Codice Civile art. 2263 - Ripartizione dei guadagni e delle perdite.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Ripartizione dei guadagni e delle perdite.

[I]. Le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti. Se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, esse si presumono eguali [2265].

[II]. La parte spettante al socio che ha conferito la propria opera, se non è determinata dal contratto, è fissata dal giudice secondo equità.

[III]. Se il contratto determina soltanto la parte di ciascun socio nei guadagni, nella stessa misura si presume che debba determinarsi la partecipazione alle perdite [2265].

Inquadramento

La norma in oggetto costituisce un classico corollario del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., temperato da quello della libertà dell'autonomia privata di cui al comma 1 dell'art. 41 Cost.

I criteri di ripartizione dei guadagni e delle perdite hanno natura suppletiva.

- che essi valgono solo se il contratto sociale non determini altrimenti la parte di ogni socio nei guadagni e nelle perdite, fermo il divieto del patto leonino di cui all'art. 2265 (Cass. I, n. 2972/1966);

- che la presunzione relativa alla ripartizione degli utili non è applicabile, quando, pur in mancanza di determinazione del valore dei conferimenti, risulti comunque che gli apporti dei soci non sono uguali (Trib. Milano 24 febbraio 1992);

- che il giudice incorre in violazione di legge e in omissione di motivazione se, invece di accertare quali furono i patti circa la misura della partecipazione o la misura dei conferimenti, ricorra senz'altro alla presunzione di uguaglianza delle quote determinate in via sussidiaria dall'art. 2263 (Cass. I, n. 569/1963).

D'altro canto, proprio la considerazione dell'esistenza di tali criteri suppletivi ha indotto la Cassazione a stabilire che la mancanza di un accordo espresso sulla divisione degli utili non esclude l'esistenza di una società semplice (Cass. I, n. 2648/1955).

Sempre in argomento di è deciso che:

- è ammissibile la costituzione di una società collettiva irregolare in cui la divisione degli utili sia fissata non in proporzione ai conferimenti dichiarati, ma secondo altri criteri (nella specie al fine di garantire gli obblighi di mantenimento gravanti su uno dei coniugi dopo la separazione) (App. Milano 24 marzo 1978);

- costituitasi fra due persone (nella specie: odontotecnico e odontoiatra) una società per l'esercizio di una azienda (gabinetto dentistico), il patto relativo alla divisione a metà dei proventi netti ricavati dalla gestione aziendale è compatibile sia con lo schema della gestione in via esclusiva da parte di uno dei due soci (nel caso l'attribuzione della metà dei proventi all'altro contraente si presenti come retribuzione del di lui lavoro ex art. 2099, ult. cpv. e 2102 c.c.), sia con lo schema di una gestione sociale a termine fisso, atteso il potere dispositivo delle parti al riguardo, non intervenendo la legge se non in mancanza di accordi e per supplire al silenzio delle parti o per togliere efficacia a patti manifestamente contrari all'equità (nullità del patto leonino) (Cass. I, n. 242/1955);

- il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che abbia prestato, per un debito della società, una garanzia reale - che si aggiunge alla garanzia patrimoniale generica "ex lege", ma non è assistita del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale - ha diritto, in caso di escussione di detta garanzia, al regresso per l'intero verso la società e "pro quota" nei confronti degli altri soci illimitatamente responsabili (Cass. III n. 7184/2022).

Nei rapporti tra cedente e cessionario di quota di società di persone, l'individuazione della parte tenuta al pagamento delle obbligazioni contratte dalla società prima della cessione e non ancora estinte è un problema di ermeneutica contrattuale, avendo il legislatore lasciato all'autonomia contrattuale la regolamentazione della ripartizione interna di tali obbligazioni, risultando inconferenti le previsioni degli artt. 2269 e 2290 c.c., che attengono alla responsabilità verso i creditori sociali, dell'art.  2263 c.c., che disciplina i rapporti tra soci e dell'art. 2289 c.c. che regolamenta quelli tra società e socio uscente (Cass. III, n. 525/2013; Trib. Salerno, 21 novembre 2014, n. 5550).

