Codice Civile art. 2275 - Liquidatori.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Liquidatori.

[I]. Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale.

[II]. I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci [2259].

Inquadramento

La liquidazione ordinaria della società (che non ha lo scopo di tutelare la par condicio creditorum , ma quello di definire i rapporti in corso, sottoponendo indistintamente tutti i creditori, privilegiati e chirografari, al medesimo trattamento, e mettendoli in grado di essere pagati, entro i limiti delle concrete disponibilità patrimoniali, via via che si presentano ad esigere quanto è loro dovuto: Cass. I, n. 792/1970) rappresenta un momento necessario e insopprimibile per giungere alla estinzione di ogni specie di società (Cass. I, n. 1916/1981).

Si riconosce, peraltro, che l'estinzione di una società di persone non richiede necessariamente un formale procedimento di liquidazione (art. 2275 c.c.) e può verificarsi anche per effetto dell'accordo dei soci diretto alla cessazione dell'ente sociale, previa definizione con libere modalità, dei rapporti ad esso inerenti (Cass. I, n. 16175/2000). Muovendo da tali premesse, è stata riconosciuta la legittimazione dei soci ad agire nei confronti dei terzi per il recupero del corrispettivo per lavori eseguiti dalla società, senza dover ricorrere alla nomina dei liquidatori (Cass. I, n. 4377/2007).

Il procedimento «formale» di liquidazione non è quindi imposto dalla legge in modo assoluto, non essendo necessaria la nomina dei liquidatori quando diversamente sia disposto dal contratto sociale ovvero quando i soci siano d'accordo nel determinare diversamente il modo di liquidare il patrimonio sociale (Cass. I, n. 1916/1981) e costituisce, pertanto, una fase facoltativa a conclusione della vita della società, istituita nell'interesse dei soci, i quali, quindi, possono anche evitarla, pervenendo all'estinzione dell'ente sociale attraverso una divisione consensuale, oppure chiedendo al giudice, nelle forme d'un giudizio ordinario di cognizione, di definire i rispettivi rapporti di dare e di avere (Cass. I, n. 333/1978).

Non può essere considerata come equivalente di un accordo dei soci, tendente ad omettere la liquidazione formale, la richiesta (nella specie, in un giudizio promosso da uno dei soci contro gli altri soci perché fosse dichiarato lo scioglimento della società e per ottenere la restituzione del conferimento da lui fatto ed il pagamento delle quote di utili a lui spettanti) di una consulenza contabile, perché la consulenza tecnica costituisce un mezzo di accertamento processuale che non può esplicare effetti sostanziali, salvo che, le risultanze non ne vengano recepite espressamente in un accordo tra le parti (Cass. I, n. 22/1967). L'esistenza di un accordo siffatto è tuttavia desumibile anche dal contegno processuale tenuto in presenza di una domanda proposta da uno dei soci al fine di ottenere dal giudice la definizione dei rispettivi rapporti di dare e di avere e non può ritenersi esclusa da (semplici) divergenze nella determinazione dell'entità delle quote, ma solo dal rifiuto (anche implicitamente manifestato) di addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse di quelle proprie del procedimento legale di liquidazione (Cass. I, n. 2376/2000).

L'accertamento, ai sensi degli artt. 22722275 c.c., del verificarsi della causa di scioglimento di una s.n.c. per la sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale con conseguente nomina del liquidatore, non è di competenza della sezione specializzata in materia d'impresa ma del tribunale ordinario (Trib. Napoli, 18 gennaio 2013).

Derogabilità del procedimento «legale» di liquidazione: le convenzioni liquidatorie.

Dall'ammissibilità di deroghe convenzionali al procedimento « legale » di liquidazione si è dedotto che una convenzione intervenuta fra tutti i soci, diretta allo scioglimento della società e alla attribuzione delle relative attività, senza che si sia proceduto alla totale estinzione delle passività o all'accantonamento delle somme per i crediti non ancora scaduti, benché inopponibile ai creditori sociali ed insuscettibile di precludere il fallimento della società oltre l'anno dal compimento di tale negozio giuridico, assume piena validità ed efficacia inter partes, con la conseguenza che al socio che vi abbia aderito non è consentito di contestarne la validità e l'efficacia (Cass. I, n. 2165/1980). Fermo restando che i terzi, ove non si ritengano sufficientemente garantiti dalla responsabilità personale ed illimitata dei soci, possono comunque servirsi delle normali misure cautelari e, qualora provino che in concreto dall'omessa liquidazione sia derivato un pregiudizio ai loro diritti, chiedere il risarcimento dei danni per responsabilità aquiliana a carico di coloro che hanno eluso il procedimento formale di liquidazione (Cass. I, n. 3239/1969).

