Codice Civile art. 2409 - Denunzia al tribunale (1).Denunzia al tribunale (1). [I]. Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla società. Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione. [II]. Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione. Il provvedimento è reclamabile. [III]. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute. [IV]. Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai sensi del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata. [V]. L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 2393. [VI]. Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario rende conto al tribunale che lo ha nominato; convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale. [VII]. I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla (2) gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. InquadramentoL'articolo in commento disciplina le modalità attraverso le quali è possibile attivare un controllo giurisdizionale relativo all'attività irregolare tenuta dagli amministratori. In particolare, sino all’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza e di cui si riferirà al paragrafo che segue, le attenzioni della dottrina e della giurisprudenza si erano indirizzate verso la possibilità di applicare tale norma anche alle s.r.l., dal momento che in seguito alla riforma delle società, avvenuta con d.lgs. n. 6/2003, non era stato compiuto alcun rinvio normativo e codicistico che permettesse di estendere la disciplina in commento anche alle società a responsabilità limitata, diversamente da quanto avveniva per le s.a.p.a. La fattispecie in analisi, infatti, risultava enunciata esclusivamente per le s.p.a., consentendo all’autorità giudiziaria un intervento nella vita societaria, teso a verificare la correttezza della gestione dell’impresa. Detto intervento, da parte di un’ autorità terza ed imparziale, integra l’unico rimedio al quale è possibile affidarsi qualora le problematiche societarie non siano risolvibili per mezzo degli ordinari strumenti endosocietari. La dottrina si divide circa la ratio iuris della disposizione. Secondo alcuni autori, il fondamento della norma è quello di tutelare gli interessi dei soci ed eventualmente dei creditori sociali (Domenichini, 591) mentre, secondo altri autori, ciò che si intende tutelare è un interesse esterno alla società, corrispondente all'interesse pubblico alla corretta gestione delle imprese (Galgano, 300). Tale orientamento fa leva sull'intervento del Pubblico Ministero, interpretato come indicatore della potenzialità dello strumento legislativo al ripristino della legalità violata. Tuttavia, si segnala che la riforma del 2003 ha inteso riconnettere l'istituto al concetto di gravi irregolarità alla stregua di condotte idonee a cagionare un danno alla società ed alle sue controllate. La tesi esposta è stata accolta anche dalla giurisprudenza, la quale ritiene che la denunzia viene ammessa a tutela dell'interesse societario, dunque appartenente a privati e non di ordine generale, contribuendo alla formazione di un procedimento di volontaria giurisdizione, relativo ad un'attività oggettivamente amministrativa, connotata dalla modificabilità e revocabilità dei provvedimenti (Cass. n. 30052/2011). Ambito di operatività della denunziaCome in parte anticipato, l'articolo in commento si applica alle società per azioni, ma anche alle società in accomandita per azioni, in forza del rinvio ex art. 2454 c.c., nonché alle società cooperative, così come disposto dall'art. 2545-quinquies decies c.c. Il controllo dell'autorità giudiziaria viene attuato nei confronti di tutte le cooperative, comprese quelle a mutualità prevalente, eccezion fatta per le società esercenti attività bancaria. Antecedentemente alla riforma del 2003, il procedimento disciplinato dalla norma in analisi era applicato anche alle società a responsabilità limitata, in virtù di un espresso richiamo contenuto nell'art. 2488 c.c. che, tuttavia, non era stato riconfermato dal legislatore. Tale esclusione sembrava conseguenza del conferimento, a tutti i soci delle s.r.l., di un potere ispettivo e di controllo, ex art. 2476 c.c. nonché della legittimazione attiva a proporre l'azione di responsabilità sociale contro gli amministratori, per mezzo della quale è possibile richiedere all'autorità giudiziaria finanche la revoca del soggetto. La prevalente giurisprudenza riteneva, appunto, che si fosse perfezionato un assorbimento dell'art. 2409 c.c. nella disciplina specializzante dell'art. 2476 c.c. (App. Roma, 13 aprile 2005, in Giur. it. 2006, 75; Trib. Lecce 