Codice Civile art. 2251 - Contratto sociale.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Contratto sociale.

[I]. Nella società semplice [204 trans.] il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti [1350 nn. 1, 9].

Inquadramento

«La società semplice costituisce il tipo più elementare di società: per la sua costituzione non si impone l'osservanza di particolari formalità e, soprattutto per questo, si differenzia dagli altri tipi di società; da ciò appunto deriva la denominazione di società semplice. Suo campo di applicazione specifico è quello delle attività non commerciali e cioè soprattutto delle attività agrarie. La sua organizzazione è elementare, pur restando fermo il principio che il gruppo sociale e il patrimonio sociale sono distinti dai singoli soci e dai loro patrimoni» (Relazione al codice civile, § 931).

Uno dei tratti caratterizzanti della sua disciplina, secondo l'impianto originario del codice, era l'esclusione della sua iscrivibilità nel registro delle imprese, riservata dall'art. 2200 c.c. alle società «costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti del titolo V» (artt. 2291 c.c. ss.) e «alle società cooperative». Ma, sotto questo profilo, la disciplina originaria del codice civile è stata modificata a più riprese prevedendosi, a partire dal 1993, che anche tali società dovessero essere iscritte nel registro delle imprese, sia pur solo a fini di pubblicità notizia e, successivamente, per quelle aventi ad oggetto l'esercizio di un'impresa agricola, che l'iscrizione «ha l'efficacia di cui all'art. 2193 del codice civile» (art. 2, d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228) e, quindi, gli effetti tipici della pubblicità dichiarativa (sul punto, per tutti, Campobasso, 116). In precedenza l'art. 6, secondo comma, d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 88, nel prevedere che l'attività di revisione contabile poteva essere esercitata anche da società semplici, aveva stabilito che tali società fossero assoggettate all'obbligo della iscrizione nel registro delle imprese, richiamando l'art. 2296 c.c.

In una prospettiva comparatistica si osserva che le società di persone ricevono all’estero una rinnovata attenzione innanzitutto per effetto di riforme normative ritenute epocali mentre, nel nostro ordinamento, i propositi di modifica legislativa si sono fermati ai progetti Di Sabato e Rovelli dei primi anni 2000.

 Si tratta, da ultimo, per la Germania, del progetto di droit savant Maurach culminato nella Gesetz zur Modernisierung des PersonengesellschaftsrechtsMoPeG del 10/08/2021 (pubblicata il 17/08/2021 in Bundesgesetzblatt) la cui entrata in vigore è prevista per il 01/01/2024 e che, per la prima volta, interviene sul diritto societario del BGB del 1896 e del HGB del 1897; nonché, già, per il Belgio, della Loi 23/03/2019 che ha introdotto il Code des sociétés et des associations – CSA494 (Murino, 1613).

La legge di riforma tedesca, in particolare, riguarda proprio le società di persone. Essa non contiene una totale riformulazione del diritto delle società di persone ma, sostanzialmente, una sua revisione sistematica, la sua modernizzazione, l'adeguamento ai fondamentali sviluppi giurisprudenziali, alle posizioni della dottrina ed alla prassi sopravvenuta. La riforma contiene, tuttavia, anche innovazioni di indiscusso rilievo (come quelle relative alle impugnazioni delle decisioni dei soci) dal punto di vista della formazione delle regole delle società personalistiche, storicamente influenzata e determinata dalle consuetudini e dagli usi dei commercianti (per un approfondimento sulla recente riforma tedesca delle società di persone si rinvia a Speranzin, 393 ss.).

Requisiti formali: conferimento d'azienda e conferimento di beni immobili

Il codice impone l'atto pubblico solo per le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperative, lasciando per le altre (società semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice) piena libertà di forma, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti (Cass. I, n. 3275/1996).

L'art. 2251 c.c. fa «salve» le forme «richieste dalla natura dei beni conferiti». Tale riserva, secondo quanto è stato precisato dalla Cassazione, non varrebbe per i casi in cui la forma sia prescritta ad probationem, come nel caso contemplato dall'art. 2556 c.c. (Cass. I, n. 1959/1982; contra, tuttavia, Cottino, 115) ma solo per le ipotesi in cui la forma sia richiesta ad substantiam: l'esempio più frequente è quello in cui il conferimento abbia ad oggetto il trasferimento della proprietà o l'attribuzione del godimento ultranovennale di un bene immobile (Cass. I, n. 1613/2000).