L'estinzione di una società di persone non richiede necessariamente un formale procedimento di liquidazione (art. 2275 c.c.) e si verifica anche per effetto dell'accordo dei soci diretto alla cessazione dell'ente sociale, previa definizione, con libere modalità, dei rapporti ad esso inerenti (Cass. I, n. 6212/1980).

Nomina dei liquidatori da parte dei soci

Il procedimento di liquidazione si svolge attraverso l'individuazione e la nomina di soggetti– i liquidatori – ai quali viene attribuito il compito di governare il momento finale in cui sono definiti i rapporti sociali, nel rispetto della complessa serie di interessi in gioco. La nomina e la revoca dei liquidatori sono soggette ad iscrizione nel registro delle imprese (art. 2309 c.c.).

Dalla formulazione dell'art. 2275 c.c. si è dedotto che la deliberazione di nomina del liquidatore di una società di persone deve essere adottata con il consenso di tutti i soci e che in mancanza della unanimità dei consensi dei soci, la medesima deliberazione è radicalmente nulla e, quindi, assolutamente inidonea a produrre effetti giuridici (Cass. I, n. 2815/1976).

È possibile, tuttavia, che il contratto sociale indichi ex ante la persona o le persone che, verificatasi la causa di scioglimento, debbano ricoprire il ruolo di liquidatori. Allo stesso modo non può escludersi che una clausola statutaria rimetta la nomina ad una decisione della maggioranza (in tema cfr. Franchi, 1982 ss.).

Nomina da parte del presidente del tribunale: a) presupposti e natura del decreto

In caso di disaccordo dei soci, la nomina del liquidatore è fatta dal presidente del tribunale (art. 2275, comma 1. c.c.). Il disaccordo che giustifica l'intervento del presidente del tribunale è esclusivamente quello che attiene alla nomina del liquidatore, essendo esso rivolto non a comporre conflitti di interessi incidenti su situazioni di diritto soggettivo, bensì a supplire alla mancanza di un accordo sull'organo della liquidazione, una volta che sia certo, perché incontestato o incontestabile, il presupposto di essa e cioè lo scioglimento (Cass. I, n. 61/2003).

È pacifico che i decreti emessi dal presidente del tribunale, ai sensi del comma 1 dell'art. 2275 c.c. – concretando un intervento tutelare dell'autorità giudiziaria in materia di società per assicurare lo svolgimento della fase di liquidazione in casi in cui non si contesti il diritto di procedervi, ma occorra solo supplire alla mancanza di accordo dei soci sulla persona del liquidatore – hanno natura di atti di volontaria giurisdizione (Cass. I, n. 2703/1967).

Da ciò può dedursi, a contrario, che non può proporsi in un procedimento contenzioso la richiesta di nomina del liquidatore ai sensi dell'art. 2275, comma 1, c.c., dovendo tale domanda essere formulata in un procedimento di volontaria giurisdizione; se, tuttavia, il contrasto tra i soci sulla causa di scioglimento della società sia stato in corso di causa superato per cessazione della materia del contendere, permane tuttavia la competenza del tribunale a decidere in ordine alla nomina dei liquidatori (Cass. I, n. 61/2003).

Sempre in argomento si è deciso che il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia provveduto alla nomina dei liquidatori di una società di persone, ai sensi dell'art. 2275 c.c. non assume carattere decisorio neppure quando la sussistenza della causa di scioglimento sia controversa ed il presidente si sia pronunciato sul punto, dal momento che i liquidatori sono nominati sul presupposto del sopravvenuto scioglimento della società, senza peraltro accertare in via definitiva la ricorrenza di tale presupposto, tanto che ciascun interessato, purché legittimato all'azione, può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l'insussistenza della causa di scioglimento, può ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti (Cass. I, n. 4113/2004).

Sotto altro profilo la giurisprudenza di merito ha chiarito che non può configurarsi la legittimazione attiva dei creditori sociali a richiedere ex art. 2275 c.c. la nomina del liquidatore sociale della società di persone debitrice, atteso che, da un lato, la norma richiamata attribuisce tale legittimazione ai soli soci (al cui mancato unanime consenso la nomina da parte del Presidente del Tribunale deve supplire), nonché, d'altro lato, non sussiste alcun interesse specifico del creditore alla nomina del liquidatore (ben potendo le esigenze di notifica di atti relativi a procedure esecutive essere assicurate dalla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.) (Trib. Milano, 6  marzo 2018).

