Codice Civile art. 2325 - Responsabilità (1).

Guido Romano

Responsabilità (1).

[I]. Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.

[II]. In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'articolo 2362.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 1 del d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha sostituito , con effetto a partire dal 1° gennaio 2004, l'intero Capo V, che originariamente comprendeva gli articoli da 2325 a 2461. L'attuale formulazione del Capo comprende gli articoli da 2325 a 2451. V. la disciplina transitoria dettata dall'art. 61 e 2 dello stesso d.lg. Il testo originario dell'articolo recitava: «Nozione. [I]. Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. [II]. Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni». Le norme precedentemente dettate dal comma 2 dell'articolo sono ora disciplinate dall'art. 2346 comma 1 c.c. introdotto dal d.lg. n. 6, del 2003.

Inquadramento

L'articolo in commento definisce la società per azioni, che costituisce il prototipo delle società di capitali, attraverso l'indicazione delle due componenti caratterizzanti costituite dalla responsabilità limitata al patrimonio della società e dalla partecipazione rappresentata da azioni. I caratteri tipologici della fattispecie sono, dunque, la personalità giuridica, una piena autonomia patrimoniale con responsabilità limitata al patrimonio della società per le obbligazioni di questa e un apparato organizzativo delle competenze come struttura giuridica organizzata, anche in versione unipersonale, articolata in uffici per la migliore attuazione dell'oggetto sociale in funzione dell'interesse sociale (Santosuosso, 612).

La società per azioni, una volta iscritta nel registro delle imprese e per effetto di tale iscrizione, assume personalità giuridica.

Autonomia patrimoniale e personalità giuridica

La società per azioni, in quanto dotata di personalità giuridica, è per legge trattata come soggetto giuridico distinto dalle persone dei soci e gode perciò di piena e perfetta autonomia patrimoniale (Campobasso, 140, Frè, Sbisà, 3; Sciuto, 122): solo la società è qualificabile come imprenditore e solo in testa alla società si puntualizza la disciplina propria dell'attività di impresa (Campobasso, ibidem).

Perfino il concentrarsi di tutte le azioni nelle mani di un solo socio non è causa di scioglimento, sia pure differito, della società per azioni, la quale continua ad esistere.

In giurisprudenza, si è osservato che gli istituti dell'autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica della società di capitali (nella specie, società per azioni) rispetto ai soci comportano la esclusione della riferibilità a costoro del patrimonio (ivi compresi i titoli azionari di altre società), intestato alla prima, anche nella ipotesi in cui uno dei soci possa essere considerato (eventualmente attraverso un'anstalt a lui facente capo la quale risulti intestataria della quasi totalità del capitale della società) il socio di larga maggioranza (Cass. n. 804/2000; Cass. n. 2053/1999). Conseguentemente, la titolarità dell'impresa esercitata da una società per azioni si appunta esclusivamente sulla società medesima e non è riferibile ai soci della stessa, i quali non possono essere chiamati a rispondere verso i terzi delle obbligazioni sociali (salvo il caso previsto dal capoverso dell'articolo in commento) e neppure degli eventuali danni cagionati in violazione delle regole giuridiche cui l'organizzazione ed il funzionamento della società dovrebbero attenersi. In questa prospettiva, si è dunque affermato che il fenomeno della concentrazione delle azioni in un'unica persona non elide la distinta soggettività degli obbligati, né quindi comporta l'identificazione dell'obbligazione della società con quella dell'unico azionista, che non subentra alla società nel rapporto con il creditore di questa, ma la sua obbligazione si affianca a quella societaria per rafforzare la garanzia dei creditori, e non per indebolirla, come avverrebbe se i rispettivi patrimoni si confondessero, anziché rimanere autonomi (Cass. n. 15793/2003). Tale ultima decisione ha precisato che per l'esperibilità, da parte del creditore sociale, dell'azione di adempimento delle obbligazioni sorte nel periodo in cui tutte le azioni di una società di capitali erano concentrate in un unico soggetto, persona fisica o giuridica che sia, non è sufficiente l'inadempimento della società, ma è necessario che questa sia insolvente: l'effetto della norma è quello di affiancare l'obbligazione personale dell'unico azionista a quella della società, senza però confondere i rispettivi patrimoni, di cui ciascuno resta titolare ancorché economicamente l'unico azionista possegga l'intero patrimonio della società, perché altrimenti sarebbe vanificato lo scopo della norma, che è quello di rafforzare la garanzia dei creditori sociali e di impedire che i limiti della responsabilità patrimoniale della società consentano all'unico azionista di eludere la responsabilità patrimoniale sancita dall'art. 2740 c.c. Inoltre (Cass. n. 14870/2000), il fatto che un socio disponga, direttamente o indirettamente, dell'intero capitale di una società di capitali non determina confusione tra il patrimonio di questa ed il patrimonio personale del socio e non può perciò essere attribuita al socio la proprietà di beni appartenenti alla società.