16 luglio 2004, in Dir. fall. 2005, II, 276; Trib. Bologna 21 ottobre 2004, in Soc. 2005, 357; App. Trieste 13 ottobre 2004, in Dir. fall. 2005, 2, 275). Altra parte della giurisprudenza, però, considerava applicabile la disciplina ex art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata in cui è obbligatoria la presenza del collegio sindacale, in forza del rinvio ex art. 2477 comma 4 c.c. (Trib. Roma, 6 luglio 2004, in Giur. it. 2005, 1476; Trib. Milano, 8 luglio 2005, in Foro it. 2006, 239; Trib. Terni, 9 aprile 2004, in Foro it. 2005, I, 868; Trib. Bologna 4 febbraio 2015). Diverso orientamento, maggiormente intento ad accogliere un'estensione dell'operatività del procedimento in analisi, aveva affermato che il procedimento di controllo giudiziario di cui all'art. 2409 c.c. è applicabile alle s.r.l. che abbiano un capitale sociale non inferiore al minimo previsto per le s.p.a. (Trib. Ascoli Piceno 1° marzo 2013). Sul punto era poi intervenuta anche la Suprema Corte di Cassazione, affermando che il procedimento previsto dall'art. 2409 c.c. per il controllo giudiziario della società per azioni non era applicabile alla società a responsabilità limitata, Deponeva in tal senso, oltre alla diversità dei connotati attribuiti a tale tipo di società dalla riforma organica di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la formulazione letterale dell'art. 2488 c.c. (nel testo introdotto dal d.lgs. n. 6 cit.) e dell'art. 92 disp. att. c.c., nonché, per le ipotesi in cui sia obbligatoria la costituzione del collegio sindacale, la genericità del rinvio alla disciplina delle società per azioni contenuto nell'art. 2477 c.c., il quale andava pertanto riferito ai soli requisiti professionali ed alle cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dei sindaci previste dagli artt. 2397 e ss. c.c., conformemente all'intento manifestato dal legislatore di privatizzare il controllo societario in favore dei singoli soci (Cass. n. 403/2010). La Corte Costituzionale si era successivamente pronunciata circa la presunta illegittimità costituzionale della riforma nella parte in cui non aveva confermato il precedente rinvio contenuto nell'art. 2488 c.c. In tal caso, la Consulta ha affermato che l'art. 2477 c.c. ha subito importanti modifiche in seguito all'emanazione del d.l. n. 5/2012 prevedendo, in caso di nomina di un organo di controllo, la possibilità di applicare le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni (Corte cost. ord. n. 116/2014). In tale contesto è intervenuto l'art. 379, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, aggiungendo all'art. 2477 un nuovo ultimo comma secondo il quale alla società a responsabilità limitata si applicano le disposizioni dell'art. 2409 anche se la società è priva di organo di controllo. Peraltro il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) in vigore dal 23 settembre 2016 che all'art. 13 (v.) prevede che nelle società a controllo pubblico, in deroga ai limiti minimi di partecipazione previsti dall'art. in commento, ciascuna amministrazione pubblica socia è legittimata a presentare la denunzia al tribunale, con norma che il comma 2 dichiara espressamente applicabile anche alle società a controllo pubblico costituite in forma di società a responsabilità limitata. Legittimazione ad agireLa legittimazione attiva I soggetti legittimati ad agire, dotati del potere di presentare ricorso al tribunale per l'adozione dei provvedimenti stabiliti dalla norma in commento, sono i soci titolari di un'aliquota minima di partecipazione che il legislatore fissa in misura pari al decimo del capitale sociale ovvero al ventesimo, in caso di società che fanno ricorso al capitale di rischio. È fatta salva, comunque, la possibilità che lo statuto preveda percentuali inferiori a quelle così individuate. Si ritiene che la legittimazione ad agire spetti anche al collegio sindacale, al consiglio di sorveglianza, al comitato per il controllo sulla gestione e, nel campo delle società che ricorrono al capitale di rischio, anche al pubblico ministero. Per altro verso, non si esclude che tale legittimazione sussista anche in capo ad un amministratore, pur se si assume che l'attivazione del rimedio da parte dei componenti dell'organo gestorio possa difficilmente verificarsi in concreto. In ordine alla base di computo delle percentuali esaminate, si ritiene che possano concorrervi i soci possessori di azioni privilegiate, a voto limitato, con prestazione accessorie; non le azioni di godimento, che non costituiscono frazione del capitale. Quanto alla legittimazione ad esperire