Si ritiene che la forma «speciale» debba essere osservata solo per il singolo conferimento e che l'inosservanza di detto requisito determini la nullità dell'intero contratto se il bene, che costituisce oggetto del conferimento, sia da reputarsi essenziale al raggiungimento del fine sociale (Cass. I, n. 5761/1981).

In tal caso il socio potrà riacquistare la disponibilità dell'immobile e i nuovi creditori particolari potranno far valere le proprie ragioni su tale bene determinando «un notevole stato di instabilità nel sistema societario, con ovvie negative conseguenze all'interno dello stesso sistema economico» (Galgano, 143; Gambino, 156).

Proprio al fine di evitare queste conseguenze la Cassazione aveva precisato che «qualora con il contratto verbale costitutivo di una società... venga conferito il godimento di beni immobili senza determinazione di tempo, la norma dell'art. 1350, n. 9, c.c., che impone la forma scritta ad substantiam se quel conferimento ecceda i nove anni o sia a tempo indeterminato, comporta in relazione al principio di conservazione fissato dall'art. 1367 c.c. in tema di ermeneutica negoziale che il contratto medesimo deve ritenersi validamente stipulato nel limite temporale di nove anni» (Cass. I, n. 3631/1985). Ma successivamente ha modificato il proprio orientamento, rilevando che, così decidendo, si verrebbe ad operare una conversione del contratto sulla base di una interpretazione sostitutiva della reale intenzione delle parti, non consentita dall'art. 1367 c.c. È stata così ribadita la nullità del contratto verbale costitutivo di una società di fatto senza determinazione di tempo con il conferimento del godimento di beni immobili essenziali al raggiungimento dello scopo sociale (Cass. I, n. 13158/2001).

Contrari, in dottrina, a tale rigoroso orientamento (dal quale la stessa Cassazione è sembrata discostarsi almeno in un'occasione, decidendo che se i beni immobili non vengono conferiti per iscritto, nel rispetto dei requisiti richiesti dall'art. 1350 n. 9, c.c. essi devono intendersi conferiti per il solo «valore d'uso»: Cass. I, n. 1027/1993) Campobasso, 58; Galgano, 143; Palmieri, 1405.

Si afferma, nella specie, che la formalità ad substantiam potrebbe essere prescritta soltanto “per quei beni per i quali essa occorre ai fini del trasferimento” (Cottino, Considerazioni sulla forma del contratto di società, 287). Conseguentemente, la mancanza della forma scritta determinerebbe soltanto la nullità della singola partecipazione, non inficiando la validità del contratto di società concluso.

La dottrina maggioritaria ritiene, poi, che la salvezza prevista dall’art. 2251 c.c. per le forme speciali deve riguardare anche le ipotesi per le quali la forma è prescritta ad probationem tantum. È il caso, ad esempio, del conferimento di un’azienda o di un ramo d’azienda in una società costituitasi senza formalità (Cagnasso, 76 ss.).

Naturalmente il requisito della forma scritta non è richiesto per la cessione della quota di una società nel cui patrimonio siano ricompresi beni immobili, dal momento che il suo trasferimento non incide sulla titolarità dei beni sociali che restano imputati alla società (Cass. I, n. 2252/1998).

Società di fatto e società apparente

La Corte di cassazione ha ritenuto che la dichiarazione di fallimento in estensione, ai sensi dell'art. 147 l.fall., può  aversi anche in presenza della c.d. società apparente, ovvero, quando i terzi in buona fede siano stati indotti a ritenere l'esistenza di una compagine sociale in realtà non esistente (Cass. n. 2095/2001).

L'affermazione, da parte della giurisprudenza, che l'esistenza di una società tra due o più soggetti può essere riconosciuta sulla base del suo esteriorizzarsi, prescindendo da ogni indagine circa l'effettiva intenzione di tali soggetti di costituire, tra di essi, un rapporto societario (Cass. I, n. 10695/1997) sfuma alquanto i confini tra società di fatto e società apparente (Marziale, 597), che invece per la dottrina prevalente, contraria all'ammissibilità della società apparente, costituiscono figure da distinguere nettamente sul piano giuridico.