Inoltre la giurisprudenza di merito più recente ha affermato che, in caso di società di persone che versi in stato di scioglimento per il venir meno della pluralità dei soci, ex artt. 2272, n. 4 , e 2308, è consentito procedere d'ufficio alla nomina del liquidatore poiché, in assenza di soci, non può formarsi il loro consenso né in ordine alle modalità della liquidazione né in ordine alla nomina del liquidatore, sicché la società versa in situazione di assoluto stallo, equiparabile a quello in cui versa società i cui soci siano in disaccordo tra loro. Con la precisazione che la cancellazione della società può essere chiesta solo dal liquidatore, ai sensi dell' art. 2312 (Trib. Milano Sez. spec. Impresa 11/04/2022).

Segue: b) impugnabilità

Il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia provveduto alla nomina dei liquidatori di una società di persone, ai sensi dell'art. 2275 c.c., non è suscettibile di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio neanche quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento ed il presidente si sia pronunciato sul punto, in quanto detto provvedimento, adottato dopo un'indagine sommaria e condotta incidenter tantum in nessun caso può essere ritenuto idoneo ad accertare in via definitiva l'intervenuto scioglimento e le cause che lo avrebbero prodotto; sicché ciascun interessato, purché legittimato all'azione, può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l'insussistenza della causa di scioglimento, può ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti (Cass. I, n. 4113/2004).

Già in precedenza la giurisprudenza aveva negato che il decreto di nomina, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione, fosse impugnabile in via contenziosa (Cass. I, n. 2703/1967).

La Cassazione, in ordine al provvedimento di nomina dei liquidatori delle società di capitali ai sensi dell'art 2450, comma 3, c.c. (ora art. 2487, comma 2, c.c.) ha statuito che la questione deve esser risolta nel senso della irreclamabilità del decreto «sia perché al nostro ordinamento è ignota una regola generale di competenza del presidente della corte d'appello a decidere della legittimità dei provvedimenti emessi dal presidente del tribunale, sia perché non è sancita da positive disposizioni di legge, nella disciplina delle società di capitali, la facoltà degli interessati, ipotizzata da una parte della dottrina, di ricorrere al tribunale contro i decreti presidenziali e poi alla corte d'appello contro il provvedimento collegiale; sia, infine, perché, dovendo essere inquadrato il problema in quello più generale dell'ammissibilità del reclamo contro i provvedimenti di giurisdizione volontaria adottati dagli organi giudiziari monocratici, è agevole constatare, per comparazione, come il legislatore abbia esplicitamente previsto il reclamo nei casi in cui ha inteso differenziare, privilegiare e potenziare le posizioni individuali dei soggetti interessati al provvedimento (v. artt. 1473 c.c. e 82 disp. att. c.c.) silenzio quando, per il carattere unitario dell'interesse protetto e in omaggio a un'esigenza di speditezza delle operazioni e di immediatezza delle decisioni, ha voluto implicitamente sancire, nel settore delle società commerciali, l'inoppugnabilità del decreto». Di qui «la duplice conseguenza che, da un lato, è precluso all'interprete, per coerenza con la ratio del sistema, sostenere, una volta escluso il reclamo, che all'interessato competa la facoltà di proporre la stessa questione .... mediante l'esperimento dell'azione civile ordinaria; dall'altro, è consentito, se del caso, alla parte sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma che vieta implicitamente il reclamo (proponendo il ricorso all'autorità superiore, cioè al presidente della corte d'appello, ed eccependo in limine, contestualmente, l'incostituzionalità della disposizione che lo proibisce), in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., e alla regola della doppia istanza (non confondibile col principio del doppio grado di giurisdizione, notoriamente privo di copertura costituzionale), che rappresenta per la parte medesima l'unico mezzo di protezione dei propri interessi legittimi nel procedimento di giurisdizione volontaria (mentre compete al terzo, estraneo al procedimento camerale, la facoltà di chiedere, nel processo ordinario, la disapplicazione del decreto per la tutela dei propri diritti soggettivi perfetti)» (Cass. I, n. 403/1987).