la denunzia, v'è controversia in dottrina per i casi in cui esse siano oggetto di pegno, di usufrutto e di sequestro (conservativo o giudiziario) (Tedeschi, 214). Al riguardo, si sostiene che l'art. 2352 c.c. attribuisca disgiuntamente sia al socio debitore, sia al titolare del diritto parziario che al socio nudo proprietario i diritti finalizzati alla tutela delle minoranze, in termini di informazione e controllo sull'operato degli amministratori, ivi compreso il 2409. Non esiste, viceversa, la legittimazione del rappresentante comune e dei titolari di strumenti finanziari partecipativi; in quest'ultimo caso, in ragione della circostanza che tale apporti non costituiscono frazione di capitale e che i relativi titolari non sono soci. Rispetto alla disciplina previgente, appare ridotta la legittimazione del pubblico ministero, previste solo per le società aperte al mercato del capitale di rischio. Si spiega la scelta secondo la tesi per cui, mentre nelle società chiuse l'interesse alla conservazione dell'integrità del patrimonio sia dei soci, in quelle aperte – soprattutto per la circostanza che esse svolgono attività di rilevanza – detto interesse sia riconducibile ad uno spettro più ampio di soggetti (per le quotate, ad esempio, il pubblico dei risparmiatori) . Parte della dottrina ritiene, comunque, che la legittimazione del pubblico ministero sussista anche nelle società chiuse, in una funzione surrogatoria dei soci, per fronteggiare l'ostacolo — al raggiungimento del quorum richiesto — rappresentato dalla frammentazione del capitale (Terranova, 135). In ordine ai sindaci, il dato letterale pare convenire a che la denunzia provenga dal collegio e non dai singoli componenti dell'organo di controllo. Risulta pacifico, in giurisprudenza, che la legittimazione attiva prescinda dalla circostanza per cui i soci siano dissenzienti o meno, ovvero che siano rimasti estranei ai fatti che hanno generato le gravi irregolarità e violazioni censurate (Trib. Milano, 10 ottobre 1985). La giurisprudenza, inoltre, si è divisa circa la possibilità di prosecuzione del procedimento avviato dai soci, allorquando questi ultimi perdano la propria qualità ovvero riducano la loro quota di partecipazione in misura tale da perdere la legittimazione a proporre il ricorso. Secondo un certo orientamento, la qualifica di socio e la detenzione di una quota almeno a pari a quella richiesta legalmente rappresentano, solamente, un presupposto processuale speciale, in grado di influire solo sulla regolare instaurazione del procedimento, ma non necessario al momento della decisione finale (Trib. Como 3 febbraio 1194). Per altra posizione, invece, ricollegabile alla tesi privatistica dell'istituto, i presupposti in analisi costituiscono condizioni dell'azione che, necessariamente, devono essere presenti e devono essere conservate al termine della decisione finale (Trib. Roma 25 luglio 2014). Si ritiene che, nelle società facenti ricorso al capitale di rischio, il pubblico ministero, in quanto detentore di un interesse di matrice pubblicistica, è compartecipe necessario anche nel procedimento esperito dai soli soci, essendo tenuto ad intervenire, a pena di nullità (App. Roma 29 marzo 2002). L'unico intervento ammissibile nel procedimento ex art. 2409 appare quello volontario che, però, va escluso, per espresso indirizzo giurisprudenziale, per i creditori sociali del tutto estranei alla gestione sociale (Trib. Como 10 giugno 1998), per la società, che non può intendersi come parte bensì come oggetto del procedimento (App. Milano 1 giugno 1994; Trib. Bologna 30 aprile 1996), per gli amministratori e sindaci cessati dalla carica (Trib. Bologna 30 aprile 1996). L'unico intervento che appare quindi compatibile con la natura del procedimento è quello di soci che, coerentemente alla previsione normativa, rappresentino almeno un decimo del capitale sociale (App. Brescia 8 febbraio 2001; Trib. Brescia 17 luglio 2000; Trib. Roma 13 luglio 2000). La legittimazione passiva La novellata formulazione della disposizione esclude, non richiamandola, la legittimazione passiva della azione in capo ai sindaci i quali, però rimangono comunque esposti alla revoca dell'incarico nell'ambito del procedimento in esame, nonché alla azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. esercitata dall'amministratore giudiziario. Ed invero, atteso che si prevede la necessaria presenza dell'organo di controllo nel giudizio quale parte, sussiste la possibilità di una relativa revoca nell'ambito del procedimento, così legittimando una verifica d'ufficio, pur in mancanza