Invero, la dottrina prevalente tende ad escludere l'ammissibilità della figura della società apparente e la sua conseguente assoggettabilità a fallimento, evidenziando che il fallimento, per la sua ineliminabile caratteristica di universalità, non consente di distinguere fra terzi di buona fede e terzi di malafede (Campobasso, 62; Di Sabato, 69 ss.; Cottino, 103). In particolare, con l'espressione società apparente ci si riferisce alla fattispecie di una società che certamente non è voluta fra le parti ma che viceversa appare come tale in forza delle condotte concretamente realizzate dai soci (apparenti). Se quindi la società apparente deve essere intesa come una “società” senza contratto, senza iscrizione ma che come tale è (meramente) apparsa ai terzi, giacché nei rapporti interni, cioè fra gli apparenti soci è tutt'altro, ne consegue che, mentre nei rapporti esterni potranno/dovranno valere le regole del tipo societario apparentemente palesatosi (e qui, proprio per questa epifania, non può dubitarsi che il tipo possa essere anche quello della società in accomandita, comunque sottoposta alle prescrizioni dettate dall'art. 2317 c.c.), queste stesse regole non saranno invocabili nei rapporti fra i soci (Di Rienzo, 209; in tema cfr. Bassi, 751 ss.).

Sulla società occulta e sui presupposti della società di fatto e della super società di fatto cfr. Sub. art. 2247 in questo codice.

Invalidità e inefficacia del contratto sociale: a) effetti della nullità e dell'annullabilità

In materia di società personali, a differenza delle società di capitale, non si rinviene alcuna indicazione in merito al tema della invalidità del contratto. Si discute, pertanto, se, in presenza di una causa di invalidità del contratto sociale, occorre applicare la disciplina generale codicistica del contratto – stante l'ascrivibilità della società all'ambito contrattuale -, ovvero se bisogna applicare la disciplina prevista dall'art. 2332 c.c. per le s.p.a.

L'art. 2332 c.c. dispone che la dichiarazione di nullità di una società per azioni non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese e non libera i soci dall'obbligo dei conferimenti «fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali»: la nullità opera quindi solo per il futuro, come una semplice causa di scioglimento. La declaratoria di nullità della società di persone va equiparata, quoad effectum, allo scioglimento della stessa, sicché la ripartizione, fra coloro che hanno agito come soci, delle spettanze sul patrimonio comune (una volta adempiute le obbligazioni verso i terzi) si configura alla stregua della liquidazione delle rispettive quote (Cass. I, n. 9124/2015).

Una parte della dottrina, pur nel silenzio serbato in proposito dal legislatore, che non ha previsto alcuna disposizione particolare per disciplinare l'invalidità dell'atto costitutivo della società semplice e delle altre società personali, ritiene che anche in tal caso debba valere lo stesso principio, il quale troverebbe la sua giustificazione nell'autonomo rilievo dell'attività svolta dai gruppi organizzati, ancorché non personificati (Campobasso, 71; Cottino, 204; nello stesso senso, ma sulla base di argomentazioni non sempre coincidenti, Ascarelli, 325; Messineo, 341; Amatucci, 276 ss.; Angelici, 265; Grippo, 168). Ma la dottrina prevalente è contraria (Greco, 121; G. Ferri, 141; Ferrara, 245; Ghidini, 894; Galgano, 314). Anche tali Autori peraltro si fanno carico dell'esigenza di assicurare una qualche forma di tutela ai terzi con i quali la società abbia operato [così, in particolare, G. Ferri, 144, e Ferrara, 246, concordi nell'affermare che nei confronti dei terzi di buona fede non possa essere negata l'efficacia vincolante, per tutti i membri del gruppo (e quindi non solo per quelli che hanno agito) dell'attività sociale posta in essere sulla base di un contratto di società nullo o annullabile].

La posizione dottrinale che consente l'applicazione dei principi espressi nell'art. 2332 c.c. anche nell'ambito delle società di persone non è, tuttavia, condivisa da coloro i quali osservano che il disposto dell' 2332 c.c. trova peculiare giustificazione in un sistema, quello delle società di capitali, nel quale “i principi generali del contratto trovano altre rilevanti modificazioni”, non potendo invece “essere trasportato nel diverso contesto normativo delle società di persone”; e ciò in ragione delle differenze strutturali che sussistono tra il contratto di società personale ed il contratto di società di capitali e della reciproca autonomia dei due sotto-sistemi societari (Galgano, 188 ss.).