La separazione tra la soggettività giuridica dei soci e quella della società refluisce anche sulla individuazione del soggetto titolare di alcuni diritti. Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l'incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito (Cass.S.U., n. 27346/2009; Cass. n. 17187/2002). Per converso, nelle società di capitali, che sono titolari di distinta personalità giuridica e di un proprio patrimonio, l'interesse del socio alla conservazione della consistenza economica dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali, mentre non implica la legittimazione ad assumere iniziative esterne, quali azioni giudiziarie e impugnazioni di atti, il cui esercizio resta riservato alla società (Cass. n. 5323/2003; Cass. n. 6544/2002).

La separazione tra società e soci si manifesta anche sotto il profilo soggettivo: la società è, infatti, insensibile al mutare dei suoi soci.

Inoltre, il patrimonio sociale fa capo alla società, mentre i soci sono titolari della partecipazione sociale. Così, la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione di tale contratto solo se sono state fornite a tale riguardo dal cedente specifiche garanzie contrattuali, anche se non vi è bisogno che esse vengano così espressamente qualificate, sufficiente essendo che il rilascio della garanzia si evinca inequivocamente dal contratto (cfr. Cass. n. 16031/2007; Cass. n. 26690/2006; Cass. n. 5773/1996; Cass. n. 2843/1996; Cass. n. 9067/1995); e la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società, avente ad oggetto una prestazione accessoria e non rientrando nella garanzia di cui all'art. 1497 c.c., fonda un diritto del compratore all'indennizzo soggetto alla prescrizione ordinaria decennale (Cass. II, n. 16963/2014). In via generale, infatti, il vizio ed il difetto di qualità in relazione alla compravendita di partecipazioni sociali, essendo queste attributive di un insieme di diritti ed obblighi in relazione a una società, può attenere, in via generale, unicamente alla qualità dei diritti e obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire. Non può riguardare, invece, il suo valore economico in quanto esso non attiene all'oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti, in grado di assumere rilievo giuridico, come detto, solo ove, in relazione alla consistenza economica della partecipazione, siano state previste esplicite garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, che renda annullabile il contratto. D'altra parte, il patrimonio sociale appartiene alla società e non ai soci, i quali non sono titolari di un diritto reale sui beni sociali e subiscono, per effetto delle perdite del capitale sociale, solo un danno riflesso a causa della diminuzione del valore della loro partecipazione. In sintesi, la giurisprudenza ammette che la cessione della quota, attuata sul presupposto di una determinata consistenza patrimoniale della società, si possa inquadrare nell'ambito di un complesso regolamento negoziale, il quale abbia per oggetto non solo l'acquisizione di un generico status socii, ma anche ulteriori obblighi, a carico del cedente; tali obblighi possono per relationem essere collegati dalle parti, appunto, a una certa consistenza del patrimonio ovvero a determinate caratteristiche di beni sociali specificamente considerati, sino a rendere applicabile in via analogica le norme in tema di vendita, a condizione, come detto, che il cedente abbia, sul punto, assunto una specifica e dettagliata garanzia (cfr., Cass. III, n. 16031/2007; contra, per l'indirizzo del tutto minoritario, Cass. I, n. 18181/2004 secondo la quale le  azioni delle società di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede).

Il verificarsi di una causa di scioglimento della società – non comportando l'estinzione dell'ente, ma unicamente l'instaurazione del procedimento di liquidazione, al cui esito potrà seguire l'estinzione – non produce l'automatico trasferimento dei beni sociali in capo ai soci, i quali non ne divengono comproprietari: pertanto, l'alienazione dei beni mobili ed immobili, compresi nel patrimonio della disciolta società, deve essere eseguita a cura dei liquidatori, nei compiti dei quali è incluso tipicamente tale incombente, senza necessità di alcuna autorizzazione assembleare (che, ove espressa, resta ininfluente al riguardo), al fine sia di soddisfare le ragioni di eventuali creditori sociali, sia di provvedere all'eventuale distribuzione tra i soci o alla devoluzione dell'attivo residuo, secondo le norme di legge o di statuto (Cass. n. 16288/2009).

Il collegamento economico e funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo, controllate da una società madre, non fa venir meno la distinta soggettività delle società in esso ricomprese né comporta che l'interesse delle une possa essere legittimamente sacrificato a quello delle altre (Cass. n. 3805/1997).

Deve essere esclusa la possibilità di estendere la responsabilità contrattuale verso terzi tra società controllante e società controllata (e viceversa) in virtù del rapporto di direzione e coordinamento che lega dette società, atteso che le stesse, al di là dei limitati casi e presupposti di responsabilità previsti tassativamente dall'art. 2497 c.c., rimangono due distinti e separati centri di imputazione giuridica, come si desume chiaramente per le società per azioni dagli artt. 2325 e 2331 c.c. (Trib. Benevento 21 agosto 2008, in Guida dir. 2009, 3, 82).

Le azioni

Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società. Esse sono quote di partecipazione omogenee, standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate da documenti (titoli azionari) che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito (Campobasso, 199). Sono partecipazioni tipo omogenee e standardizzate avendo uguale valore nominale e conferendo uguali diritti ai loro possessori; ciascuna azione costituisce una partecipazione distinta e tendenzialmente autonoma rispetto alle altre possedute dalla stessa persona, che, a differenza di quanto accade nella società a responsabilità limitata, non sarà titolare di un'unica quota di partecipazione al capitale sociale, ma di tante quote di partecipazione quante sono le azioni sottoscritte (Campobasso, 200), con la conseguenza che potrà disporne, anche nei rapporti con la società, in modo autonomo e separato. La singola azione rappresenta, poi, l'unità minima di partecipazione al capitale sociale e l'unità di misura dei diritti sociali: essa è, dunque, indivisibile con la conseguenza che se più soggetti sono titolari di una unica azione dovranno nominare un rappresentante comune per l'esercizio dei diritti verso la società (Campobasso, 199).

Il titolo che rappresenta l'azione non incorpora un diritto di credito (a differenza delle cedole, una volta che queste sono state distaccate dal titolo al fine di esercitare diritti che maturano durante la vita della società) ma un diritto di partecipazione (d'Alessandro, 501) e che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito.

La società per azioni unipersonale

La riforma del diritto societario ha introdotto il modello di società per azioni unipersonale accanto al modello di società a responsabilità limitata unipersonale (introdotta dal d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88 che ha dato attuazione alla dodicesima Direttiva CEE in materia societaria, Direttiva 21 dicembre 1989, n. 89/667/CEE).

Il comma 2 dell'articolo in commento prevede che, in caso di insolvenza della società, il socio unico risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'articolo 2342 c.c. ovvero fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'art. 2362 c.c.

I presupposti della responsabilità illimitata sono dunque: lo stato di insolvenza, l'unipersonalità, la mancata esecuzione dei conferimenti ovvero della pubblicità prevista dall'art. 2362 c.c.

L'insolvenza della società è, dunque, requisito imprescindibile per la responsabilità illimitata del socio. Mentre taluni interpretano il presupposto in argomento come insolvenza fallimentare e, dunque, alla luce dell'art. 5, comma 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 come incapacità di far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni senza però necessità di preventiva infruttuosa escussione del patrimonio sociale (Frè, Sbisà, 559; Ferrara, Corsi, 357), altri lo legano a tutti i casi in cui il patrimonio risulti insufficiente per il soddisfacimento dei debiti e, precisamente, ai casi di inadempimento delle obbligazioni sociali verso uno o più creditori desumibile dalla vana escussione del patrimonio sociale ovvero dalla prova dell'inutilità della sua preventiva escussione (Santosuosso, 616).

Per quanto attiene all'unipersonalità, prima della riforma era prevalente l'indirizzo che, facendo leva sul concetto di appartenenza (più ampio di quello di titolarità), riteneva sufficiente la effettiva e concreta disponibilità della totalità delle quote (o dell'intero pacchetto azionario) da parte di un determinato soggetto che si realizzava anche con l'intestazione in parte a proprio nome ed in parte ad interposta persona ovvero attraverso una intestazione fittizia di parte del capitale sociale a terzi ovvero ancora attraverso una intestazione reale al terzo, la quale sottintenda un patto fiduciario (Trib. Pisa 21 aprile 1999, in Foro tosc. 2000, 48; App. Bologna 28 settembre 2001, in Soc. 2002, 333).

In altre parole, veniva offerta una lettura sostanzialistica del termine di appartenenza ricomprendendovi ogni situazione che comportasse il capo ad un soggetto la piena disponibilità diretta o indiretta di tutte le partecipazioni sociali.

Oggi, parte della dottrina – sulla base del rilievo che la responsabilità illimitata non costituisce il contrappeso al potere assoluto che il socio esercita sulla società, ma solo una sanzione per l'inosservanza di alcuni doveri od oneri – ritiene che il legislatore, con gli artt. 2342 e 2362 c.c., abbia inteso far riferimento non già ad una non meglio identificata persona cui appartenga l'intera partecipazione, ma proprio al soggetto cui tale partecipazione appartiene in qualità di socio: con la conseguenza che incorre nella responsabilità illimitata solo chi dell'intera partecipazione risulta formalmente proprietario (Ibba, 168). Altra dottrina, invece, evidenzia come l'appartenenza richieda una situazione giuridica di (sostanzialmente) totale commistione patrimoniale e disponibilità giuridica nell'organizzazione sociale anche se questa titolarità deve essere, in taluni casi limite, ricostruita per la presenza di soggetti solo formalmente o apparentemente terzi e, quindi, nei casi di interposizione fittizia, attuata mediante intestazione simulata delle quote, o reale, attuata mediante negozi fiduciari, oppure sia effettiva sia pure in una situazione di formale contitolarità dei diritti (Santosuosso, 622).

La giurisprudenza ha affermato che la disciplina relativa al socio titolare dell'intero capitale ha natura eccezionale ed è, quindi, di stretta applicazione: si deve conseguentemente escludere ogni estensione di tipo analogico al c.d. socio «sovrano» o «tiranno», salvo il caso in cui la quota di minoranza derivi da una intestazione fittizia o simulata (Trib. Monza 31 marzo 2005, in Giur. comm. 2006, II, 530).

Ancora, la norma ricollega la responsabilità illimitata alla mancata esecuzione dei conferimenti ovvero alla mancata esecuzione della pubblicità. Le due ipotesi che danno vita alla responsabilità illimitata sono alternative tra loro come dimostra il testo della disposizione ove compare la disgiuntiva «o». Con riferimento alla mancata esecuzione dei conferimenti, l'articolo in commento richiama la disciplina di cui all'art. 2342 c.c. Quest'ultima norma dispone che, in caso di costituzione con atto unilaterale, il socio unico deve provvedere all'integrale versamento del conferimento all'atto della sottoscrizione. In tale ultima ipotesi, quindi, l'integrale versamento costituisce tanto una condizione per la costituzione della società quanto il presupposto costitutivo dell'irresponsabilità del socio unico.

In caso di unipersonalità sopravvenuta i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nel termine di novanta giorni (art. 2342, comma 4, c.c.). Incertezze si sono manifestate in dottrina in ordine al dies a quo da cui far decorrere il termine. Secondo alcuni (Montalenti, 29), il termine decorre dal giorno dell'iscrizione nel libro soci dell'atto di trasferimento (art. 2362, comma 4, c.c.); altri, sul rilievo che l'iscrizione sia rilevante nei confronti della società, ma non nei rapporti con i terzi (e, quindi, con i creditori) prendono a riferimento la data del perfezionarsi inter partes del trasferimento delle partecipazioni (Santosuosso, 624). Il socio unico, dunque, deve eseguire il versamento in questa «finestra temporale»: in caso di adempimento all'obbligo, egli manterrà il beneficio della responsabilità limitata; in caso di adempimento tardivo, invece, egli sarà esposto come socio illimitatamente responsabile dal momento del sorgere dell'obbligazione del versamento (e, dunque, dal perfezionamento del negozio traslativo ovvero dall'iscrizione nel libro soci, a seconda dell'orientamento scelto) fino al momento dell'osservanza delle norme sui conferimenti (Santosuosso, ibidem, 624).

La seconda fattispecie da cui deriva la responsabilità illimitata dell'unico socio è costituita dalla mancata attuazione della pubblicità prevista dall'art. 2362 c.c. (al cui commento si rinvia per la descrizione degli adempimenti pubblicitari). L'obbligo va adempiuto nel termine di trenta giorni decorrenti dall'avvenuta variazione della compagine sociale: nonostante la lettera della norma che prevede la responsabilità illimitata del socio unico «fin quando» non sia stata attuata la pubblicità, si ritiene che la pubblicità eseguita nel termine previsto dalla legge impedisca ex tunc il sorgere della responsabilità illimitata medesima (Santosuosso, 626). Al contrario, una pubblicità eseguita tardivamente (dopo la scadenza, per le s.r.l., del termine di cui all'art. 2470, comma 7, c.c.) non implica la limitazione della responsabilità per le obbligazioni assunte medio tempore e, dunque, non ripristina il beneficio dal momento della manifestazione dell'unipersonalità (Santosuosso, 2015, 627). Il socio unico beneficerà della limitazione della responsabilità soltanto dal momento dell'esecuzione dell'adempimento pubblicitario.

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