della denuncia, della esistenza di gravi irregolarità anche a carico dell'organo di controllo (la previsione peraltro si presenta non coerente con la legittimazione della Consob a denunciare i sindaci di società quotate per gravi irregolarità ex art. 152, comma 2, TUF) (Valensise, 1016). In giurisprudenza, si assume da alcuni che la revoca dei sindaci non debba conseguire necessariamente a quella degli amministratori (App. Torino 27 ottobre 1995). Contra altra giurisprudenza (App. Milano 1° giugno 1994) secondo cui è impensabile la permanenza in carica di un collegio sindacale destinato ad affiancare ed a controllare la legittimità dell'operato di un organo gestorio, quale l'amministratore giudiziario, che opera quale ausiliario del giudice. La posizione della societàLa menzionata riforma del 2003 ha disposto, espressamente, che il ricorso debba essere notificato alla società. Ciò onde consentire alla medesima di acquisire piena e diretta conoscenza del procedimento, in funzione dell'adozione dei provvedimenti ritenuti opportuni e necessari, quali la revoca degli amministratori e dei sindaci. La giurisprudenza, pertanto, concorda nel ritenere che la società sia parte necessaria del procedimento, implicando la necessità di procedere alla nomina di un curatore speciale, al quale deve essere ugualmente notificato il ricorso, secondo le modalità disposte dall'art. 78, comma 2, c.p.c. (Trib. Como 21 marzo 2012, in Soc., 2013, 157; Trib. Tivoli 24 maggio 2004, in Giur. merito, 2005, 1573). Tale esigenza emerge al fine di prevenire eventuali conflitti di interessi tra gli amministratori, nonché per sopperire all'assenza di un organo societario in grado di rappresentare adeguatamente l'impresa in giudizio. Ma la tesi non è pacifica: in senso contrario si esprime ad esempio la giurisprudenza ambrosiana (Trib. Milano, decr. 14 maggio 2012, in Giust. civ., 2013, I, 2227). Audizione di amministratori e sindaciIn una fase antecedente all'emanazione del ricorso, il tribunale è tenuto, in ogni caso, a sentire gli amministratori ed i membri del collegio sindacale. In giurisprudenza si sostiene, pacificamente, che la suddetta audizione non favorisca l'integrazione di un contraddittorio, bensì sia dotata di finalità istruttorie, favorendo l'autorità giudiziaria nell'acquisizione delle informazioni (Cass. S.U. n. 2347/1961). In ogni caso, non è necessario procedere ad un interrogatorio formale, piuttosto è necessario che i presunti responsabili siano posti in condizione di conoscere gli addebiti rivolti nei loro confronti, nonché di potersi difendere nel modo opportuno. La mancata audizione degli amministratori e dei sindaci, comunque, non determina la nullità del procedimento, a patto che fosse già stato notificato l'atto introduttivo (App. Milano 6 dicembre 1962). Quest'ultimo orientamento continua ad essere sostenuto, affermandosi che qualora il principio del contraddittorio sia garantito dallo scambio di memorie nel corso del procedimento ex art. 2409 c.c., è legittima e insindacabile la decisione del giudice di omettere l'audizione dei sindaci e dell'amministratore (App. Milano 29 giugno 2012). Il fondato sospetto di gravi irregolaritàAnche in seguito alla riforma societaria del 2003, non è necessario che ricorrano irregolarità nell'adempimento dei doveri, essendo ora sufficiente che vi sia il sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi violazioni dei propri doveri di gestione, in grado di arrecare danno alla società ovvero ad una controllata. Secondo l'orientamento prevalente, tali irregolarità non si rinvengono nei soli casi di violazione di specifici obblighi e divieti, potendo consistere anche in violazioni dei doveri di diligenza, correttezza e fedeltà verso la società (Rossi, 570). Le suddette gravi irregolarità devono essere in grado di procurare un danno al patrimonio sociale ovvero un turbamento dell'attività sociale, ritenendo che debbano essere inerenti alla sfera societaria e non a quella personale dei soci, nonché contraddistinguersi per la loro attualità e, infine, possedere carattere dannoso, in grado di provocare lesioni agli interessi dei soci e dei creditori sociali. In relazione ad un rilevante arresto dei supremi giudici si ritiene che sussista la violazione del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dal secondo comma dell'art. 2407 c.c., con riguardo allo svolgimento, da parte degli amministratori, di un'attività protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da coinvolgere un intero ramo dell'attività dell'impresa sociale: al fine dell'affermazione della responsabilità