Peraltro, si osserva che una sia pure indiretta conferma dell'inapplicabilità, in materia di invalidità del contratto, della disciplina comune è tratta dalle norme che, in materia di fusione e scissione, individuano in quello dell'iscrizione nel registro delle imprese il momento oltre il quale non è più possibile fare valere motivi di impugnazione/nullità eventualmente incorsi durante il procedimento.

Questa dottrina evidenzia che la soluzione più ragionevole è quella che distingue la disciplina delle cause di invalidità da quella che regola gli effetti dell'invalidità: per quanto riguarda l'individuazione delle cause di invalidità trova applicazione la normativa generale dei contratti, non applicandosi la tassativa individuazione delle ipotesi di nullità previste nell'art. 2332 c.c. e, per quanto riguarda gli effetti delle suddette cause di nullità, si applicano i principi contenuti nell'art. 2332 c.c. principi che, in funzione della conversione delle cause di nullità in cause di scioglimento, fanno sì che la nullità operi ex nunc, consentendo così di fare salvi gli effetti dell'attività societaria realizzatisi fino al momento della dichiarazione di nullità (Patriarca, Il contratto sociale e le sue modificazioni, 1299).

La giurisprudenza in un primo tempo si è mostrata nettamente contraria ad applicare, alle società di persone, un principio analogo a quello espresso dall'art. 2332 c.c. In un giudizio in cui la nullità era determinata dalla illiceità dell'oggetto sociale, la Cassazione ebbe a statuire che in caso di nullità nessuno dei contraenti può rivolgersi al magistrato per la tutela dei suoi diritti, e il contratto sociale non può produrre alcun effetto giuridico a vantaggio dei soci, perché la legge, non ammettendolo, lo pone fuori dell'ordinamento giuridico; e, nemmeno la riscossione degli utili, realizzati con l'attività relativa all'oggetto illecito, può dar luogo ad azione giudiziaria (nella specie: di un socio verso l'altro), essendo quegli utili il prodotto della illecita attività sociale, vietata dalla legge (Cass. I, n. 2816/1954).

In termini non diversi si erano espresse App. Brescia 3 giugno 1948 e App. Genova 11 maggio 1950, le quali avevano deciso che, non producendo il contratto nullo alcun effetto né reale né obbligatorio, ognuno dei soci può rifiutare il conferimento promesso e richiedere quello eventualmente prestato.

A sua volta, App. Milano 15 luglio 1949 aveva giudicato che l'annullamento del contratto di società (nella specie per vizio del consenso) «origina tra i contraenti una comunione di fatto, che va sciolta con le regole della decisione e dell'indebito arricchimento», pur precisando che «tale annullamento non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede nei confronti della società».

Successivamente l'orientamento della giurisprudenza di merito è divenuto tuttavia meno rigido. Si è infatti riconosciuto che la causa di nullità di una società di persone si converte in causa di scioglimento della società, in applicazione analogica dell'art. 2332 c.c., ove la società abbia concretamente operato, nonostante l'originaria nullità (Trib. Napoli 25 marzo 1980; Trib. Milano 31 ottobre 1983; Trib. Milano 2 ottobre 1984) e si è conseguentemente escluso che in caso di nullità dell'atto costitutivo i soci possano pretendere il rimborso dei conferimenti e la ripartizione dei beni sociali se prima non sono stati pagati i creditori sociali (Trib. Monza 26 agosto 1991). Questo nella persuasione che l'esercizio dell'attività sociale impone comunque (e quindi anche nelle società personali, la cui disciplina non contiene alcuna norma in tema di invalidità del contratto sociale) la conservazione degli atti posti in essere  medio tempore dalla società nulla e della figura giuridica nella cui veste sono stati posti in essere tali atti, attesa l'intangibilità del fenomeno societario, così come realizzato da parte di criteri valutativi propri della fattispecie negoziale (Trib. Bologna 16 gennaio 1990).

Si è d'altro canto osservato (Grippo, 168) che quelle stesse considerazioni che hanno indotto la giurisprudenza ad affermare l'ammissibilità (e la responsabilità) della società apparente (retro, n. 3) giustificano il riconoscimento dell'autonomo rilievo nei confronti dei terzi dell'attività posta in essere sulla base di un contratto nullo o annullabile. Favorevole all'applicabilità del principio sancito dall'art. 2332 c.c. alle società di persone è anche Palmieri, 1435.

Non sembrò però di questo avviso la C.S., che con una non recente sentenza ebbe, sia pure incidentalmente, ad affermare che la nullità del contratto sociale (nella specie determinata da un difetto di forma) comporta l'assoggettabilità dei beni conferiti alle regole della comunione ordinaria (Cass. I, n. 5862/1987).

La Cassazione è intervenuta successivamente su tale questione con due sentenze che, sebbene pubblicate a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, hanno dato al problema soluzioni opposte.

Con la prima – che aveva specifico riferimento, per la precisione, ad una convenzione modificativa dell'atto costitutivo di una società in nome collettivo con la quale i soci dichiaravano di cedere una parte delle proprie quote ad una s.r.l. che entrava così a far parte di detta società – il motivo di nullità è stato ravvisato, in coerenza con l'orientamento delle Sezioni Unite, nella inammissibilità della partecipazione di una società di capitali ad una società personale (v., tuttavia, ora l'art. 2361 c.c.) e si è deciso che la nullità del contratto sociale opera, rispetto a queste ultime, secondo la disciplina generale dei contratti, ex tunc, osservando che nel nostro diritto positivo mancano i presupposti per applicare alle società personali una disciplina analoga a quella delle società di capitali e che, anzi, proprio il silenzio serbato a tale proposito dal legislatore sta ad indicare che si è inteso mantenere le prime «al livello della contrattualità e dei suoi rimedi» (Cass. I, n. 7/1995).

Con l'altra sentenza la nullità è stata dichiarata perché il contratto costitutivo di una società in nome collettivo era stato stipulato verbalmente quantunque comportasse, per i soci, l'obbligo di effettuare conferimenti immobiliari essenziali per il raggiungimento dello scopo sociale: la Corte ha questa volta affermato che gli effetti della dichiarazione di nullità sono regolati da principî analoghi a quelli stabiliti dall'art. 2332, comma 4, c.c. e, muovendo da tale premessa, ha statuito che «la ripartizione, tra coloro che hanno agito come soci, delle rispettive spettanze sul patrimonio comune (una volta adempiute le obbligazioni verso i terzi) si configura alla stregua di liquidazione della quota, e costituisce debito di valore», osservando che la soluzione adottata trova il suo fondamento nella considerazione che il citato art. 2332 è «espressivo di una regola estensibile alla totalità dei rapporti sociali di fatto», e che «la dichiarazione di nullità lascia sopravvivere fino al momento della sua pronuncia... una compagine che ha agito, all'esterno e nei rapporti interni, alla stessa guisa di una società di fatto» (Cass. I, n. 565/1995).

Più di recente, si è ormai acquisita l'applicabilità del principio espresso dall'art. 2332 c.c. anche alle società di persone: onde, allorché ricorra un vizio genetico nell'atto costitutivo di una società di fatto, per il principio di conservazione degli atti posti in essere in forza di un contratto di società nullo, opera la conversione in una causa di scioglimento, con necessaria apertura della fase di liquidazione, al fine di definire i rapporti pendenti, con conseguente esclusione della caducazione retroattiva degli atti compiuti in forza della peculiarità delle nullità societarie, applicabili anche alle società di persone, ai sensi della valenza generale del principio di cui all'art. 2332, commi 2 e 4, c.c. (Cass. I, n. 12120/2016; Cass. I, n. 9124/2015).

Anche la giurisprudenza di merito più recente ha affermato che, nel caso in cui la nullità del contratto di società di persone venga dichiarata dopo che l'attività sociale è iniziata si è in presenza di una causa di scioglimento della società, con conseguente apertura della fase liquidatoria, precisando, tuttavia, che, in assenza di norme speciali, trovano applicazione le norme comuni dettate in materia di contratti, pur comportando ciò questioni di non semplice e scontata compatibilità tra quelle norme e la disciplina specifica della società, in particolare per quanto concerne la tutela dell'affidamento dei terzi ed anche per quanto riguarda l'applicabilità delle previsioni in tema di convalida di contratto annullabile (art. 1444 c.c.), ovvero di sostituzione di clausole nulle (art. 1419 c.c.) o ancora di conversione del negozio nullo (art. 1424 c.c.) (cfr. Trib. Torino II, n.2867/2020 che ha rigettato una domanda di nullità del contratto sociale - per illiceità dell'oggetto, in quanto in contrasto insanabile con il disposto degli artt. 2247 e 2248 c.c., ovvero per vizio della causa ex art. 1343 c.c. - di una società immobiliare il cui oggetto si esauriva in un'attività di mero godimento degli immobili).

