concerne l'individuazione del soggetto passivamente legittimato alla opposizione all'esclusione, non è univoco: si riflettono in materia le incertezze relative alla individuazione della portata della c.d. soggettività delle società di persone rispetto ai rispettivi soci: in alcune decisioni si afferma, infatti, che la lite si instaura non tra un socio e gli altri soci, ma tra il socio escluso e ilgruppodegli altri soci, cioè tra il socio e la società, pur precisando che, non essendo tali società dotate di personalità giuridica, la loro partecipazione in giudizio può realizzarsi anche con la presenza di tutti i soci (Cass. I, n. 1781/1977). È stato così affermato che nel giudizio di opposizione avverso l'espulsione del socio di una società di persone, la legittimazione passiva compete esclusivamente alla società, in persona del legale rappresentante, anche se è consentita, come modalità equipollente d'instaurazione del contraddittorio, la citazione di tutti i soci, notificata nel termine di decadenza previsto dall'art. 2287 c.c. Ne consegue che la citazione tempestiva soltanto di alcuni dei soci non impedisce la decadenza dall'azione, non essendo ravvisabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. I, n. 8570/2009). In altre, ben più risalenti pronunce, si afferma invece che la legittimazione passiva spetta invece ai soci superstiti (Cass. n. 1577/1972). Per quel che concerne, poi, la legittimazione attiva, si è deciso che il socio già receduto, e quindi successivamente escluso, ha un interesse morale e giuridico ad opporsi alla delibera di esclusione (Trib. Milano 13 novembre 1989, in Giur. it. 1992, I, 2, 214). Segue: b) termineNel giudizio di opposizione avverso l'espulsione del socio di una società di persone, la legittimazione passiva compete esclusivamente alla società, in persona del legale rappresentante, anche se è consentita, come modalità equipollente d'instaurazione del contraddittorio, la citazione di tutti i soci, notificata nel termine di decadenza previsto dall'art. 2287 c.c.Ne consegue che la citazione tempestiva soltanto di alcuni dei soci non impedisce la decadenza dall'azione, non essendo ravvisabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. I, n. 8570/2009). Si è ritenuto che la sospensione dei termini processuali non si applichi a quello (di trenta giorni) concesso dall'art. 2287 c.c. per proporre opposizione alla delibera di esclusione, in base alla considerazione che detto termine rileva anche sul piano sostanziale; inoltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione della delibera di esclusione concesso dall'art. 2287 c.c. per l'opposizione del socio escluso, non trova applicazione nel caso in cui la società, anziché effettuare la normale comunicazione, convenga in giudizio il socio escluso per l'accertamento della legittimità della esclusione (Cass. I, n. 1204/1958). Segue: c) sindacato del giudiceIl giudice mentre ha il potere-dovere di riscontrare l'effettiva ricorrenza dei casi nei quali la legge e l'atto costitutivo consentono l'esclusione medesima, non può indagare sull'opportunità, alla stregua delle circostanze della situazione concreta, di irrogare detta sanzione, attenendo ciò ad una valutazione riservata agli organi sociali (Cass. I, n. 4254/1982, in cui si afferma che il giudice, chiamato a pronunziare sull'opposizione del socio escluso, a norma dell'art. 2286 c.c., in ordine alla legittimità dell'operato della maggioranza, deve limitarsi a respingere l'opposizione, oppure ad accoglierla, esaminando il merito della delibera di esclusione al solo fine di accertare l'eventuale eccesso di potere da parte della maggioranza e di stabilire se questa abbia legittimamente esercitato il potere di modificare il contratto sociale, riconosciutole dalla legge in uno dei casi previsti dal citato art. 2286 c.c.); nello stesso senso Campobasso, 115; Ferri, 629). Peraltro nel giudizio di opposizione non si può tener conto di motivi di esclusione diversi da quelli enunciati sulla delibera di esclusione (Cass. I, n. 2887/1989). Sospensione dell'efficacia della delibera di esclusioneL'eventuale opposizione non è, di per sé, sospensiva dell'efficacia della delibera di esclusione, che deve essere pertanto disposta dal giudice. In proposito si è deciso che il compito di emettere il provvedimento di sospensione della delibera di esclusione del socio di società di persone spetta, nel silenzio al riguardo dell'art. 2287 c.c., al giudice singolo, in analogia alla disposizione dell'art. 2378 c.c. La Cassazione ha, in particolare, statuito: - che il provvedimento col quale il tribunale ha dichiarato inammissibile il reclamo avverso il precedente provvedimento di sospensione di una delibera di esclusione di alcuni soci di una società in accomandita semplice, adottato dal presidente dello stesso