dei sindaci, invero, non occorre l'individuazione di specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente il non avere rilevato una così macroscopica violazione, o comunque di non avere in alcun modo reagito ponendo in essere ogni atto necessario all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al P.M., ove ne fossero ricorsi gli estremi, per consentire all'ufficio di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c., in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria (Cass. n. 22911/2010) Non si ricomprendono, nella disciplina dettata dall'articolo in commento, le irregolarità solo formali, nonostante siano indice di gravità della condotta (Trib. Napoli 22 giugno 2004; App. Torino 29 maggio 2007). Costituiscono gravi irregolarità, rilevanti ex art. 2409 c.c., le illegittime modalità di convocazione dell'assemblea e la redazione del bilancio in violazione delle norme in materia (Trib. Roma 16.10.2020). Sempre secondo giurisprudenza di merito, sussiste sospetto di gravi irregolarità nella gestione di una società di capitali in crisi capaci di arrecarle danno, da riscontrare con l'ispezione dell'amministrazione della società stessa, l'avere gli amministratori: a) adottato, senza poi perseguire, un piano industriale, basato sulla quotazione in borsa e sull'ampliamento dell'emissione obbligazionaria, volto al superamento della crisi; b) conferito un redditizio ramo d'azienda in altra società, anziché venderlo per ricavarne la liquidità occorrente a fronteggiare parte del debito sociale (Trib. Roma 24.09.2020). Recentemente, inoltre, è stato precisato che le operazioni compiute in conflitto di interessi, non rispettose delle modalità procedimentali disposte dall'art. 2391 c.c., integrano un caso di grave irregolarità gestoria, suscettibile di essere ricompreso tra le ipotesi disciplinate dall'articolo in analisi (Trib. Milano, 8 settembre 2016). Si considera esperibile in astratto il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. nel caso in cui gli amministratori non convochino l'assemblea per la nomina del nuovo collegio sindacale, allorché quello vigente sia oramai decaduto, non consegnino al collegio sindacale la bozza di bilancio, né la documentazione contabile aggiornata, non convochino l'assemblea per l'approvazione del bilancio nei termini di legge (Trib. Tivoli 29 marzo 2012). Tale orientamento, in parte, era stato già precedentemente sostenuto dalla giurisprudenza, secondo la quale l'omessa redazione e l'omesso deposito del progetto di bilancio presso la sede sociale, nonché la mancata convocazione dell'assemblea per la relativa approvazione, costituiscono gravi irregolarità nella gestione amministrativa della società (Trib. Napoli 8 ottobre 2008). È stato altresì precisato che la denunzia ex art. 2409 c.c. non può fondarsi su meri sospetti, bensì su fatti dotati di riscontro obiettivo sicuro, in grado di generare il fondato sospetto di gravi violazioni nella gestione societaria (App. Lecce 9 luglio 1990). Altrettanto consolidata, in giurisprudenza, è la teoria secondo la quale l'analisi dell'autorità giudiziaria deve vertere su comportamenti contrari a regole di carattere giuridico, non avendo essa il potere di pronunciarsi sull'opportunità o la convenienza economica di determinate operazioni (App. Brescia 8 febbraio 2011). L'articolo in commento trova applicazione anche nel caso delle società in house, come emerge dalla espressa previsione di cui all'art. 13 d.lgs., n. 175/2016, in cui è contemplata anche una deroga ai limiti minimi di partecipazione previsti dalla disposizione codicistica (Trib. Napoli 14 ottobre 2020). Le irregolarità gestorie e gli assetti adeguati dell’impresa alla luce del codice della crisiIl Codice della Crisi e dell'insolvenza, introdotto con il d.lgs. n. 14/2019 nella sua originaria formulazione, mantenuta poi anche di seguito alla novella introdotta dal d.lgs. n. 83/2022, ha modificato l'art. 2086 c.c. e stabilito l'obbligo dell'imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Il c.c.i.i. ha peraltro definito il concetto di crisi all'art. 2, comma 1, lett. a) che, nella sua ultima formulazione, è inteso come lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta ben l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a fra fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi L'art. 3 del c.c.i.i. , introdotto dal d.lgs. n. 83/2022 ed entrato in vigore il 15.7.2022, specificando quanto dettato in generale dal codice civile, ora prevede che L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative. La norma prosegue