Segue: b) simulazione.

Un'ipotesi specifica di invalidità è quella della simulazione e a tale proposito il Tribunale di Verona, dopo aver riconosciuto l'ammissibilità di tale vizio anche rispetto al contratto sociale, ha dichiarato che il vizio non è opponibile ai terzi e non è di ostacolo al fallimento della società (Trib. Verona 14 ottobre 1986; Calvosa, 1903). Negli stessi termini, Cass. I, 11912/1998.

La stessa Corte, in passato, aveva ritenuto che nessun ostacolo logico e giuridico si frapporrebbe al riconoscimento della possibilità di un'interposizione fittizia di persona nella stipulazione di un contratto di società (Cass. I, n. 8368/2000).

Restando tuttavia fermo che la semplice inesecuzione dello scopo sociale non basterebbe ad integrare la prova della simulazione del contratto di società (Cass. I, n. 6515/1994, che peraltro ha specifico riferimento ad una società per azioni).

Per l'inopponibilità ai creditori sociali che abbiano fatto affidamento sulla situazione apparente v. Trib. Torino 19 marzo 1990.

A partire dal 2011, tuttavia, la S.C. ha affermato, con riguardo alla società di capitali, che la sua costituzione in seguito ad iscrizione nel registro delle imprese rende irrilevante la fase negoziale che ha dato vita al nuovo soggetto giuridico; se ne ricava che l'invalidità della stessa può essere dichiarata soltanto nei casi tassativamente previsti dall'art. 2332 c.c. tra i quali non può ricomprendersi la simulazione. Invero, consentire un accertamento della simulazione assoluta significherebbe legittimare un'azione di nullità dell'atto costitutivo della società di capitali in violazione dell' art. 2332 c.c. in contrasto con la ratio sottesa a tale disposizione (Cass. I, n. 22560/2015; Cass. I, n. 30020/2011; Cass. n. 20181/2022).

La giurisprudenza di merito più recente ha, poi, applicato tali principi anche alle società di persone.

È stata, infatti, esclusa la stessa configurabilità di simulazione assoluta rispetto all'atto costitutivo di società di persone iscritta nel Registro delle imprese, sulla base non solo del disposto dell'art. 2332 c.c. ma anche della stessa natura del contratto sociale che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell'agire sociale , destinata ad interferire con gli interessi dei terzi sicché l'atto di costituzione dell'ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi (Trib. Milano, 17 febbraio 2021).

Segue: c) rescissione.

L'applicabilità al contratto di società della rescissione per lesione ultra dimidium, «potendosi ravvisare nel contratto stesso elementi di corrispettività, pur nella sussistenza di uno scopo comune ai conferenti», è stata riconosciuta da Cass. I, n. 639/1976.

Il contenuto del contratto sociale e i patti parasociali

A differenza di quanto accade negli altri modelli di società, nel codice mancano indicazioni in merito al contenuto del contratto sociale. Il riscontrato silenzio del legislatore sul tema ha portato la dottrina, da un lato, ad interrogarsi sulla portata di una eventuale clausola compromissoria e, dall’altro, a chiedersi se fra le pattuizioni contenute nel contratto sociale di una società di persone fosse possibile includere anche i patti parasociali.

In termini generali si ritiene che possano essere stipulati, anche nell’ambito delle società semplici, dei patti parasociali destinati a regolare taluni aspetti della vita sociale; ciò pur sempre nei limiti in cui non si tratti di patti che violano norme imperative. Sebbene i patti parasociali siano diffusi specialmente nelle società di capitali, ove una specifica disciplina è dettata in materia di s.p.a., tali patti, nelle società di persone, per lo più, hanno per oggetto l’assunzione, da parte di uno o più soci, di obblighi relativi al finanziamento della società, sia in via indiretta, sia per il tramite del pagamento “diretto” di creditori sociali, oppure sono relativi alla prestazione di garanzie a favore della società (Patriarca, sub art. 2251, 39).

Riguardo ad eventuali pattuizioni parasociali aventi ad oggetto la gestione della società (c.d. sindacati di amministrazione) una dottrina ha evidenziato che tali patti sarebbero ammissibili soltanto nelle ipotesi nelle quali il contratto sociale adotti il sistema collegiale proprio delle società di capitali non anche in presenza di un sistema disgiuntivo di amministrazione (Farenga, 353 ss.).

La clausola compromissoria

Le questioni afferenti una eventuale clausola compromissoria riguardano, invece, l'applicabilità o meno della disciplina dell'arbitrato societario anche nelle società semplici atteso che, sebbene la legge delega della riforma del 2003 (art. 12 l. 2001 n. 366) demandasse al governo il compito di prevedere l'inserimento di clausole compromissorie nell'ambito delle “società commerciali”, l'attuale art. 34 d.lgs. n.5/2003 si riferisce in termini generici alle “società” con la sola esclusione di quelle che fanno appello al mercato dei capitali. La dottrina favorevole all'applicabilità delle regole sull'arbitrato societario anche alla società semplice si fonda sulla considerazione che la disciplina dell'arbitrato societario presuppone pur sempre per la propria applicazione, che la società sia iscritta nel registro delle imprese (Cabras, 137). Di contro la dottrina che ritiene si tratti di istituto non estensibile anche alle società semplici fa leva sul chiaro limite contenuto nella legge delega che riguarda le sole società commerciali (Patriarca, Capelli, 38).

La giurisprudenza prevalente, peraltro, ritiene che l'art. 34 D. lgs. n. 5 del 2003 - che si riferisce agli «atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio» - sia inapplicabile alle società semplici, poiché in conformità a quanto previsto dalla legge delega, esso riguarda soltanto le società commerciali (Trib. Roma, sez. III, 04/07/2007, n. 13731 in Riv. notariato, 4, 2008, 930, con nota di Barbera, Alcune considerazioni in merito all'applicabilità della nuova disciplina arbitrale societaria alle società semplici).

Più in particolare, secondo App. Torino sez. I, 08/05/2020, n.483, l'arbitrato societario non è applicabile alle società semplici e la clausola compromissoria statutaria, che lo preveda, è radicalmente nulla ed insuscettibile di interpretazione conservativa o conversione, in quanto inidonea a costituire valida espressione della volontà delle parti in ordine a un arbitrato di diritto comune retto da fonte eteronoma, ove il giudice, impossibilitato a esaminare il regolamento arbitrale cui la convenzione di arbitrato rimanda, non possa valutare la conformità delle disposizioni sul numero e sulle modalità di nomina degli arbitri, ivi contenute, al disposto dell'art. 809 c.p.c. e, per essa, la validità della clausola compromissoria stessa (in termini analoghi Trib. Milano , sez. VIII , 12/03/2009 , n. 3432). Si veda, sulla disciplina processuale, la Sezione apposita del presente Codice.

Iscrizione nel registro delle imprese

L'art. 8 della l. 29 dicembre 1993, n. 680, che ha istituito l'ufficio del registro delle imprese, prevedeva nel quarto comma, che in una sezione speciale di detto registro dovessero essere iscritte le società semplici. Nel comma successivo si precisava che l'iscrizione avesse «funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalle leggi speciali». Erano quindi esclusi gli effetti stabiliti dagli artt. 2193 e 2296 c.c.; effetti che, invece, dovevano ricollegarsi alla iscrizione nel registro delle imprese di società semplici di revisori contabili, già in precedenza eccezionalmente prevista dall'art. 6, secondo comma, d.lgs. 17 gennaio 1992 n. 88. L'efficacia «di cui all'art. 2193 del codice civile» all'iscrizione nel registro delle imprese delle società semplici che esercitano attività agricola è stata peraltro espressamente attribuita dall'art. 2, d.lgs. 7 settembre 2001, n. 228: tali società sono quindi ora assoggettate ad un regime di pubblicità legale, il quale comporta che «l'ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l'iscrizione è avvenuta» (art. 2193, comma 2, c.c.) (Gambino, 132).

Sebbene le novità introdotte in tema di pubblicità delle società semplici costringano anche tale tipologia societaria ad un formalismo, il carattere obbligatorio dell'iscrizione non si riflette sulla libertà di forma sancita dall'art. 2252 c.c. il quale non preclude che il contratto sia concluso mediante accordo verbale (Patriarca, 30; contra Figà-Talamanca-Spada, 39, i quali ritengono che, a seguito dell'introduzione dell'obbligo di iscrizione, la forma scritta sia divenuta necessitata anche per le società semplici).

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Bibliografia

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