Revoca da parte dei soci

Il liquidatore della società può essere revocato, per volontà unanime dei soci, anche quando sia stato nominato dal presidente del tribunale; inoltre, la revoca non deve, necessariamente, manifestarsi attraverso uno speciale procedimento ed una deliberazione unitaria in senso formale, dal momento che la mancanza per esse di quel particolare organo sociale che è l'assemblea consente di conseguire il concorso della necessaria unanimità dei consensi, anche a tratti successivi ed anche mediante la esplicazione di atti che, pur non consistendo in una deliberazione formale di revoca, siano tuttavia tali, per il loro oggetto e per il loro contenuto, da dimostrare inequivocabilmente il venir meno dell'elemento di fiducia da parte del dominus, che è alla base del rapporto, o da rivelarsi intrinsecamente e sostanzialmente incompatibili con la possibilità di un loro esercizio da parte del liquidatore (Cass. I, n. 931/1962).

La dottrina più recente ha chiarito che, anche in caso di nomina ex contractu, per procedere alla revoca del liquidatore basta l'unanimità dei consensi, mentre non è richiesta la sussistenza di una giusta causa e ciò a differenza di quanto stabilito dall'art. 2259 c.c. per gli amministratori. Peraltro, la norma dell'art. 2259 c.c. – che riproduce il principio sancito dall'art. 1723 c.c. per il caso in cui il mandato sia stato conferito anche nell'interesse del mandatario – si giustifica e si spiega, nei riguardi degli amministratori delle società di persone, in considerazione del fatto che gli stessi sono anche soci. Per i liquidatori nominati nell'atto costitutivo, invece, la spiegazione non può essere riproposta, né pare possibile considerare questi ultimi – ove non siano scelti fra i soci stessi – portatori di un interesse proprio radicato nel mandato, con il corollario che deve, pertanto, riconoscersi la possibilità che i soci revochino all'unanimità, anche in assenza di giusta causa, il liquidatore (non socio) designato già nel contratto sociale (Franchi, 1985).

Sotto altro profilo si è chiarito, poi, che deve considerarsi ammissibile una clausola che permetta ai soci di decidere la revoca a maggioranza, con la precisazione, però, che non risulta configurabile un principio generale per cui, anche in assenza di espressa previsione, per la revoca potrebbero sempre adottarsi le modalità utilizzate o consentite per la nomina. Il fatto che un liquidatore sia stato legittimamente nominato a maggioranza, invero, non autorizza a ritenere che anche la revoca possa avvenire, in difformità da quanto espressamente previsto nella norma in commento, utilizzando la stessa maggioranza (Franchi, 1986).

Revoca per giusta causa

A norma dell'art. 2275, comma 2, c.c. se ricorre una «giusta causa» la revoca è disposta dal tribunale «su domanda di uno o più soci». La giurisprudenza assolutamente prevalente è dell'avviso che, in tal caso, la revoca debba essere pronunziata con il rito contenzioso (Cass. I, n. 173/1991, secondo cui al relativo giudizio dovrebbero partecipare, quali litisconsorti necessari, non solo il socio attore e il liquidatore, ma anche tutti gli altri soci). E L'azione promossa per la revoca del liquidatore richiede la presenza in giudizio di tutti i soci (Cass. I, n. 1623/2015).

Peraltro, la giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare che deve essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse ad agire della domanda di revoca del liquidatore di s.n.c. per giusta causa qualora il liquidatore nelle more del giudizio abbia portato a termine il procedimento liquidatorio, avendo “liquidato” l’attivo patrimoniale, onorato i debiti sociali, ripartito tra gli eredi del socio unico defunto il residuo della liquidazione e predisposto e depositato il bilancio finale di liquidazione. L’interesse ad agire, infatti, quale condizione dell’azione, deve essere concreto, ovvero effettivo ed apprezzabile in termini oggettivi, sia pur in relazione alla specifica posizione

dell’attore, nonché attuale, ovvero esistente quantomeno al momento della decisione (Trib. Roma, 12  giugno 2017).

A prescindere dalla revoca non è dubbio, poi, che nei confronti dei liquidatori si applichino anche tutte le altre cause di estinzione del rapporto previste per il mandato, quali la rinunzia, la morte, l’interdizione, l’inabilitazione e il fallimento.

Il compenso del liquidatore

Il credito del liquidatore per i compensi dovutigli non è assistito dal privilegio generale previsto dall'art. 2751-bis, n. 2, c.c. (Cass. I, n. 13805/2004; Cass. I, n. 2769/2002; in motiv., Cass.S.U., n. 1545/2017).

Bibliografia

Cagnasso, La società semplice, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Franchi, Scioglimento e liquidazione nelle società di persone, in trattato delle società, diretto Donativi, Utet, 2022, Tomo I, 1971 ss.;  Guerrera, La trasformazione di società di capitali in società di persone, in Riv. not. 2007, 827.

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