Nelle società di persone (nella specie, società in nome collettivo), la responsabilità illimitata e solidale tra i soci è stabilita a favore dei terzi che vantino crediti nei confronti della società e non è applicabile alle obbligazioni della società nei confronti dei soci medesimi, conformemente alla regola generale secondo cui, nei rapporti interni, l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori, salvo che sia stata contratta nell'interesse esclusivo di alcuno di essi: pertanto, nel giudizio intrapreso dagli eredi del socio per la liquidazione della quota spettante al de cuius, la condanna dei soci superstiti va limitata alla loro quota interna di responsabilità, che può essere determinata dal giudice ai sensi dell'art.  2263 c.c., secondo il quale, salvo prova contraria, le quote si presumono uguali (Cass. I, n. 1036/2009).

Socio d'opera

Il criterio di ripartizione dei guadagni e delle perdite, stabilito dal comma 2 dell'art.  2263 c.c., per il socio che ha conferito la propria opera, vale anche all'atto dello scioglimento della società limitatamente al socio predetto per la determinazione della quota da liquidare a questo o ai suoi eredi. Pertanto, se nel contratto sociale sia riconosciuta ai soci che conferiscono soltanto il loro lavoro parità di diritti nella ripartizione nei guadagni e nelle perdite, siffatto criterio deve seguirsi anche all'atto dello scioglimento del rapporto sociale nella liquidazione della quota del socio uscente. Se, viceversa, manchi una tale determinazione convenzionale, il valore della quota già spettante al socio conferente la propria opera è, ai fini della sua liquidazione, fissato dal giudice secondo equità, assumendo a base la situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento (Cass. I, n. 3980/2001).

Nelle società di persone la posizione del socio d'opera è diversa da quella del prestatore di lavoro subordinato, retribuito mediante partecipazione agli utili, la quale essendo caratterizzata essenzialmente dal rapporto di subordinazione, esclude di per sé l'esistenza di un rapporto di società, che si esplica mediante il concorso della gestione sociale con diritto agli utili e soggezione alle perdite. L'elemento della retribuzione non è infatti sufficiente per qualificare rapporto di prestazione d'opera quello intercorso tra le parti, sicché, una volta accertato, con riferimento alla volontà negoziale dei contraenti, che gli accordi contrattuali erano diretti all'esercizio in comune di un'attività economica al fine di dividerne gli utili, bene è esclusa la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. I, n. 6855/1982).

Pertanto, non spettano gli assegni familiari (e le altre prestazioni dell'Inps) a colui che presti la sua opera a favore di una società, anche di fatto, non quale lavoratore subordinato ma quale socio che apporti le sue prestazioni a titolo di conferimento (Cass. pen. 9 giugno 1971, Marotta).

È d'altro canto configurabile un autonomo compenso (come tale da distinguersi ad ogni effetto dall'utile sociale) per il socio che presti a favore della società un'attività lavorativa che non sia oggetto di conferimento nella società stessa (c.d. socio d'opera), ma che venga eseguita in funzione e nell'ambito di un rapporto concorrente con quello sociale e con questo sia compatibile (quale una locatio operarum, una locatio operis, un mandato o altri similari negozi onerosi): nel primo caso non esiste diritto di detrarre alcuna somma dalla parte (quota) di utile di un detto socio che sia stato oggetto di pignoramento (App. Firenze 17 marzo 1967).

Ciò premesso, si è deciso che, poiché l'art. 2263, comma 2, c.c., nello stabilire che la parte spettante al socio, che ha conferito la propria opera, nella ripartizione dei guadagni e delle perdite, è fissata dal giudice secondo equità, fa salva la possibilità di una diversa determinazione convenzionale, del tutto validamente in una società di fatto viene pattiziamente riconosciuto al socio, che conferisce soltanto il proprio lavoro, parità di diritti nella ripartizione dei guadagni e delle perdite e nella stessa ripartizione dell'attivo, dopo lo scioglimento della società (Cass. I, n. 777/1980). E, inoltre, che ai soci d'opera non si applica la duplice presunzione di cui al comma 1 dell'art. 2263, perché dette presunzioni si riferiscono ai soci che hanno effettuato conferimenti in conto capitale, con la conseguenza che la parte spettante al socio di opera, se non è determinata dal contratto, è fissata dal giudice secondo equità, ai sensi del comma 2 dell'art. 2263 c.c. (App. Firenze 13 giugno 1967).

Si è ritenuto che il criterio fissato dall'art. 2263, comma 2, c.c. sia operante anche ai fini della determinazione della quota da liquidare in caso di liquidazione (Cass. I, n. 3980/2001).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario