Codice Civile art. 2318 - Soci accomandatari.Soci accomandatari. [I]. I soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo. [II]. L'amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari [2323 2]. InquadramentoLa norma, con riferimento ai diritti ed agli obblighi dei soci accomandatari, prevede l'applicazione della disciplina dettata per la società in nome collettivo, applicazione che, dunque, non è soggetta al giudizio di compatibilità previsto dall'art. 2315 c.c. L'art. 2318 c.c., poi, riserva solo agli accomandatari l'amministrazione della società. Salvo che l'atto costitutivo non preveda un sistema congiuntivo ovvero collegiale di amministrazione, l'amministrazione ed il potere di rappresentanza, anche processuale, spetta a ciascun accomandatario disgiuntamente dagli altri (Ferri, 654; Campobasso, 548). È pacifico che la responsabilità degli accomandatari per le obbligazioni sociali (che può essere accertata in ogni momento ed anche nel corso dello stesso giudizio di cognizione mirante all'accertamento della obbligazione gravante sulla società: Cass. I, n. 7100/1993, Soc. 1993, 1349) presenta gli stessi caratteri di quella dei soci di società in nome collettivo: come questa, pertanto è, non solo illimitata e solidale, ma anche sussidiaria, nei limiti stabiliti dall'art. 2304 (Cass. I, n. 2327/1968,; Trib. Udine 12 dicembre 1983, in Dir. fall. 1984, II, 175; Pret. Bergamo 30 marzo 1984, Prev. soc. 1984, 1985): i creditori, pertanto, hanno l'onere della preventiva escussione del patrimonio sociale e, soltanto dopo che questa sia riuscita infruttuosa, possono pretendere il pagamento dai soci accomandatari. Non vale ad escludere la responsabilità del socio accomandatario, la circostanza che gli siano state unicamente demandate (in forza di un'espressa clausola inclusa nell'atto costitutivo) mansioni «direttive o di coordinamento della contabilità e connessi adempimenti» (Trib. Udine 12 dicembre 1983, cit.). La responsabilità del socio accomandatario si estende naturalmente anche alle obbligazioni sociali anteriori all'acquisto, da parte sua, di tale qualità, ossia anche a quelle sorte anteriormente al suo ingresso o al suo mutamento di ruolo nella compagine sociale (Cass. VI, n. 15252/2015; Cass. I, 13 aprile 1989 n. 1781) e fa sì che egli sia soggetto al fallimento personale per effetto del disposto dell'art. 147 l. fall (Cass. I, 24 ottobre 1969 n. 3488; Trib. Udine 12 dicembre 1983, cit.). E, ovviamente, i soci accomandatari di una società in accomandita semplice, ancorché receduti, rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni assunte dalla società anteriormente al recesso (App. Bologna 9 aprile 1994, Fatti e atti 1994, 446). Si è detto che la Cassazione, affrontando nei suoi termini generali il problema della natura della responsabilità dei soci delle società personali per le obbligazioni sociali aveva puntualizzato – con Cass. I, n. 12310/1999 ,– che la loro posizione non è assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure ex lege, poiché mentre quest'ultimo garantisce un debito altrui e per tale ragione, una volta effettuato il pagamento, ha azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e si surroga nei diritti del creditore, il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, in quanto derivano dall'esercizio dell'attività comune (al cui svolgimento, data l'assenza di un'organizzazione corporativa, partecipa direttamente) ed è anzi tenuto, ove i fondi sociali risultino insufficienti, a provvedere anche mediante contribuzioni aggiuntive a quelle effettuate all'atto dei conferimenti, onde l'impossibilità di ammettere un'azione di regresso contro la società del socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale e l'inapplicabilità delle disposizioni (artt. 1953,1955 e 1957 c.c.) che hanno la loro giustificazione nell'esigenza di salvaguardare la possibilità del regresso del fideiussore. Tale orientamento è stato successivamente ribadito, dalla Cassazione, con riferimento alla responsabilità del socio accomandatario della società in accomandita semplice della quale, pur riconoscendone la sussidiarietà, è stato quindi affermato il carattere «personale e diretto», traendo da tale premessa argomento per affermare: - che l'atto con il quale il socio accomandatario rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può essere considerato costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma va qualificato quale atto di costituzione di garanzia per una obbligazione propria; - che, conseguentemente, il creditore che, in relazione a un credito verso la società in seguito fallita, sia titolare di garanzia ipotecaria prestata dal socio accomandatario per le obbligazioni sociali, ha diritto di insinuarsi in via ipotecaria nel passivo del fallimento di quest'ultimo, in quanto egli assume la veste di creditore ipotecario del fallito, e non già di mero titolare d'ipoteca rilasciata dal fallito quale terzo garante di un debito altrui (Cass. I, n. 18312/2007). Il socio accomandatario della s.a.s., estinta per cancellazione dal registro delle imprese nel corso del giudizio di primo grado che sia anche cessionario del credito con atto anteriore all'instaurazione dell'azione revocatoria, è legittimato ad agire (nella specie, intervenendo in secondo grado), in quanto titolare della legitimatio ad causam quale successore della società attrice in revocatoria ordinaria, oltre ad essere dotato di interesse ad agire nel merito (art. 100 c.p.c.) con riferimento alla medesima azione revocatoria, in qualità di cessionario del credito oggetto di tutela revocatoria, e quindi portatore di interesse attuale e concreto ad un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l'intervento del giudice, costituendo tale requisito una condizione che deve sussistere sino al momento della decisione (Cass. III, n. 6130/2018). Inoltre, si è precisato (Cass. VI, n. 20671/2016) che lo scioglimento di una società in accomandita semplice (come quello di qualsiasi società di persone) non determina la cessazione della responsabilità illimitata dei soci illimitatamente responsabili, pur quando non siano nominati liquidatori, e non esclude, pertanto, che siano dichiarati personalmente falliti per effetto del fallimento della società; e che (Cass. VI, n. 13805/2016) la responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni contratte dalla società (nella specie relative ad Iva e Irap) è illimitata e non circoscritta alle somme conferitegli in base al bilancio finale di liquidazione. Dalla norma in commento si trae, altresì, che il divieto di concorrenza, previsto dall'art. 2301 c.c. con riguardo ai soci di società in nome collettivo, è applicabile solo nei confronti dei soci accomandatari di società in accomandita semplice, che, per il combinato disposto degli artt. 2315 e 2318 c.c., hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo, e non anche per i soci accomandanti, salvo che per questi ultimi non sia pattiziamente previsto con una disposizione contenuta nel contratto sociale (Cass. I, n. 10715/2016). Rappresentanza: a) titolaritàCome nelle altre società di persone, se il contratto sociale nulla dispone in ordine alla rappresentanza della società, ciascun socio amministratore ha il potere di amministrazione e quello di rappresentanza sia sostanziale che processuale: pertanto la notificazione di un atto processuale (nella specie controricorso per cassazione) ad una società in accomandita semplice, ove manchi un organo al quale compete il potere di rappresentare la società, deve essere fatta nominativamente ai soci accomandatari, per cui è nulla se effettuata impersonalmente al legale rappresentante della società (Cass. I, n. 3719/1985). Da ciò si è dedotto che nel caso di appropriazione indebita consumata ai danni di una società in accomandita semplice, è pienamente valida la querela presentata dal socio accomandatario, legittimato ai sensi dell'art. 2318 c.c., senza che sia necessaria l'indicazione specifica dei poteri di rappresentanza, che al socio accomandatario sono conferiti ex lege, aggiungendo che detta indicazione è, invece, condizione di validità della querela allorché si tratti di società di capitali (Cass. pen. 26 giugno 1992). Segue: b) limitazioniCon riferimento all'ipotesi in cui l'atto costitutivo di una società in accomandita semplice, preveda che il compimento di determinati atti da parte del socio accomandatario debba essere autorizzato dai soci accomandanti, si è poi deciso che la mancanza di tale autorizzazione e, più in generale, l'inosservanza, da parte del socio accomandatario, di quanto stabilito dal socio accomandante in virtù dei poteri a lui attribuiti dall'atto costitutivo, ai sensi dell'art. 2320 c.c., può essere solo fonte di responsabilità del socio accomandatario amministratore nei confronti del o dei soci accomandanti ma non incide, trattandosi di limitazioni attinenti ai rapporti interni, sulla validità del contratto stipulato con i terzi dal socio accomandatario, al quale spetta pur sempre il potere rappresentativo della società, neppure se nel contratto sia richiamata espressamente la disposizione dell'atto costitutivo che prescrive detta autorizzazione, incidendo tale clausola solo sulla efficacia del contratto validamente concluso dal socio accomandatario (Cass. I, n. 9454/1992). Esclusione del socio accomandatarioIl Tribunale di Milano, intervenendo sul problema dell'applicabilità dell'art. 2287 alla società in accomandita semplice aveva deciso che la disposizione di cui al comma 1, la quale prevede, nel caso di società compostada più soci, la possibilità di deliberare a maggioranza l'esclusione di uno di essi, non sia applicabile nel caso in cui l'escludendo sia l'unico socio accomandatario. Questo perché, data la stretta connessione tra la qualità di socio accomandatario e la qualità di amministratore, l'esclusione implicherebbe necessariamente la revoca della facoltà di amministrare e verrebbe ad interferire con l'art. 2319, il quale richiede il consenso dei soci accomandatari per la revoca degli amministratori, la cui prestazione non sarebbe tuttavia ipotizzabile nell'ipotesi considerata, data l'unicità del socio accomandatario: di qui la conclusione che l'unica via percorribile è in tal caso quella dell'esclusione giudiziale contemplata dall'art. 2287, terzo comma, quando la società ha più di due soci (Trib. Milano, 25 maggio 1998, in Soc. 1999, 444; nello stesso senso App. Milano 18 gennaio 2000, in Foro it. 2000, I, 2970). In senso contrario si erano invece espressi altre corti di merito, affermando l'inammissibilità dell'esclusione giudiziale al di fuori dell'ipotesi della società di due soci, espressamente contemplata dall'art. 2287, terzo comma (Trib. Torino 12 ottobre 1981, in Giur. comm. 1983, II, 335; Trib. Roma 9 gennaio e Trib. Roma 10 marzo 1997, in Impr. 1997, 701). E tale diverso orientamento interpretativo è stato recepito dalla C.S., la quale ha statuito che nelle società in accomandita semplice con un unico socio accomandatario, ma con più di due soci l'esclusione del socio accomandatario può essere attuata solo nelle forme stabilite dal primo comma del citato art. 2287, vale a dire con decisione della maggioranza dei soci accomandanti (Cass. I, n. 15197/2001). Si è ribadito che in una società in accomandita semplice formata da un solo accomandatario e da più accomandanti questi ultimi hanno il potere di deliberare l'esclusione dell'accomandatario per giusta causa ai sensi dell'art. 2287, primo comma, e quindi con delibera maggioritaria, non essendo in tal caso necessaria la pronuncia del tribunale prevista dal terzo comma dello stesso articolo (Cass. I, n. 27504/2006). In motivazione si puntualizza: - che il terzo comma del citato art. 2287 c.c., da ritenersi applicabile anche alle società in accomandita semplice in virtù del richiamo operato dall'art. 2315 c.c., si riferisce all'ipotesi in cui la società sia composta da due soli soci; - che nel caso di specie il numero di soci era maggiore e non poteva assumere rilievo la circostanza che essi fossero raggruppati in due gruppi omogenei e tra loro contrapposti, non essendo tale situazione assimilabile a quella della società di due soci; - che l'esclusione dell'unico socio accomandatario con delibera maggioritaria (e, quindi, nel caso di specie con il solo consenso dei soci accomandanti) non può trovare ostacolo nell'art. 2319 c.c., che riguarda la revoca degli amministratori e, quindi, un'ipotesi diversa. Nella medesima sentenza si afferma, inoltre, che, poiché nell'accomandita semplice l'amministrazione può essere conferita solo ad un socio accomandatario, l'esclusione di quest'ultimo dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, automaticamente comporta la cessazione dalla carica di amministratore; precisando, tuttavia, che non è vero il reciproco, ben potendovi essere accomandatari che amministratori non siano; di qui la conclusione che l'esclusione del socio e la revoca dell'amministratore costituiscono situazioni affatto distinte, legate a presupposti non necessariamente coincidenti, e che le relative discipline non sono quindi sovrapponibili (negli stessi sensi, più di recente: Cass. I, n. 5019/2009; e v. la cit. Cass.. I, n. 18844/2016). Profili processualiSi è precisato che il socio accomandatario, al quale sia intimato precetto di pagamento di un debito della società in accomandita semplice, può proporre opposizione a norma dell'art. 615, comma 1, c.p.c. per far valere il beneficio di preventiva escussione della società, senza dover attendere il pignoramento (Cass. I, n. 15036/2005). BibliografiaG.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016. |