tribunale a norma dell'art. 2287 c.c. (in applicazione analogica dell'art. 2378 c.c.), non è impugnabile a norma dell'art. 111, comma 2, Cost., con il ricorso per cassazione trattandosi di provvedimento emesso in sede cautelare non avente carattere decisorio (Cass. I, n. 6571/1986); - che i provvedimenti del giudice istruttore non possono assumere valore decisorio, essendo egli istituzionalmente privo del potere di pronunciare sentenze; e che, pertanto, non è impugnabile con istanza per regolamento di competenza l'ordinanza del giudice istruttore che rimette al collegio la decisione sull'istanza di sospensione di una deliberazione di una società in nome collettivo di esclusione di un socio, per la cui impugnativa di merito è stata eccepita ed accettata la competenza arbitrale (Cass. I, n. 6258/1982); - che l'ordinanza cautelare di sospensione della delibera assembleare di esclusione del socio dalla compagine sociale di una s.n.c. ex art. 2287, comma 2 c.c. ha natura conservativa, e non invece anticipatoria, con la conseguenza che l'eventuale omessa instaurazione del giudizio di primo grado nel termine perentoriamente previsto dal Legislatore, così come l'estinzione dello stesso, comportano la caducazione della pronuncia cautelare nel frattempo intervenuta (Cass. I n. 10986/2021). È dibattuto il rapporto tra la sospensione della delibera di esclusione ex art. 2287, comma 2, c.c. e la misura cautelare atipica d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Secondo la giurisprudenza di merito più recente stante il carattere residuale del rimedio ex art. 700 c.p.c., è inammissibile il ricorso col quale si chieda in via d'urgenza un provvedimento di sospensione della delibera assembleare di una società di persone circa l'esclusione della qualità di socio, in presenza del rimedio tipico previsto dall'opposizione ex artt. 2286 e 2287 c.c. (Trib. Torino, 21 febbraio 2019). Accoglimento dell'opposizioneLa Cassazione ha puntualizzato che l'annullamento della deliberazione di esclusione operaex tunc e comporta la reintegrazione del socio escluso nella sua posizione anteriore e nella pienezza dei diritti da essa derivanti (Cass. I, n. 5958/1993). Nello stesso senso, in dottrina, Cottino, op. cit., 229; Campobasso, 215. La Cassazione ha puntualizzato che l'illegittima esclusione del socio costituisce evento potenzialmente dannoso per il socio estromesso e giustifica pertanto la condanna della società al risarcimento dei danni nei suoi confronti, aggiungendo che tale pronuncia non trova ostacolo nella circostanza che la società si trovi in fase di liquidazione, perché anche a prescindere dalla eventualità che la liquidazione sia revocata, pure in tale situazione si verifica quella estromissione, con riguardo alle attività inerenti alla definizione della situazione patrimoniale della società (sulla cui base va liquidata la quota del socio escluso), nonché all'approvazione del bilancio di liquidazione con il piano di riparto (Cass. I, n. 6425/1982; nello stesso senso Buccellato, 187). Società di due sociSe la società è composta solo da due soci «l'esclusione di uno di essi è pronunciata dal tribunale, su domanda dell'altro» (art. 2287, comma 3, c.c.). In tal caso, la delibera di esclusione eventualmente adottata è priva di efficacia e, quindi, sussiste spoglio in danno del socio escluso, tutelabile con l'azione di reintegrazione a norma dell'art. 1168 c.c., qualora l'altro socio si impossessi in modo violento o clandestino dei beni sociali da lui detenuti nella qualità di socio amministratore (Cass. I, n. 3863/1986). L'azione giudiziaria diretta ad ottenere l'esclusione dell'altro socio ha come presupposto processuale il fatto che la società di persone sia, in quel momento, composta di due soci soltanto: all'attore incombe l'onere di provare la sussistenza della società, mentre al convenuto, che eccepisca l'improponibilità dell'azione, incombe l'onere di provare che della società fanno parte altre persone specificamente indicate (Cass. I, n. 2120/1978). Il disposto dell'art. 2287, comma 3, c.c. è tassativo e la sua applicabilità è conseguentemente esclusa se la società ha più di due soci, anche se questi sono raggruppabili in due gruppi di interessi omogenei e contrapposti tra di loro e anche quando i soci siano in numero di tre (Cass. I, n. 4284/1984): in entrambe le ipotesi pertanto l'esclusione potrà essere disposta a norma del comma 1 dello stesso art. 2287 c.c.. L'esclusione giudiziale opera solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza del giudice, la quale pertanto non ha effetto retroattivo (Cass. I, n. 134/1987, che da ciò ha tratto argomento per riconoscere l'ammissibilità del recesso durante il giudizio di esclusione). È stato ribadito che il ricorso all'autorità giudiziaria è ammissibile, ai sensi dell'art. 2287, comma 3, c.c. nel solo caso in cui la società sia composta da due soci soltanto, e che in ogni altro caso trova applicazione l'art. 2287, comma 1, c.c. per il quale l'esclusione del socio può essere deliberata a maggioranza (Cass. I, n. 20255/2006; in senso conforme Cass. I, n. 27504/2006, relativa ad un caso in cui i tre soci accomandanti di una società in accomandita semplice avevano deliberato l'esclusione dell'unico accomandatario). Nella motivazione della prima di tali sentenze – premesso che «la norma dell'art. 2287, comma 3, c.c. è giustificata dalla considerazione che, dovendo la maggioranza richiesta computarsi per capi e non per quote ..., nella società composta da due soli soci tale maggioranza mai potrebbe essere raggiunta» e che la formulazione del primo comma dello stesso articolo «non consente dubbi sul fatto che, nello schema normativo, è sufficiente l'esistenza di un numero di soci superiore a due per ritenere astrattamente applicabile la procedura contemplata da tale disposizione» – si nega «che, nell'ipotesi in cui l'esclusione prevista dall'articolo in questione si dimostrasse impossibile a causa del conflitto d'interessi che impedisce di computare nella maggioranza il socio da escludere, la posizione del socio il quale non possa avvalersi né del procedimento di cui all'art. 2287, comma 1, c.c. né del ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi del terzo comma, resterebbe priva di tutela», ponendo in evidenza che «in tal caso sarebbe sempre possibile il recesso per giusta causa ai sensi dell'art. 2285, comma 2, c.c.» e che tale rimedio è idoneo a tutelare in modo adeguato i suoi interessi e ad escludere, conseguentemente, che possa prospettarsi al riguardo alcun dubbio di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Con riguardo al rapporto tra scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio e scioglimento della società di persone composta da due soli soci la S.C. ha rilevato, poi, che, nell'ambito del giudizio pendente fra i due soli soci, la decisione sulla ricorrenza di una causa di esclusione dell'uno è pregiudiziale rispetto a quella sull'avvenuto scioglimento della società, considerato che l'eventuale pronuncia di esclusione, di natura costitutiva, spiega effetto dal passaggio in giudicato e che da tale momento il socio superstite ha sei mesi per ricostituire la pluralità dei soci, così evitandone appunto lo scioglimento (Cass. I n. 4779/2020). Clausola compromissoriaL'ammissibilità di clausole compromissorie in materia di controversie riguardanti l'esclusione del socio è pacificamente riconosciuta (Cass. I, n. 4814/1988); si è inoltre deciso che il termine di decadenza (trenta giorni dalla comunicazione della delibera di esclusione) stabilito dall'art. 2287 c.c. per la proposizione dell'opposizione non si applica ai giudizi arbitrali e che la rinunzia alla cognizione degli arbitri, effettuata dopo l'instaurazione del procedimento, non fa rivivere ex post l'operatività di detto termine (Cass. I, n. 2084/1984). Nel ribadire l'ammissibilità del deferimento delle controversie riguardanti l'esclusione del socio alla cognizione degli arbitri, si è puntualizzato che la clausola compromissoria che devolve agli arbitri le controversie fra i soci opera anche per la lite causata dall'esclusione di un membro della compagine sociale, osservando che, quando l'esercizio di poteri e facoltà previsti dalla legge o dall'atto costitutivo della società dipenda dalla qualità di socio, che funge quindi anche da condizione di legittimazione in rapporto all'azione mediante la quale quei poteri o facoltà debbano essere esercitati, tale legittimazione non può esser negata a colui che agisca appunto per lamentare di essere stato illegittimamente privato di detta qualità; e che, pertanto, il socio escluso, il quale contesti la legittimità della sua esclusione, è pienamente legittimato a farlo avvalendosi di tutti gli strumenti di reazione che (non soltanto la legge, ma anche eventualmente) l'atto costitutivo abbia attribuito ai soci (Cass. I, n. 5019/2009). Inoltre la Suprema Corte ha precisato che la presenza nello statuto di una clausola compromissoria non comporta l'attribuzione agli arbitri del potere di decidere l'esclusione del socio, ma solo la devoluzione a questi ultimi della cognizione sulla controversia conseguente all'adozione della delibera di esclusione, poiché la previsione di tale clausola è cosa ben diversa dalla deroga alle disposizioni di legge che, come nel caso dell'art. 2287 c.c., attribuiscono alla maggioranza dei soci determinati poteri nei confronti della minoranza, regolandone l'esercizio. (Cass. I n. 25927/2022). BibliografiaBuccellato, Liquidazione di società personale ed esclusione del socio, in Giur. comm. 1984, II, 185; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016. |