Codice Civile art. 2280 - Pagamento dei debiti sociali.Pagamento dei debiti sociali. [I]. I liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli [2489, 2625]. [II]. Se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e, se occorre, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite [2265]. Nella stessa proporzione si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente. InquadramentoStante il disposto dell'art. 2280 c.c. è vietato ai liquidatori procedere alla ripartizione di beni della società sino all'integrale pagamento dei creditori sociali o all'accantonamento delle somme necessarie per pagarli. Secondo la dottrina si tratta di norma inderogabile posta a protezione dei terzi creditori della società (Buonocore, 447). I liquidatori non possono, quindi, effettuare riparti anticipati neppure in presenza di una eventuale autorizzazione unanime dei soci. La violazione del disposto dell'art.2280 c.c. non implica, tuttavia, l'invalidità dell'operazione (Campobasso), né l'insorgenza dei relativi obblighi di restituzione in capo ai soci. Ribadendo l'orientamento espresso con Cass. I, n. 3239/1969, la Cassazione ha statuito che nelle società di persone nelle quali le ragioni dei creditori sociali sono garantite dal regime di responsabilità illimitata dei soci, il divieto fatto ai liquidatori di ripartire fra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali (art. 2280 c.c.) finché non siano stati pagati i creditori sociali o non siano state accantonate per il pagamento dei debiti non ancora scaduti le somme necessarie, non è imposto dalla legge in modo assoluto, precisando che il procedimento di liquidazione può essere omesso nel caso in cui lo statuto stabilisca quale destinazione debba avere il patrimonio sociale, ovvero quando, in mancanza di apposito patto, i soci siano d'accordo nel procedere alla definizione integrale dei loro rapporti preesistenti (Cass. I, n. 860/1992). Muovendo dalle stesse premesse, i giudici di legittimità hanno altresì deciso che una convenzione, intervenuta fra tutti i soci di una società di persone diretta allo scioglimento della società e all'attribuzione delle relative attività, senza che si sia proceduto alla totale estinzione delle passività o all'accantonamento delle somme per i crediti non ancora scaduti, benché inopponibile ai creditori sociali ed insuscettibile di precludere il fallimento della società oltre l'anno dal compimento di tale negozio giuridico, assume, comunque, piena validità ed efficacia inter partes, e pertanto, al socio che vi abbia aderito non è consentito di contestarne la validità e l'efficacia (Cass. I, n. 2165/1980). Tale orientamento non è tuttavia univoco. La stessa Corte infatti ha, in altra occasione, dichiarato nulla la ripartizione dei beni sociali operata dal liquidatore in violazione dell'art. 2280, comma 1, nel presupposto che detta disposizione, in quanto posta a tutela dei creditori, debba essere annoverata tra quelle imperative e non possa essere quindi derogata dai soci (Cass. I, n. 5489/1978). Successivamente i giudici di legittimità hanno chiaramente optato per la tesi più rigorosa: si è statuito, infatti, che le cautele contenute nell'art. 2280, comma 1, c.c. sono poste a tutela dei creditori sociali e sono quindi indisponibili da parte dei soci della società in liquidazione; da tale premessa è stato tratto argomento per affermare che la convenzione in base alla quale i soci di una società in liquidazione si impegnino a votare a favore della ricapitalizzazione di altra società, al fine di evitarne la liquidazione, ottenendone in cambio un corrispettivo economico acquisito direttamente al patrimonio personale e non a quello della società in liquidazione, è affetta da nullità perché stipulata in violazione della norma indisponibile di cui all'art. 2280, comma 1, c.c. (Cass. I, n. 17585/2005). La sentenza ha specifico riferimento ad una s.p.a., ma le sue enunciazioni, per il profilo che viene in considerazione in questa sede, assumono portata generale e sono quindi estensibili anche alle società di persone. Sempre nello stesso senso, e, cioè, in favore della inderogabilità dell'art. 2280, comma 1, c.c.: Campobasso, 434; Ferri, 624; Gambino, 163. Fondi disponibili insufficientiA differenza che nella liquidazione delle societàdi capitali, in cui, se i fondi disponibili risultino insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, il liquidatore può chiedere proporzionalmente ai soci solo i versamenti ancora dovuti, nella società semplice ai cui soci possono essere richieste, oltre ai versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote, anche le somme necessarie per il pagamento dei debiti sociali, nei limiti della rispettiva responsabilità ed in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite (art. 2280, comma 2, c.c., in relazione all'art. 2267) (Cass. I, n. 9548/1991). Il potere, attribuito dalla legge ai liquidatori, di chiedere ai soci non solo i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote ma, ove occorra, anche le somme necessarie ai fini del soddisfacimento dei creditori entro i limiti delle rispettive responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite, non è subordinato, nel suo esercizio, a una preventiva indagine preliminare, volta a stabilire se la liquidazione sia stata condotta secondo i criteri di buona amministrazione, ovvero a un preventivo accertamento dell'inesistenza dell'attivo. Tale pretesa tuttavia, non può essere fatta valere nei confronti dell'erede del socio, non diventato a sua volta socio, anche se si tratti del pagamento di debiti relativi all'attività esplicatasi quando il socio defunto era ancora in vita: questo perché i diritti della società verso l'erede del socio, che non sia subentrato nel rapporto sociale, possono essere esercitati solo dopo eseguita la liquidazione della quota del socio defunto e sempre che detta liquidazione si chiuda in passivo, con un credito a favore della società (Cass. I, n. 2669/1967). Versamenti spontanei dei sociNulla vieta naturalmente che i soci offrano spontaneamente più di quanto essi debbano erogare per legge, e nel caso che ciò accada l'attività di realizzazione di siffatte offerte per il pagamento dei debiti sociali rientra pur sempre in quella tipica del liquidatore (Cass. I, n. 3652/1977). Ripartizione del residuo tra i sociAfferma la Cassazione che la liquidazione di società non è funzionale solo al pagamento dei debiti sociali, ma anche alla ripartizione del residuo tra i soci, dei cui interessi si deve tener conto nelle operazioni di liquidazione del patrimonio sociale, durante le quali, pertanto, permane l'interesse della società ad ottenere il corrispettivo più alto possibile dalla vendita dei suoi beni. Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha confermato l'annullamento, ex art. 1394 c.c., di una vendita a prezzo irrisorio di un bene sociale per conflitto di interessi del liquidatore, pur in assenza di un danno ai creditori sociali (Cass. I, n. 6220/2013). BibliografiaBuonocore, Società in nome collettivo, in Comm. Schleisinger, 1995; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Gambino, Impresa e società di persone, Torino, 2014. |