stabilendo che – onde prevedere tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa - le misure e gli assetti adeguati devono consentire di: a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2. Si sostiene, allora, che l'obbligo di predisporre assetti organizzativi adeguati ex art. 2086, comma 2, c.c., abbia carattere generale da costituire la condizione all'esercizio dell'attività di impresa in condizioni di equilibrio non soltanto patrimoniale, economico e finanziario, ma, prima ancora, di sostenibilità sociale ( Patriarca, Benazzo). Ne deriva che – si pur con i limiti della cd Business Judgement Rule - la totale carenza di assetti adeguati viene inquadrata quale grave irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c., , anche in società non nella prossimità della crisi. Tanto sostiene la giurisprudeza di merito ove afferma “Aderendo al prevalente orientamento dottrinario, confermato anche dalle pronunce della giurisprudenza di merito, il tenore dell'art. 2409 c.c. non limita il perimetro delle irregolarità alla gestione imprenditoriale della società, ma, attraverso il richiamo alla "gestione", indica l'ambito di incidenza delle conseguenze delle irregolarità. In questa prospettiva, le misure organizzative che gli amministratori sono chiamati, anche sulla base del "nuovo" art. 2086 c.c., ad adottare risultano pur sempre finalizzate alla gestione societaria ovvero ne rappresentano una modalità di attuazione. Ed in effetti anche le irregolarità organizzative sono idonee a produrre inefficienze che si ripercuotono, inevitabilmente, sulla gestione imprenditoriale della società. Un concetto ampio di gestione consente, dunque, di annoverare tra le irregolarità anche la violazione di specifici compiti che, pur non attenendo alla gestione imprenditoriale in senso stretto, riguardano l'ordinato svolgimento dei poteri tra organi della società. In definitiva, la gestione è termine dal significato complesso che abbraccia non solo l'amministrazione corrente, ma anche le scelte strategiche e tutte le scelte che attengono all'assetto organizzativo della società, che non si esaurisce nella distribuzione delle deleghe ai componenti del CdA. Il richiamo alle scelte ed all'adempimento degli obblighi inerenti all'assetto organizzativo della società porta, poi, ad attribuire rilievo, in sede di denunzia al tribunale, anche alla predisposizione di adeguati assetti organizzativi finalizzati tanto alla prevenzione della crisi di impresa quanto alla tempestività di un intervento a sua volta finalizzato al superamento della crisi, come espressamente richiesto dal "nuovo" art. 2086 c.c. (Trib. Catania, sez. impr., decr. 8.2.23). La giurisprudenza del resto già in precedenza aveva affermato che la mancata adozione di adeguati assetti da parte dell'organo amministrativo di una impresa in crisi costituisse una grave irregolarità che imponeva la revoca dell'organo amministrativo e la nomina di un amministratore giudiziario (Trib. Milano, 18 ottobre 2019; Trib. Roma 15 settembre 2020). La lettura delle decisioni appena richiamate secondo la dottrina evidenziava l'esistenza nei provvedimenti di due profili comuni: 1) che l'inadeguatezza degli assetti organizzativi viene ad assumere rilevanza (quale irregolarità grave) in società che già si trovavano in crisi conclamata; 2) che il dovere di istituire gli assetti adeguati viene letto esclusivamente attraverso il prisma del rischio della crisi d'impresa e dell'imperativo di coglierne l'emersione e attivarne la gestione in via anticipata e tempestiva (Patriarca, Benazzo). Parzialmente diversa la posizione del Tribunale di Cagliari, (decreto del 19 gennaio 2022) ove la grave irregolarità viene individuata sul piano, anticipato, del dovere conformativo-istitutivo degli assetti, piuttosto che in quello, successivo, del dovere reattivo e attuativo. L'inadeguatezza lì viene rivenuta, infatti: (i) nel l'assenza di un piano strategico-industriale a breve e a medio-lungo termine unitamente a relazioni circa l'andamento gestionale e la sua prevedibile evoluzione; (ii) nell'assenza, sotto il profilo contabile, di un sistema di gestione dei crediti commerciali efficace; (iii) nell'assenza infine di un adeguato sistema di analisi dei dati, anche prospettici, di bilancio nonché di strumenti per rilevare tempestivamente situazioni di squilibrio finanziario, quale, in primis, il rendiconto finanziario. D'altra parte il Tribunale ritiene sia sanzionabile l'assenza di assetti adeguati, quale grave irregolarità, non solo nella gestione di un'impresa che si trovi in crisi, quanto piuttosto, e prima ancora, in una società che sia invece in situazione di equilibrio economico - finanziario. "(...) la violazione della obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trovi in crisi, anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili, amministrative". Quest'ultima posizione viene caldeggiata da quella dottrina che invoca una lettura dell'art. 2086 c.c. non appiattita sul solo rischio della crisi d'impresa (Masturzi). IspezioneIl Tribunale detiene il potere di ordinare, sentiti gli amministratori ed i sindaci, l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti. Si tratta di un provvedimento avente funzione strumentale, in grado di contribuire all'accertamento compiuto dai giudici, integrando un vero e proprio mezzo di indagine. L'ispezione deve essere effettuata nel rispetto delle regole del contraddittorio, ossia permettendo al socio denunziante di partecipare alle relative operazioni. La giurisprudenza, in tal senso, ha precisato che l'ispezione non deve essere interpretata e valutata alla stregua di un momento conclusivo dell'accertamento dell'autorità giudiziaria, né può essere considerata una misura cautelare (Trib. Genova 30 aprile 1991). Al riguardo, era stato anche sostenuto, prima della riforma del 2003, che nell'ambito del procedimento di denuncia di gravi irregolarità di sindaci ed amministratori, previsto dall'art. 2409 c.c., il decreto con cui il tribunale dispone l'ispezione, essendo un provvedimento meramente ordinatorio ed endoprocessuale, non fosse suscettibile di reclamo innanzi la corte d'appello (App. Cagliari 31 marzo 2000). La riforma ha, invece, espressamente previsto la reclamabilità al secondo comma della disposizione in commento, onde la questione non è più controversa. Si ritiene, inoltre, l'impossibilità di estendere l'applicazione del complesso di regole dettate per la consulenza tecnica d'ufficio anche all'ipotesi in esame (Trib. Roma 13 luglio 2000). Anche la dottrina sostiene l'orientamento giurisprudenziale esposto, ritenendo che l'ispettore, non tenuto a compiere il giuramento, detiene poteri maggiori del consulente tecnico, dal momento che, ad esempio, possiede ampie libertà di accesso ai documenti societari (Nazzicone, 254; Rossi, 581). Il terzo comma della norma in analisi conferisce all'autorità giudiziaria il potere di non ordinare l'ispezione e sospendere, per un tempo determinato, il procedimento se l'assemblea delibera la sostituzione di amministratori e sindaci con nuovi membri, dotati di opportune qualità professionali, intenzionati a verificare la sussistenza di gravi irregolarità gestorie al fine di eliminarle, riferendo ogni relativa attività al tribunale competente. In giurisprudenza è stato sostenuto, da tempo, che la sostituzione degli organi che hanno compiuto le gravi irregolarità censurate non preclude la possibilità di proporre ovvero proseguire nel procedimento dettato dalla disposizione in commento. Si ritiene che, in caso di sostituzione degli amministratori poco tempo prima dell'udienza, essendo impossibile effettuare una valutazione circa il loro operato, deve essere compiuta in relazione al programma di gestione che si intende seguire (Trib. Vicenza, 30 marzo 2009). Provvedimenti provvisoriIn caso di accertamento positivo circa le gravi irregolarità richieste dall'articolo in commento a seguito dell'ispezione ed alla mancata rimozione per mezzo del rimedio interno esposto, il legislatore conferisce all'autorità giudiziaria il potere di emanare provvedimenti provvisori, mutando la precedente disciplina che, invece, li qualificava come di matrice cautelare, tuttavia senza dettarli specificamente. I provvedimenti resi sulla denunzia di irregolarità nella gestione di una società di cui alla norma in commento ancorché comportino la nomina di un ispettore o di un amministratore con la revoca di quello prescelto dall'assemblea, ovvero risolvano questioni inerenti alla regolarità del relativo procedimento, sono privi di decisorietà; ne consegue che la decisione resa dalla Corte d'appello sul reclamo nei confronti di detti provvedimenti non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111 Cost., tranne che per la parte in cui rechi condanna alle spese (Cass. n. 388/2023). Revoca degli amministratori e sindaci e successiva amministrazione giudiziariaSecondo la disposizione in commento, in caso di accertamento positivo sulle gravi irregolarità, lesive degli interessi societari, il tribunale detiene il potere di disporre la revoca degli amministratori, nonché eventualmente anche dei sindaci, provvedendo anche a nominare l'amministratore giudiziario, determinandone anche i poteri e la durata della carica. In generale, può essere ritenuta come una misura di extrema ratio, alla quale l'autorità giudiziaria ricorre allorquando non vi siano altre possibili alternative, meno traumatiche per la società, dal momento che è fondata sulla sussistenza di un vero e proprio sistema di operazioni anomale, non rapportandosi esclusivamente all'illegittimità dei singoli atti censurati. L'art. 92 disp. att. c.c. stabilisce i poteri dell'amministratore giudiziario, il quale non può compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, salvo autorizzazione del tribunale, che decide in forma collegiale. Inoltre, l'amministratore può proporre azione di responsabilità avverso gli amministratori ed i sindaci, ricorrendo alla disciplina dettata dall'art. 2393 c.c. L'art. 94 disp. att. c.c., invece, determina il regime di responsabilità dell'amministratore giudiziario, ricalcando quello disposto per amministratori e sindaci, operando un richiamo all'art. 1176, comma 2, c.c., inerente alla diligenza professionale. Al termine del suo incarico, il medesimo articolo dispone che l'amministratore giudiziario sia tenuto a rendere conto della sua gestione per mezzo di una relazione in grado di far conoscere al tribunale le attività effettuate ed i relativi risultati. La carica dell'amministratore ha una durata determinata dal tribunale, essendo quindi temporanea. In particolare, la cessazione dall'incarico si attua al momento della ricostituzione del consiglio di amministrazione, ovvero in caso si consegna dei beni sociali ai liquidatori. A tal proposito, la Suprema Corte ha precisato che in tema di amministratore giudiziario nominato nel procedimento di cui all'art. 2409 c.c. (nel regime antevigente), il pagamento del compenso, liquidato in favore di tale ausiliario con il decreto del presidente del tribunale ex artt. 103 e 92 disp. att. c.c., va posto a carico della società stessa, che si giova della relativa attività e non dell'istante (nella specie il socio al 50 per cento) che abbia denunziato le gravi irregolarità poi riscontrate (Cass. n. 28232/2008). Inoltre, è stato affermato che l'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'art. 2409 c.c., pur essendo pubblico ufficiale, rende la prestazione di amministratore della società, con questa instaurando un rapporto da cui deriva il credito per remunerazione, non indisponibile. Ne consegue che l'accordo tra la società e l'amministratore giudiziario sulla liquidazione del compenso a quest'ultimo spettante non è nullo, ma solo condizionato all'emanazione di un provvedimento giudiziale che lo recepisca ai sensi dell'art. 92 disp. att. c.c., non avendo quindi interesse ad opporre tale provvedimento la società che si limiti a denunciare un vizio di annullabilità dell'accordo, senza averne provocato l'annullamento con autonoma azione (Cass. n. 9241/2012). In relazione all'aspetto patologico del procedimento, la Suprema Corte ha affermato che il decreto della corte d'appello, che abbia deciso sul reclamo proposto avverso il provvedimento del tribunale reso ai sensi dell'art. 2409 c.c., non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., tranne che per la parte in cui rechi condanna alle spese del procedimento, la quale, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito dipendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame viene emessa, riveste i caratteri della decisione giurisdizionale e l'attitudine al passaggio in giudicato, indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede (Cass. n. 1571/2009). Sul regime delle spese, inoltre, è stato affermato che nel procedimento per il riassetto amministrativo e contabile della società di cui all'art. 2409 c.c., la condanna al pagamento delle spese processuali pronunciata a favore di colui che le abbia anticipate, partecipando al procedimento in forza di interessi giuridicamente qualificati dalla sua posizione rispetto alla corretta amministrazione della società, pur non essendo accessoria ad una decisione su diritti soggettivi, né collegabile a comportamenti anteriori al processo, è legittima nella parte in cui si fondi sulla soccombenza processuale dei controinteressati nel contrasto delle posizioni soggettive, anche se non può avere, comunque, ad oggetto le spese di ispezione giudiziale della società, che restano sempre a carico dei denuncianti (Cass. n. 30052/2011). BibliografiaAbriani, Sub art. 2477, in Delle società - Dell’azienda. Della concorrenza, artt. 2452-2510, a cura di D. 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